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RIFORMA DEL TESTO UNICOSULL’ORDINAMENTO DEGLI ENTI LOCALI PRIMO SCHEMA PARZIALE PER UN CONTRIBUTO ALLA DISCUSSIONE DEL GRUPPO DI LAVORO COSTITUITO A CURA DELLE OO.SS. (UNSCP – CISL/FPS – FP/CGIL – FTL/UIL) CON LA COLLABORAZIONE DELLA SSPAL E CON IL PATROCINIO DELL’AGENZIA AUTONOMA PER LA GESTIONE DELL’ALBO DEI SEGRETARI RELAZIONE Roma,
18 Giugno 2002 Il
presente schema contenente alcune modifiche al vigente T.U.
sull’ordinamento degli Enti Locali è dovuto al lavoro di un gruppo di
studio di Segretari costituito dalle Organizzazioni sindacali di categoria (U.N.S.C.P.
– Unione Nazione Segretari Comunali e Provinciali e C.G.I.L., CISL e UIL). Questo primo schema affronta sostanzialmente solo alcuni fondamentali aspetti, almeno in questa prima fase, e si pone come schema da offrire ad un dibattito ed una valutazione per l’attività di elaborazione e ricerca della Scuola, per la discussione all’interno della stessa categoria dei Segretari, e con il mondo culturale ed istituzionale. Obiettivo
della Scuola è quello di acquisire questo ulteriore stimolo e contributo
per concorrere a definire una elaborazione organica nel rispetto delle
posizioni nel frattempo maturate nel sistema delle autonomie ed in
particolare in seno all’ANCI ed all’UPI. A
tale ultimo proposito pare utile sottolineare che la SSPAL sulla riforma al
Titolo V sta lavorando in stretta sinergia con l’ANCI, con cui ha
istituito un comune osservatorio. Gli
aspetti che, prevalentemente, hanno formato oggetto di analisi in questa
prima fase dello studio del gruppo di lavoro si incentrano sul tema della
attuazione della lettera p) dell’articolo
117 della Costituzione, delle funzioni e dell’organizzazione, in
particolare sulla figura e ruolo del Segretario. Prima
relazione di sintesi del gruppo di studio. Queste
brevi note costituiscono la traccia fondamentale per la lettura di questo
primo, provvisorio schema. La
relazione compiuta a cui ci si sta ancora dedicando verrà trasmessa a tutti
i soggetti interessati non appena completata. I
punti essenzialmente affrontati sono i seguenti: -
Funzioni fondamentali; -
Funzioni amministrative; -
Ruolo e funzione del Segretario nel quadro dei principi
sull’organizzazione. Per
precisa scelta in questa fase, si è lasciata inalterata la disciplina
dell’attuale T.U. per quanto attiene: -
Organi di governo e sistema elettorale; -
Status degli amministratori; -
Servizi pubblici locali; -
Provincia ed Aree Metropolitane; -
Forme associative; -
Controllo sugli organi; -
Enti locali deficitari e dissestati Sul
tema della finanza e contabilità si è attuato un primo tentativo,
sicuramente da approfondire ed affinare, ma, forse, valido per indicare un
terreno di lavoro possibile, e che si sostanzia nella ricerca di alcuni
principi essenziali che servono da cornice ad una effettiva e responsabile
autonomia degli enti locali. Sugli
altri temi, altresì, in particolare criteri e normative e funzioni si è
attinto a fini comuni dalle prospettazioni dell’ANCI, con un’unica,
anche se importante integrazione, connessa al tentativo di meglio
distinguere la nozione di funzioni fondamentali e funzioni amministrative. Sul
punto, infatti, occorrono alcune considerazioni. Occorre
partire da un chiarimento di carattere “strategico” e dirimente, poiché
nel dibattito scientifico e istituzionale spesso si assiste ad un
discutibile intreccio tra la potestà normativa e quella amministrativa
degli enti locali. Questi
due nuclei di potestà giuridiche vanno tenuti distinti anche in
considerazione della loro disciplina differenziata. Tanto per fare un
esempio: ad una attribuzione generale di potestà legislativo-normativa non
corrisponde più automaticamente l’attribuzione di una potestà
amministrativa. L’altra
grande distinzione che si ritiene necessario sottolineare riguarda la
“potestà amministrativa” che non si esaurisce nell’esercizio delle
sole funzioni amministrative, ma ad essa sono riconducibili tutta una serie
di altre azioni o attività che in senso stretto non sono funzioni. Nel
Titolo V emerge una disciplina della potestà normativa degli enti
territoriali, articolata in funzione legislativa e funzione regolamentare.
