CAPITOLO VI
AGOSTO: NASCE LA DIVISIONE
“GARIBALDI LUNENSE”
Il Gruppo “Valanga”
riceve rinforzi da Montefiorino
Il caldo mese di agosto
inizia senza avvenimenti clamorosi. I tedeschi sono sempre guardinghi e cercano
di ripristinare al meglio la viabilità, almeno quella di fondo valle. Don
Pinagli, nel suo diario, registra la ricostruzione del ponte di Piastrella (il
2 agosto venne effettuata la "gettata" di cemento). Naturalmente non
abbassano la guardia nei confronti dei partigiani. Il 16 agosto, infatti,
catturano un partigiano di nome Bianchini Italo e lo fucilano a Piazza al
Serchio. E, sempre in agosto, fucilano a Nocchi, nel camaiorese, Ferrari Lina,
Ferrari Giorgio e Mentessi Massimo, di Roggio, che, forse, tentavano di passare
il fronte. E i partigiani, pure molto guardinghi, cercano di organizzarsi
meglio. Dopo la fine della Repubblica di Montefiorino, distrutta dai tedeschi
(28 luglio-3 agosto) un gruppo di 36 partigiani emiliani comandati da Ettore
Bruni riesce a sfuggire ai tedeschi e si salva al di qua dell'Appennino
malgrado un agguato subìto al passo delle Forbici. Con molta prudenza riesce ad
attraversare la valle del Serchio e a raggiungere l'Alpe di S.Antonio per
riunirsi al gruppo "Valanga". Si trattava di uomini ben armati e con
esperienza di combattimento, per cui furono sostanzialmente ben accolti da
quelli del gruppo che, ora, poteva contare su un numero di partigiani superiore
ai 60 uomini. Anche se pare ci fossero divergenze sul fatto che il gruppo
"Valanga", politicamente non qualificato, riteneva di dover condurre
una attività difensiva in attesa degli alleati, mentre gli emiliani di
"Stella Rossa" , comunisti, ritenevano di dover condurre una attività
di attacco continuo. In ogni modo questi ultimi accettarono che il comandante
restasse Puccetti e il vice De Maria.
La riunione di
Regnano. Nasce la “Lunense”
Ma anche le altre bande
garfagnine sentono il bisogno di collegarsi fra di loro e di organizzarsi in
modo più solido, cosicché il giorno 8 agosto a Regnano in Lunigiana ha luogo
una importante riunione di una trentina di capi partigiani della Garfagnana e
della Lunigiana ed anche della zona di Carrara e dell'Emilia, per concordare
una unificazione delle bande. Erano presenti, fra gli altri, il Maggiore
Oldham, il Dr.Coli (Gatto), il Ten.Bruno Zerbini e il Ten. Bertagni della banda
Tony, il Ten. Marco (Giorgio Ferro) e lo studente Mondini della banda di
Borsigliana, il Marini (Diavolo Nero) della banda lunigianese, Azzari, un
rappresentante della Brigata Muccini, Contri de La Spezia, Barocci (Roberto
Battaglia), Giulio Carozzo, Andrea, Elio (la guida), Bruno,Vita ed anche il
maggiore Johnston e Eros (commissario politico) venuti dalla vicina Emilia.
Sono, questi, i diciotto nomi citati dal Dottor Coli nella sua relazione
precisando che sono i soli che ricorda ma che erano sicuramente presenti almeno
un’altra decina di persone. Il convegno ha luogo a Ca’ Malaspina, situata in
cima al borgo della Villa, la residenza più nobile del paese i cui proprietari
sono stati “convinti” dal Marini a concederla. Essa aveva un ampio salone
adatto ad accogliere il numeroso gruppo di convenuti (forse una trentina,
appunto). Fu servito, anzitutto, un lauto pranzo che il Dottor Coli definisce
“luculliano”, preceduto da aperitivi “serviti signorilmente”, composto da molte
portate e “molte bottiglie di buon vino”. La cena si protrasse a lungo e solo
verso le 11 Barocci illustrò la proposta di unificazione delle varie bande
garfagnine, lunigianesi, spezzine e massesi. La proposta fu subito vista di
buon grado da tutti, ma la discussione sui vari problemi si protrasse a lungo.
Finchè, verso l’una e mezzo, fu lo stesso Oldham ad annunciare: “Stanno
arrivando i tedeschi. Ritirata” e a sollecitare i presenti a lasciare
immediatamente il paese. (Vedi, in appendice, la relazione del Dottor Coli) Ca’
Malaspina è abbastanza vicina al bosco, per cui la maggior parte dei convenuti
riuscì a dileguarsi senza danno. La notizia era stata portata a Oldham da
Silvio Gervasi, commerciante, il quale era stato avvertito da due donne, come
dirò fra breve. Oldham chiede come mai le sentinelle non hanno dato l’allarme.
