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Breve Storia dell'Ungheria
Fonte: www.gesuiti.it/popoli/anno2003/12/ar031208.htm di Federico Tagliaferri
Ungheria: orgoglio d'Europa Un’identità millenaria nel segno del cattolicesimo. Una storia tormentata di «frontiera» culturale e religiosa del continente. Un presente di dinamismo economico e rinnovata coscienza nazionale. La storia della nazione ungherese inizia nel secolo IX d. C. con la conquista del territorio, portata a compimento dal principe Árpád, che alla guida di tribù magiare, d’origine ugro-finnica, provenienti dagli Urali per sfuggire ai Peceneghi, invase tutta la pianura del Danubio, ponendo fine al regno della Grande Moravia. Fu il duca Geza (972-997), della dinastia degli Arpádi, a centralizzare il potere e a introdurre il cristianesimo, consentendo a suo figlio Stefano, primo re a ricevere il battesimo, di costruire lo Stato feudale ungherese.
Il Medioevo
Stefano I il Santo (997-1038), consacrato re da Papa Silvestro II, estese il cristianesimo a tutta la nazione, suscitando opposizioni e contrasti. La sua morte fu seguita da un periodo di divisioni dinastiche, di guerre per il potere, di rivolte pagane, di movimenti eretici. Tuttavia, verso la fine del secolo XI, l’ordine feudale si consolidò e il cristianesimo divenne la religione ufficiale dell’Ungheria. Lo Stato magiaro, agli inizi del XIII secolo, raggiunse l’apice: si estendeva dal mar Adriatico ai monti Carpazi, alla Transilvania. Nel 1222 i nobili imposero al re Andrea II la «Bolla d’oro», a garanzia delle loro prerogative di fronte al sovrano. Dopo la disastrosa invasione mongola del 1241, salirono al trono principi di diversi casati europei. Tra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo i turchi divennero un pericolo costante. Il personaggio di maggior rilievo nella lotta contro di loro fu Giovanni Hunyadi, il cui figlio, Mattia Corvino (1458-1490), alleatosi con gli ordini minori, centralizzò il potere, realizzò un nuovo apparato burocratico e giudiziario, organizzò un esercito mercenario e tentò di istituire un governo assolutistico. Dopo la sua morte, i risultati della centralizzazione si dispersero. Il Paese, impegnato nelle questioni interne, fu attaccato dai turchi, che nel 1526 a Mohacs inflissero una dura sconflitta alle truppe ungheresi e nel 1541 occuparono Buda. Ebbe così inizio il dominio turco, durato 150 anni.
Dalla Riforma all’indipendenza
La Riforma si diffuse rapidamente in Ungheria. La Chiesa cattolica perse gran parte dei fedeli conservando però intatta la gerarchia. Le controversie religiose sfociarono nella guerra dei trent’anni (1618-1648), che coinvolse gran parte dell’Europa. Alla metà del Seicento si avviò la Controriforma e parte della grande nobiltà si riconvertì al cattolicesimo, pur restando nel Paese una forte presenza protestante. Con la sconfitta dei turchi a Vienna (1683) iniziò anche la liberazione dell’Ungheria dal dominio dell’impero ottomano. Gli Asburgo, ereditata nel 1687 la corona d’Ungheria, condussero una politica che provocò negli anni successivi una violenta opposizione. Fu Francesco II Rakoczi, discendente di una famiglia di principi ungheresi, a guidare nel 1703 un’insurrezione duramente repressa.
Nel periodo della rivoluzione e delle guerre napoleoniche l’Ungheria rimase fedele all’Austria, ma a partire dal 1820 iniziò a svilupparsi un movimento per l’indipendenza, guidato in un primo momento dal conservatore Istvan Szechenyi e in seguito dal liberale Lajos Kossuth. Iniziò così la rivolta contro la casa regnante, che si concluse con la sconfitta degli indipendentisti per opera dell’imperatore d’Austria e dello Zar (1848-1849). Seguì un periodo di dura repressione, che però fu di breve durata. Da un lato la resistenza passiva del popolo ungherese, dall’altro la situazione politica interna ed estera dell’impero austriaco costrinse nel 1867 l’imperatore Francesco Giuseppe al compromesso. L’Ungheria ottenne l’autonomia all’interno della «duplice monarchia» austro-ungarica, Francesco Giuseppe, oltre che imperatore d’Austria, si fece incoronare anche re d’Ungheria. Il mezzo secolo che seguì, fino al 1914, fu un periodo di grande sviluppo economico e intellettuale.
