PIERO FERRERO marianista P E R M A R I A Beato GUGLIELMO GIUSEPPE C H A M I N A D E FONDATORE E PADRE DELLA FAMIGLIA MARIANISTA °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° G.G. Chaminade viene elevato agli onori degli altari col titolo di ‘beato’ da S.S.Giovanni Paolo 2° a Roma il giorno 3 settembre 2000.
UNA VITA PER MARIA 1° = I PRIMI ANNI L’arco della vita del B. Chaminade è racchiuso in quasi 90 anni di solerte operosità. Nato a Périgueux, nel sud della Francia, l'8 aprile 1761, ultimo di 14 fratelli (ma solo 9 vivi), da genitori appartenenti alla piccola borghesia provinciale, ricevette in famiglia una buona formazione spirituale e religiosa. La sua vocazione sacerdotale ha avuto radici nella vita cristiana della famiglia, come pure la sua devozione a Maria. Sua madre gli insegnò a pregare e, secondo i biografi, depose in lui “i germi di quella devozione tenera e forte a un tempo che sarà l’anima della sua pietà, l’oggetto del suo apostolato, il suo grande mezzo per salvare le anime” Périgueux appariva del resto come una città mariana, circondata com’era di santuari e popolata di edicole che accoglievano la statua o l’immagine della Vergine, più numerose di quanto non fossero le vie del centro abitato. Nella fanciullezza, mentre giocava con i compagni, la caduta di un grosso sasso gli procurò una grave rottura della caviglia, che si rivelò ben presto incurabile. Il fratello Giovanni Battista gli suggerì allora di ricorrere alla Vergine di Verdelais, facendo voto di recarsi ai suoi piedi in pellegrinaggio, qualora fosse stato graziato La guarigione fu così rapida che Guglielmo non esitò a considerarla come miracolosa. Per questa grazia ottenuta da ragazzo, egli avrebbe desiderato più tardi ottenere per la Società di Maria la direzione di detto Santuario, ma non vi riuscì, nonostante le molteplici trattative più volte avviate fino agli ultimi anni della sua vita. 2° = GLI STUDI Per i primi studi, il piccolo Guglielmo fu accolto nel collegio di Mussidan, diretto da una Congregazione diocesana (gli Oblati di S. Carlo), ove si onorava in special modo il mistero dell'Immacolata Concezione di Maria. Qui divenne membro attivo di un gruppo mariano, che si impegnava in una serie di pratiche in onore della Vergine. In questa scuola scoprì che lo sforzo ascetico è ineliminabile e che l’esperienza spirituale non può procedere in completa autonomia, sulla base di un intuito personale ma che è indispensabile una guida spirituale. Appunto sotto la guida del fratello maggiore, Giovanni Battista, ex gesuita, si inoltrò nella lettura della Dottrina spirituale di P. Lallement, dove si insegna la docilità all’azione della grazia e l'imitazione “dei sentimenti di Cristo per ciò che riguarda la devozione a Maria” . E’ di questi anni la realizzazione di un programma di vita spirituale incentrato sulla pratica della “meditazione” personale. Per questo saliva volentieri al Santuario locale della Madonna di Roc: per pregare, per riflettere sui misteri gaudiosi e dolorosi -fra loro strettamente uniti- e venerare la singolare Pietà che rappresenta in un unico gruppo scultoreo i misteri dell’Incarnazione e della Redenzione. E’ molto probabile che il giovane Chaminade, quando studiava teologia a Bordeaux, abbia frequentato la Congregazione Mariana, detta di Santa Colomba, già diretta dai padri Gesuiti, che raggruppava specialmente i giovani provenienti dalla provincia. E’ invece certo che nel seminario di San Sulpizio a Parigi, dove completò i suoi studi teologici e pastorali, trovò un terreno favorevole allo sviluppo della sua pietà mariana. Non è infatti possibile isolare lo Chaminade da quella grande scuola di spiritualità, chiamata appunto Scuola francese, tutta incentrata sulla contemplazione del Verbo incarnato nel grembo della Vergine Maria. Si viveva allora nel clima culturale del Giansenismo, la cui spiritualità proponeva un cammino arduo e severo, minuziosamente tracciato dalle singole scuole. Tra le mura di un seminario sulpiziano non poteva non essere insistente il riferimento a Maria. 3° = LE PRIME ATTIVITÀ Una volta sacerdote, il B. Chaminade diventò professore ed economo del collegio S. Carlo di Mussidan, nonché rettore del Santuario locale della Madonna di Roc. Fu inoltre membro di una fraternità sacerdotale, detta Congregazione degli Oblati di S. Carlo. Le Regole di questo sodalizio contengono alcune indicazioni di pietà mariana e raccomandano la recita di un “Piccolo Ufficio dell’Immacolata”, allora molto diffuso. La convinzione che la Vergine Maria sia stata esente dal peccato originale raggiunse nell’Istituto toni così forti da indurre alcuni docenti e alunni a impegnarsi con tutte le proprie forze, “fino all’effusione del sangue”, nella difesa di tale privilegio mariano. E’ interessante notare che si trattava precisamente di quel “votum sanguinis”, contro cui mosse le sue critiche Ludovico Antonio Muratori. La biografia di Bernardo Dariès, il professore col quale lo Chaminade aveva stabilito un legame di amicizia spirituale, riporta il testo di tale voto, che veniva pronunciato nella cappella del collegio di Mussidan: “Quanto è soave, o mia dolcissima Madre, vivere sempre sotto i tuoi benevoli auspici! Sono felice di aver consacrato a te, dopo che a Gesù Cristo, tutte le mie attività. Quanto a me, incomparabile Maria, altro non desidero che di vivere per dimostrarti il mio amore e la mia gratitudine. Giuro, pertanto, per il tuo onore, nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, di difendere fino alla morte il privilegio della tua Immacolata Concezione. Che questo voto, ispirato dall’affetto che nutro per te, possa esserti gradito. E che tu sia sempre glorificata, o mia tenera Madre” . 4° = DURANTE LA RIVOLUZIONE (1789-1797) Intanto, in una Francia tormentata da una difficile crisi economica e agitata da un basso clero in fermento, si giungeva alla convocazione degli Stati Generali (5 maggio 1789), cui fece seguito, il 12 luglio 1790, la Costituzione civile del Clero, che costituì la prima vera frattura tra sacerdoti e rivoluzionari. La rivoluzione ormai in atto avanzava implacabile, scavando un solco incolmabile tra clero giurato e clero refrattario (contrario cioè alla nuova normativa) fino all’epoca del Terrore, della persecuzione dei preti refrattari, delle esecuzioni capitali e del tentativo controrivoluzionario della Vandea. Alexis de Tocqueville scriveva: “Tra le passioni suscitate da questa rivoluzione, la passione antireligiosa fu la prima ad accendersi e l’ultima a spegnersi”. Il B. Chaminade fece parte di quel clero che, volendo rimanere coerente con la missione della Chiesa e fedele al Papa, rifiutò il giuramento alla Chiesa costituzionale. Nel periodo del Terrore (1793) rimase nascosto in Bordeaux, continuando ad esercitare clandestinamente il ministero sacerdotale a rischio continuo della vita. Sulla base di testimonianze autentiche, i biografi raccontano che, in alcune circostanze, egli godette di una protezione sensibile e miracolosa di Maria. Ecco, i poliziotti irrompono in una casa in cui sta amministrando i sacramenti, ma stranamente non lo vedono...Un bambino molto ingenuamente dirà di aver visto una “bianca Signora” coprirlo con un velo. E’ comunque documentato dalla corrispondenza di questo periodo, che egli effettivamente fu fatto oggetto di una “protezione” speciale da parte della Vergine. Nel suo rifugio il B. Chaminade coraggiosamente teneva una bella statua della Madonna che proveniva da una chiesa dissacrata della città. Quante traversie per portarla a casa! Si era all’inizio della rivoluzione. Fu deciso di camuffare l’immagine e di farle fare il viaggio durante la notte. Ma fu ugualmente bloccata dai poliziotti. Il B. Chaminade, che risultava in Bordeaux privo di nome e di domicilio, riuscì faticosamente, con l’aiuto di qualche amico, a venirne in possesso. 