Nucleo 136 Official Web Site

HOME - APPUNTI - COPYRIGHT - IL MURO - LINKS - E-MAIL: milkme@libero.it


Il sistema HACCP e la sicurezza nelle produzioni alimentari

( Aggiornato al 6 luglio 2001)

 

Il Decreto Legislativo n.155 del 26 maggio 1997

Lo Stato Italiano ha tradotto in legge (D. Lgs. 155/97) una direttiva della Comunità Europea che impone l'autocontrollo nelle industrie alimentari. Questo decreto definisce come industria alimentare ogni soggetto pubblico o privato, con o senza scopo di lucro, che prepara, vende, distribuisce, trasporta, conserva, confeziona, fornisce, etc…, prodotti alimentari. Il manuale di autocontrollo deve inoltre essere redatto tenendo conto dei sette principi dell'HACCP. Questa sigla è l'acronimo di Hazard Analysis and Critical Control Points, che in italiano viene tradotto come analisi dei pericoli e controllo dei punti critici (in realtà molto spesso viene riportato "analisi dei pericoli e dei punti critici di controllo", ma un più attento esame dei sette principi dell'HACCP fa in modo che la prima traduzione risulti più idonea). Un'altra innovazione introdotta dall'autocontrollo è quella relativa alle responsabilità, che ricadono sul proprietario dell'azienda o su un suo specifico delegato. Il nome del responsabile deve obbligatoriamente figurare nel manuale di autocontrollo.

Il concetto di prevenzione e gli svantaggi di un'analisi retrospettiva

L'esigenza di introdurre un sistema HACCP a garanzia della sicurezza alimentare si è fatta sempre più strada negli ultimi anni. Il concetto di prevenzione ha certamente sovrastato i vecchi sistemi che si basavano sulla sola analisi del prodotto finito. L'analisi del prodotto finito (analisi retrospettiva), rispetto alle nuove metodologie, presenta i seguenti svantaggi:

I vantaggi di un sistema HACCP sono invece i seguenti:

Tra gli svantaggi associati all'implementazione di un manuale di autocontrollo basato sui principi dell'HACCP ci sono i costi iniziali (più o meno alti) dovuti alla consulenza di esperti, all'acquisto eventuale di strumenti o modifiche agli impianti, all'addestramento (necessario) del personale, etc. Queste spese iniziali vengono però ammortizzate nel corso degli anni per i motivi sopra elencati. (Alcune delle motivazioni sopra riportate possono per ora sembrare poco chiare, ma non lo saranno dopo una discussione dettagliata circa i principi dell'HACCP).

 

Struttura di un sistema HACCP

Come è stato già accennato il sistema HACCP consta di sette principi fondamentali. Questi principi sono basati su:

  1. Identificazione ed analisi dei potenziali pericoli
  2. Individuazione dei Punti Critici di Controllo
  3. Individuazione dei limiti critici
  4. Monitoraggio
  5. Azioni correttive
  6. Verifica
  7. Documentazione

Non è stato però fin qui detto che sono necessari a priori tre prerequisiti (o fasi preliminari), senza i quali viene a cadere l'efficacia dell'HACCP. Questi prerequisiti sono basati su:

  1. Costituzione di un gruppo HACCP (o HACCP team)
  2. Descrizione dettagliata del prodotto, del metodo di distribuzione, del probabile uso finale
  3. Sviluppo di un diagramma di flusso

Costituzione dell'HACCP Team

La legge non specifica quali debbano essere i membri e le competenze del gruppo HACCP. Sembra però ovvio che l'aspetto multidisciplinare di queste procedure imponga la presenza di varie figure professionali, come ingegneri, tecnologi alimentari, microbiologi, chimici, etc. Sono essenzialmente due le regole "non scritte": data la vastità delle cognizioni richieste una sola persona non potrà mai redigere un manuale di autocontrollo completo ed efficiente; un manuale di autocontrollo aziendale è strettamente correlato ad una specifica realtà produttiva ed è pertanto impossibile ipotizzare la realizzazione di esso senza il coinvolgimento di personale conoscitore di quella realtà produttiva.