Ventesimo secolo
La Prima Guerra Mondiale portò l’Ungheria alla rovina. Le difficoltà economiche e sociali che ne scaturirono portarono alla «Rivoluzione delle rose d’autunno» (ottobre 1918). Il governo provvisorio guidato da Mihaly Karolyi favorì il sorgere della Repubblica dei soviet (1919), voluta dal Partito comunista ungherese guidato da Bela Kun. La Repubblica dei soviet, che aveva tentato di ridurre le ingiustizie sociali e i gravi problemi derivati dalla guerra, durò solo 133 giorni, travolta dall’intervento armato dell’esercito controrivoluzionario dell’ammiraglio Horthy che, occupata Budapest, restaurò la monarchia. Ma l’Ungheria si venne a trovare nella paradossale situazione di essere un regno senza un re: una legge del 1921, infatti, aveva dichiarato decaduta la dinastia asburgica. In precedenza, Horthy era diventato «reggente» d’Ungheria e fu lui a firmare il trattato di pace di Trianon (1920), che tolse all’Ungheria le sue frontiere geografiche, due terzi della popolazione e oltre il 70 per cento del territorio, e a imprimere al Paese una dura svolta autoritaria. In seguito, grazie all’intervento della Germania nazista, l’Ungheria recuperò l’area meridionale della Slovacchia e la Rutenia subcarpatica. Il Paese, nonostante la neutralità iniziale, fu coinvolto a fianco dell’Italia e della Germania nella Seconda Guerra Mondiale. Dopo la catastrofica distruzione dell’esercito ungherese sul Don, il primo ministro Miklos Kallay (1942-1944) tentò di uscire dalla guerra negoziando un accordo separato. I tedeschi il 19 marzo 1944 occuparono il Paese. Iniziò così il terrore instaurato dai nazisti e dalle «croci frecciate» ungheresi loro alleate, che portarono quasi mezzo milione di ebrei ungheresi nei campi di sterminio. Nel dicembre 1944 il governo provvisorio di Bela Miklos Dalnoki dichiarò guerra alla Germania.
Repubblica socialista ungherese
Il 4 aprile 1945 l’Armata Rossa liberò il territorio dai tedeschi, nel febbraio 1946 fu proclamata la Repubblica. Nelle elezioni dell’agosto 1947, l’Unione delle forze di sinistra, d’ispirazione comunista, ottenne il 60% dei voti, che diventarono il 95% nelle elezioni del 1949. La riforma agraria liquidò il latifondo, banche e industrie furono nazionalizzate, l’opposizione fu messa a tacere, mentre all’interno del partito comunista era già cominciata la fase dell’epurazione stalinista. Il leader comunista Matyas Rakosi fece i conti con gli avversari interni al partito, mandando al confino o deportando i suoi oppositori. Dopo la morte di Stalin, Imre Nagy (1953-1955) sostituì Rakosi al governo, liberò i prigionieri politici e riconobbe gli errori compiuti, soprattutto sul piano economico. Ben presto però Rakosi tornò al potere, facendo entrare il Paese nel Patto di Varsavia. Nell’ottobre 1956 scoppiò l’insurrezione. Ritornato Nagy al governo, si allineò sulle posizioni dei rivoltosi antisovietici, annunciando il ritiro dell’Ungheria dal Patto di Varsavia. L’Urss rispose con un intervento armato, e imponendo un nuovo governo presieduto da Janos Kadar. Nagy fu arrestato e condannato a morte, mentre circa 200mila ungheresi ripararono all’estero. Kadar si propose di assicurare alla popolazione un tenore di vita migliore, avviando un grande progetto di modernizzazione. Tentò di regolare i rapporti con le Chiese, alleggerì la censura, e fu elaborato il «nuovo meccanismo economico», introdotto nel 1968. Le mutate condizioni politico-economiche internazionali determinarono nel 1989 la fine del sistema socialista, e nel Paese fu avviato un sistema democratico. L’ultimo soldato sovietico lasciò l’Ungheria il 19 giugno 1991.