Si saprà che esse all’una, ritenendo improbabile un rastrellamento notturno, se
ne erano andate a dormire. Era accaduto, dunque, che un nutrito reparto tedesco
era giunto al Ponte di Montefiore e, non conoscendo i luoghi, aveva bussato
alla porta di una certa Innocenza Matazzoni la quale (che aveva due figli coi
partigiani), dice di non conoscere la strada e dice che procurerà qualcuno che
la conosce. Infatti coinvolge la madre e il nonno di altri due partigiani e il
nonno viene ingaggiato per fare da guida. Li porterà fino a Regnano ma facendo
un percorso molto tortuoso che farà loro impiegare molto tempo e consentirà
alle due donne di correre, pare scalze, seguendo un percorso più breve, fino a
Regnano dove avvertiranno il Gervasi che subito farà in modo da avvertire gli
uomini a convegno. Si è ipotizzato che i tedeschi avessero un informatore nella
zona, forse proprio a Regnano, e fossero lì proprio per catturare i capi
partigiani a convegno. Ma l’ipotesi è poco credibile. Infatti non cercarono
affatto la sede del convegno e non entrarono mai nella Ca’ Malaspina. Inoltre
il loro procedere facendosi guidare da uno sconosciuto fa escludere che essi
avessero un preciso obiettivo e, quindi, fossero a conoscenza del convegno.
Essi certamente sapevano che Regnano era sede di una banda e di un comando
partigiano, per cui non desta stupore il rastrellamento. E il fatto che
avvenisse lo stesso giorno del convegno è stato, quasi sicuramente, casuale. La
maggior parte dei convenuti potè allontanarsi senza danno. Solo Giulio Carozzo,
partigiano di Johnston rimase ucciso e, pare, Elio ferito. Egli, con Innocenti,
aveva tentato di recuperate il radiotelegrafista Vita che era andato a dormire,
ma avevano incontrato un tedesco che aveva sparato e lo aveva ucciso, mentre
Innocenti tornava indietro. Vita, però, si nascose in paese e si salvò.
Tuttavia la riunione aveva
sortito i suoi effetti. Ci si era accordati, infatti, per dare vita ad un
gruppo unitario che si chiamò Divisione Garibaldi Lunense e per assegnarne il
comando al maggiore Oldham. Tale divisione avrebbe dovuto coordinare tutte le
azioni partigiane non solo della Garfagnana e della Lunigiana, ma anche quelle
della zona di là dalle Alpi Apuane (Massa, Carrara, Sarzana). Infatti nel
settembre entrerà a far parte della divisione anche la Brigata Muccini di Sarzana,
la Brigata Apuana e, in ottobre, i Patrioti Apuani di Pietro Del Giudice. La
Divisione Garibaldi (1) Lunense fu articolata in quattro brigate: La prima fu
la Brigata Garfagnana e fu comandata dal Dr. Abdenago Coli. Essa aveva il
comando alla Foce di Careggine e contava 350 uomini. La seconda ebbe come
comandante Contri, di La Spezia e pose il comando a Campocecina, sul crinale
fra il carrarese e la Lunigiana.
Contava 500 uomini. La terza fu la Brigata “La Spezia” comandata da Pietro Marini
(Diavolo Nero), che pose il comando a Regnano in Lunigiana e contava 350
uomini. La quarta fu comandata da Bertolini ed ebbe il comando a Comano, vicino
al passo del Lagastrello. Aveva 300 uomini. Inoltre, come già detto, avevano
accettato di farne parte la Brigata Muccini che operava nel Sarzanese ed era
forte di 700 uomini e i Patrioti Apuani di Pietro Del Giudice che assommavano a
1100 uomini. Infine il comando della divisione contava anche i 50 uomini del
Valanga che, però, non accettarono mai di farne parte, avendo in animo di
collegarsi con la cosiddetta XI Zona (Montagne di Bagni di Lucca) comandata da
Manrico Ducceschi (Pippo)(2). Il comando di divisione fu posto sul Monte Tondo
e dispose di una compagnia comando di 80 uomini. Così l'intera forza della
divisione ammontò a circa 3400 uomini. Ciascuna di queste brigate mantenne una
larghissima autonomia e l'unica azione comune documentata fu, probabilmente, il
tentato attacco alle spalle delle truppe R.S.I. che si trovavano al fronte.
Attacco che, come vedremo, fallì e determinò lo scioglimento della divisione.
Cosa che fu giudicata molto severamente dai partigiani massesi e carrarini.
Tuttavia Oldham, con l'aiuto di Barocci che divenne il Commissario Politico
della divisione, cercò di dare una organizzazione unitaria decretando delle
norme comuni e costituendo un tribunale militare per ogni brigata, presieduto
da lui stesso. Era previsto il biasimo, la degradazione, la espulsione, la
prigione e la morte. Pare siano state emesse poco meno di 100 condanne a morte.
