DELLA BEATA BEATRICE D’ESTE
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Nacque Beatrice in Este intorno all’anno 1192 avendo a genitori Azzo VI
marchese illustre 2 e Sofia figlia di Umberto conte di Savoja, la quale
al dire di Alberto da S. Spirito << portava pie viscere di
misericordia verso i poveri, sicché coll’abbondanza sua sollevava
<< l’inopia loro>> 3.
Ma appena ventenne, Beatrice rimaneva orfana anche del padre (1212)
accorato per la sconfitta toccata per opera del fiero Ecelino a Pontato.
Poco tempo appresso (1213 Ottobre) dovè quella fanciulla trovarsi ad
assistere alla caduta di Este sua patria; le grida degli assediati e
assedianti, il fragore dell’armi, l’ira e il furore del fratello
Aldobrandino e l’ottenere poi la pace dei vinti, avranno contristato
quell’anima eletta (pag. 315).
Non meno commovente scena si apprestò a quel tenero cuore, allorché sul
finire dell’anno stesso vide il fratello costretto a trovar denari per
imprendere la guerra al ricupero della Marca d’Ancona, dare il proprio
fratello Rinaldo ancor fanciullo in ostaggio agli usurai Fiorentini
<< staccando questo quasi bambino, dice il Monaco Padovano, dalle
<< braccia della dolente madre >> 7.
Ma anche Aldobrandino presto passava di vita (1215); << per lo
che quella tenera pianticella, estimate per quello che sono le
vanità terrestri, si decise alla vita monacale: <<Beatrice fatta
più libera di sé e più sciolta che non era innanzi, e trapassata l’età
anche <<degli adulti entrando nella gioventù, avendo acquistato
già il dono della scienza più <<matura, del consiglio più sano,
ritornò al suo cuore; considerate seco tutte le cose che <<aveva
fatte, giusta la definizione del Savio, vide in tutto essere vanità ed
afflizione <<dell’animo, e niente essere durevole sotto il sole.
Però ajutata dalla grazia di Dio, e <<sparsa dell’unzione dello
Spirito Santo, determinò dall’intimo del suo cuore di sprezzare
<<con la mente la gloria della nobiltà e dignità terrena,
perocché tutto è vanità, e piuttosto <<anelare con ogni sforzo
delle sue viscere a quella celeste ch’è vera gloria >>.
<< Beatrice lusingata dalle sue sante ispirazioni assente il
Marchese (Azzo VII) volle <<fare un pio ladroneccio di se
medesima. Fece ella venire a sé Giordano Forzatè Priore <<di S.
Benedetto di Padova, e Alberto Priore di S. Giovanni di Monte delle
Vigne 8, <<uomini religiosi e probi, maturi di sapere e di anni,
i quali accorsero con ilarità e presto <<rapirono quella preda
gratissima, e trassero fuori di Babilonia quel prezioso tesoro, e la
<<condussero alla rocca della santità, cioè al monastero di
religiose femmine, poste sul <<monte, il quale si dice Salarola.
Le sacre suore ricevano con allegrezza quella preziosa
<<margherita >>9.
Una mera leggenda troppo corrivamente abbracciata dai panegiristi e
scrittori moderni10, si è la fuga di Beatrice dal palazzo del Marchese
suo fratello, e l’irrompere di questi con mano armata contro il
monastero di Salarola, ed il suo mitigarsi all’incontro che gli fece
l’Abbadessa ed alcuni frati del luogo. Non frequenti in vero sono gli
esempi di que’ tempi che i grandi signori togliessero dal monacarsi le
donne del loro casato, assai sovente anzi incitandovele con prepotenza.