5 ° = L’ESILIO A SARAGOZZA (1797 - 1800) Al prete refrattario, che era passato indenne attraverso le bufere persecutorie, toccò infine l’esilio in Spagna. Tra i tanti luoghi che potevano offrirgli ospitalità, egli scelse la città di Saragozza, il cui nome è indissolubilmente legato alla Madonna del Pilar. Le prime testimonianze storiche sul Santuario del Pilar risalgono al sec. XI°, all’inizio della dominazione araba. Nel 1118, liberata la città, fu promulgata dal Papa una particolare indulgenza, volta a raccogliere i fondi per la ricostruzione dell’antica chiesa. Ma la tradizione popolare risale molto più in là nei secoli, fino a parlare di una visione avuta da S. Giacomo il Maggiore: la Vergine (ancora in vita!) gli sarebbe apparsa sulle rive dell’Ebro, sopra una colonna (“Pilar”) e l’avrebbe incoraggiato a proseguire nell’opera di evangelizzazione della Spagna. Il culto di Nostra Signora del Pilar conobbe una grande diffusione dopo la scoperta dell’America, avvenuta esattamente il giorno della sua festa (12 ottobre 1492).Nel 1958 tale data è stata dichiarata ufficialmente ‘fiesta de la hispanidad’, essendo celebrata da tutti i Paesi di lingua spagnola. Il grandioso Santuario attuale, che racchiude l’antica cappella, è stato costruito a partire dal 1600. L’immagine è una piccola statua della Vergine col bambino in braccio, di fattura gotica. L’attuale catechismo spagnolo, pubblicato dalla Commissione Episcopale, parlando del Santuario del Pilar, ricorda il periodo in cui il B. Chaminade si trattenne in quel luogo e maturò l’aspetto caratteristico della sua vita interiore, ossia l’amore apostolico verso Maria. Il B. Chaminade era convinto che ogni attività avesse bisogno di un supporto spirituale fortissimo, incessantemente alimentato dalla preghiera e dalla riflessione. Il soggiorno di Saragozza fu per lui un tempo provvidenziale di meditazione. Osservando il fenomeno generale di un rinascente paganesimo, egli sognò l’affermarsi di nuove forze che si proponessero di vivere quello stato di santità, che fu proprio della Chiesa degli apostoli e dei martiri. E, come risulta da nuovi documenti, conversando col fratello Luigi, sacerdote anche lui ed esule a Saragozza, sulla base di alcune geniali intuizioni del sac. Bernardo Dariès, accarezzò l’idea di una “Società di Maria”. Una società di tipo nuovo: niente abito, niente chiostro, ma impegno apostolico ad altissimo grado e soprattutto fiducia in Colei che è destinata a schiacciare vittoriosamente la testa dell’Antico Serpente, Satana. Sembra che questo tipo di riflessioni e di progetti abbiano avuto la loro origine in una “visione”, forse colta in “un attimo” di luce miracolosa, che andò via via precisandosi nel suo pensiero. Per quanto riguarda Bernardo Dariès, sappiamo che, dopo la chiusura del San Carlo di Mussidan, nel 1792 prese domicilio a Bayonne, dove scrisse una prima regola di una futura Società di Maria, composta di varie categorie di religiosi i quali, mediante una consacrazione mariana, sarebbero diventati il “popolo della Vergine”. Raggiunse poi la Spagna, e proprio a Saragozza fu al centro di una comunità sacerdotale, un vero gruppo mariano, di cui facevano parte anche Luigi e Guglielmo Chaminade. Il progetto, ulteriormente elaborato, fu in seguito presentato ai Vescovi, ma non ebbe attuazione, poiché sembrava che non potesse reggere al tempo. Il Dariès rese partecipe delle sue idee anche Marcellino Champagnat, il santo fondatore dei Fratelli Maristi. Dopo tre anni di proscrizione, il 20 ottobre 1800, un decreto dei Consoli -precedendo il Concordato tra Pio VII e Napoleone (1801)- autorizza i preti esiliati a rientrare in patria; esso riapre così allo Chaminade la via del ritorno. Napoleone, il nuovo padrone della Francia, in un discorso ai parroci milanesi, aveva tenuto a dire che “resa più saggia dalle sue sventure, la Francia aveva richiamato a sé la fede cattolica”. Bisognava però prendere atto che era tramontata definitivamente la “vecchia cristianità”,cioè tutta l’impalcatura del vecchio mondo cristiano, inteso come ambiente di fede ben compatto, capace di compattare il popolo in strutture coibenti e conservatrici. 6 = IL RITORNO IN PATRIA (autunno 1800) Col proposito “di cominciare a fare qualcosa sul serio per la gloria di Cristo”, il B. Chaminade giurò di fare il sacerdote di Maria, nient’altro che il sacerdote a tempo pieno. Vicario episcopale della diocesi di Bazas, fino a quando non entrò in vigore il Concordato napoleonico (che abolì tale diocesi), aprì poi a Bordeaux l’oratorio di S. Maria Maddalena né mai volle dedicarsi ad una pastorale di tipo parrocchiale, da lui ritenuta poco adatta ad un apostolato missionario. Con una visione semplice e chiarissima, andò maturando qualcosa di più impegnativo nell’ambito dell’associazionismo puro, preferendo riprendere la tradizione mariana dell’antica Congregazione di S. Colomba. Forse alcuni testi della prima edizione della ‘Raccolta di preghiere e di pratiche destinate al culto della purissima Maria’, pubblicata dallo Chaminade nel 1801, provengono da questa associazione. La sua Congregazione, che definì come “milizia santa che avanza nel nome di Maria”, si estese rapidamente accogliendo giovani e adulti provenienti da tutta la regione. In questi anni di intensa creatività, con la sua capacità di ascolto, con la concretezza delle sue decisioni operative e soprattutto con la sua contagiosa comunicativa, egli si rivelò un autentico leader. L’atto di consacrazione che faceva pronunciare ai suoi congregati ricorda un po’ quello di Luigi M. Baudouin, scritto e diffuso in Vandea nel 1798. Era un atto di fede sulle verità rivelate riguardanti Maria, quasi una sintesi della sua “conoscenza” . Sono di questo periodo i quaderni di appunti mariani, detti propriamente “Note di istruzione sulla santa Vergine”. Le frequenti citazioni dei Padri e dei “predicatori” del 17° secolo manifestano nel nostro Autore la volontà di fornire di Maria un insegnamento semplice e stimolante, sulla solida base della tradizione della Chiesa e col supporto di un discreto aggiornamento. Il B. Chaminade dichiarava di essere colpito dai copiosi frutti di vita cristiana che scaturiscono dal cammino mariano proposto dalla Congregazione, frutti che non gli accadeva di vedere altrove. Lo impressionavano le numerose conversioni profonde che trasformavano avversari o indifferenti in apostoli. Lo riempivano di stupore le vocazioni sacerdotali e di speciale consacrazione che fiorivano numerose e il vigoroso impulso alla missionarietà che si andava diffondendo nella regione. 7 = CON ADELE DE TRENQUELLÉON Tutto ciò risulta dal fitto carteggio intercorso tra il B. Chaminade e la ven. Adele de Batz de Trenquelléon, confondatrice delle Figlie di Maria Immacolata. Dal 1805 al 1808 la giovane Adele, già fortemente animata dallo spirito di S. Francesco di Sales, si sforzò di imitare le virtù di Maria e di vivere in unione con Lei i misteri celebrati nel corso dell’anno liturgico. Nel 1808 si realizzò la fusione del gruppo da lei diretto con la Congregazione di Bordeaux, all’insegna di un esplicito sigillo mariano: la piccola società di Adele accettò subito di assumere la pratica dell’amore attuale per Maria, che costituiva l’aspetto distintivo dei congregati bordolesi. In seguito Ella accolse l’introduzione di un testo formativo: il Manuale del servo di Maria. Infine, al centro della vita del gruppo porrà la Consacrazione, alla quale si accedeva dopo un periodo di accurata preparazione. Ma al di là di queste pie pratiche, si avvertì subito una marcia in più nell’attività apostolica della giovane Adele, dopo che ebbe introdotto a tutto campo la Madre di Gesù nella propria vita interiore. Veramente, con Maria si operò in lei una crescita “nella gioia” e nella disponibilità di servizio per la salvezza delle giovani spesso carenti di verità, di certezze e del senso di Dio. E finalmente si innescò in lei quel processo dinamico che conduce a “morire per Cristo”, per rinascere con lui a vita nuova (Gv 12, 24). 