Il problema dei
partigiani ladri
Fra queste anche quelle di
alcuni partigiani che, profittando delle armi che portavano, depredavano
vergognosamente le popolazioni gettando il discredito su tutto il movimento
partigiano. Famosi, fra questi, tre fratelli di San Romano: Regali Giovanni di
anni 18, fucilato sul Monte Tondo il 17.7.44, Alberto di anni 16, fucilato
nello stesso luogo il 14.8.44 e Luigi, di anni 26, fucilato sul monte Ripa il
17.8.44. Essi, accusati di tali reati, furono condannati a morte e uccisi. E in
data 6 agosto risulta ucciso, all'Alpe di Borsigliana anche lo spezzino
Caprioni Antonio di 24 anni. Si tratta, forse, di uno di quegli spezzini uccisi
dai partigiani e gettati nella voragine che di trova in quel luogo, denominata Buca
di Monte Basciano. Anche il gruppo Valanga ebbe problemi di questo genere e
intorno al 20 agosto fu fucilato un certo Ernesto Di Nuzzo, di 21 o 22 anni,
campano, studente universitario, ex guardia di P.S., sbandato dopo l'8
settembre, che fu accusato di depredare la povera gente, terrorizzandola con
ingiunzioni di pagamento inviate a nome del Gruppo Valanga, cui aveva
appartenuto e di cui si era procurato un timbro (3). Questa sentenza di morte
fu decisa a grande maggioranza con una votazione cui parteciparono, secondo la
testimonianza di Valiensi, tutti i partigiani del gruppo. E fu eseguita
malgrado l'intervento di Don Bertozzi, parroco di Rontano e amico di Puccetti
Leandro, che tentò di evitarlo. In effetti non era facile distinguere, specie
per i derubati, chi rapinava per la causa partigiana e chi "pro domo
sua" e la piaga non fu mai estirpata del tutto. Vale la pena di ricordare
anche quanto dice Padre D’Amato (4) All'atto della costituzione della Divisione
“Lunense” Marini consegnò una notevole somma di denaro ricevuta dagli americani
che avevano effettuato un lancio da un aereo e questa fu divisa fra le prime
tre brigate (la 4ª pare non ne avesse bisogno essendo ben fornita). Ma per il
finanziamento della divisione si ricorse anche a prelievi dalle banche,
requisizioni di beni ai fascisti e taglieggiamenti vari. Pare che la divisione
fosse dotata anche di due mortai e di 15 mitragliatrici (Breda e Bren).
Naturalmente tutti i partigiani erano armati con armi leggere. Pare, infine,
che disponesse di venti punti di raccolta delle informazioni. Un punto
importante era Orzaglia, nel comune di San Romano. Pare che, fra le regole
stabilite, ci fosse quella che i partigiani non avevano l'obbligo di
partecipare alle azioni (ci andavano solo i volontari) mentre gli ufficiali
avevano questo obbligo. La costituzione della Lunense rappresentò certamente un
fattore di migliore organizzazione, però ogni banda, in definitiva, continuò a
operare con una autonomia quasi illimitata, anche perché i collegamenti erano difficili
e la necessità di prendere quasi sempre delle decisioni rapide richiedeva che
ogni gruppo, anche piccolo, fosse in grado di prendere le sue.
La 1°Brigata
“GARFAGNANA” della Divisione “Lunense”
In Garfagnana, quindi,
operava la 1ª Brigata comandata dal Dottor Abdenago Coli che aveva posto la
sede del comando a Foce di Careggine. Tale brigata comprese tutte le bande
operanti in Garfagnana (escluso il gruppo "Valanga" che, come già
detto, preferì sempre operare in collegamento coi partigiani di Pippo, al
secolo Manrico Ducceschi(5) ed escluso il gruppo di Magliano, associato alla 3°
Brigata di Marini come distaccamento “Franchi”, comandato, pare, da un certo
Samuele Danti) e fu articolata in 4 battaglioni. Il primo comprese le bande che
operavano in alta Garfagnana e cioè la banda di Minucciano comandata dal
maestro Benedetto Filippetti (Ten.Lupo)e la banda di Borsigliana-Molinello
comandata da Giogio Ferro (Ten.Marco). Il comando di questo primo battaglione
fu localizzato a Minucciano e fu affidato al Filippetti, pare con qualche
contrasto con la banda di Borsigliana che considerava comandante di battaglione
il Ten.Marco. In effetti ci sono fonti che attribuiscono il comando all'uno e
fonti che lo attribuiscono all'altro. Probabilmente fu riconosciuto unico
comandante il Filippetti dopo la morte del Ten Marco, di cui si dirà, e il
conseguente sbandamento del gruppo di Borsigliana. Il secondo battaglione
comprese uomini prevalentemente di Careggine, Vagli e Camporgiano, operò
soprattutto in quel di Careggine in funzione difensiva (malamente assolta: è lo
stesso Zerbini che lamenta la scarsa combattività dei suoi uomini, più lesti a
fuggire che a combattere. Non a caso questo battaglione fu soprannominato
