|
|
SALUTO LA
MARINA MILITARE ITALIANA
2013
ISTITUTO STUDI MILITARI MARITTIMI
ARSENALE DI VENEZIA
L’Arsenale di
Venezia: il più grande complesso
produttivo preindustriale
Recintato quasi completamente da mura di
mattoni in parte merlate ed in parte intercalate da
alcune torri, è un enorme complesso di strutture
edilizie ed impiantistiche destinato agli usi della
Marina Militare e Civile. Nel 1932 la Marina Militare
italiana ha concesso in uso la metà delle superfici
terrestri ai Cantieri Navali e Officine Meccaniche di
Venezia (CNOMV) per la costruzione e la riparazione
delle navi.
Per la varietà di spazi terrestri ed
acquei e per la sua estensione, l’Arsenale si presenta
dal punto di vista urbanistico come una cittadella
storica indipendente, ma nello stesso tempo connessa
alla città.
Sviluppo urbanistico
Il primo nucleo, documentabile fin dagli
inizi del XIII secolo, sorge fra zone conventuali ed è
costituito da due file di squeri ai lati della Darsena
Vecchia. Vi si può accedere dal Bacino di San Marco solo
attraverso uno stretto canale.
Agli inizi del Trecento il Comune
acquistò un lago annesso al monastero di San Daniele
aggiungendovi la Darsena Nuova, successivamente
attrezzata con una trentina di squeri, e la Stradal
Campagna sulla quale sorsero le attuali Fonderie, le
Officine dei remi, le Corderie e il Reparto artiglieria.
L’Arsenale è legato al periodo più florido della vita
marittima della città: è grazie, infatti, alle imponenti
costruzioni di navi, qui realizzate, che Venezia riuscì
a contrastare i Turchi nel Mar Egeo e conquistare le
rotte del nord Europa.
Nel 1460, in seguito alla caduta di
Costantinopoli (1453), vennero erette la monumentale
porta di terra, che alludeva al ruolo di Venezia quale
baluardo della cristianità, e le due torri che
affiancano la porta ad acqua, poi ricostruite nel 1600.
Il portale d’ingresso di terra fu costruito sulla base
degli archi di trionfo romani e ciò è di particolare
rilievo in quanto è la prima volta che si introduco a
Venezia elementi dell’arte rinascimentale.
Il terzo grande sviluppo iniziato nel
1473 e concluso nel 1570 con la creazione della Darsena
Nuovissima e delle Galeazze portò l’Arsenale a coprire
una superficie di quasi 24 ha. In questi tre secoli
circondati da un alone di segretezza, l’Arsenale
produsse le galere e le grandi galeazze che
determinarono la vittoria della cristianità a Lepanto
nel 1571 e divenne il fulcro del lavoro veneziano,
trasformandosi progressivamente in quell'enorme
complesso d’opere che lo resero famoso in tutto
l’occidente.
Verso la fine della Serenissima, i
napoleonici mutarono radicalmente l’organizzazione
dell’Arsenale, poiché era difficilmente agibile, e
aprirono il canale di Porta Nuova affiancandovi la torre
omonima.
Il quarto grande sviluppo fu realizzato
tra il 1876 e il 1909 dopo un periodo di stagnazione
legato alla dominazione austriaca. L’Italia voleva
riproporre l’Arsenale come base navale importante
nell’alto Adriatico e vi aggiunse l’area nuova del
piazzale dei Bacini e le aree vecchie dei tre conventi
soppressi di S. Daniele, delle Vergini e della Celestia.
Dopo molti progetti per consentire il movimento delle
navi furono scavate le strutture preesistenti fra la
Darsena Nuova e la Nuovissima realizzando, al loro
posto, l’attuale Darsena Grande. Contemporaneamente per
evitare la sommersione, il terreno fu elevato di circa
70 cm.
Allo stato attuale l’Arsenale è
circondato da strettissimi canali urbani che un tempo
fungevano da fossato protettivo; le acque interne sono
composte dalla Darsena Grande e dal canale comprendente
la Darsena Vecchia e il Bacino delle Galeazze. Attorno
alla Darsena Grande e Vecchia si sviluppano i fabbricati
in serie detti squeri o tese dove venivano stivate,
modellate e composte le grandi strutture lignee
destinate a formare le navi al tempo della Serenissima.
Solo tre coppie di squeri consentono oggi il ricovero
delle navi; tra questi degno di menzione per i suoi
caratteri architettonici di particolare finezza è lo
squero delle Gagiandre eretto nel 1570.
Ruolo
storico- economico dell’Arsenale
I due
tratti fondamentali dell’Arsenale di Venezia sono le sue
dimensioni inusitate, tanto che lo si può ritenere il
complesso produttivo industriale più grande della
cristianità, e le caratteristiche della manodopera
impiegata, fondamentalmente stabile rispetto al sistema
produttivo del tempo. Un viaggiatore inglese lo descrive
vasto addirittura quanto la città di Canterbury.