Sta il picciol colle di Salarola a’ piè del maestoso Cero, e prospetta
l’amenissima strada
che da Este conduce per due miglia a Bavone. Vuolsi forse così chiamato
dal pagarsi ivi il salario ai soldati componenti i presidii delle
vicine fortezze di Este, Calaone e Cero. Fino dal 1179 la pietà di
Obizzo estense e dei suoi feudatarj Albertino ed Alberto cugini di
Bavone avea fatto donazione di quattro campi sulla cime di quel colle,
perché vi si fondasse una chiesa ed un cenobio, del quale Gerardo
Vescovo di Padova posava la prima pietra. Quel monastero dapprima,
siccome solevasi in quell’epoca, era doppio cioè di uomini e donne
composto. Nuovi benefattori del pio luogo si trova essere stati pochi
anni appresso Girardo nobile della casa di Calaone (18 maggio 1195), e
così di nuovo i conti da Baone (12 Settembre) . Lo stesso Azzo VI (15
Settembre) venne innanzi al Vescovo di Padova per fare un’altra
cessione di fondi al suo nome e a quello dello zio Bonifacio ancora
pupillo in favore del monastero, nel qual giorno troviamo donna Osanna
accettare per sé le sacre suore dal pastore padovano le pietose
liberalità del Marchese. Finalmente è a ricordarsi di questo tempo un
pio legato fatto alle monache di Salarola dalla celebre matrona
padovana Speronella nel suo testamento .
Sembra che Beatrice non vestisse a Salarola l’abito di religiosa, ma
solo seguisse la regola di quelle benedettine siccome ancora novizia .
Ma non bastantemente lontano dalle cure del secolo apparve quel colle a
Beatrice; ivi ella doveva udire gli armigeri armistizj delle prossime
fortezze, e le grida della soldatesca avranno spesso ferito le orecchie
della vergine contemplativa.
La quale desiderando di ricovrarsi lungi da ogni frastuono e romore,
trascorso appena un anno e mezzo, prescelse di recarsi al colle di
Gemmola due miglia all’incirca più lontano (1221).
Splende questo colle, quale gemma fra gli Euganei, a mezzogiorno del
sublime Venda, ricco di vigneti e di ulivi e circondato da prati e da
valli. Su quella vetta eranvi a quest’epoca gli avanzi di un antico
chiostro già abbandonato e che esisteva fino dal 1215. Azzo VII
fratello di Beatrice forse da lei invitato ottenne dal vescovo di
Padova la cessione di quelle rovine, e sopra quelle fe’ erigere il
nuovo cenobio e fe’ restaurare l’annessa Chiesa da S. Giovanni
Battista titolata, perché tutto fosse degno della mobilissima donzella.
Solenne si fu il corteo che accompagnò la principessa estense al colle
di Gemmola, e le istorie de’ tempi ci narrano che i colligiani Euganei
se ne commossero accorrendo a vedere dalle cime quella processione.
Le due principesse Alisia vedova di Azzo VI, e Giovanna di Puglia
moglie di Azzo VII (mentre questi a quanto pare era lontano) e gran
numero di dame e cavalieri accom-pagnavano la monaca atestina. Chi
anche in oggi da Salarola si recasse alla non lontana Gemmola, potrebbe
immaginare quale spettacolo dovesse presentare quel passaggio
memorabile.
<< Anelava la vergine al monte eccelso delle anime pie, dalla
cima del quale dovesse <<poi quella chiarissima gemma da lungo e
da largo diffondere splendenti raggi della <<clarità sua e
santità per illuminare chi siede fra tenebre e nelle ombre della morte,
le <<donne specialmente nobili; ove rifugio avessero le donne
timorate di Dio, che volessero <<là raccogliersi per salute delle
anime loro e preservarsi dai naufragi del presente secolo
<<ribaldo >>.
Riposatasi Beatrice sull’ameno colle, mirava di là intorno altre case
religiose poste sulle vette dei vicini poggi, e il suo spirito ne
sentiva conforto, e più dolce le riusciva la solitudine. Ben presto
ella devolveva le rendite de’ suoi beni a benefizio del cenobio e le
terre rimasero d’indi in poi dote di quello, professando colle sue
compagne la regola di S. Benedetto .
<< Sparsa la voce fra gli uomini della mutazione che avea sopra
quella signora fatta la <<destra dell’Altissimo, e la fama di una
tanta novità correndo presto per le città per gli <<castelli e
per varie contrade, fu gran commovimento in tutte le parti, e molte
donzelle <<d’alta nobiltà scampando i naufragi del mondo,
correvano all’odore degli unguenti della <<nuova sposa di Cristo,
e si trassero lietamente a Gemmola disprezzando ivi le pompe,
<<vanità, onorificenze del secolo e le sue ricchezze; soprattutto
i godimenti della carne <<schivando e le altre delizie, tanto che
moltiplicate le gemme su per lo monte di <<Gemmola risplende di
più bella luce, e maggiore per ogni parte di quelle. Dieci figliole di
<<Conti si trovarono colà, le altre poi furono per gran parte
figliole di nobili padri e ricchi e <<potenti. Fra tutte poi
sopraluceva sempre quella gemma splendidissima come stella
<<mattutina, perché sopravanzava sempre nelle varie specie
d’illustri pregi. Mirabile <<carità, umiltà mirabile, la pazienza
era molta, più che molta >> (Don Alberto da S. Spirito).