"Battaglione Fifa") e fu comandato dal Ten. Zerbini Bruno di
Careggine. Il terzo comprese uomini provenienti da Castelnuovo e zone
circostanti e fu di gran lunga il più attivo. Fu soprannominato il Battaglione
"Casino" per lo scompiglio che pare riuscisse a portare nelle file
nemiche con le sue azioni spericolate. Lo comandò il Ten. Giovan Battista
Bertagni. Era stanziato a Stazzana e sulle montagne di Careggine e operava
soprattutto nella zona di Castelnuovo e zone limitrofe. Il quarto battaglione
era comandato da tale Mario Sabatini (6) e su tale battaglione le notizie
scarseggiano. Era, comunque, stanziato anch'esso sui monti di Careggine e
ricorrono di frequente notizie di azioni compiute "da uomini del 3ª e del
4ª Btg." Lo Zerbini dice, nelle sue memorie, che fin dal 10 agosto era
all'opera per organizzare il suo battaglione che, come gli altri, contava non
più di 70-80 uomini (Zerbini pubblica per intero l'organico del suo battaglione
che risulta composto da 4 squadre : Squadra Careggine, Squadra Fabbriche,
Squadra Foci, Squadra Vagli, più una Squadra Comando, per un totale di 73
uomini più il comandante). In effetti in questa prima quindicina di agosto si
registra una certa calma e non risultano compiute azioni partigiane. (In data
15 agosto, però, si registra la uccisione di un ufficiale della R.S.I. di Villa
Collemandina in Garfagnana, Pennacchi Attilio Luigi, avvenuta a Zavattarello
Valverde, nell'Oltrepo` pavese, ad opera dei partigiani.)
Azioni partigiane.
L’attentato a Silla Turri nella Rocca Ariostesca
Il 20 agosto, invece, la
lotta riprende con una azione piuttosto clamorosa: un attentato nella sala del
consiglio del Comune di Castelnuovo. Una squadra della Brigata Nera
"Mussolini" era stanziata a Castelnuovo.(7) La comandava Turri Silla,
che aveva anche assunto le funzioni di Commissario Prefettizio. Quella mattina
il Turri con alcuni collaboratori si trovava nella sala del consiglio del
Comune allorché una forte esplosione sconvolse la sala. Proprio sotto la pedana
sulla quale stava il tavolo del Podestà era stata collocata una bomba a tempo da
due partigiani di Castelnuovo (pare si trattasse di Gualtierotti Renato e del
maestro Asara Giuseppe detto Pipino), che pare avessero avuto la complicità
della nipote del custode, Luciana Bertolini, che era stata costretta a fornire
la chiave. L'obiettivo era il Turri Silla, personaggio di spicco del Fascismo
garfagnino. Egli, però, in quel momento non si trovava seduto al tavolo sulla
pedana e si salvò. Rimase, però, ferito insieme ad altri tre (Francesco
Simonetti, impiegato comunale, Giulio Tamburi, Antonio Broglio). Morì, invece,
un sergente di nome Battaglini Giovanni detto Torello. Furono operati numerosi
arresti fra cui Giuseppe Asara (Pipino) e il padre Antonio, Giorgio Giorgi,
Italo Rossi, Michele Bertagni, Gina Gualtieri, Luciana Bertolini, Eugenio
Pasquali, Ugo Franchi, Azelio Boschi. Pare che la Bertolini accusasse l'Asara
che confessò ma, poi, riuscì a fuggire. Degli altri arrestati alcuni, fra cui
il padre di Asara, furono subito rilasciati, altri furono incarcerati a Lucca
nel carcere di S.Giorgio. Non ci furono rappresaglie. Forse si tentava ancora
di evitare che lo scontro diventasse troppo feroce e si voleva garantire un
certo rispetto della legalità (i crimini vengono giudicati dai tribunali).
Tuttavia è certo che questo episodio contribuì a far crescere la tensione e ad
alimentare l'odio di parte. Intanto anche i partigiani della banda di
Borsigliana si fanno vivi. Il 25 prelevano due uomini di Piazza al Serchio,
Marovelli Luigi e Regali Mario e li uccidono a Casciana di Camporgiano nella
capanna del Terni, dove erano sfollati. Don Pierami, prete di Piazza al Serchio
dice che uno dei due fu preso per errore. Ma non per questo gli fu risparmiata
la vita. Lo stesso giorno accadeva il tragico rastrellamento di Vinca. Già il
24 quaranta camionette tedesche, dopo aver sostato a Gramolazzo, erano salite
al Passo del Giovetto che sovrasta Vinca e il giorno dopo altri militari della
R.S.I. salirono allo stesso passo. Pare che lì siano stati uccisi cinque uomini
e due donne di Vinca che erano fuggiti lassù. Pare anche che qualche superstite
di Vinca si sia rifugiato a Gorfigliano. E a Gorfigliano il giorno 26 i
“Maimorte” (così li chiama Don Vincenti. Probabilmente erano uomini della
Brigata Nera) arrestarono tre uomini, Pancetti Giovanni, il figlio Jacopo e
Pesci Torquato e li portarono a Castiglione. Qui “passarono brutti momenti”
(Don Vincenti) però, vennero poi rilasciati pare per interessamento del comando
tedesco.
