GUERRA, RESISTENZA E LAGER

Dopo la laurea, e precisamente dal 1941 fino all'occupazione tedesca del Nord-Italia avvenuta nel settembre del 1943, Primo Levi ha esercitato la professione di chimico in condizioni di semi-clandestinità. Dapprima trova lavoro presso una cava di amianto nei pressi di Balangero, ad una quarantina di chilometri da Torino, sotto falso nome.

Condotto a termine il lavoro di ricerca presso la cava, Levi si trasferisce a Milano dove gli viene offerto un impiego presso una grande industria di prodotti chimici. Il suo soggiorno milanese si protrarrà dal luglio del '42 all'8 settembre del '43, giorno in cui l'Italia firmò l'armistizio con gli alleati.Primo Levi

Furono per Levi anni fondamentali, non tanto per quel che riguarda il lavoro, dato che l'impiego gli offriva ben poche soddisfazioni, bensì per le amicizie che ebbe modo di fare e per l'azione politica che gli fu consentito svolgere. Venne a contatto con numerosi ebrei e costituì con essi una specie di sodalizio in cui il fervore politico era pari a quello intellettuale.

Risalgono pure a quegli anni le sue esperienze come scrittore anche se ad esse Levi riconosce poca importanza attribuendole più al clima di fervore intellettuale derivante dai contatti con gli amici milanesi che a una consapevole e matura necessità espressiva. Comunque proprio in quel periodo scrisse il suo primo racconto che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto assumere le dimensioni di un romanzo breve. Il progetto non venne portato a compimento ma è ugualmente interessante sottolineare che tale racconto implicava un impegno notevole, anche dal punto di vista stilistico, sviluppandosi intorno a una trama situata al di fuori dello spazio e del tempo.

L'8 settembre, il giorno stesso dell'armistizio, dopo aver assistito all'ingresso delle truppe tedesche in Milano, Levi lascia l'impiego, fugge a Torino, dove si andavano intensificando i bombardamenti aerei, e insieme alla madre, che nel frattempo viveva clandestinamente ospite di amici ariani (la sorella aveva già lasciato Torino per entrare nei quadri del Partito d'Azione), si trasferisce in Val d'Aosta, sopra Saint-Vincent, dove viene ben presto a contatto con altri giovani appartenenti al movimento di "Giustizia e Libertà", tra cui un ex compagno di scuola, e con essi decide di formare una banda e di prendere contatto coi partigiani già operanti nella zona. Sono in otto, senza nessuna esperienza militare, sprovvisti di mezzi e di armi, e tuttavia sorretti da un generoso entusiasmo.

Levi si era da poco rifugiato in montagna coi suoi compagni quando una banda partigiana, ben più agguerrita e provvista di mezzi, che si accampava nella valle vicina, decide di compiere un assalto alla caserma della milizia di Ivrea. In seguito all'assalto, dalla stessa Ivrea parte una spedizione punitiva e la notte del 13 dicembre 1943, poco prima dell'alba, trecento militi fasciati circondano il rifugio dove Levi si trovava insieme agli altri giovani. Catturati e portati ad Aosta, vengono sottoposti a maltrattamenti e interrogatori.

La prigionia nella caserma di Aosta si prolunga per due mesi. Di fronte all'alternativa di essere fucilato o consegnato ai tedeschi nel caso avesse ammesso di essere partigiano, o di venire invece internato in un campo di concentramento in Italia qualora avesse dichiarato di essere ebreo, come i fascisti sospettavano, Levi decide, fin dai primi interrogatori, di ammettere la propria condizione di "cittadino italiano di razza ebraica". Verso l'inizio del '44 viene cosi inviato nel campo di Fossoli, presso Modena.

La permanenza di Levi nel campo di Fossoli, insieme ai suoi compagni di sventura, si protrae fino al 22 febbraio. Quel giorno, sotto la scorta di un reparto di SS tedesche, i seicentocinquanta ebrei, tra i quali donne, vecchi e bambini, vengono caricati su torpedoni e trasportati alla stazione ferroviaria di Carpi dove li attendono dodici carri merci.

Se questo è un uomo, infatti, inizia così:

"Gli sportelli erano stati chiusi subito, ma il treno non si mosse che a sera. Avevamo appreso con sollievo la nostra destinazione. Auschwitz: un nome privo di significato, allora e per noi; ma doveva pur corrispondere a un luogo di questa terra".

Dopo un viaggio durato molti giorni nei carri merci piombati, Levi giunse ad Auschwitz, nell'Alta Slesia, insieme ai suoi compagni di prigionia. Avvenuta la prima selezione - tutti gli uomini validi avviati ai campi di concentramento, gli altri, fra cui i vecchi, i malati, i bambini e le donne di costituzione più gracile, alle camere a gas -, venne destinato al campo di lavoro di Monowitz (una località nei pressi di Auschwitz) dove i diecimila prigionieri che lo occupavano venivano giornalmente trasferiti, come mano d'opera, ad una fabbrica di gomma chiamata la Buna.