Non è bene accertato se la nostra Marchesa che appena giunta a Gemmola
aveva rifiutato l’onore di Abbadessa del cenobio, lo accettasse in
appresso. È certo che ne’ primi anni del suo soggiorno n’era investita
la monaca appellata Desiderata, ed Imiza all’epoca della sua morte.
I pochi anni del ritiro di Beatrice scorsero sereni e tranquilli, e
come i suoi biografi ci tramandarono, fra le opere di pietà verso Dio e
gli uomini.
Soli 34 anni aveva raggiunto la vergine quando quasi di dolce sonno
come fiore appas-sito, trapassava da questa vita, e fu il 10 maggio
dell’anno mille dugento e ventisei. Il suo corpo cosparso di aromi e di
fiori, come dice un suo panegirista del 500 (P. Olzignano), fu riposto
con molta solennità in una arca di pietra nel sacello o cappella ad
oriente della chiesa del convento, dove veniva venerato dai propri
colligiani e visitato dai più illustri del secolo.
Il solertissimo Brunacci venne a scoprire intorno alla metà del
trascorso secolo la iscri-zione sepolcrale di Beatrice, scolpitale
tosto dopo la sua morte, la quale si trovava in S. Sofia di Padova
sopra la cassa di marmo che racchiudeva il corpo della Beata che fu
colà trasportato nel secolo XVI, siccome tra poco vedremo. Questa
iscrizione era rimasta ignota, comeché preziosissima ella sia e per la
storia di Beatrice, e quale monumento di antichità cristiana . Eccola
in traduzione.
<< In questo sepolcro riposa la pia vergine chiamata Beatrice,
che di cuore amò la <<divina legge; lei generò il Marchese Azzo,
e la sua madre nacque dal Conte di Savoja. <<Questa gemma che ora
tra gli astri riluce, fondò un cenobio, di cui va splendente il
<<monte di Gemmola. Essa alta, essa potente, essa buona nobile e
generosa, chiara, <<faconda, bella sopra ognuno e appariscente,
fu però casta, sapiente e di pudica mente, <<facendosi umile si
fe’ amica del re dei Cieli; la quale quanto fu più grande sulla terra,
<<tanto più fu sommessa di mente a Cristo. O colle di Gemmola ne
godi, tu che vai lieto di <<tanta lode. Le monache sorelle si
studino di imitarla, affinché abbiano a meritarsi dopo <<di lei
la stessa corona; ella vi ha posto la base, Iddio la compiva. Così sia.
Nell’anno del << Signore 1226, sesto delle idi di Maggio (10)
>>.
Le
virtù ed il grido di santità di Beatrice invogliarono altre due donne
della stessa casa estense a seguire l’esempio della zia. Belle e
preziose notizie storiche qui ci si apprestano, e per questa patria
estense assai gloriose.
Andrea II Re
d’Ungheria rimasto vedovo dava la mano di sposo in Albareale (1234. 14
maggio) a Beatrice marchesa estense che noi diremo Seconda, figlia di
Aldobrandino e quindi nipote della Beata. Rimasta la nuova regina
anch’essa vedova di Andrea (1235), Bela suo figliastro e successore a
quel trono, si mise a perseguitarla barbaramente a tal segno ch’ella
trovandosi incinta dov’è fuggire sotto mentite vesti e recarsi alla
casa paterna in Este, dove dié alla luce un bambolo col nome di
Stefano, il quale divenuto in appresso sposo di Tommasina Morosini
procreava chi ascese poi un trono e fu Andrea III re d’Ungheria (1290).
Ma la
Marchesa Beatrice dato ch’ebbe alla luce quest’illustre rampollo,
disgustata del mondo dal quale non aveva côlto che amarezze, volle
godere di soave riposo nel cenobio fondato da sua zia a Gemmola, ove
placidamente ella finiva i suoi giorni (1245). Il suo più bell’elogio
ce lo danno i Bolandisti laddove scrissero che << era dessa
soprattutto imita-<<trice e studiosissima della zia >>.