La tragedia del
“Valanga”
E due giorni dopo si
preparava un'altra tragedia. Il 27 agosto una pattuglia tedesca, risalendo da
Col di Favilla era giunta all'Alpe di S.Antonio ove erano accampati i
partigiani del Gruppo Valanga. Una sentinella partigiana che stava a Colle a
Panestra, tale Gualtiero Montanari detto Tarzan, vide o udì la pattuglia e
intimò l'alt. Poi sparò e uccise un sottufficiale tedesco, il Fw Rolf Bachmann
(8). La pattuglia si ritirò. Erano le 23,30. A quel punto era chiaro che la
cosa non sarebbe rimasta senza conseguenze e ci sarebbe stata reazione da parte
dei tedeschi. Si è discusso molto su ciò che può essere accaduto in quelle ore.
E’ evidente che i partigiani si saranno posti il problema di cosa fare. Pare,
fra l'altro, che fossero assenti sia il comandante Leandro Puccetti che il vice
De Maria. Avrebbero potuto abbandonare la zona e rifugiarsi in altro luogo.
Oppure rimanere e attendere gli eventi. Ed è ciò che fecero. Ma come maturò
questa decisione ? Qualcuno ha ipotizzato che l'imperizia militare abbia fatto
ritenere di poter sostenere l'assalto dei tedeschi. Ma i 36 emiliani fuggiti da
Montefiorino una certa esperienza dovevano averla. Altri, anche su
testimonianza di alcuni sopravvissuti, sostengono che la decisione di rimanere
fu presa consapevolmente per non lasciare nelle peste la popolazione civile su
cui i tedeschi, non trovando i partigiani, avrebbero potuto sfogare la loro
rabbia. Probabilmente c'è del vero in ciascuna delle due ipotesi. La figura del
comandante Puccetti, giovane idealista, e la testimonianza dei superstiti
depone a favore della seconda ipotesi. Valiensi sostiene questa verità con
molto calore, sostenendo che il Gruppo Valanga si adoperò sempre per evitare
danni alle popolazioni. Ma il fatto che il gruppo si fosse attestato sul monte
Rovaio, facilmente circondabile e, quindi, praticamente senza possibilità di
sganciamento, sembra avvalorare anche la prima ipotesi e che essi ritenessero
di poter resistere all'attacco tedesco. Forse il recente lancio di armi e
munizioni li fece sentire più forti di quanto non fossero. Avrebbero, forse,
potuto accettare il combattimento e, quindi, scagionare la popolazione, stando
in posizione più favorevole e garantendosi delle sicure vie di fuga ? Non è
facile dirlo e, comunque, si tratta, forse, ormai, di congetture oziose. Il
giorno 28 trascorse tranquillo e Puccetti, rientrato verso le 16, approvò la
decisione presa di rimanere sul posto per evitare guai ai civili. Dopo il
ritorno all'Alpe, in località Trescala (ritorno avvenuto dopo i fatti di Pania
del 13 luglio) Puccetti aveva fatto costruire quattro postazioni per
mitragliatrici sul Monte Rovaio, che è un massiccio isolato a sud della valle
della Turrite e a nord del Monte Piglionico. La postazione A era al centro
della cresta del monte, la B (del Bovaio) all'estremità ovest, la C era al di
sotto della A, nel versante sud (verso il Piglionico) e la D, quella "del
Gesù", all'estremità est, sopra Colle a Panestra. Fu nelle prime ore del
29 , esattamente alle 3,20, che si scatenò l'attacco tedesco (secondo alcuni
erano presenti anche truppe della R.S.I. ma la notizia non è documentata.
Valiensi, comunque, afferma di aver visto truppe italiane in divisa
grigioverde, ma la G.N.R. si era ormai
ritirata al nord e in lucchesia era rimasta soltanto la 36^ Brigata Nera che
non risulta aver partecipato all’azione. Tali truppe, comunque e sempre secondo
Valiensi, attaccarono in una zona scoperta e furono costrette a ritirarsi).
L'attacco avvenne sia da nord (i tedeschi risalirono dalla valle della Turrite
Secca sottostante) che da sud (dalle pendici del monte Piglionico ove erano
giunti anche provenendo da Col di Favilla). Una parte degli uomini del Valanga
(forse una cinquantina) si era arroccata sulle quattro postazioni, armati la A
e la D con Bren e Breda e dieci bombe a mano, la B e la C con la Breda e 10
bombe a mano. Bren e Breda avevano 1000 colpi ciascuno e ogni uomo aveva lo
Sten. Pare che alcuni uomini del gruppo, definiti poi "volponi", non
salissero sul Rovaio. Essi trovarono modo di allontanarsi e di sottrarsi al
combattimento. I primi proiettili di una mitragliera da 20 mm giunsero dalla
parte di Col di Favilla, in un paesaggio spettrale illuminato dai
"bengala". Poi entrarono in funzione altre due mitragliere dalla
parte opposta. Infine, all'alba, cominciò anche il fuoco di almeno un mortaio.