Tra XI e
XII secolo svolgeva prevalentemente una funzione di
deposito di merci; è solo dal 1220-1224 che si
cominciarono ad avere notizie sull’Arsena communis
quale luogo di costruzione di navi. Tuttavia non era
l’unico cantiere pubblico, ne esisteva, infatti, un
altro nella zona di S. Marco, successivamente chiuso nel
1302 in seguito alla decisione del Senato di vietare la
costruzione di imbarcazioni in luoghi diversi
dall’Arsenale. Iniziarono dunque le opere di
espansione dell’edificio per incrementarne la capacità
produttiva. Ma fu soprattutto a partire dalla seconda
metà del XVI secolo che l’Arsenale divenne di importanza
strategica per la necessità di fare fronte agli attacchi
turchi con una flotta dalle dimensioni adeguate e
disponibile in tempi brevi. La sua struttura, con le
sequenze di squeri che ne rappresentavano il tessuto
funzionale, rivelava il segno di una perizia ed
organizzazione nel campo delle costruzioni navali che
anticipavano di molto la logica industriale. La
divisione del lavoro era molto forte già al tempo di
Dante che, nella Divina Commedia, scrive:
“ chi
ribatte da spada e chi da poppa altri fa remi e altri
volge sarte;
chi terzeruolo e artimon rintoppa”.
Si
possono ritrovare gli elementi caratterizzanti il
moderno sistema di fabbrica quali:
La linea di montaggio
L’intercambiabilità delle parti
L’integrazione verticale.
All’interno dell’area si distinguevano tre tipi di
manifatture:
La costruzione vera e propria della nave;
La produzione di funi e cavi necessarie
allo svolgimento dell’attività corrente;
La realizzazione di armi di cui dotare la
nave per fronteggiare i nemici.
Un
aspetto importante era la standardizzazione della
produzione che consentiva a più persone di operare nella
realizzazione delle singole parti dell’imbarcazione in
momenti diversi.
In età
pre-industriale il sistema produttivo tipico era il
putting – out system od opificio decentrato. Tale
modello prevedeva che le diverse fasi necessarie ad
ottenere il prodotto finito venissero svolte in più
centri di lavorazione a domicilio disseminati e di
piccole dimensioni, non in una grande officina sotto la
direzione dell’imprenditore. Il ciclo produttivo si
concludeva con il ritorno del manufatto alla bottega
centrale nella quale si teneva la contabilità, si
depositavano le materie prime ed i semilavorati e
tutt’al più vi si svolgevano le operazioni iniziali che
non richiedevano l’impiego di strumenti da lavoro
costosi e di manodopera qualificata. L’investimento in
capitale circolante fisso era dunque minimo. Il mercante
– imprenditore provvedeva poi alla commercializzazione
del prodotto avvalendosi di agenti commissionari alle
sue dirette dipendenze. Questa forma di distribuzione
era la più diffusa a Venezia e nella terraferma veneta;
tuttavia il mercante poteva anche creare un sistema di
aziende giuridicamente indipendenti, stipulando un
contratto di società con ciascuna di esse, in modo tale
che, l’eventuale fallimento di una, non trascinasse alla
bancarotta tutte le altre.
Pochi
sono gli esempi di manifattura accentrata, dove
l’attività di trasformazione viene svolta da lavoratori
che prestano il loro servizio, dietro stipendio, in uno
stesso luogo, sotto la direzione di un supervisore e con
strumenti appartenenti al datore di lavoro; e tra
questi pochi esempi si annovera anche l’Arsenale di
Venezia. Le cause dell’accentramento, in età moderna,
potevano essere molteplici, tra queste ricordiamo:
L’unicità del prodotto da realizzare
(come nel caso dell’Arsenale di Venezia);
La necessità di controllare continuamente la
manodopera a causa dei materiali preziosi impiegati e
che possono essere sottratti;
L’utilizzazione di particolari attrezzature
tecniche costose che solo pochi potevano permettersi;
Lo svolgimento di processi complessi che
richiedevano un monitoraggio continuo delle diverse
fasi;
L’unicità delle fonti da sfruttare.
Generalmente nell’attività edilizia la centralizzazione
della manodopera e la perdita della funzione artigianale
erano temporanee. Una volta terminata l’impresa, ogni
squadra tornava ad essere un gruppo indipendente che
poteva trovare una nuova occupazione. Inizialmente anche
nell’Arsenale operavano pochi dipendenti stabili, tanto
da costringere il Senato, in stato di necessità, a
precettare i lavoratori. Verso la metà del 1500 le
continue emergenze richiesero una nuova e tempestiva
soluzione. Si introdusse così la possibilità di essere
iscritti nel libro delle maestranze , una sorta
di libro paga che garantiva il privilegio ereditario di
un posto statale stabile costituendo parte integrante
della dotazione dell’Arsenale. L’iscrizione non
precludeva la possibilità di lavorare anche all’esterno,
ma imponeva, nel momento della necessità, di essere a
totale disposizione del cantiere pubblico. Capitava
però, che la manodopera stabile, fosse costituita o da
giovani apprendisti che non avevano ancora le conoscenze
per lavorare in proprio, o da vecchi lavoratori che
ormai non possedevano più la forza e l’energia per
dedicarsi a tempo pieno alla costruzione delle navi.
