HAMLET
ACT III SCENE I vv. 56-88
To
be, or not to be: that is the question: Whether 'tis nobler in the mind to suffer The slings and arrows of outrageous fortune, Or to take arms against a sea of troubles, And by opposing end them? To die: to sleep; No more; and by a sleep to say we end The heart-ache and the thousand natural shocks That flesh is heir to, 'tis a consummation Devoutly to be wish'd. To die, to sleep; To sleep: perchance to dream: ay, there's the rub; For in that sleep of death what dreams may come When we have shuffled off this mortal coil, Must give us pause: there's the respect That makes calamity of so long life; For who would bear the whips and scorns of time, The oppressor's wrong, the proud man's contumely, The pangs of despised love, the law's delay, The insolence of office and the spurns That patient merit of the unworthy takes, When he himself might his quietus make With a bare bodkin? who would fardels bear, To grunt and sweat under a weary life, But that the dread of something after death, The undiscover'd country from whose bourn No traveller returns, puzzles the will And makes us rather bear those ills we have Than fly to others that we know not of? Thus conscience does make cowards of us all; And thus the native hue of resolution Is sicklied o'er with the pale cast of thought, And enterprises of great pith and moment With this regard their currents turn awry, And lose the name of action.--Soft you now! The fair Ophelia! Nymph, in thy orisons Be all my sins remember'd. |
Essere, o non essere, questo è il problema. E' forse più nobile soffrire, nell'intimo del proprio spirito, le pietre e i dardi scagliati dall'oltraggiosa fortuna o imbracciar l'armi, invece, contro il mare delle afflizioni e combattendo contro di esse metter loro una fine? Morire per dormire. Nient'altro. E con quel sonno poter calmare i dolorosi battiti del cuore, e le mille offese naturali di cui è erede la carne! Questa è una conclusione da desiderarsi devotamente. Morire per dormire. Dormire, forse sognare. E' proprio qui l'ostacolo; perché in quel sonno di morte, tutti i sogni che possan sopraggiungere quando noi ci saremo liberati dal tumulto, dal viluppo di questa vita mortale, dovranno indurci a riflettere. E' proprio questo scrupolo a dare alla sventura una così lunga vita! Perchè, chi sarebbe capace di sopportare le frustrate e le irrisioni del secolo, i torti dell'oppressore, gli oltraggi dei superbi, le sofferenze dell'amore non corrisposto, gli indugi della legge, l'insolenza dei potenti e lo scherno che il merito paziente riceve dagli indegni, se potesse egli stesso dare a se stesso la propria quietanza con un nudo pugnale? Chi s'adatterebbe a portar cariche, a gemere e sudare sotto il peso d'una vita grama, se non fosse per paura di qualche cosa dopo la morte- quel territorio inesplorato dal cui confine non torna indietro nessun viaggiatore- confonde e rende perplessa la volontà, e ci persuade a sopportare i malanni che già soffriamo piuttosto che accorrere verso altri dei quali ancor non sappiamo nulla. ... di W. Shakespeare, Amleto, Atto III scena I, ed. Biblioteca Universale Rizzoli trad. di G. Baldini |
Kevin Kline in Hamlet's soliloquy (Act III, scene I)
Ethan Hawk in Hamlet, by
Michael Almereyda (2000)
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