La potestà legislativa attiene esclusivamente allo Stato e alle Regioni;
quella normativa (sostanzialmente: regolamentare), invece, attiene oltre che
allo Stato ed alle Regioni, anche ai Comuni, alle Province, alle Città
metropolitane. Il
nostro sistema normativo è transitato, per quanto attiene le fonti di
normazione, da una logica strettamente gerarchica, ad un criterio di riparto
e di prevalenza della fonte in relazione alla competenza. Per disciplinare
una determinata materia, si sostiene, prevale quella fonte normativa posta
in essere dal soggetto titolare della relativa competenza. Ciò,
in verità, appare meno rivoluzionario di quanto sembri. Si fa un esempio
per tutti: nelle materie in cui l’ordinamento rinvia alla disciplina
negoziale, o anche contrattuale, la disciplina di istituti, di ambiti e di
materie, l’intervento della norma o della disposizione negoziale prevale
sulla legge e sulle discipline normative in senso lato, così come anche
sulle discipline regolamentari nell’ipotesi in cui questo è previsto. Già
nell’ambito dell’ordinamento degli Enti locali, le discipline statutarie
ed anche quelle regolamentari hanno talvolta prodotto effetti abrogativi di
disposizioni legislative. Occorre
però formulare un’avvertenza, necessaria per leggere con correttezza il
sistema ordinamentale e il sistema di relazioni fra fonti normative, al fine
di ricostruire una interpretazione sistematica e coerente delle modifiche al
Titolo V. E’
indubbiamente vero che prevale la fonte che ha competenza, ma è altrettanto
vero che questa forza viene sempre conferita da una fonte legislativa; non
esiste, anche nelle modifiche al Titolo V, una legittimazione diversa da
quella legislativa che promana direttamente dalla Costituzione o dai
precetti costituzionali. Da nessuna parte nel testo costituzionale è
scritto che esistono ipotesi in cui la fonte regolamentare prevalga o deve
prevalere su quella legislativa. Questo può avvenire nel momento in cui una
legge disciplini gli aspetti complessivi di regolazione nell’ambito
ordinamentale, attribuendo rango e vigore ad altre fonti di prevalere anche
sulla stessa legge. Altra
considerazione: fra fonti legislative esiste la competenza esclusiva ed, in
alcuni casi, la competenza concorrente, ma non esiste mai la potestà
normativa esclusiva, anche se, almeno sotto il profilo oggettivo, c’è
sempre una potestà normativa concorrente nel senso che, accanto e in
correlazione alla legge, il sistema ordinamentale, in misura ancora più
marcata nel Titolo V, prefigura sempre due fonti normative, o sotto il
profilo soggettivo nel caso di legislazione concorrente tra Stato e Regione,
o sotto il profilo oggettivo differenziando la fonte normativa fra legge e
regolamento e attribuendo potestà regolamentare ad altri soggetti. Per cui
un ambito, un istituto, una materia trova nella prefigurazione del sistema
ordinamentale, così come è ora strutturato, sempre una concorrenza di
fonti, almeno una legislativa e una regolamentare. Anche
nelle materie di legislazione esclusiva statale in cui la potestà
regolamentare (vedremo che questa regola ammette un’eccezione) in linea di
massima viene attribuita allo stesso Stato, abbiamo un’identificazione
soggettiva della fonte normativa, ma anche una concorrenza fra due fonti. Si
sottolinea questo aspetto, perché nel sistema prefigurato dalle modifiche
costituzionali alla legge è di norma attribuita una valenza regolatrice in
ordine ai principi cosiddetti fondamentali degli istituti e delle materie. Nel
caso di concorrenza legislativa fra Stato e Regione, allo Stato spettano i
principi fondamentali, e alle Regioni spetta poi la disciplina legislativa
di merito. Nel caso di concorrenza fra fonte legislativa e fonte
regolamentare, alla fonte legislativa, sia essa statale o regionale, spetta
la disciplina dei principi fondamentali; alla fonte regolamentare spetta la
disciplina della materia. Questo
lo si ritrova con estrema chiarezza come sistema ordinamentale della potestà
normativa all’interno della modifiche costituzionali. E
questo riguarda una ricostruzione generale della materia sotto i profili
normativi. Allo
Stato è attribuita legislazione esclusiva nelle materie tassativamente
elencate nell’art. 117 cost. Nel medesimo articolo sono elencate le materie di legislazione
concorrente e tutte le altre materie
lì non elencate esplicitamente appartengono, in via residuale, alla
competenza legislativa esclusiva delle Regioni. Questo attiene alla funzione
di regolazione sostanziale degli ambiti, degli istituti delle materie, non
al riconoscimento della titolarità delle potestà amministrative o
dell’azione amministrativa. Si
fa un esempio che sarà ripreso più avanti: governo del territorio.