8 = UN ISTITUTO SECOLARE La presa di posizione di Napoleone contro le Congregazioni Mariane di Francia -tra il 1809 e il 1814- obbligò anche quelle di Bordeaux alla clandestinità. Sospese le attività ufficiali, i congregati più impegnati continuarono ugualmente a condurre una vita permeata di spirito apostolico secondo le modalità più diverse. Il B. Chaminade mantenne in qualche modo i contatti con loro, cercando di orientarne lo sforzo apostolico e offrendo loro la possibilità di consacrarsi a Dio con voti privati. Ciò gli valse a buon diritto il titolo di precursore degli Istituti secolari, oggi fiorenti nella Chiesa. L’intento da cui scaturì questa esperienza, che ebbe tuttavia un carattere transitorio, fu quello di creare una tappa importante sul cammino della perfetta consacrazione a Maria. I guai di p. Chaminade furono notevoli durante i “100 giorni”(20 marzo-22 giugno 1815). La polizia, poiché riteneva pericolosa per la tranquillità pubblica la sua presenza a Bordeaux, procedette al suo arresto ed alla sua incarcerazione per due giorni (23-24 giugno 1815) nel forte di Hâ. La disfatta di Waterloo (18 giugno 1815), che segnò la fine di Napoleone, permise al B. Chaminade di tornare a Bordeaux, lieto di veder rifiorire le sue Associazioni. In una ulteriore circostanza, si ricorda con simpatia il seguente aneddoto: durante una perquisizione nella casa del B. Chaminade, in un cassetto furono trovate delle medaglie di Maria Immacolata, che vennero subito ritenute come il segno di appartenenza a un gruppo eversivo. Il Beato sorrise e, fatti sedere gli inquirenti, si mise a spiegare loro in tutta tranquillità la dottrina dell’Immacolata Concezione. Essi ascoltarono con una certa impaziente attenzione e infine se ne andarono, non senza averlo rispettosamente ringraziato. 9 = LA SOCIETÀ DI MARIA Intanto il B. Chaminade attendeva che maturassero i tempi per poter finalmente dar vita alle fondazioni religiose concepite a Saragozza. Il gruppo di sacerdoti che, attorno a lui e a Bernardo Dariès, avevano preparato il progetto di una “Società di Maria”, stava dando i suoi frutti. Mentre Dariès non aveva successo, Baudouin fondava nel 1802 una “Società dei Figli di Maria” e i pp. Colin e Champagnat, certamente sotto l’influsso del Dariès, fondavano nel 1816 la loro “Società di Maria”, meglio nota oggi sotto il nome corrente delle due famiglie religiose nelle quali si è divisa: i “Padri Maristi” e “Fratelli Maristi delle S cuole”. Il B. Chaminade, da parte sua, riconosciuto -il 1° maggio 1817, “giorno grandemente memorabile”- il segno dal cielo che attendeva (il giovane congregato Giovanni Battista Lalanne gli chiede di poter fare il suo stesso genere di vita, consacrandosi a Dio ed alla causa di Maria) pose decisamente mano a quella che egli riteneva non opera sua, ma di Maria. Il progetto sarà reso effettivo il 2 ottobre successivo, festa dei SS. Angeli Custodi, quando i primi 5 aspiranti religiosi marianisti cominciarono a vivere in comunità. Il marianista P. Léon Meyer riferisce questa confidenza del Fondatore:”E’ stata la Madonna la fondatrice della Società di Maria; è stata Lei a volerla così com’è”. Pur tra le inevitabili prove e le difficoltà degli inizi, l’istituzione si consolidava e si dilatava in iniziative coraggiose, specialmente nei campi della scuola e dell’associazionismo. Bisognava aver fiducia nei giovani. La latitanza della loro fede era dovuta alla crisi e al disimpegno degli adulti che non pregavano più. Un sacerdote, costatando i benefici risultati ottenuti dall’associazionismo giovanile, scrivendo al B. Chaminade, così si esprime: “Nella Congregazione la gioventù si forma veramente mediante l’invocazione di Maria”. La consacrazione, come itinerario di fedeltà e di configurazione a Cristo, realizzava l’ideale della maternità spirituale di Maria. Per questo il Fondatore consigliava ai suoi religiosi di costituire delle associazioni mariane anche nelle scuole, e chiedeva a P. Fontaine di approntare un “Manuale del servo di Maria” per i giovani alunni. Non c’è da stupirsi se l’eco di questa devozione speciale già nel 1838 si era talmente diffusa da spingere il canonico Aeby di Friburgo (Svizzera) a offrire una scuola alla Società di Maria, preferendola ad altri Istituti, perché “consacrata a Maria”. 10 = LA CONOSCENZA DI MARIA Il motto del B. Chaminade era: “Conoscere, amare e servire Maria per farla conoscere, amare e servire”. Egli proponeva a tutti l’impegno a sviluppare la capacità di comunicare tale conoscenza con gli scritti, la parola e la vita. Era necessario. In un “Dictionnaire Apostolique”, pubblicato in quegli anni, l’autore lamentava l’atteggiamento diffuso “di certi cattolici che a motivo di uno zelo male inteso rinnegavano la devozione mariana” . Tale atteggiamento era piuttosto il frutto della loro ignoranza. Fu precisamente per vincere questa ignoranza che il B. Chaminade scrisse un opuscolo in cui indica le vie della conoscenza della Madre del Signore, aperte all’anima cristiana dalla Grazia. Il fiore della conoscenza di Maria è comunque l’amore comunicativo. E’ sorprendente come egli, all’età di quasi 80 anni, sapesse ancora entusiasmarsi scrivendo di Maria nella Lettera ai predicatori dei ritiri ,datata 24 agosto 1839 (vedi il testo completo in Appendice) o leggendo i libri di S. Alfonso M. de’ Liguori, che venivano solo allora pubblicati in Francia. .Nelle difficoltà, il B. Chaminade confessava di non avere “altra politica” all’infuori di quella di ricorrere all’intercessione di Maria. Uomo di riflessione e di profonda preghiera qual era, soleva riflettere sulla visibile concretezza e l’invisibile profondità della figura della Vergine, ponte tra le realtà terrestri e le verità divine, che rivela la presenza dell’Eterno nella storia, proprio nell’istante in cui la salvezza entra nel mondo per mezzo della fede.. “E’quanto non smetto di ammirare da un po’ di tempo, da troppo poco tempo...” 11 = GLI ULTIMI ANNI Il Fondatore manifestò le più vive espressioni di una fervida pietà mariana quando conobbe il dolore della contestazione ad opera dei suoi discepoli della prima ora. C’è un gesto che esprime tutta la sua fede nella potenza di Maria: quando si recava nel Noviziato di S. Anna, soleva fermarsi presso la statua dell’Immacolata, collocata in fondo ad un lungo viale del giardino e, posando la mano sulla testa del serpente, così esclamava: “Ti ha schiacciato la testa e te la schiaccerà sempre!”. Ebbe pure modo di iscriversi a una associazione dell’amore attuale di Maria, associazione che si proponeva di mantenere vivo il ricordo della Vergine lungo tutto il corso della giornata, mediante l’impegno degli iscritti a ricordarla ciascuno ad un’ora determinata. Il B. Chaminade si impegnò per ben quattro ore pomeridiane. E’ interessante notare la fede che trabocca in una circolare del 1844, recante la data del 12 ottobre, festa della Madonna del Pilar: “Vi parlo, miei cari figli, come un vecchio padre di una famiglia numerosa che vede approssimarsi la morte e che non vorrebbe morire senza vedervi tutti, ben uniti, camminare a grandi passi verso le mete che il Verbo Incarnato si è proposto nel fondare la Società di Maria. Sono grandi queste mete e tali da accrescere il culto della sua augusta Madre, per la cui mediazione Dio vuole sostenere la fede e la religione negli ultimi secoli della Chiesa cattolica”. A 85 anni faceva sapere all’Arcivescovo di Bordeaux: “Adempirò volentieri un voto che vorrete fare alla Madonna di Verdelais per la vostra guarigione E’ da tempo che penso di recarmici per ringraziarla … e fare al Santuario un offerta secondo le mie possibilità. Così ho fatto ad Agen, per una questione importantissima, risolta la quale, mi sono recato a ringraziare la Madonna di Bonnencontre” Cinquant’anni prima, a Saragozza, aveva fatto qualcosa di simile, per ottenere la guarigione di Teresa de Lamourous, alla quale scriveva: ”Sto preparando due mazzi di fiori -uno per me ed uno per voi- da offrire alla Vergine nel giorno della sua festa più prossima”. Nel 1849, stilando il suo testamento a favore dei poveri di Bordeaux, non mancò, di fare un delicato riferimento alla Vergine Maria: era l’ultimo. Il P. Cheveaux, terzo superiore generale della Società di Maria dirà di lui: “Ha contribuito tanto alla gloria di Maria”. E i suoi religiosi ricordavano sempre quanto era solito ripetere: “Da molto tempo non vivo e non respiro che per diffondere l’amore ed il culto di Maria”.