Descrizione del prodotto

Altro prerequisito essenziale sta nella descrizione del prodotto. In pratica bisogna stilare una sorta di scheda tecnica che permetterà in seguito un più facile ed accurato prosieguo del lavoro. La scheda riporta:

Sviluppo di un diagramma di flusso

Lo sviluppo di un diagramma di flusso rappresenta uno dei pilastri del successo di un sistema HACCP. Per "diagramma di flusso" si intende una rappresentazione schematica di tutte le fasi che sono coinvolte nel processo produttivo ed i parametri entro i quali esse avvengono. Un diagramma di flusso dettagliato facilita il lavoro seguente e facilita l'individuazione dei CCP. Si era già in precedenza parlato della specificità manuale di autocontrollo-realtà produttiva. Questa è sicuramente una fase in cui il personale operante nell'azienda può dare un contributo notevole all'implementazione di un sistema HACCP. Un diagramma di flusso non potrà mai essere identico per tutte le aziende che preparano uno stesso prodotto e per questo è necessario fare ricorso anche all'esperienza delle maestranze. Alcuni autori suggeriscono anche di andare oltre: facendo riferimento alla planimetria del fabbricato è possibile indicare tutti i luoghi in cui le varie fasi operative prendono luogo. Inoltre utilizzando apposite frecce colorate si potrebbero anche indicare gli spostamenti del personale, con mansioni diverse, all'interno dell'azienda. Questo può risultare utile qualora esistano zone pulite, zone sporche o addirittura zone bianche. Si potrebbe già in questa fase procedere alla descrizione dell'azienda (abbiamo già fatto riferimento alla planimetria), di macchinari, utensili ed impianti (e relativa manutenzione), delle modalità di sanificazione e disinfezione, dell'igiene che il personale è tenuto a mantenere e quant'altro può ritornare utile.

Le informazioni immagazzinate fino a questo punto (descrizione dettagliata del prodotto, della distribuzione, consumo, delle fasi operative, dello stabilimento, degli impianti, etc.) ci permettono di procedere con la discussione dei sette principi dell'HACCP.

Identificazione ed analisi dei pericoli (1° principio)

Questo primi principio, così come il prerequisito relativo allo sviluppo di un diagramma di flusso, rappresenta una delle colonne portanti su cui si poggia il successo del lavoro finale. La non identificazione di anche un solo pericolo rischia di compromettere seriamente l'efficacia del sistema. Il primo passo è l'identificazione dei pericoli (analisi qualitativa): si tratta in pratica di stilare una lista di patogeni che possono essere potenzialmente presenti nel nostro prodotto. È possibile e necessario fare uso di letteratura specializzata, di dati epidemiologici, di banche dati e di quant'altro può tornarci utile. In particolare i dati epidemiologici, spesso divulgati da enti pubblici, mettono in relazione outbreaks e consumo di determinati prodotti. Alcuni autori segnalano, come preziosa fonte di informazioni, i reclami che l'azienda ha ricevuto. Negli anni questa documentazione può essere impiegata per migliorare il sistema HACCP, proprio facendo appello a quella specificità necessaria a cui più volte si è fatto riferimento.

Il secondo passo è invece costituito da una valutazione dell'entità del pericolo (analisi quantitativa). Diciamo già a priori che non esiste in assoluto una metodologia che permette di dare un valore indiscutibile al pericolo. L'entità del pericolo è data da:

Entità pericolo (EP) = Gravità (G) x Rischio (R).

Si intende per rischio la probabilità che un pericolo si manifesti, per gravità (o severità, dall'inglese severity) l'entità delle conseguenze negative sulla salute umana a seguito della manifestazione di un pericolo. La gravità può essere valutata (si ribadisce che non esiste nessuna metodologia valida in assoluto) su una scala decrescente che va da 9 ad 1. Più precisamente:

È forse di più difficile valutazione il rischio. Questo è stato definito come probabilità, ed è quindi importante fare riferimento ad una percentuale. Ancora una volta è possibile fare ricorso a dati epidemiologici, a lettteratura specializzata, ma ancora meglio ai risultati delle nostre analisi di laboratorio. Si potrebbe pertanto fare riferimento a questa scala:

Quanto detto ci permette di avere una scala dell'entità del pericolo che va da 1 a 27. Si può così quindi concludere:

Precedentemente (vedi "Descrizione del prodotto") si era parlato di categorie di prodotti (relativamente al pericolo) e categorie di rischio. Nel primo caso si fa riferimento a sei categorie, ognuna delle quali è contrassegnata da una lettera dell'alfabeto. Ogni alimento può rientrare in una o più classi. Più precisamente abbiamo:

Resta inteso che queste sono solamente delle classi a cui è possibile fare riferimento e non rappresentano alcuna scala, crescente o decrescente, di importanza del pericolo. Le categorie di rischio del pericolo sono invece le seguenti:

Individuazione dei Punti Critici di Controllo (2°principio)

L'individuazione di tutte le fonti di contaminazione può effettuata in diversi modi. Una norma UNI-ISO 9000 suggerisce, come approccio all'analisi delle potenziali fonti di contaminazioni, il diagramma causa-effetto. Anche qui, come per il diagramma di flusso, si ricorre ad una rappresentazione schematica. Le fonti di contaminazione individuate partono dalle materie prime, passando per igiene del personale, delle strutture, per contaminazione di origine ambientale, fino a macchine, impianti e condizioni di operazione. C'è da dire però che la maggior parte delle fonti di contaminazioni aspecifiche (o diffuse) possono essere controllate attraverso la semplice applicazione di GMP (Good Manufacturing Practises, cioè norme di buona fabbricazione), le cui procedure possono essere facilmente rinvenute su Manuali di Corretta Prassi Igienica (redatti molto spesso da associazioni, consorzi, etc. Sono norme a carattere generale). Altre fonti di contaminazione possono essere invece definite come specifiche (o puntuali) e vanno controllate direttamente all'interno del processo produttivo attraverso l'individuazione dei CCP (Critical Control Points, Punri Critici di Controllo). Esistono varie definizioni di Punto Critico di Controllo, ma una delle più complete è sicuramente quella data dal Ministero della Sanità (1995): "un punto, una fase o procedura in cui è necessario oltre che possibile esercitare un'azione di controllo al fine di prevenire, eliminare oppure ridurre ad un livello accettabile un pericolo relativo alla sicurezza ed integrità igienica di un alimento". Molte volte si usa anche classificare i CCP in assoluti (CCP1, in corrispondenza del quale il pericolo viene eliminato o prevenuto) e non assoluti (CCP2, in corrispondenza dei quali il pericolo viene minimizzato, ridotto o ritardato ma non necessariamente eliminato). Individuare un CCP non sempre risulta del tutto facile, nonostante una ben precisa definizione di esso. Pertanto il Codex Alimentarius ha proposto un albero delle decisioni che permette una più facile identificazione dei CCP: rispondendo alle domande dello schema e seguendo le frecce si arriva a dire se quello individuato è o meno un CCP. L'adozione di questa metodologia non è in alcun modo obbligatoria ma può essere in ogni caso di grande aiuto. L'individuazione di ogni CCP deve essere annotata sul diagramma di flusso.

Limiti critici (3°principio)

I limiti critici rappresentano i parametri entro i quali devono svolgersi alcune procedure per poter definire un Punto Critico sotto controllo. Si tratta di stabilire limiti (minimi e/o massimi) di natura biologica, chimica oppure fisica da controllare per garantire la sicurezza del prodotto. I parametri devono poter essere osservabili (qualitativi, come caratteristiche organolettiche) e/o misurabili (quantitativi, caratteristiche chimiche, fisiche o biologiche). Ogni CCP può essere anche controllato da più parametri. Il superamento di uno dei limiti critici indica che la produzione non è più sotto controllo ed è necessario ricorrere ad azioni correttive (5° principio). Ma come vengono stabiliti questi limiti critici? Molto spesso esistono leggi specifiche in merito, che stabiliscono tempi-temperature, valori di pH ed altri parametri necessari a produrre in condizioni di sicurezza. Quando al contrario non esiste nessuna legge si ricorre nuovamente alla letteratura scientifica, a dati sperimentali (ricavabili dai già discussi storage e challenge tests).