Legislazione concorrente non significa che l’azione amministrativa e di
conseguenza le funzioni amministrative in senso stretto appartengono o sono
esercitate dallo Stato o dalle Regioni, anche a prescindere dal richiamo di
cui all’art. 118 che afferma in modo chiaro che le funzioni amministrative
sono attribuite ai Comuni. All’attribuzione
della competenza delle fonti normative non corrisponde una equivalente e
corrispondente titolarità dell’azione o della potestà amministrativa.
E’ indubbio che esiste una potestà amministrativa, un’azione
amministrativa esclusiva dello Stato e delle Regioni nelle materie
dell’organizzazione dei loro apparati, nelle funzioni amministrative che
per loro sono strettamente correlate ed esclusive, ma in generale
esiste una titolarità di azioni amministrative del comune che va
indagato in termini diversi attraverso la nozione delle funzioni. Nelle
modifiche alla Costituzione si parla in più parti di funzioni, ma
esiste una distinzione terminologica che è ricca di implicazioni:
all’art. 117 si fa riferimento alle funzioni fondamentali, alle funzioni
amministrative, alle funzioni proprie ed alle funzioni attribuite. Le
funzioni fondamentali non sono assolutamente in senso stretto le funzioni
amministrative che poi a loro volta si vanno a ripartire in funzioni
proprie, funzioni attribuite e funzioni libere. L’art.
117, nelle materie riservate alla legislazione esclusiva dello Stato,
prevede alla lettera p) del secondo comma la legislazione elettorale, gli
organi di governo e le funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città
metropolitane. Se queste fossero le funzioni amministrative, così come
qualcuno le intende, dovremmo immaginare che è riservata alla legislazione
esclusiva dello Stato l’individuazione della disciplina delle funzioni
amministrative. Il che non può essere sostenibile, perché esiste una
competenza legislativa nazionale, ma anche regionale che implica
riconoscimento, attribuzione e, forse, anche creazione di nuove funzioni
amministrative. Non
è accettabile che nel campo della legislazione esclusiva regionale queste
competenze possono essere individuate o disciplinate dallo Stato. Si deve
trattare, quindi, di qualcosa di diverso. Per
funzioni fondamentali si ritiene debbano intendersi le potestà
amministrative riconosciute (e riconoscibili) agli enti locali, distinte e
diverse a cui si riconnettono e si riconducono indubbiamente l’esercizio
di funzioni amministrative, ma non solo quelle. La
lettera p) a cosa tende? E’ un passaggio nodale dal punto di vista
ricostruttivo. Questa
norma tende a salvaguardare gli elementi essenziali di identità e di
omogeneità del sistema degli Enti locali: sistema elettorale, organi dei
Comuni, funzioni fondamentali. Il legislatore costituzionale ribadisce
ancora oggi che esiste un ambito di autonomia, ma non si può giungere ad
un’idea di autonomia come affrancazione
da ogni limite o addirittura come insorgenza di una nuova sovranità. C’è
il rischio di una concezione quasi patrimoniale delle istituzioni. In
realtà, l’autonomia implica responsabilità e la nozione stessa di
autonomia all’interno dei sistemi ordinamentale e istituzionali implica la
concezione di limite, di contemperamento, di equilibrio di potestà e di
poteri: non esiste autonomia senza limiti, non esiste autonomia senza
regole, e soprattutto non è concepibile l’esercizio di una autonomia
senza il rispetto delle altre autonomie. Quindi la natura stessa del sistema
di relazioni e di rapporti istituzionali presuppone limiti all’esercizio
dell’autonomia, ed è questa la prima indagine che va compiuta, fissando
l’ambito di esercizio dell’autonomia che certamente serve anche a
proteggere l’ente titolare da qualsiasi interferenza o limitazione esterna
non legittimata. L’operazione
di definizione dei limiti è quindi fondamentale. Questi
principi individuano gli elementi essenziali che caratterizzano in via
generale il sistema e gli Enti locali nel nostro ordinamento. Già con