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C H A M I N A D E il rivoluzionario innamorato di Maria
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1° = “MICETTO”, UN RAGAZZO SVEGLIO A Périgueux, nella provincia del Périgord - Francia meridionale - allora non più florida come un tempo, Biagio Chaminade, era maestro vetraio e Caterina Béthon era figlia di un negoziante di stoffe. Quando si sposarono, lui cambiò mestiere e prese a lavorare con il suocero. Erano dunque appartenenti al ceto dei piccoli commercianti, buoni cristiani entrambi, pur nel dilagare delle idee dell’Illuminismo. L’8 aprile 1761, nacque loro il 14° e ultimo figlio, che al battesimo amministratogli lo stesso giorno, essi chiamarono Guglielmo. In casa, fu subito “Micetto”. Dei tredici nati, solo sei sopravvissero e quattro saranno chiamati a consacrarsi a Dio. La mamma si preoccupò di avviarli tutti a vivere un’intensa vita cristiana, attraverso le vicende umili, liete o tristi di ogni giorno. Un giorno il piccolo Guglielmo, come capita a tutti i bambini, faceva i capricci per lasciarsi lavare e pettinare. La mamma allora, ricorrendo alla saggezza popolare, uscì col proverbio: "Chi bello vuole apparire, un poco deve soffrire". Un’altra volta, il bambino si era dimenticato di ringraziare per un dono ricevuto: “Sembra che per te valga ben poco quello che ti è stato regalato”! - commentò la sua mamma. 'Micetto' imparò la lezione del sacrificio e del dovere della gratitudine. La mamma lo conduceva con sé in chiesa: Guglielmo osservava tutto con attenzione, indugiava presso l’altare, seguiva la S. Messa, felice di stringersi alla mamma, quando ella aveva ricevuto Gesù nell’Eucarestia, per sentirsi più vicino a Lui. Allo stesso modo, imparò a pregare e ad affidarsi con fiducia alla Madonna che sarà, con Gesù, la passione più grande della sua esistenza. “Ho sentito raccontare spesso - dirà Ippolito Hérail - che egli aveva ricevuto da sua madre una devozione filiale verso Maria: questa devozione, tenera e forte, fu l’anima della sua pietà, l’oggetto del suo apostolato e il suo strumento preferito per conquistare le anime”. Assai presto Guglielmo si preparò alla Cresima: quel giorno, al suo nome di battesimo, aggiunse quello di Giuseppe, per la sua devozione allo sposo di Maria, S. Giuseppe: con questo nome sarà solito firmarsi. Non era stato forse S. Giuseppe il primo “servo” della redenzione del Cristo, il primo “devotissimo” di Maria? Frequentò il corso elementare alla scuola parrocchiale di Périgueux, poi passò al Collegio 'S. Carlo' di Mussidan, sorto nel 1744, dove già studiava un fratello più grande, Luigi Saverio. Il collegio era tenuto dai sacerdoti Oblati della Congregazione di S. Carlo, e lì Guglielmo Giuseppe ricevette la prima Comunione, a 12 anni, e forse sentì per la prima volta il desiderio di diventare anche lui sacerdote.
2° = MIRACOLOSAMENTE GUARITO.....
Era soltanto un ragazzo, ma un’attrattiva singolare verso Gesù eucaristico già lo portava a passare lunghe ore in preghiera, inginocchiato e immobile come una statua, davanti al Tabernacolo: Gesù lo attirava come una calamita attira il ferro e da Lui sembrava, nonostante la giovanissima età, non distaccarsi più. Vivace, allegro, pieno di vita, gli piacevano pure le ricreazioni, i giochi rumorosi, le scampagnate. Durante una passeggiata, mentre insieme ad alcuni compagni giocava presso una cava di pietre abbandonata, G. Giuseppe fu colpito alla caviglia da una grossa pietra staccatasi dalla parete rocciosa. La ferita si rivelò piuttosto grave e difficilissima a guarire. Anzi non guariva affatto. Vistosi a mal partito e nel rischio di dover rinunciare alla vocazione sacerdotale, che ormai aveva manifestato, il ragazzo, consigliato dalla sua guida spirituale -che era il suo fratello maggiore, padre Giambattista- si rivolse alla Madonna con un voto: se fosse guarito bene, si sarebbero recati insieme in pellegrinaggio, a piedi, al Santuario della Madonna di Verdelais... Tra lo stupore dei medici, dei compagni e dei superiori del Collegio, guarì così rapidamente che si dovette pensare ad un vero intervento miracoloso della Madonna. L’indomani della guarigione, si recò, in effetti, col fratello Giambattista a sciogliere il voto al santuario della Madonna di Verdelais, percorrendo a piedi gli oltre 80 Km. di strada che lo separano da Mussidan. Al ritorno, riprese sicuro il cammino verso la meta dell’altare. Il suo amore alla Madonna crebbe a dismisura. Del resto, nel collegio di Mussidan il clima di attaccamento a Maria era assai intenso, animato proprio dal p. Giovanni Battista Chaminade, che si era formato nell’ambiente delle “congregazioni mariane” giovanili dei Gesuiti, e, come già abbiamo detto, era il direttore spirituale dei suoi due fratelli, Guglielmo Giuseppe e Luigi Saverio. Un giorno, G. Giuseppe, appartatosi, come soleva, in cappella a pregare, intuì che Dio voleva da lui subito qualcosa di grande. Andò a parlare con il suo consigliere - il p. Giovanni Battista - e con il suo consenso, a soli 14 anni, offrì a Dio i voti privati di castità, obbedienza e povertà. Era la sua prima consacrazione totale a Dio, la scelta, non solo del sacerdozio, ma della vita religiosa. “Quei primi voti - dirà - mi impegnavano solamente con Dio, perché non sapevo ancora in quale Ordine sarei potuto entrare”. La Congregazione di S. Carlo, che gestiva il collegio di Mussidan, era soltanto un’associazione sacerdotale diocesana e non un Ordine religioso. Per il momento, egli restava al suo posto, continuando la sua ascesa al sacerdozio, con impegno negli studi, nella preghiera, con il suo entusiasmo per Cristo, sostenuto dalla sua affezione sempre più grande alla Madre sua.