Nel 2002 l’Ungheria ha affrontato una delle più importanti elezioni della sua giovane storia post-comunista. Gli elettori hanno deciso chi avrebbe dovuto guidare il Paese - già membro della Nato dal 1999 - al momento dell’ingresso nell’Unione Europea (2004). L’Ungheria ha una crescita doppia rispetto a quella dell’Unione Europea, un tasso di disoccupazione intorno al 6% - sotto la media Ue - un boom di investimenti e le privatizzazioni quasi completate. «Siamo rientrati nella casa europea», ha detto Peter Medgyessy, il leader socialista vincitore delle elezioni e primo ministro dell’Ungheria, annunciando la conclusione delle trattative con l’Unione Europea. Il referendum per confermare l’ingresso nella Ue è stato quasi una formalità. In vista dell’adesione all’Ue, il nuovo governo aveva deciso di evitare problemi con i Paesi confinanti sulla questione delle minoranze ungheresi, che il premier uscente Orban (1998-2002) aveva voluto privilegiare con leggi controverse. Fin dal 1989 l’Ungheria aveva sollevato la questione delle minoranze, dato che due terzi degli ungheresi vivono oggi nei Paesi limitrofi. Non pochi ungheresi si sono rammaricati dell’esito del voto, soprattutto quanti sono più legati ai valori profondi e alla Chiesa cattolica: non a caso la Chiesa ungherese aveva espresso velatamente il suo appoggio a Orban. Adesso, se Medgyessy vuole essere il «premier di tutti gli ungheresi», dovrà prestare attenzione anche a queste istanze.
Mille anni di cristianesimo
La prima visita pastorale di Giovanni Paolo II si è svolta nel periodo in cui l’Ungheria era appena uscita dall’oppressione del socialismo reale, nell’agosto 1991. Uno dei primi gesti del Papa fu, durante la Messa nella basilica di Esztergom, sede primaziale d’Ungheria, la preghiera davanti alla tomba del cardinale Juzef Mindszenty, del quale è in corso il processo di beatificazione. L’omaggio alla figura di Mindszenty (1892-1975) è significativo, perché il prelato fu un intransigente oppositore del regime comunista, che lo condannò all’ergastolo nel 1949, salvo commutargli la pena nel domicilio coatto nel 1955. Dopo l’invasione dell’Ungheria nel 1956, Mindszenty si rifugiò nell’ambasciata statunitense, da dove potè uscire solo nel 1971.
Punto culminante della visita papale fu il 20 agosto, festa del re santo Stefano. Durante la Messa, celebrata nella Piazza degli Eroi a Budapest, Giovanni Paolo II ripetè lo storico gesto di santo Stefano: con la preghiera tradizionale affidò solennemente l’Ungheria e il suo popolo alla protezione della Madre di Dio. Nei suoi discorsi il Papa aveva sottolineato la necessità del risveglio della vita cristiana nel Paese, ostacolata durante il comunismo. La visita fu d’incoraggiamento nel momento della rinascita della democrazia per i dirigenti politici e per la Chiesa ungherese.
Il 25 luglio 2001, in occasione delle celebrazioni conclusive per il Millennio del battesimo della nazione, Giovanni Paolo II ha indirizzato al card. Laszo Paskai, arcivescovo di Esztergom-Budapest, primate d’Ungheria, una lettera apostolica diretta al popolo cattolico di Ungheria.
«Il Millennio ungherese - ha scritto tra l’altro il Papa - diventa avvenimento ancor più illustre per il fatto che viene celebrato nella solenne anniversaria memoria della morte di santo Stefano nella città reale di Esztergom, alla quale giunse un tempo la corona donata dal mio venerato predecessore Silvestro II. Essa è ora conservata nella splendida basilica innalzata nel luogo stesso dell’incoronazione […]. Questo antichissimo diadema è simbolo dell’identità nazionale, della storia e della cultura millenaria del regno ungherese, e insignito del titolo di Sacra Corona, dal popolo venerato come reliquia. […]».
In figura l'Ungheria dal 1000 al 1200