l’entrata in vigore della legge 142 del 1990 emerse una tendenza
interpretativa per la quale si riteneva di dover attribuire agli statuti
comunali anche la potestà e la facoltà di individuare la forma di governo
dell’ente. Si disse: per quale motivo tutti i Comuni debbono avere i
medesimi organi con le medesime competenze e lo stesso sistema di relazioni?
Prevalse un’altra tesi nel senso che, se si caratterizza una forma di
Stato unitaria abbiamo bisogno che esista una sorta di identità fra i vari
Enti locali, un Comune o una Provincia, per cui questi si riconoscono per
alcuni elementi essenziali, senza i quali non sono né un Comune, né una
Provincia. Nella
Costituzione (e la lettera p) l’ha ribadito: il sistema elettorale, gli
organi dei Comuni, delle Province e delle Città sono riservati alla
disciplina legislativa esclusiva dello Stato (vedremo poi in che termini),
non solo per quanto attiene l’individuazione degli organi, ma anche per
quanto attiene le loro competenze essenziali ed i relativi sistemi di
relazione. Non è sufficiente immaginare in questo caso che si
caratterizzino essenzialmente gli organi se, ad esempio, pur mantenendosi
nominalmente un sindaco, una giunta, un consiglio all’interno degli Enti
locali si potesse liberamente spostare le competenze di un organo rispetto
ad un altro, alterando sostanzialmente la caratterizzazione essenziale degli
organi e quindi del complessivo sistema di governo. La
norma in oggetto, che riserva allo Stato certi compiti, si caratterizza
anche per l’elemento di individuare non solo gli organi, ma anche le loro
competenze essenziali e il loro sistema di relazione, rapporto fra soggetti
e funzioni fondamentali. E
veniamo ora alla controversa questione delle funzioni fondamentali
degli enti locali. Anche
qui non è immaginabile che tale categoria di funzioni possa variare da ente
ad ente, da regione a regione. No, al pari degli organi, al pari delle forme
elettorali che sono le loro forme di legittimazione, le funzioni
fondamentali sono quelle che li caratterizzano, sono le loro potestà,
quelle che ne individuano i contenuti primari e le potestà di governo del
territorio locale. Le
funzioni fondamentali hanno alcune caratteristiche, che definirei della
necessarietà, e debbono essere poste in capo agli Enti locali in forma
omogenea, perché non possono essere incise né dalla legislazione
regionale, neanche da quella statale, se non (forse)
nelle modalità di esercizio. Per
comprendere appieno il problema dobbiamo tenere distinti questi altri due
requisiti: titolarità delle potestà amministrative e
modalità di esercizio delle attività amministrative. Due fattori
distinti. Ma
quali sono in concreto le funzioni fondamentali? E’ indubbio che su queste
possa subentrare anche successivamente un intervento legislativo che serva a
precisarle ulteriormente, ma è altrettanto indubbio che dall’ordinamento
attuale le funzioni fondamentali possono anche oggi essere desunte. Funzione
fondamentale, ad esempio è la potestà normativa attribuita agli Enti
locali. Altro
elemento estremamente significativo a cui annettere una grande rilevanza
riguarda la cura e la rappresentanza degli interessi della comunità locale:
questa è una funzione fondamentale esercitata dagli Enti locali. Inoltre,
funzione fondamentale è la potestà finanziaria e tributaria che adesso con
le modifiche costituzionali apportate all’art. 119 si è ampliata. Quali
altre funzioni fondamentali possono essere identificate? Quelle che la legge
demanda allo Statuto degli Enti locali, ad esempio. Diversamente dalle
Regioni per le quali interviene una disciplina costituzionale sui contenuti
dei loro statuti, la Costituzione non individua per gli Enti locali i
contenuti dello statuto, semmai interviene per contenerne l’ambito,
attribuendo alla legislazione statale
la disciplina delle forme elettorali, degli organi e delle funzioni
fondamentali. Quindi
si può già individuare da oggi, perché i Comuni hanno autonomia
statutaria, quali sono le funzioni fondamentali riconoscibili nello statuto.