Trescala e la postazione B resistettero poco più di mezz'ora poi gli uomini
salirono sulla cresta del monte. La situazione della postazione C, più bassa,
si fece presto critica e anche gli uomini di questa postazione si ritirarono
sulla vetta del monte. Qui, disposti a piccoli gruppi, facendo fuoco con i
fucili mitragliatori Bren, con le mitragliatrici Breda da 6,5 mm e lanciando
bombe a mano, i partigiani si difesero strenuamente per alcune ore. Ma il monte
era bersagliato con mortai (pare non si trattasse di veri e propri mortai bensì
di piccoli lanciabombe) e i tedeschi, sia pur lentamente, continuavano a salire
e a stringere il cerchio. Gli uomini continuavano a cadere ad uno ad uno e, a
un certo punto, i tedeschi raggiunsero la cresta dopo aver distrutto la
postazione D. Allora fu chiaro che non era più possibile resistere. Erano circa
le ore 10 quando Puccetti lanciò il "si salvi chi può" e i pochi
superstiti cercarono si attraversare l'accerchiamento tedesco buttandosi in un
canalone scosceso sul lato nord e nascondendosi fra i cespugli. Molti morirono
durante la fuga (mentre si gettavano nel canalone erano sotto il fuoco delle
mitragliere), uno, Sassi Renzo, pare si sia ucciso, un altro, Olivieri Rubino,
fu catturato e, pare, fucilato, ma di lui non si seppe più nulla. Tuttavia
qualcuno si salvò. Il Puccetti fu fra questi, ma aveva una grossa ferita
all'addome. Un partigiano che si era salvato con lui raggiunse un paese vicino
e chiese aiuto. Alcuni uomini (o forse alcune donne) andarono, raccolsero il
Puccetti (ma era rimasto 36 ore nascosto in una grotta) e lo portarono in una
località presso Sassi detta "Taso", poi, sotto falso nome (Pietro
Marinari) e falsa diagnosi (peritonite generalizzata da probabile perforazione
appendicolare), lo portarono all'Ospedale di Castelnuovo. Ma non fu possibile
salvarlo e il 3 settembre morì.
Il bilancio fu terribile. I
morti partigiani furono 18 più il Puccetti, circa un terzo del gruppo (9). Dei
19 caduti 9 appartenevano al gruppo degli emiliani, 3 erano meridionali e 7
lucchesi. Tutti si erano battuti con molto coraggio. E molti furono i feriti.
Non sono note le perdite tedesche ma pare che qualcuno abbia visto diversi
caduti portati a valle dai commilitoni mentre alcuni abitanti della zona
assicurano che non ebbero perdite. La verità, probabilmente, sta nel mezzo. Fu
questo l'episodio più sanguinoso e il combattimento più impegnativo sostenuto
dai partigiani in Garfagnana. E il gruppo "Valanga" visse un momento
di grande sbandamento. A fatica il già vice-comandante del gruppo, Mario De
Maria, riuscì a riunire a Vergemoli alcuni superstiti. Comunque il gruppo, come
vedremo, continuò ad esistere e ad operare.
Il generale Frido Von
Senger in Garfagnana
Intanto la presenza tedesca
in Garfagnana si faceva sempre più massiccia. Il 10 si installano anche a
Poggio, il 18 (riferisce Don Pinagli) sono in Filicaia e si riforniscono di
carne presso i contadini locali requisendo vitelli e "pagandoli
poco". Ma, soprattutto, il 18 agosto il Comando del XIV Corpo d'armata del
Generale Frido Von Senger und Etterling lascia una località presso Pistoia e si
pone a Villacollemandina in Garfagnana. Questo comando tattico ha la
responsabilità di tutto il settore a ovest degli Appennini, compreso il settore
costiero fino a La Spezia. E anche gli aerei americani non fanno vacanza. Il 20
sganciano bombe nei dintorni di Camporgiano mirando, sembra, ai tralicci
dell'alta tensione. Che non colpiscono. Colpiscono, invece, la casa dei Fabbri
in località Borelletta, causando un morto e dei feriti. Il 25, invece, tocca a
Vagli, fortunatamente senza vittime. E il 26 Don Pinagli annota il passaggio di
un bimotore tedesco in avaria, a bassissima quota, fatto segno, per errore, al
fuoco della contraerea tedesca. Poi l’aereo lanciò dei razzi bianchi,rossi e
verdi e si fece identificare. Sarà l'ultimo aereo non americano visto in
Garfagnana.