Ma una terza Beatrice devota alla santità della
vita ben presto sorgeva, nipote anch’essa della nostra di Gemmola
comechè figlia di Azzo VII, la quale stimolata al certo dal desiderio
d’imitare le altre due Beatici, faceva edificare presso Ferrara un
monastero di vergini appellato poi del B. Antonio << Così queste
due vergini, dice il monaco padovano, <<quasi due olive
producendo opere fruttuose di pietà, e quasi due candelabri negli
<<esempi delle virtù lucendo da per tutto, non meno resero co’
suoi meriti lodevole e <<gloriosa la sua casa di quello che i
suoi generosi Marchesi fecero per dilatare il potere e <<la fama
esponendosi ai vari pericoli di guerra >>.
Bella
amicizia contrassero i due conventi di Gemmola e di Ferrara. Si ha un
breve di Papa Urbano V. del 16 Giugno 1356 col quale fu dato permesso
alle suore del convento di S. Antonio di Ferrara di recarsi una volta
all’anno a visitare quello di Gemmola, e alle suore di questo a
ricambiarne la pietosa visitazione .
La casa dei Marchesi non cessò mai, per passar di anni e traslocatasi
anche a Ferrara, di visitare il bel colle di Gemmola a salutarvi la
salma della loro Beata congiunta, e così di farvi offerte e donazioni;
ché anzi rimase nella casa estense il diritto di Avvocazìa sul convento
di Gemmola colla nomina dell’Abbadessa.
Ma il bel colle, la gemma fra gli Euganei, dovea essere privato di
tanta gioja. Per alcuni abusi che sembra colà essersi introdotti, il
vescovo di Padova Cornaro nel 1578 unendo il convento di Gemmola a
quello di S. Sofia di Padova, ordinò che con gran pompa fosse fatta la
traslazione in quella chiesa del corpo della Beata, e vi fosse ivi
esposto alla pubblica venerazione. E tale solennità fu fatta nei giorni
12 e 13 Novembre del 1578 , e fu il corpo della Beata ricollocato nella
sua antica arca, dove tuttora si trova.
Né la Casa estense cessò di fare visitazioni e doni all’antica loro
congiunta, e di una solenne visita si ha in memoria che fece la
duchessa di Modena Margherita Farnese assieme al suo sposo duca estense
Francesco II e così altre ne fece Alfonso IV (1661-1662).
Ora la tomba della Beatrice estense, per dar luogo alla riedificazione
della chiesa di S. Sofia di Padova, fu trasportata nella vicina chiesa
di S. Gaetano. sarebbe certamente decoroso agli estensi cittadini
l’impiegare i dovuti mezzi che valgano a far ritornare in patria la
mortal salma di Beatrice che fra noi vide la luce, visse e morì sopra
suolo estense. Se ciò non sarà dato di ottenere, è buono almeno lo
sperare che il sepolcro della nostra Beata si riporrà col dovuto onore
entro il tempio rifabbricato.
Non mi sia soggetto di biasimo se quasi allettato dall’argomento, mi
sono alquanto allungato sulla storia di una pacifica vita, e le cui
vicende si restrinsero a breve cerchio di terra. Ma come poteva io
lasciare preterite tante belle memorie che di quella principessa e
della sua epoca ci rimasero attraverso i secoli? Beatrice fu nostra,
nostro il suolo ch’ella riempiva del suo nome, nostro quanto la
circondò fino a che visse, ed a gloria d’Este torna quella fama di
pietà e di beatificazione, che di lei si sparse per tutta quanta
l’Italia.
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Descrizione
di Este
Cessate o rimesse
alquanto le barbariche devastazioni tra il quinto e settimo secolo,
Este già orbata di quasi tutti i suoi abitatori, a poco a poco venuto
il regime longobardico, andava risorgendo dalle sue rovine e
ripopolandosi, conservando quasi del tutto l’antica ed amena sua
posizione alla punta meridionale de’ beati colli d’Euganea, volgendo un
po’ più all’oriente che in antico non fosse.