Balza subito agli occhi, per esempio, la materia dell’organizzazione
dell’ente; e poi le attribuzioni degli organi nell’ambito di quelle
definite dalla legge; le garanzie di partecipazione delle minoranze; la
collaborazione fra Comuni e Province; la partecipazione popolare; il
decentramento; l’accesso ai cittadini ecc. Oltre
a questi aspetti va riconosciuto in capo agli Enti locali come funzione
fondamentale la titolarità dell’azione amministrativa e di governo per
quanto attiene gli elementi che costituiscono essenzialmente l’ente locale
con riferimento a due elementi fondamentali: popolazione e territorio. La
titolarità di tutte le azioni e, quindi, la rappresentanza spetta ai
Comuni, non ad altri soggetti, sono le modalità di esercizio che possono
essere attribuite ad altri. Ma il fatto che il governo del territorio sia da
ascrivere alla titolarità degli Enti locali che agiscono su di esso, è
evidente che si correla alla funzione fondamentale della cura e degli
interessi della comunità. Così
come la funzione sociale, la funzione ambientale, la sicurezza, tutte le
materie che, quindi, sono naturali e ascrivibili a questa grande importante
funzione. La loro disciplina sostanziale, legislativa, può spettare ad
altri: Stato, Regioni, così come le modalità di esercizio delle funzioni;
anche se esiste il principio che le funzioni amministrative sono dei comuni,
è indubbio che la costituzione stessa e la legislazione prefigura che
l’esercizio di funzioni, per ragioni di unitarietà, adeguatezza e
differenziazione, possono
essere attribuite ad altri livelli di governo, a partire dalle Unioni di
Comuni. Chi
opera all’interno dei Comuni sa quante poche competenze o funzioni
amministrative hanno tali enti nei confronti dell’emergenza abitativa,
nonostante che, sia politicamente che istituzionalmente, essi devono
intervenire costantemente e governare il fenomeno all’interno della loro
società. Perché riescono a farlo? Perché la titolarità del governo di
questi ambiti e di queste iniziative non esiste solo se è correlata alla
funzione amministrativa, ma il Comune legittimamente interviene sui problemi
ambientali, su quelli territoriali, sul problema dell’emergenza casa,
perché ne ha la titolarità formale. Ho
avuto più di una perplessità verso la tesi per la quale, seppure
transitoriamente, si può invitare ogni singolo Comune ad individuare e
classificare nel rispettivo Statuto le proprie funzioni fondamentali
“storicamente” esercitate. Questa è un’operazione ardua. I Comuni
svolgono funzioni fondamentali analoghe ed omogenee: non ci può essere un
Comune che abbia funzioni fondamentali diverse da quelle di un altro, ci
possono essere funzioni proprie amministrative differenziate, ma non
le funzioni fondamentali. Nell’ambito
delle funzioni fondamentali rientra l’organizzazione dell’ente:
questa è una rivendicazione forte del sistema delle autonomie, perché dire
che l’organizzazione rientra nell’ambito dei contenuti essenziali dello
statuto coperto da riserva di legge statale, significa sostanzialmente
affrancarsi da una rivendicazione, ormai
minoritaria, di una possibile potestà legislativa regionale in merito
all’organizzazione degli Enti locali. Allo
stesso tempo non è immaginabile pensare che quella organizzativa sia
materia esclusivamente
riservata agli Enti locali. L’ambito
dell’organizzazione e dell’esercizio delle funzioni è forse l’unica
fattispecie derogatoria con riferimento alla legislazione esclusiva statale
e sulla quale potrebbe esercitarsi la legislazione concorrente. In queste
materie in cui direttamente la Costituzione attribuisce potestà normativa
primaria agli Enti locali, la potestà legislativa statale si può
manifestare soltanto come principi fondamentali. Quindi, modalità di