Tuttavia esisteva un motivo che spingeva ad impiegarsi
alle dipendenze dello stato: il rischio di fallimento
cui erano soggetti gli imprenditori che gestivano
cantieri privati. Mentre all’Arsenale le navi si
costruivano tutto l’anno, nei cantieri privati non vi
era la sicurezza di un posto stabile per i dipendenti
perché periodi di elevata produzione si alternavano a
periodi di stagnazione durante i quali l’imprenditore
era costretto a ridurre l’impiego di manodopera. I
salari più alti offerti dai privati si
giustificavano dunque con il rischio implicito
nell’accettare un lavoro altalenante. Se si aggiunge che
all’Arsenale i salari erano pagati giornalmente in
funzione del tempo (non della quantità prodotta) e che
l’orario di lavoro non era molto flessibile poiché si
richiedevano comunque 6 ore di servizio d’inverno e 12
d’estate - a differenza dei cantieri privati dove la
domanda poteva essere facilmente soddisfatta salvo
picchi stagionali durante i quali i ritmi di lavoro
erano serrati - emerge chiaramente che, anche in periodi
di calo della produzione, le retribuzioni rimanevano
sostanzialmente stabili. Questo induceva i veneziani a
preferire un salario un po’ più basso, ma certo e
costante. Tuttavia frequenti continuavano ad essere i
periodi in cui mancava disponibilità di manodopera tanto
che si impose l’obbligo di assicurare una presenza
minima sul lavoro.
Generalmente non era ammesso lavoro notturno in quanto
le candele potevano provocare incendi che avrebbero
distrutto strutture ed imbarcazioni; nonostante ciò, il
divieto non era da tutti rispettato perché ci sono
giunte notizie di incendi, soprattutto nel 1700 , nelle
aree in cui erano depositate la polvere da sparo e le
armi. Questo indusse interventi di razionalizzazione e
di spostamento di tali attività in zone marginali.
Una
curiosità riguarda il fatto che, al tempo, la funzione
di pompiere era svolta proprio da coloro che lavoravano
nell’Arsenale in quanto, abituati a trattare con il
legno, erano i più indicati a domare gli incendi.
I
soggetti che operavano nell’Arsenale erano chiamati gli
arsenalotti e solitamente appartenevano alle
corporazioni. Le due fondamenta del sistema corporativo
sono il principio della tutela dell’uguaglianza
economica tra i membri e il tentativo di concentrare la
produzione nelle mani degli associati contro i
produttori esterni. Mentre nella fase tardo- medievale
consentono di mantenere livelli di qualità del
prodotto e di standardizzare contribuendo ad una
espansione produttiva, nel 1500 e fino alla loro
scomparsa, congelarono l’organizzazione dell’artigianato
impedendone una sua evoluzione in forme più evolute in
grado di adattarsi alle nuove esigenze della domanda.
Gli
arsenalotti erano divisi in tre categorie fondamentali:
1. Carpentieri navali
(detti marangoni) addetti alla messa a punto
della
chiglia
e della costolatura della nave;
2. Calafati
3. Fabbricanti di
remi.
Queste
tre categorie assieme ai loro apprendisti costituiscono
circa il 75% della manodopera impiegata all’interno
dell’Arsenale; il restante 25% è formato da: addetti
all’equipaggiamento, alle riparazioni, al trasporto di
merci da un padiglione all’altro, muratori, fabbri,…
La
tipologia di imbarcazione più diffusa è la galera.
Si tratta di una nave lunga circa 40 m e larga 5-6 m con
una limitata capacità di carico, mossa da un centinaio
di rematori e guidata da una decina di marinai. Essa era
particolarmente adatta alla guerra perché consentiva di
bordeggiare i nemici a differenza delle navi a vela
molto più difficilmente manovrabili. Fino al 1500 i
rematori venivano reclutati fra persone libere,
successivamente venne emanata una legge che imponeva di
impiegare i galeotti i quali venivano a scontare in
questo modo la loro pena. E’ proprio da qui che deriva
il nostro attuale termine galera.
Riguardo
il numero di persone impiegate all’Arsenale si è stimato
che fossero circa 1500- 2000 senza considerare gli
iscritti nel libro delle maestranze altrimenti la cifra
salirebbe a 4000- 5000.
________________
Musealizzazione
del Sommergibile E. Dandolo
La musealizzazione del
sommergibile, con la possibilità di mostrarsi sopratutto
ai giovani studenti, è solo l'inizio dell'opera.
|
|