Appendice:
….””Il pranzo, davvero squisito, che si protrasse a lungo,
si svolse in un clima fortemente euforico con animate discussione sulla
Resistenza ed il comportamento degli alleati verso di essa (in generale ci si
lamentava della scarsezza dei rifornimenti) e sulla probabile data, che si
riteneva oramai vicina, della Liberazione. La discussione vera e propria sullo
scopo della riunione cominciò verso le undici di sera: si alzò a parlare
BAROCCI che spiegò con chiarezza che il
Convegno era stato indetto per proporre di riunire le varie Bande della
Provincia di Massa, di La Spezia e della Garfagnana in una sola grande
Formazione Partigiana con Comando Unico al fine soprattutto di programmare e
potenziarne l’attività operativa, ma anche di ottenere maggiori aiuti dagli
Alleati. La discussione sulla proposta di BAROCCI fu lunga, vivace ed
esauriente; credo che tutti i presenti espressero la propria opinione in genere
favorevole alla proposta stessa. NET disse che avrebbe riferito a Pietro (Del
Giudice), comandante del Gruppo Patrioti Apuani; anche il rappresentante della
brigata MUCCINI promise di riferire al comando della stessa le decisioni della
riunione. La proposta di BAROCCI fu quindi messa in votazione ed approvata
all’unanimità: nacque così la “DIVISIONE PARTIGIANA GARIBALDI LUNENSE”
“”…….””Il Magg. OLDHAM fu nominato comandante della Divisione e BAROCCI
Commissario Politico””……””il comando fissò sul Monte Tondo la sua Sede. A
questo punto saltò il tappo a numerose bottiglie e tutti i presenti brindarono
all’avvenuta unificazione delle Bande Partigiane, augurando alla nuova
divisione fortuna e successo nella Lotta di Liberazione. Intanto la discussione
continuava animata per stabilire la zona di azione dei vari Capi Partigiani
entrati a far parte della LUNENSE. Per quanto mi riguardava la Garfagnana fu
divisa in due zone, una a sinistra, l’altra a destra del Serchio; nella prima
Zona, denominata Zona Nord, avrebbe agito il I Battaglione al comando di MARCO;
nella seconda zona (Zona Sud) si dovevano costituire tre battaglioni (II – III
– IV) al Comando rispettivamente di BRUNO ZERBINI, BERTAGNI e SABATINI; io
venivo nominato Commissario della Zona Sud e il mio compito era il Comando e
l’organizzazione militare e civile.”” ………………Frattanto “”il tempo era trascorso
veloce ed eravamo giunti alle ore una e mezzo circa del nuovo giorno. A quel
momento vidi entrare nella sala ELIO, il quale parlò brevemente col Magg.
OLDHAM; questi scattò in piedi e chiesto silenzio pronunciò le seguenti
testuali parole: “Signori: tedeschi in paese; ritirata”. Con calma i presenti,
molti di loro dopo aver vuotato i bicchieri dello spumante che ancora
contenevano, si apprestarono a lasciare la sala di riunione. Io, Zerbini e
Bertagni parlammo con OLDHAM e BAROCCI che ci dissero se preferivamo andare con
loro a Monte Tondo o tornare in Garfagnana; scegliemmo il ritorno in Garfagnana
e dopo un reciproco “in bocca al lupo” ci avviammo verso la casa dove avevamo
lasciato i nostri zaini per riprenderli ed iniziare poi il viaggio di ritorno.
Avevamo però percorso pochi metri quando nel silenzio notturno e vicinissimo a
noi crepitò improvvisa e rabbiosa una scarica di mitra, quella che purtroppo
troncò la vita di GIULIO CAROZZI. Io, ZERBIBI e BERTAGNI ci gettammo nella
semioscurità sotto una delle volte di cui ho parlato prima e attraverso questa
potemmo raggiungere la selva di castagni che circondava il paese. Era una notte
illune, ma con il cielo limpido e sereno e il chiarore degli astri permetteva
di distinguere sebbene con difficoltà il terreno dove si poggiava il piede.
Avevamo appena raggiunto il castagneto quando da sopra il paese si alzò con
fruscio ed alto scoppio nel cielo un bengala che lento ricadde illuminando a
giorno Regnano e i suoi dintorni; ci gettammo a terra rimanendo immobili fino a
che il razzo illuminante si spense. Intanto, come ad un segnale convenuto, un
mortaio ( o forse due) aveva cominciato a battere con regolarità la zona
sparando dal basso, probabilmente dalla carrozzabile. Non appena si fece buio
dopo la luce del bengala ci alzammo da terra e intraprendemmo il viaggio di
ritorno puntando verso l’Argegna””………….E nel tardo pomeriggio di quel 9 agosto
i tre rientrarono a La Foce senza danno.
NOTE:
(1) Pare che l'aggiunta del
nome Garibaldi, premesso a Lunense fosse voluto dal Maggiore Oldham, che era un
ammiratore dell'Eroe dei Due Mondi. Non significò che la divisione fosse
formata da partigiani comunisti. Infatti per la maggior parte di essi non fu
così.
(2) Esiste una lettera di
Tony, cugino di Leandro a Pippo (cioè il Ducceschi,di cui era amico) nella
quale si sollecita il collegamento del “Valanga” con lo stesso Pippo.