La prigionia di Levi nel campo si prolunga all'incirca per un anno e cioè fino al 27 gennaio del 1945 quando il fronte tedesco orientale crolla sotto gli assalti dell'Armata Rossa e le SS abbandonano il Lager trascinando con sé tutti i prigionieri (allora quasi ventimila) in grado di affrontare una lunga marcia (che si risolverà peraltro in un massacro collettivo) e abbandonando al loro destino, senza cure e senza approvvigionamenti, gli ottocento infermi del campo, tra cui Primo Levi, ammalato in quei giorni di scarlattina.Se questo è un uomo

Se lo scrittore riuscì a sopravvivere e ad essere uno dei pochissimi che fece ritorno al suo paese natale, il fatto si deve a circostanze del tutto fortuite. In primo luogo per non essersi mai ammalato gravemente e non essere stato così trasferito alle camere a gas: tale infatti era il destino riservato ai malati cronici, ossia agli inabili al lavoro. In secondo luogo per essersi imbattuto alla fabbrica di gomma in un operaio "civile" italiano, Lorenzo Perrone di Fossano, che per sei mesi, mosso soltanto da compassione e solidarietà umana, gli procurò nascostamente del cibo aiutandolo così a superare lo stato d’estrema denutrizione e astenia comune a tutti i prigionieri del campo. In terzo luogo per essere stato assunto come "chimico" presso la stessa fabbrica di gomma e destinato ad un reparto di "specialisti" le cui mansioni, pur riducendosi a funzioni di carattere puramente manuale, lo esoneravano tuttavia dal massacrante lavoro fisico che lo aveva ridotto alla consunzione durante i primi mesi di prigionia. Infine, come dichiara lo stesso Levi nella prefazione a Se questo è un uomo, per essere stato deportato ad Auschwitz soltanto nel 1944,

"e cioè dopo che il governo tedesco, causa la crescente scarsità di manodopera, aveva stabilito di allungare la vita media dei prigionieri da eliminarsi, concedendo sensibili miglioramenti nel tenore di vita e sospendendo temporaneamente le uccisioni ad arbitrio dei singoli".

Circostanze fortuite, come si vede. E in realtà i pochi superstiti dei campi di sterminio debbono soprattutto al caso la loro sopravvivenza, anche se nei riguardi di Primo Levi altri fattori possono aver giocato un ruolo determinante nel "predisporlo" alla sopravvivenza e precisamente quelli che è possibile rinvenire attraverso la sua stessa biografia:

"Paradossalmente, è stato il Lager a rendermi forte: l'ossatura morale mi è venuta dopo, dopo di aver raccontato e scritto, dopo di essermi sentito depositario di un'esperienza orribile e fondamentale, che era "necessario" diffondere e commentare. Solo dopo che l'umanità mi era stata negata, e dopo di averla riconquistata scrivendo, mi sono sentito "uomo" nel senso del titolo del libro".Copertina

Alla fine del '44, dei novantasei italiani prigionieri nel campo, solo ventuno sono riusciti a sopravvivere e tra questi ventuno molti troveranno la morte nei giorni seguenti. L'attività della fabbrica di gomma, devastata dai continui bombardamenti, si è definitivamente interrotta. C'è nell'aria un'atmosfera di disfacimento e catastrofe. Le SS, presagendo prossima la fine, infieriscono contro i prigionieri. Nella notte del 18 gennaio 1945, avvicinandosi il fronte, fanno evacuare il campo, lasciando a se stessi gli ottocento malati. Trascorreranno dieci giorni, forse i più allucinanti per le condizioni in cui vengono a trovarsi gli infermi, prima che una pattuglia russa giunga in vista del campo e si provveda a dare inizio alle prime operazioni di soccorso. É il 27 gennaio. Levi, insieme agli altri superstiti, viene trasferito al "Campo Grande" di Auschwitz dove per il suo stato di estremo sfinimento e per i postumi della scarlattina si ammalerà seriamente. Rimessosi in salute, all’incirca dopo un mese, sarà dimesso dal campo e avrà inizio per lui la tormentosa odissea del rimpatrio che si concluderà all'incirca un anno dopo, cioè alla fine del 1945.

Il resoconto delle traversie subite dal giorno della liberazione al suo rientro in Italia, costituisce l'argomento del libro che scrisse successivamente a Se questo è un uomo e che ha per titolo La tregua. Per ragioni mai del tutto chiarite, ma forse soprattutto a causa della situazione caotica che inevitabilmente seguì al crollo della Germania e del disordine burocratico che ad esso si accompagnò, Levi venne trasferito dapprima in Ucraina o successivamente nella Russia Bianca "in attesa di rimpatrio", e il rimpatrio ebbe luogo soltanto nell'ottobre del 1945, dopo un lunghissimo, quanto inspiegabile, viaggio per tutta l'Europa orientale.

Lo scrittore attraversa il Brennero, che aveva varcato noi vagoni piombati esattamente venti mesi prima, nella notte tra il 16 o il 17 ottobre. Dei seicentocinquanta deportati italiani stivati allora in quel convoglio, sono soltanto in tre a ritornare. Dopo una sosta di un giorno nel campo di Pescantina presso Verona, la sera del 18 ottobre Levi riesce a salire su un treno diretto a Torino e l'indomani raggiunge finalmente la sua città natale.

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