Monitoraggio (4° principio)

Il monitoraggio rappresenta quella fase dell'HACCP che mira a verificare che i criteri stabiliti rientrino nei limiti critici, che siano cioè rispettati e che quindi un CCP è sotto controllo. Il monitoraggio, per quanto già detto nella discussione del precedente principio, può interessare:

È ovviamente da specificare la frequenza con la quale devono avvenire queste azioni di monitoraggio, così come le operazioni di manutenzione (che devono essere inoltre anch'esse ben descritte) degli strumenti utilizzati. Un semplice esempio è quello della taratura (di una bilancia, di un pHmetro, etc.) senza la quale ogni misurazione (e quindi azione di monitoraggio) ha valore praticamente nullo. Una delle innovazioni introdotte dall'HACCP consiste nella responsabilizzazione del personale e delle maestranze. Ogni azione di monitoraggio deve essere eseguita da personale con compiti specifici e ben addestrato (ad esempio un caporeparto). Il nome del responsabile deve apparire nelle check lists (documentazioni, 7° principio).

Azioni correttive (5°principio)

Qualora un monitoraggio metta in evidenza il superamento di uno dei limiti critici è necessario ricorrere ad azioni correttive per ristabilire la sicurezza nella produzione. Si intende per allora per azione correttiva ogni procedura appropriata ed immediata da applicare ogni volta che il monitoraggio indica il superamento di uno dei limiti critici. È importante specificare a priori le azioni correttive per evitare improvvisazioni e quindi ridurre i danni. Come è stato più volte sottolineato è fondamentale la precisione, in questo caso nella descrizione delle azioni correttive. Molte volte è più opportuno individuare una tendenza al superamento dei limiti critici da un reale superamento di essi, stabilendo il destino degli alimenti prodotti in condizioni di non controllo (ad esempio un alimento potrebbe essere ritenuto non più idoneo al consumo umano, ma a quello zootecnico). Alcuni impianti moderni avviano automaticamente i prodotti alle procedure correttive. L'esempio più classico è quella del pastorizzatore: quando non vengono raggiunte le temperature stabilite il pastorizzatore rimanda in circolo il latte per un nuovo trattamento termico. Anche qui si ricorre alla documentazione ed alle responsabilità, coinvolgendo in questo modo il personale operante. Quasi sempre il responsabile delle azioni correttive è lo stesso di quello relativo al monitoraggio.

Verifica (6° principio)

Anche il piano HACCP deve poter essere in qualche modo "monitorato". Questa procedura prende più propriamente il nome di verifica. La verifica ha non solo lo scopo di controllare che l'HACCP venga effettivamente attuato, ma anche di determinare la sua reale efficacia ed il raggiungimento degli eventuali obiettivi prefissati. Questa verifica può aversi a più livelli, dal controllo della documentazione, fino al controllo dell'efficienza dei limiti critici stabiliti, del monitoraggio e dei pericoli individuati. La verifica del piano HACCP può avvenire ad opera del personale interno (per apportare modifiche in caso di fallanze, specie in seguito ad episodi tossinfettivi, di modifiche ad una o più fasi del processo o limiti critici, etc.), di ditte esterne (quando si richiede ad esempio un certificato di conformità) ma soprattutto da parte di Aziende Sanitarie Locali (ASL, in caso di ispezioni sanitarie).

Documentazione (7° principio)

Al fine di gestire in maniera semplice, chiara e sistematica l'intero HACCP è importante predisporre un sistema di documentazioni dettagliate. Nel corso della trattazione è stato più volte fatto riferimento a queste check lists, che costituiscono una delle innovazioni introdotte dal D. Lgs. 155/97. Queste schede, registri e simili costituiscono un documento di fondamentale importanza, il quale deve essere sempre a disposizione del personale addetto al Controllo Qualità e delle Autorità Sanitarie e servirà a dimostrare che effettivamente è stato fatto il possibile per garantire la sicurezza alimentare delle proprie produzioni.