3. = SACERDOTE APPASSIONATO
Nel 1777, a soli 16 anni, G. Giuseppe con il fratello Luigi, vestì l’abito ecclesiastico e intraprese gli studi teologici. Ma, mentre il fratello Luigi ebbe modo di frequentare l'Università di Bordeaux- dove conobbe il padre Lacroix, fervente apostolo dei giovani studenti della città e potè essere da lui indirizzato alle prime esperienze pastorali, venendo a contatto con la Congregazione mariana che operava assai proficuamente sui giovani nell'ambito della parrocchia di S. Colomba- G. Giuseppe rimase a Mussidan, salvo due soggiorni a Parigi, presso il Seminario di S. Sulpizio, per una preparazione più accurata ed immediata in vista degli Ordini maggiori. Lì ebbero una guida autorevole nel padre Psalmon, futuro martire della violenza dei giacobini, durante la Rivoluzione, e “beato”. Nonostante le difficoltà del momento, gli spostamenti, le incertezze di un Paese, come la Francia, ormai sull’orlo dell’abisso, G. Giuseppe si dedicò seriamente agli studi di teologia, alla preghiera assidua, formando in sé l’uomo di Dio. Nella sua vita, ormai, c’era proprio Gesù solo ed egli, tutto quello che faceva e progettava, lo offriva a Lui, animato soltanto dalla fede e dall’amore. Sarà così per sempre: solo la fede dovrà guidarlo e sostenerlo, in ogni frangente dell’esistenza, in ogni scelta per sé, in ogni decisione o consiglio per gli altri. Nel maggio del 1785, con il fratello Luigi, G. Giuseppe, a 24 anni veniva ordinato sacerdote. Era l’inizio di una singolare lunga avventura sacerdotale, densa di umile apostolato, di rischi e di imprevisti, di sofferenze e di opere, così da stupire e quasi da far pensare a un romanzo: un romanzo di amore. L’anno dopo, 1786, i tre Chaminade si ritrovarono insieme al collegio S. Carlo, a Mussidan: p. Giovanni Battista come superiore, p. Luigi Saverio come prefetto degli studi (preside), e p. Guglielmo Giuseppe come economo. Insieme, come in una triplice alleanza, fecero rifiorire l’Istituto dotandolo di una bella cappella e di una piccola fabbrica di porcellane per assicurarne i mezzi di sussistenza. Presto furono conosciuti come “i tre santi” e grazie a loro, il Collegio si fece assai fiorente. P. G. Giuseppe, intanto si poneva alla ricerca di un Ordine religioso, in cui potesse realizzare il suo desiderio intenso di consacrazione a Dio. Ma, nei luoghi dove si recava per rendersi conto di persona pensando di iniziare un nuovo cammino, restava deluso per la mancanza di fervore che veniva notando. Rimase a Mussidan in attesa di quanto la Provvidenza di Dio gli avesse rivelato, impegnandosi a fondo, come sacerdote appassionato e zelante. Ma all’orizzonte, si addensava, anzi stava per scoppiare la bufera: da un capo all’altro della Francia - meglio potremmo dire dell’Europa - scrittori, pubblicisti, politici, mestatori, in una parola “gli intellettuali”, animati dalla massoneria, finalmente (a sentire loro), avevano acceso “i lumi della ragione”(ecco l’Illuminismo) e soffiavano sul fuoco per una rivoluzione che avrebbe dovuto cambiare il volto al pianeta. Tra tutti costoro, si era distinto un certo Voltaire, che aveva scritto “Ecrasez l’infame” (=“Schiacciate l’infame!”): l’infame era la Chiesa Cattolica. “Io sono stanco di sentir dire - affermava Voltaire - che 12 uomini, gli apostoli di quel Nazareno crocifisso a Gerusalemme, da soli conquistarono il mondo al loro Cristo. Se anche fosse così, un uomo solo distruggerà il Cattolicesimo”. Ma non calcolava, Voltaire, che anche al suo tempo, Dio avrebbe suscitato migliaia, anzi milioni di uomini simili a quei “dodici”, capaci, con la sua grazia, di una nuova pacifica conquista del mondo a Gesù. Tra questi, proprio il venticinquenne padre G. Giuseppe Chaminade.
4° = APOSTOLO, DURANTE LA RIVOLUZIONE
Per l’inizio del maggio 1789, furono convocati dal re a Parigi gli "Stati Generali” per quel cambiamento della Francia, che si sarebbe presto visto nella sua realtà sanguinaria e persecutoria contro la Chiesa e contro l’uomo. Ognuno dei tre “Stati” - nobiltà, clero, e borghesia - doveva nominare i suoi rappresentanti. Il 24 marzo 1789, p. G. Giuseppe partecipò all’elezione dei rappresentanti del clero per la sua provincia. Radunati gli “Stati Generali” il 5 maggio 1789, fu subito evidente l’indirizzo anticristiano degli “uomini della rivoluzione” con la persecuzione che di fatto scatenarono contro la Chiesa, a cominciare dal clero. Nel gennaio 1790, mentre la Francia era ormai in ebollizione, si spense improvvisamente, subito dopo aver celebrato la Messa, il p. Giambattista Chaminade, fratello maggiore di Giuseppe, il quale, di colpo, si trovò privo del suo migliore appoggio. La situazione si faceva sempre più difficile per il clero e per i credenti. Padre G. Giuseppe si trasferì a Bordeaux, prendendo domicilio ufficialmente presso la famiglia Chagne, dove sarebbe rimasto durante la rivoluzione. Nel luglio 1790, “l’Assemblea Nazionale”, dominata da illuministi, atei e massoni, approvò la “Costituzione Civile del Clero”, per cui i sacerdoti avrebbero dovuto giurare fedeltà alla “Costituzione Repubblicana”; questo gesto significava la rottura con la Chiesa, la separazione dall’obbedienza al Papa. Pochissimi preti giurarono e la stragrande maggioranza di essi rimase fedele a Roma. La quasi totalità dei fedeli, rifiutò persino di entrare nelle chiese dei preti “giurati”. Per questo, ci saranno preti e religiosi incarcerati, torturati, uccisi; intere popolazioni di credenti- insorti in difesa della fede e della loro libertà di coscienza- sterminate come nella Vandea, dove avvenne il primo genocidio dell’età contemporanea, proprio ad opera di quei 'democratici' che a parole avevano proposto come programma “libertà, uguaglianza e fraternità”. Nel 1793-94, con Robespierre, si scatenò “il terrore” che mandò alla ghigliottina non solo i preti “refrattari” (cioè non 'giurati') e i semplici fedeli cattolici, ma pure scienziati credenti come Lavoisier e poeti come Andrea Chénier. Una vera vergogna per la storia europea. Padre G. Giuseppe, tra i più decisi “refrattari”, non si lasciò intimorire: sentiva che occorreva restare sulla breccia, sfidando la morte ad ogni ora, per sostenere la fede dei confratelli nel sacerdozio e del popolo cristiano, senza abbandonare di un passo la sua posizione di sacerdote di Cristo. A San Lorenzo, presso Bordeaux, si procurò una casa e chiamò ad abitarvi i suoi anziani genitori, mantenendo però il domicilio presso gli Chagne: sarebbero giovati l’una e l’altro, nei giorni tristissimi, facili ormai a prevedersi. Era il 1792 e le cose davvero volgevano al peggio: occorrevano lucidità, coraggio, ottimismo, fede indomita in Gesù, Dio e Signore della storia e dell’universo, per non arrendersi e alimentare la fede e la vita cristiana di tanti credenti, per non perdere la speranza. Quando i preti che non avevano giurato, furono espulsi dalla Francia, mentre i suoi fratelli se ne andarono -Biagio, francescano cappuccino, a Roma e Luigi Saverio in Spagna- lui rimase come clandestino nella sua casa a San Lorenzo, in campagna, per esercitare il ministero sacerdotale, rischiando la pelle ogni giorno. Si vestì secondo le necessità da contadino, da operaio, da stagnino, da venditore ambulante, ma l’abito rozzo non consentì mai a chi lo conosceva di dimenticare che “quello” era un ottimo prete al quale si poteva ricorrere in ogni evenienza. In un clima simile a quello del tempo delle catacombe, se non peggiore, in cui i primi cristiani vissero e diffusero il Vangelo, egli si fece apostolo e missionario intrepido, inarrestabile, con la preghiera e la penitenza, con la Messa celebrata nelle case private, nelle cantine e nei nascondigli, con la vicinanza ai piccoli e ai malati, a tutti quelli che erano in pericolo per la loro fede, con la guida spirituale, con il ministero delle confessioni, come migliaia e migliaia di altri preti francesi, che non cedettero di un palmo, aiutati da meravigliose figure di credenti.