Poco o nulla si può dire intorno allo stato di questa terra, se non ne
togli le memorie delle sue chiese e de’ suoi monasteri , fino a
quell’epoca avventurosa per questa patria, allorché intorno alla metà
del secolo XI Alberto Azzo ottenuta l’imperiale investitura, fissava
sua dimora in questa contrada e da essa prendeva il suo nome, ogni
altro facendo obliare alla posterità (pag. 239). Allora si fu che
seguendo l’uso di quell’epoca armigera, venne innalzata la nostra rocca
sopra quella elevatezza che si scorge all’estremità meri-dionale
dell’estesa collina che sovrasta ad Este, e domina di là tutta la parte
abitata del castello. Maggiormente difesa la rocca rendeva il canale
detto il Sirone, che colle sue acque le lambiva il piede e la divideva
dal resto della terra estense.
La rocca che vediamo tuttora circondata di mura e di torri,
bastantemente conservata nella sua storica interezza, non è già quella
medesima che fu innalzata da Alberto Azzo alla metà circa del secolo
XI. I molti assalti a quella arrecati dalle genti eceliniane, e quel
più d’ogni altro terribile assedio di Cane Scaligero (pag. 409), ne
scassinarono quasi dai fondamenti le antiche muraglie. Per altro quella
torre più bassa che si vede al finir del borgo di S. Girolamo
volgendosi a sinistra, di assai più rozzo lavoro delle altre torri che
le soprastanno, è certamente un rimasuglio delle più antiche nostre
fortificazioni. L’attuale cinta e torri della rocca furono fabbricate
quasi di nuovo da Ubertino da Carrara (1339), e si sono tanto bene
conservate, io credo, perché era già allora quasi finita per Este
l’epoca dei lunghi assedj e delle spietate ire degli irreconciliabili
nemici.
Attacco al colle sostenente la rocca, era fabbricato il palazzo
marchionale in forma di ben guarnita fortezza, difeso di fronte dalle
acque del Sirone, e restando all’indietro congiunto alla rocca mediante
una cinta in largo giro di buone mura tramezzate da torri. Pochissime
sono le memorie che ci restano del castello marchionale, del quale se
ne vede tuttora una buona parte.
Non è però a credere che il palazzo eretto da Alberto Azzo fosse quale
tuttora ne vediamo gli avanzi. Sappiamo già dalla storia (pag. 341) che
quasi distrutto il palazzo dei Marchesi nell’assedio del 1213,
l’imperiale Rescritto che rimetteva la casa estense nei suoi diritti,
ordinava al Comune di Padova di rifare a sue spese il palazzo dei
Marchesi in Este. Altre vicende avrà subito ancora quella residenza che
molto più estesa era di quello che oggi si vede, sembrando che gli
successivi padroni vi abbiano fatto di molti cangiamenti . Sarà sempre
a compiangersi che sì la rocca che la casa marchionale non sieno in
possesso del nostro Comune, benché fino ad ora possiamo star contenti
che non fu abusato in alcuna guisa del loro diritto da quelli che
posseggono il più bello e vasto monumento di patria istoria.
Venendo ora a parlare del resto del castello estense, che si allargava
innanzi alla rocca di qua del fiume, dovrò attenermi in gran parte
all’Alessi, mentre il tempo a noi trascorso, nulla aggiunse alle nostre
memorie de’ mezzi tempi, ma anzi ci sarà d’uopo notare a quando a
quando frammenti e cose, che il tempo e gli uomini andarono fin qui
cancellando e togliendo allo sguardo indagatore di antiche memorie.
Veggasi da questo la necessità che le storie municipali sorgano oramai
complete e sicure, pria che questo secolo fatto già più edace de’ suoi
antecessori, s’affrettando ad altre idee e costumi, cangi faccia o sito
a quanto le città presentavano di monumenti dei tempi che furono.
Era la nostra Ateste cinta in parte di mura e in parte di terrapieni .
Dal lato di tra-montana le scorreva il Sirone. Sorgeva la muraglia dal
sito che dicesi la Volta mantovana sino dirincontro alla prima torre
angolare della rocca, e così dall’altra torre angolare verso S.
Girolamo sorgeva il muro, fino a quell’altro sito chiamato la Borina e
poi Volta dei Mori. Parte di questo muro è già demolito, parte è
compreso nelle case adiacenti, e parte vedesi tuttora scoperto . La
linea di mezzo parallela al castello era vacua, congiungendosi
probabilmente le due estremità, così da se disgiunte tra le due torri
angolari, con catene a traverso del fiume.
fondamenta .
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