(3) Dice Valiensi che il Di
Nuzzo conosceva bene il Di Natale, ucciso, come abbiamo visto, il 27 luglio sul
Monte Forato.
(4) Il cosiddetto “Diario di
Padre D’Amato”, (riportato da O.Guidi in DOCUMENTI di Guerra, cit.,
pag.127-180), riferisce a pag. 128, di un certo “fuoruscito straniero di nome
Pietro” il quale, da giugno a settembre 1944 imperversò nella zona
terrorizzando tutti con le armi, che usò anche contro il collegio. Questo
diario, di estremo interesse, narra le vicissitudini di alcuni poveri frati
(Padre Nicola D’Amato, rettore del Collegio annesso al Santuario di S.Maria
della Stella di Migliano nel comune di Fosciandora, P.Carlo Danti,P.Umberto
Ceccaglia,P.Leandro Speranza,P.Giuseppe Pomposi,P.Carlo Conti più alcuni
“fratelli operai”: Fra Franco, Fra Rocco,ecc.) che rimasero nel collegio,
situato a non più di due chilometri dalla linea del fronte sulla sinistra del
Serchio, avendo anche la responsabilità di diversi collegiali, adolescenti che
la guerra aveva separato dalle famiglie. Questi religiosi, oltre al grave
problema del come procurare i viveri per tutti loro (l’unica carne con cui
potevano sfamarsi era quella degli asini uccisi dalla guerra) e a quello della
sicurezza dei ragazzi, continuamente in pericolo per le bombe e le cannonate
(talvolta, addirittura, i ragazzi più grandi venivano utilizzati dai soldati
per il trasporto dei feriti dal fronte all’infermeria), si accollarono l’onere
dell’assistenza alla popolazione di quei paesi, esposti come forse nessun altro
ai pericoli della guerra. E non si trattava solo di assistenza spirituale.
Erano loro, infatti, che spesso andavano a raccogliere i feriti per portarli al
loro collegio dove funzionava una infermeria militare.
(5) Probabilmente influì anche
la inimicizia personale di Puccetti con Oldham, che gli aveva portato via la
ragazza.
(6) Qualche perplessità
desta la comunicazione del comando della “Lunense” a firma Barocci e Oldham in
data 12 settembre 1944 che, al punto 3 recita: “E’ modificato l’organico della
Divisione, aumentata di circa 600 effettivi in questa ultima settimana
(dovrebbe trattarsi degli uomini della Brigata Muccini). COLI è nominato
Comandante della 1° Brigata, gli altri battaglioni conservano gli stessi
Comandanti e lo stesso numero; il 6° Btg. diventa 4° Btg. e passa alle
immediate dipendenze di Coli.” Non è chiaro se si sta parlando dei
battaglioni della prima brigata e, se sì, come mai il Coli figura comandante
del 4° Btg oltre che comandante di Brigata. Forse ne assunse il comando
provvisoriamente in attesa di trovare una persona adatta ad assumerne il
comando in via definitiva e il Sabatini fu nominato successivamente ?
(7) Esistevano, in
Garfagnana, piccoli presidi della B.N. a Castiglione, a Sillico, a Fosciandora
, a Barga e a Gallicano. E, forse, anche altri.
(8) Ci sono incertezze su
questo nome. Il Guidi, infatti, (Documenti di Guerra,cit.,pag 122)
riporta il nome Bachmann basandosi sul fatto che nel Comune di Molazzana
risulta la morte di questo tedesco in località Alpe di S.Antonio e in data
27.8.44. Valiensi, però, assicura di aver letto sul piastrino e sui documenti
del tedesco morto il nome Hotzmann. Probabilmente il nome è stato trascritto
male nell’atto di morte.
(9) Ecco il nome dei caduti:
Puccetti Leandro di Gallicano (LU), Bruni Ettore di Castelfranco Emilia, Sassi
Renzo di Modena, Bergamini Edoardo di Bomporto (MO), Bertoni Mario di Molazzana
(LU), Borro Giovanni di Barrafranca (Enna), Borsi Remo di Malalbergo (BO),
Bucci Sergio di Roma, Cipriani Pasquale di Vergemoli (LU), Davini Mario di
S.Maria del Giudice (LU), Francesco detto il Napoletano di Albanova (Caserta),
Lorenzoni Renato di Anzola d'Emilia (BO), Olivieri Rubino di Zocca (MO),
Pierantoni Walter da Bologna, Pieroni Lauro di Molazzana (LU), Puccetti
Gabriele di Gallicano (LU), Rusticelli Aldo di S.Giovanni in Persiceto (BO),
Tognoli Ferruccio di Malalbergo (BO), Venturelli Mario di Molazzana (LU). Nella
lapide posta all’interno della Cappella eretta in località Piglionico figura
anche il nome di Bartolozzi Roberto, nato a La Spezia il 23 aprile 1914 e morto
a Lucca il 29 giugno 1944.