5°- TRA LA MORTE E LA VITA
A Bordeaux, i pieni poteri furono assunti, dal 1793 al 1794, da M. A. Jullien, un emissario di Robespierre: centinaia di cittadini “sospetti” al potere, furono giustiziati, pur essendo innocenti da ogni colpa. Le sue guardie presero subito a cercare il prete di Saint-Laurent, come dei levrieri. Spesso facevano improvvisa irruzione nella sua “tenuta”, ma qualcuno, rimasto di vedetta, riusciva sempre a nasconderlo e a dire a quelli che il prete non c’era, dandogli la possibilità di scappare. Durante i giorni tremendi del Terrore, capitava di vedere per le strade di Bordeaux un operaio con abiti rattoppati, che, girando con un paiolo in testa, si fermava sotto le finestre delle case, gridando: “Stagnaro, stagnaro!”. Era padre Chaminade che si recava nelle famiglie ad esercitare il suo ministero. Altre volte entrava nelle case, fingendosi venditore ambulante, subito attorniato da ragazzi istruiti dalle loro mamme ad accogliere il prete sotto quelle sembianze. Fuori restavano alcuni, a sorvegliare se vi fossero pericoli imminenti, pronti a farlo scappare. Un giorno, mentre si recava in una famiglia, travestito da calderaio, per assistervi un morente, un gruppo di rivoluzionari lo fermarono e gli domandarono: “Cittadino, hai forse visto il pretaccio Chaminade?”. Egli allora, senza scomporsi: “Sì, è passato proprio adesso per quella strada” -rispose, indicando il cammino che aveva appena percorso- “ se correte potrete raggiungerlo”. Lui continuò a gridare più forte di prima: “Stagnaro!”. Un’altra volta, a San Lorenzo, era appena tornato da una sua “spedizione”: i cani si misero ad abbaiare, annunziando l’arrivo di estranei. La donna di servizio, che stava lavando, ribaltò il grosso mastello sul suo padrone. Sopraggiunti gli sbirri della rivoluzione si misero a perquisire la casa. Non avendo trovato alcuno, la donna li invitò ad accettare un bicchiere di vino. Quelli brindarono alla salute della repubblica, appoggiando bottiglia e bicchieri sulla tinozza ribaltata... sotto cui stava il prete ricercato! Per mesi e mesi, padre G. Giuseppe visse così: con notevole sangue freddo, confidando nell’aiuto di Dio e della Madonna, preoccupato soltanto di essere sacerdote, a servizio di Dio e della Chiesa, della gente più umile che aveva bisogno di coraggio, di fede, dei Sacramenti, in primo luogo della Confessione e dell’Eucarestia. Non venne meno neppure quando -quasi ogni giorno, durante i suoi tragitti di ministero sacerdotale, mimetizzato- si imbatteva nella carretta che trasportava preti o altre povere vittime, alla ghigliottina eretta sulla piazza centrale della città. Era consapevole di vivere una nuova 'era dei martiri', come al tempo dei primi cristiani nella Chiesa delle origini. Occorreva avere e ritrovar ogni giorno il loro coraggio, il gusto della missione, come i primi apostoli. La morte ebbe a sfiorarlo spesso, ma fu evidente a lui e a molti che Dio lo proteggeva. Come quella volta che, inseguito dagli sbirri, riparò in una casa e si sedette vicino ad un bambino, fingendosi di essere un membro della famiglia, riunita attorno al camino. Gli inseguitori lo raggiunsero, ma non si avvidero che lui era lì... Quando se ne andarono, il bambino riferì alla mamma che non potevano vederlo perché in quel momento una bella Signora aveva coperto con il suo manto il sacerdote seduto vicino a lui.
6°- ESULE A SARAGOZZA
Nell’estate del 1794, anche Robespierre finì sulla ghigliottina. A Bordeaux Lacombe fu giustiziato e il comitato militare sciolto. Il 21 febbraio 1795, la Convenzione permise un qualche libero esercizio del culto. P. Chaminade prese a dedicarsi apertamente al suo ministero: aprì una cappella dove accoglieva i fedeli per la predicazione e la celebrazione della Messa, per le confessioni, per prendersi cura in primo luogo dei ragazzi e dei giovani. L’Arcivescovo di Bordeaux gli diede anche il delicatissimo incarico di accogliere e riconciliare con la Chiesa i preti che, per debolezza o per paura, avevano giurato fedeltà alla 'Costituzione Civile del Clero'. Così p. Chaminade, “penitenziere maggiore della diocesi”, con bontà, prudenza e fermezza, riportò alla Chiesa più di cento sacerdoti. Ma la relativa libertà durò poco. Nell’autunno 1795, il governo ripristinò le norme della persecuzione, con la differenza che ora non si trattava più di ghigliottina, ma di deportazione ai lavori forzati in Guienna per i preti “refrattari”. P. G. Giuseppe ritornò clandestino, ma ormai era troppo conosciuto, per cui di lì a poco fu arrestato sotto la falsa accusa di essersi rifugiato all’estero negli anni precedenti. Nonostante le sue proteste, nel 1797 fu condannato all’esilio. Allora scelse di emigrare in Spagna, dove già si erano rifugiati diversi preti francesi, anch'essi esuli dalla patria, tra i quali suo fratello Luigi. Per la intensa devozione che li legava alla Madonna, decisero di trasferirsi insieme a Saragozza, presso il famoso santuario di “Nostra Signora del Pilar” dove, secondo un’antichissima tradizione, la Madre di Gesù, ancora in vita, sarebbe apparsa all’apostolo S. Giacomo ('Santiago' per gli spagnoli), per incoraggiarlo nella sua difficile missione tra i pagani. Accompagnato dal giovane sacerdote Giuseppe Bouet, giunse al Santuario la sera dell’11 ottobre 1797, vigilia della solenne festa della 'Pilarica'. Lì, assieme al fratello Luigi Saverio, che stava ad Orense e lo raggiunse poco dopo, avrebbe atteso “ai piedi della Madonna” la fine dell’esilio. Per guadagnarsi da vivere, diventò modellatore di statuette, ma la maggior parte del suo tempo lo dedicava alla meditazione e alla preghiera, inginocchiato davanti all’immagine miracolosa della Madonna del Pilar. Proprio in quei colloqui intensi, Maria Santissima gli fece intravedere la sua futura missione, le opere che era chiamato a fondare, per la gloria a Dio e la salvezza di tanti fratelli, che la rivoluzione aveva traviato. A Maria egli portava la sua fede personale intrepida e un appassionato amore per Lei - doni che si erano rafforzati nella esperienza missionaria, durissima ed esaltante sotto “il Terrore”- il desiderio, condiviso con altri confratelli esuli in Spagna e in quella città, di poter rientrare presto in Francia per ri-cristianizzare la patria, caduta nel materialismo e devastata dai senza-Dio. La Madonna, al Pilar, lo illuminò chiaramente sul progetto che Dio da sempre aveva predisposto per lui: “Figli miei - dirà in seguito ai suoi “figli” - come siete qui ora, vi ho già visti, come in un batter d’occhio molti anni fa”. Uno dei suoi primi discepoli, il p. Giorgio G. Caillet (1790-1874), scriverà: “Fu proprio a Saragozza che il suo intenso amore per Maria si fece ancora più profondo, crescendo a dismisura... In quel luogo, per divina ispirazione, egli concepì il progetto che, poi tornato in patria, avrebbe attuato con tanto successo: quello di dare inizio alle associazioni laicali in onore della Regina del cielo e in seguito a un Ordine Religioso che fosse a Lei particolarmente consacrato”. Con queste “associazioni laicali mariane” e con l’Ordine Religioso che avrebbe fondato, p. Chaminade, sotto la guida e con l’aiuto di Maria, avrebbe rievangelizzato la gioventù, le famiglie, la società, la Francia intera. Nel medesimo tempo a Saragozza, egli studiava le regole di diversi Ordini Religiosi, mosso dalla convinzione che solo dei veri consacrati a Dio avrebbero potuto riportare Cristo nella società. Era colpito specialmente dal silenzio e dal fervore dei monaci della Trappa di S. Susanna, al confine tra l' Aragona e la Catalogna, ma intuiva che il suo posto non era “sul monte” bensì per le strade del mondo, con l’amore e l’azione stessa di Gesù. Frequentava altresì le riunioni dei preti francesi esuli, che progettavano il modo con cui avrebbero rievangelizzato la Francia, una volta ritornati in patria. A quegli incontri lo aveva orientato l' arcivescovo di Auch- mons. Luigi Apollinare de La Tour du Pin Montauban- pur esso esiliato; egli inviava ai suoi sacerdoti lettere pastorali in cui si richiamava continuamente alla Chiesa delle origini, al coraggio dei primi testimoni e missionari della fede. A lui, al vescovo di Tarbes - mons. Francesco Montagnac- e al loro comune vicario general -Tommaso Casteran- padre G. Giuseppe si sentì legato non solo da santa amicizia e stima reciproca, ma dalla condivisione dei medesimi ideali di apostolato missionario.
