IL SIGNIFICATO DEL TERMINE MIDI 

MIDI è un acronimo composto con le iniziali delle parole "Musical Instruments Digital Interface", cioè Interfaccia Digitale per Strumenti Musicali.

Il significato degli ultimi due termini è sicuramente noto a tutti, forse lo è un pò meno quello dei primi due ma, niente paura, niente di complicato: con il termine Interfaccia si definisce il collegamento o, se si vuole, il dispositivo che permette il colloquio tra un qualsiasi strumento e il mondo esterno, mentre il termine Digitale indica il tipo di linguaggio utilizzato per questo colloquio, cioè un linguaggio numerico, analogo a quello utilizzato all'interno di un computer.

In definitiva MIDI è il collegamento che permette di far colloquiare fra loro strumenti musicali, computer o altri dispositivi, anche di diverse case costruttrici, a condizione però che tutti parlino la stessa lingua, cioè il linguaggio MIDI.  

 

MIDI UN PO' DI STORIA

STORIA DEL MIDI

LA NASCITA

MIDI IN, MIDI OUT, MIDI THRU

 

 

 

 

 

 

 

 

MIDI UN PO' DI STORIA   indice

 

Il MIDI è stato introdotto per risolvere il problema del collegamento tra strumenti musicali: praticamente il tutto nacque con lo scopo di poter collegare due o più tastiere e pilotare tutto il sistema da una sola di queste, ottenendo il suono di entrambe. Infatti, poichè le sonorità generate dai primo sintetizzatori elettronici, prodotte utilizzando tecniche di generazione elementari, risultavano piuttosto povere, si cercava il modo di sommare più suoni tra loro per ottenere un suono risultante più "pieno", cioè con un contenuto armonico più complesso.

Il problema era già stato affrontato negli anni '70 ma nessuno dei metodi utilizzati a quel tempo si era dimostrato sufficientemente versatile da poter costituire uno standard universale. Il collegamento era, in origine, possibile solo tra strumenti uguali o comunque tra apparati della stessa casa costruttrice, infatti veniva realizzato prelevando, all'interno del circuito elettronico del primo strumento, dei particolari segnali analogici (CV o Gate) che, portati all'interno di un secondo strumento, servivano a pilotare i vari generatori sonori. Questo sistema di collegamento appariva abbastanza macchinoso e rudimentale, le sue limitazioni più evidenti erano il costo elevato, la mancanza di flessibilità, l'utilizzo di un gran numero di cavi (due per ogni nota di polifonia che si voleva trasmettere) e, come già detto, il problema di poter collegare solo alcuni strumenti, della stessa casa e opportunamente predisposti (per la compatibilità dei circuiti di generazione del suono e dei livelli elettrici dei segnali trasmessi).

Per risolvere in maniera definitiva il problema del collegamento, bisognava attendere l'inizio degli anni '80 e l'avvento delle tecnologie digitali.

Il prototipo dell'interfaccia MIDI venne presentato nel 1981, da Dave Smith e Chet Wood, due progettisti della Sequential Circuit. La strada intrapresa era quella giusta: la risonanza a livello mindiale fu immediata, tanto da coalizzare immediatamente (caso unico nella storia) le più importanti aziende del settore musicale. Le prime specifiche tecniche "ufficiali" del MIDI nascono infatti nel 1982, da un lavoro congiunto di Sequential, Yamaha, Roland, Korg e Kawai. I frutti di tanto lavoro non si fecero attendere e, all'inizio del 1983, venne presentato dalla Sequential il primo sintetizzatore dotato di porte MIDI: "Prophet 600".

Si può dire che, da quella data, tutti gli altri sintetizzatori (e in genere tutti gli altri strumenti elettronici) hanno incorporato le porte MIDI: non averle significa essere degli "emarginati".

Il MIDI non era una realtà statica e la sua evoluzione era solo agli inizi. La lista dei costruttori di strumenti musicali interessati al MIDI si è rapidamente allungata e sono stati formati due comitati: l'americano MMA (MIDI Manufacturer Association) e il giapponese JMSC (Japanese MIDI Standard Commitee) con lo scopo di garantire la compatibilità tra gli strumenti MIDI e di aumentarne la potenzialità.

Nel 1985 la IMA (International MIDI Association) ha innalzato il MIDI al rango di standard, pubblicando le specifiche 1.0 . Tali specifiche riguardano sia l'hardware, cioè le caratteristiche circuitali delle porte MIDI e i livelli elettrici dei segnali trasmessi, sia il software, cioè i tipi di messaggio, le codifiche ecc.

Dal 1985 ad oggi sono state apportate numerose modifiche alle prime specifiche MIDI, tendenti ad ampliare il tipo di messaggi trasmessi e riconosciuti. Naturalmente, in tutte le successive modifiche, sono state conservate sia le caratteristiche hardware delle porte MIDI che, a livello di codifica, la compatibilità con le prime versioni.