esercizio delle funzioni, non disciplina sostanziale delle funzioni,
riservata alla legge, rimanendo salvo il fatto che le modalità di esercizio
delle funzioni e l’organizzazione degli enti si esercitano nell’ambito
dei principi della legge statale. In
questo quadro, come giustamente rivendica anche l’ANCI quando richiede una
modifica della disciplina del Testo Unico sull’ordinamento degli Enti
locali, i limiti all’attività dell’organizzazione, alle modalità di
esercizio delle funzioni si riscontrano all’interno del Testo Unico che si
ritiene sia legge coerente con il modello costituzionale e nell’ambito
della quale ci sono i principi che costituiscono i limiti, ad oggi, del
sistema di esercizio dell’autonomia degli Enti locali nel campo
dell’organizzazione, dal principio della distinzione dei ruoli,
dell’esistenza di figure quale quella del segretario comunale, di modelli
che poi esercitano all’interno di questo sistema, delle loro funzioni; di
alcuni principi in ordine all’esercizio delle funzioni dirigenziali, al
sistema di relazioni interorganiche ecc. E’
indubbio che il Testo Unico, così com’è ora redatto, ha parti non del
tutto congruenti, quanto meno da un punto di vista istituzionale-politico,
con le tendenza attuali della Costituzione e che, quindi, sarà rivisitato. A
questa linea, sommariamente esposta, si ottenuto il gruppo di lavoro
nell’affrontare il tema delle funzioni amministrative. Nel
quadro delle norme fondamentali che delineano l’ordinamento locale sugli
uffici e personale e sulla dirigenza territoriale sono state apportate
all’impianto della riforma dei segretari comunali e provinciali, poi
trasfuso nel T.U.E.L., quelle modifiche e quei correttivi che l’esperienza
induce a considerare necessari e rispondenti all’interesse del
rafforzamento della riforma stessa. Le
modificazioni si incentrano su alcuni aspetti fondamentali: le funzioni e la
collocazione nell’organizzazione funzionale dell’ente; le vicende
collegate al rapporto funzionale di servizio che si instaura con la nomina e
che può interrompersi con la revoca; il miglior utilizzo dei segretari in
posizione di disponibilità; la caratterizzazione in senso ulteriormente
autonomistico dell’Agenzia. La
funzione sempre necessaria, che costituisce il nucleo indefettibile della
figura professionale del segretario, di collaborazione e di assistenza
giuridico-amministrativa in ordine alla conformità dell’azione
amministrativa alla legge, allo statuto ed ai regolamenti è espressione
dell’esigenza di far realizzare i (molteplici) fini dell’ente nel
rispetto dei principi della legalità sostanziale. Per
l’evoluzione che ha avuto tale fondamentale canone (di legalità
sostanziale) su cui poggia tutto il sistema pubblico, l’ente locale ha
bisogno di organizzare e gestire tutte le attività in modo che i notissimi
principi canonizzati nell’art. 1 della legge 241/90 siano rispettati ed
assumano piena effettività. E
come è bene intuibile, l’alveo della legalità sostanziale viene a
riguardare tutte le espressioni in cui si articola organizzativamente e
funzionalmente ciascun ente. Ai canoni di conformità alla legge, economicità,
efficacia e pubblicità debbono improntare le loro attività (e
funzionamento) sia gli organi di governo che i centri di responsabilità
gestionale. Rispetto
a tale esigenza apparirebbe del tutto deviante richiamarsi ad artificiose
dicotomie fra funzioni di controllo sul rispetto delle norme, da una parte,
e funzioni gestionali/manageriali guidate da logiche efficientistiche,
dall’altra. Nella
sua azione l’ente, che agisce in un quadro di regole da rispettare, deve
curare gli interessi della comunità impiegando al meglio le risorse e
realizzando i propri obiettivi secondo le attese dei cittadini. Dunque,