7° - L’ORA DEL RITORNO
Dalla Francia intanto giungevano notizie tristissime: ancora la persecuzione contro la Chiesa, la morte del papa Pio VI, in esilio a Valence, le vittorie di Napoleone in Italia, la sua campagna d’Egitto, il discredito del “Direttorio” davanti alla nazione, la stanchezza di un clima di violenza che non poteva più durare e finalmente un certo desiderio di pace religiosa, con l’ascesa al potere di Napoleone, nel 1799. Un giorno d’autunno del 1800, arrivò la fausta notizia che il primo console, Napoleone, concedeva ai francesi la libertà religiosa. Non gli importava tanto la religione quanto assicurarsi tranquillità per il suo potere e stabilirvisi con sicurezza. Padre G. Giuseppe Chaminade - con il fratello p. Luigi - rientrò a Bordeaux: l’attendeva un lavoro enorme per far fronte alle rovine causate dalla Rivoluzione e per di più mancavano i sacerdoti e i mezzi materiali. Che fare? Riprese il suo incarico di Penitenziere: regolarizzava la posizione di preti 'giurati' e i matrimoni contratti davanti ai funzionari del Governo rivoluzionario. Al momento di rientrare in patria, l'Arcivescovo di Auch -pur al corrente dei suoi progetti apostolici- gli affidò l’amministrazione della diocesi di Bazas, rimasta senza Vescovo dal 1791. Accettò solo quando fu rassicurato che l’incarico era provvisorio e, in cambio, chiese all’Arcivescovo di ottenergli dalla Santa Sede il titolo di “Missionario Apostolico”, che gli avrebbe consentito di agire su tutto il territorio della Francia. In seguito al Concordato tra il governo di Napoleone e il papa Pio VII° (16 luglio 1801), il numero delle Diocesi venne ridotto e a Bordeaux arrivò il nuovo arcivescovo, mons. D’Aviau. Compiuto per la diocesi di Bazas quanto gli era stato possibile, padre Chaminade rassegnò le dimissioni da quell’incarico nelle mani del nuovo Arcivescovo, per dedicarsi completamente alla missione che, per ispirazione della Madonna, ormai credeva essere la sua.
8° -LA ”CONGREGAZIONE MARIANA”
Al centro del suo interesse c’era prima di tutto la gioventù da riportare a Cristo, per mezzo di Maria, la “via regale” dell’evangelizzazione, la medesima via scelta da Dio per farsi uomo su questa terra. Fin dal novembre 1800, aveva preso in affitto il terzo piano di una casa, al centro della città di Bordeaux: la camera più ampia diventò cappella, dove lui celebrava ogni domenica la Messa e intratteneva i fedeli con dense istruzioni catechistiche. In una di quelle domeniche, scoprì tra i presenti due giovani che ascoltavano con particolare interesse le sue parole. Li chiamò in disparte e domandò loro di diventare suoi amici e collaboratori per una grande opera di bene. Quelli accettarono, entusiasti e promisero di tornare la domenica successiva conducendo con sé ciascuno un altro compagno. La domenica seguente erano in quattro, che poi diventarono otto, poi dodici. L’8 dicembre 1800, festa dell’Immacolata, il Padre già proponeva di fondare una “Congregazione Mariana” laicale. Il 2 febbraio 1801, i primi dodici “congregati” si consacrarono pubblicamente alla Madonna, giurando così: “Io, servitore di Dio e figlio della Chiesa Cattolica, apostolica e romana, mi dono e mi dedico al culto dell’Immacolata Concezione della Santissima vergine Maria. prometto di onorarla e di farla onorare, per quel che dipenderà da me, come madre della gioventù. Così Dio e i suoi Santi Vangeli mi siano di aiuto”. Nel corso dell’anno, diventarono rapidamente un centinaio. Ciò visto con soddisfazione, l’Arcivescovo offrì a p. Chaminade la chiesa spaziosa e bella dedicata a S. Maria Maddalena, affinché diventasse il centro della Congregazione. Rapidamente essa ebbe centinaia di soci che il Padre, con notevole talento organizzativo, suddivise in diverse sezioni: padri e madri di famiglia, fanciulli, giovani e ragazze dai 17 anni in su, ognuno animato da impegno di vivere intensamente la vita cristiana e di farsi apostolo in mezzo agli altri, con un vero piano di conquista spirituale a Cristo. Il Padre diede loro questo programma: “Nelle Congregazioni del passato si mirava soprattutto alla perseveranza dei buoni cristiani sulla via del bene, mediante la reciproca edificazione; ma in questo nostro tempo di mutamenti, la Chiesa esige ben altro dai suoi figli: essa vuole che tutti, di comune accordo, assecondino lo zelo dei suoi ministri e diretti dalla loro prudenza, si adoperino fattivamente per una felice ripresa della vita cristiana”. Egli voleva formare degli apostoli, sia tra i laici che tra i sacerdoti - nei diversi ambienti di vita e di lavoro e per questo chiedeva che essi fossero prima dei veri uomini e donne di fede, offrendo loro la possibilità di istruirsi a fondo nella religione, per mezzo di letture, studi, lezioni collettive, conferenze. Dovevano essere sale e lievito, meglio ancora, luce del mondo. Occorreva pertanto che fossero traboccanti della luce di Cristo. Ogni settimana i “congregati’ si radunavano per un incontro a piccoli gruppi. Partecipavano poi periodicamente ad adunanze generali di carattere religioso. Ogni domenica sera, il Padre teneva un’assemblea pubblica, aperta a tutti, durante la quale uno dei sacerdoti presenti o uno dei giovani teneva una conferenza, spesso in forma di dialogo, su diversi argomenti: difesa della fede cattolica, questioni di morale e di vita cristiana, storia della Chiesa, attualità confrontata alla luce del Vangelo. I membri erano uniti da una vivissima devozione alla Vergine Immacolata, contemplata nella sua collaborazione all’opera della Redenzione di Gesù, di vittoria sul diavolo e sulle forze del male: Maria come “corredentrice” accanto all’unico Redentore, Gesù, da Betlemme e Nazareth fino al Calvario, alla Pentecoste e alla Chiesa nascente. Come Maria ha portato Gesù al mondo e forma Gesù nei credenti in Lui, così i membri della “Congregazione Mariana”, sul suo esempio e sotto la sua guida, avrebbero portato Gesù alla società scristianizzata del tempo. Così p. Chaminade definiva la Congregazione: “Una comunità di cristiani ferventi i quali -ad imitazione dei credenti della Chiesa primitiva, si ritrovano frequentemente insieme nell’intento di formare un’unica famiglia; non solo perché figli dell’unico Dio, fratelli di Gesù Cristo e membra vive del Suo corpo, che è la Chiesa, ma anche perché figli di Maria, votati in specialissimo modo al suo culto e alla confessione esplicita del privilegio della sua Immacolata Concezione. Le regole, le pratiche, i doveri generali e particolari sui quali si regge la Congregazione in quanto società organizzata e soprattutto lo spirito di intenso apostolato che deve animare tutti e ciascuno, sono esigenze intimamente legate alla sua speciale consacrazione alla Vergine Immacolata”. Da Maria, dunque, discendeva tutto un programma di vita e di azione. Maria è per lui e per i suoi il più alto e affascinante modello di santità e di apostolato per i giovani e per ogni ceto di persone.