La definizione di uno standard è probabilmente la ragione principale del successo e della diffusione del MIDI, un successo che forse è andato oltre le aspettative: la portata del MIDI ha superato di gran lunga il problema del semplice collegamento tra due tastiere e le porte MIDI hanno rivoluzionato completamente gli strumenti musicali nonchè lo stesso modo di fare musica.

 

 

 

 

 

 

 

STORIA DEL MIDI   indice

 

L'uso del personal computer per comporre brani musicali può avvenire attraverso due strade: la prima riguarda il MIDI la seconda la digitalizzazione. Il MIDI (Musical Instrument Digital interface) è un protocollo ossia un linguaggio comune tra due moduli che si comunicano quale suono usare con che nota e per quanto tempo, mentre la digitalizzazione è una cattura del suono da parte di un campionatore che lo converte in una serie di numeri.  

In questa sezione parleremo del MIDI.

 

 

 

 

LA NASCITA    indice

 

Il MIDI nasce nei primi anni ottanta dall'esigenza di far comunicare diverse macchine tra loro tramite un unico standard che tenga conto delle diverse caratteristiche dei moduli. Inizialmente era stata pensata per una situazione live, ma ben presto emersero le esigenze degli studi di registrazione che necessitavano l'uso di diverse apparecchiature, registrando e modificando le parti senza doverle risuonare.

 

Nel 1991 la Commissione standard MIDI allargò la normativa che regolava le compatibilità dei moduli accordandosi altresì sulla sequenza numerata delle voci interne al protocollo MIDI, assegnando quindi un numero sequenziale ad ogni suono valido per tutti i moduli collegati: al pianoforte fu assegnato il suono n.1, al set di batteria il 10, ecc… Questo nuovo standard chiamato General Midi (GM), aumentò la compatibilità tra i moduli in modo tale che un brano potesse essere eseguito con gli stessi strumenti indipendentemente dal modulo su cui veniva suonato (a patto che fosse GM). Lo standard di controllo Midi si è evoluto fino ai nostri giorni in diverse direzioni, soddisfacendo anche le possibilità live per la sincronizzazione di multieffetti e luci ma anche muovendosi in diverse direzioni per ampliare i limiti dello standard GM (da qui la nascita di ulteriori standard: GS-Roland e XG-Yamaha.

   

 

 

 

                

 

MIDI IN, MIDI OUT, MIDI THRU     indice

 

Per poter utilizzare il midi abbiamo bisogno di due o più strumenti che siano dotati dell'uscita MIDI, una uscita pin pentapolare che può essere di ingresso (in), di uscita (out) o di ripetizione dell'ingresso (thru).

Attraverso l'ingresso "MIDI IN" possiamo ipoteticamente usare 16 canali diversi; dico ipoteticamente perché il nostro modulo (ad esempio la tastiera o il sequencer) deve essere costruito per gestire questo numero di canali. Per poter gestire 16 canali deve possedere tra le caratteristiche la multitimbricità a 16 parti. Non ci capite nulla ! Non è un problema perché ho soddisfatto soltanto la curiosità di alcuni ma ora mi spiegherò meglio.

 

Ogni strumento e praticamente ogni musicista possiede una sua polifonia, quindi può emettere più suoni contemporaneamente: il basso ad esempio ha quattro corde e quindi non potrà mai eseguire più di quattro suoni simultaneamente; il pianoforte ignoro quanti tasti abbia, ma al massimo un pianista da solo potrà premere dieci tasti contemporanei a meno che oltre alle mani usi i gomiti! Un altro importante concetto è la multitimbricità: un gruppo rock di quattro persone se fosse un modulo sarebbe multitimbrico a quattro parti, la parte uno sarà il basso, la parte due la chitarra, la parte tre la tastiera e la parte quattro la batteria.

 

Qui una precisazione: la parte è il musicista fantasma che sta suonando dentro al modulo, ma attenzione se suono un pezzo con 30 parti ma non suonano mai più di quindici in contemporanea posso usarne solo 15 parti e sostituirli. Mi spiego meglio, con un mixer a quindici canali, non è detto che al massimo posso far suonare 15 persone, se assumo un omino che ogni volta che un musicista smette di suonare lo scollega con il jack dal mixer e inserisce il jack di un altro posso farne suonare molti di più, ma sempre al massimo 15 per volta. Ecco, il computer è un omino molto veloce!

 

Multitibricità e polifonia sono comunque caratteristiche dipendenti: su un modulo GM si trova scritto multitimbrico a 16 parti e polifonico a 32 note, questo significa che al massimo posso avere 16 musicisti virtuali che suonano insieme ma al massimo possono fare 30 note complessive; quindi se il pianista sta facendo accordi da 32 note gli altri musicisti virtuali non potranno suonare niente quindi potrei dire che il mio modulo sta lavorando mono parte; se invece il pianista usa accordi a 6 note, il bassista può usare due note di polifonia per il suo basso, il trombettista, il sax ed il trombonista una a testa, il chitarrista 6 e la batteria 3 e sono a 20 note contemporanee, e potrei usarne altre dodici. Sembra più chiaro?