l’attività sempre necessaria di assistenza collaborativa del segretario,
deve caratterizzarsi per questo suo nucleo di responsabilità nei riguardi
dell’ente nel suo insieme e dei suoi organi. E proprio affinché anche
l’azione gestionale stretta, che fa capo alla dirigenza, sia sempre
complessivamente mantenuta sui binari che prima si è detto (e che non esime
certo dalle proprie responsabilità i singoli dirigenti) l’ente deve poter
contare su una funzione di sovrintendenza sullo svolgimento delle funzioni
della dirigenza stessa, naturalmente secondo indirizzi che spetterà sempre
agli stessi organi dell’ente fissare e determinare. Nel
nucleo delle funzioni necessarie del segretario è individuabile sempre e
comunque una portata che è più
ampia dell’ambito gestionale stretto; responsabilità, questa affidata
alla figura necessaria del segretario,
che viene pertanto ad essere esercitata in funzione di garanzia del rispetto
della legalità sostanziale, tanto più necessaria adesso dopo la
eliminazione di ogni forma di controllo esterno. Nel ridelineare con
più chiarezza la funzione e ruolo del segretario, va nel contempo
salvaguardata e valorizzata la indiscutibile esigenza di realizzare il
massimo di capacità gestionale affinché i programmi dell’ente si
realizzino da parte, appunto, di enti efficienti e competitivi;
l’esigenza, cioè, di contare in via generalizzata sulla funzione di
direzione generale. Con tuttavia una novità rispetto all’attuale
ordinamento, che, come si sa, è incentrato sulla previsione di una figura
(il direttore generale) che può concentrarsi nel segretario, ovvero essere
assunta dall’esterno dell’ente. Secondo
la proposta è rimessa alla autonoma potestà degli enti l’organizzazione
della funzione con carattere di maggiore elasticità rispetto all’attuale
in ragione delle specifiche esigenze e caratteristiche degli enti. Negli
enti, poi, di minore dimensione (si è utilizzata l’attuale soglia dei
15.000 abitanti) tale funzione di direzione generale, organizzata, come detto,
nell’esplicazione delle proprie autonome potestà organizzatorie
avvalendosi sia di personale interno che esterno, viene attratta nella
responsabilità dirigenziale del segretario, mentre nei comuni di più
consistenti dimensioni può essere affidata anche a soggetti diversi dal
segretario, sempre comunque in un quadro organizzativo in cui anche la
funzione di direzione generale affidata all’esterno deve espilicarsi nel
rispetto delle attribuzioni del segretario stesso nei termini su cui
sopra ci si è soffermati in rapporto alle esigenze degli enti. Le ulteriori
modifiche introdotte riguardano, come si è accennato, aspetti della riforma
su cui si registra un’ampia consapevolezza sull’esigenza
dell’introduzione di correttivi ed integrazioni. Un
ruolo ben definito del segretario con le responsabilità di cui si è
parlato implica che le convenzioni per l’ufficio del segretario rispondano
a criteri di funzionalità ed adeguatezza dell’ufficio associato. Come
pure si rende necessario precisare meglio i criteri e le modalità che
portino alla copertura di tutte le sedi nei termini fissati dalla riforma. Il
ruolo che è richiesto alla figura postula, poi, necessariamente
l’introduzione delle garanzie previste per tutta la dirigenza pubblica,
affinché non siano poste in essere revoche arbitrarie. Deve essere altresì
riconosciuto un ruolo più incisivo all’Agenzia per un utilizzo dei
segretari in disponibilità che sia rispettoso della dignità della
professione e dell’interesse del sistema. Infine si è ritenuto che proprio in virtù dell’essere, l’Agenzia, espressione del sistema autonomistico, possano essere affidati alla stessa compiti e funzioni d’interesse dello stesso sistema.
TESTO
UNICO Ø
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