9° - MISSIONARI
All’inizio del 1802, i membri - contando solo i maschi - erano più di cento. Il 25 marzo 1801 era nato il ramo femminile, grazie a Maria Teresa De Lamourous, diretta dal Padre, con altre otto ragazze tra i 16 e i 24 anni: in un anno arrivarono a più di sessanta. Il giorno di Natale 1802, nacque il ramo maschile degli adulti comprendente commercianti, medici, impiegati, operai, avvocati, contadini... e si chiamò “Congregazione dei padri di famiglia”, destinati a crescere con il medesimo stile. Nel 1803, aveva pure preso corpo il ramo femminile adulto con il nome di 'Congregazione delle Dame del ritiro'. In tre anni p. Chaminade aveva creato un movimento di più di 500 persone di ogni età e condizione. L’intento era bello e grande: rievangelizzare la Francia: “Sapendo che pregiudizi e ignoranza pesano molto sull’atteggiamento dei giovani nei riguardi del Cristianesimo, la Congregazione cercava in tutti i modi di attirare a sé e ad accogliere anche coloro che erano lontani da ogni pratica religiosa” (J. Verrier), una fede presa molto sul serio, vissuta, diffusa. Un apostolato intenso con molte valide iniziative; “Non siamo - spiegava il Padre - solo delle pie associazioni, in onore di Maria, ma piuttosto una schiera ben compaginata di laici militanti al servizio e sotto la guida di Colei che, oggi come sempre, deve schiacciare il capo a Satana, il Nemico infernale”. Mossi da vera carità cristiana, i “congregati” diffusero la buona stampa, si impegnarono a visitare le famiglie più povere e i carcerati, portando loro aiuto materiale e spirituale; organizzarono turni di assistenza ai malati, scuole serali per i bisognosi di istruzione, una sorta di ufficio di collocamento per i disoccupati, sale di lettura e di ritrovo, esercizi spirituali annuali in preparazione alla festa dell’Immacolata... Nell’ambito stesso della “Congregazione Mariana” padre Chaminade diede vita così agli “Amici cristiani”, agli “Amici della Sapienza”, all’ “Opera della Buona Stampa”, una trentina di istituzioni. Si ebbero presto figure di laici cattolici di intensa vita spirituale e impegno apostolico e numerose vocazioni alla vita religiosa e al sacerdozio. Rivolgendosi alla gioventù più bisognosa di cure, p. Chaminade ed i suoi discepoli predilessero in special modo i fanciulli che, discendendo dalle montagne dell’Alvernia, giungevano a Bordeaux per fare gli spazzacamini, per guadagnarsi qualcosa per sé e per le famiglie lontane. Spesso erano sfruttati da padroni brutali e avari e vivevano nella miseria più nera. Un giorno, un membro della “Congregazione” ne avvicinò alcuni per la strada e li invitò a presentarsi la domenica successiva alla loro sede. Quelli, credendo che si trattasse di un’offerta di lavoro, arrivarono con i loro attrezzi, ma rimasero assai stupiti quando si accorsero che non c’era alcun camino da spazzare. I “congregati” spiegarono subito che li avevano invitati come amici, che d’ora in poi avrebbero avuto quella casa come punto di riferimento e di aiuto. Quello stesso giorno, offrirono loro colazione e un gruzzolo di soldi per le loro necessità e, salutandoli, chiesero loro di ritornare conducendo con sé altri compagni. In brevissimo tempo, gli spazzacamini furono un’ottantina e trovarono da parte del Padre e dei suoi “figli” cure materiali, istruzione ed educazione, una buona formazione cristiana. Era uno dei frutti più belli dell’opera del Padre. Ma egli puntava, con i suoi collaboratori più capaci, “a moltiplicare i cristiani, moltiplicando i congregati”, senza alcuna distinzione o privilegio: “la sua Congregazione è aperta a tutte le età e a tutte le classi sociali; si apre al neofita, al penitente, al giusto, all’apostolo; accoglie sia colui che vuole salvarsi dal naufragio del mondo come quello che intende impegnarsi per salvare gli altri dal naufragio” (J. Verrier). Non un’elite di raffinati, neppure di intellettuali o di operatori pastorali, ma di cattolici veri, dal senso vivo della loro identità e dal gusto della missione apostolica, “missionari”, secondo possibilità e talenti propri in qualsiasi ambiente di vita.
10°- ADELE DE TRENQUELLÉON
Presto le difficoltà si fecero sentire, nonostante il clima un po’ diverso che si era stabilito in seguito al concordato di Napoleone con il Papa. In fondo, i princìpi dominanti erano ancora quelli della Rivoluzione, per cui il Cattolicesimo avrebbe dovuto essere equiparato a qualche vago deismo-umanitario o sparire come tale, cioè nel suo essere più vero di 'primato di Gesù Cristo come Salvatore e Re in tutte le realtà dell’uomo e della società'. Nel 1809, Napoleone assunse un atteggiamento dichiaratamente ostile al Papa e prese iniziative gravissime contro la libertà della Chiesa. Venne sequestrata la corrispondenza di un congregato di Bordeaux e parve che ci fosse una congiura antimperiale, anche se p. Chaminade non si era mai interessato di politica, preoccupato com’era soltanto degli interessi di Dio. Tramite un decreto del Ministro degli Interni, Napoleone soppresse tutte le Congregazioni, ritenendole una minaccia al suo potere. Anche se la prova era durissima -e durò fino alla caduta di Napoleone nel 1815- p. Chaminade, passato attraverso il “terrore” di Robespierre e l’esilio, non era facile a scoraggiarsi. Proprio in quegli anni, andò prendendo forma la seconda parte del progetto che aveva “visto” ai piedi della Vergine del Pilar a Saragozza cioè la fondazione di un Ordine religioso. Durante l’estate 1808, presso l’Ospizio di Figeac, si incontrarono casualmente, per far visita alla superiora della casa, la Baronessa de Trenquelléon e Gian Battista Lafon, un congregato di Bordeaux. Lafon seppe che la figlia della Baronessa, Adele, aveva fondato e animava una “Piccola Società” o “Associazione di preghiera”, e le suggerì di mettersi in contatto con il p. Chaminade. La qual cosa Adele subito fece: scaturì una lunga e feconda corrispondenza epistolare tra il Padre a Bordeaux, e Adele che risiedeva nel suo castello, presso Agen. Adele era nata nel 1789, l’anno “fatale”, e nei suoi ricordi non c’era altro che la Rivoluzione. Esule in Portogallo, ancora ragazza aveva pensato di entrare al Carmelo per consacrarsi a Dio. A causa dei tristi avvenimenti del tempo e della malattia del padre, non le era stato possibile attuare tale progetto ma non si era arresa: restando nel mondo, viveva un’intensa vita di unione con Dio, si dedicava alla preghiera e al soccorso delle famiglie dei suoi contadini più poveri, nel corpo e nello spirito. Vivace ed esuberante, si era legata d’amicizia con un bel gruppo di ragazze generose, per pregare insieme e darsi alla carità verso i più poveri. Con le amiche più intime ella aveva manifestato “il caro progetto” di riunirsi con loro per formare una vera comunità religiosa con voti e vita comune e l’impegno di dedicarsi a curare le miserie fisiche e morali dell’ambiente rurale in cui vivevano.
11°- FINALMENTE FONDATORE
Ella espose, per lettera, il progetto al p. Chaminade; egli si accorse subito di trovarsi a contatto con una creatura scelta da Dio. Nonostante le difficoltà che gli aveva creato il decreto di Napoleone, il Padre sempre interessato alla vita religiosa, fin dai tempi in cui si trovava a Mussidan, mosso dal grande numero di “congregati mariani” cui doveva provvedere, aveva previsto un gruppo di responsabili della Congregazione che vivessero come consacrati con forme nuove, in vista della fondazione dell’Ordine, che la Madonna gli aveva ispirato a Saragozza. “Parecchi congregati di ogni ramo della Congregazione - scriveva l’8 ottobre 1814 - avrebbero formato una piccola società religiosa pur restando nel mondo. All’interno di questa società si sarebbe attinto tutte le volte che fosse stato necessario eleggere in futuro i dirigenti responsabili della Congregazione, sia maschile che femminile”. Dunque, una società religiosa immersa nel mondo - formata di congregati destinati a costituire i “quadri” della Congregazione. Era “lo Stato religioso abbracciato da cristiani che vivono nel mondo” (lo si chiamava correntemente 'lo Stato'),”una maniera più perfetta di vivere per intero la propria consacrazione alla SS. Vergine, la pratica dei consigli evangelici”, sempre con lo scopo di “moltiplicare i cristiani”. Adele ora veniva ad esporre al Padre il suo “caro progetto”: pochi ritocchi sarebbero forse bastati perché la sua “associazione di preghiera” entrasse nello spirito della Congregazione Mariana. Il Padre, il 30 agosto 1814, le rispondeva: “Mi esponete il desiderio di dar vita con le vostre compagne ad una comunità religiosa... Voglio rendervi partecipe del mio progetto, che, pur non del tutto identico al vostro, ha con esso stretti rapporti. Da parecchi anni, qui abbiamo iniziato a metterlo in pratica. Molte giovani vivono come religiose, emettono voti... La maggior parte delle dirigenti fa parte di questa associazione religiosa; le altre congregate ne ignorano l’esistenza”. Il Padre vedeva bene una comunità di Consacrate al servizio della Congregazione, ma non aveva ancora l’idea di una vera comunità regolare, con vita comune. Ma, trascorse poche settimane, l’8 ottobre 1814, scrisse ad Adele: “Un certo numero di congregati, in ogni settore, dovrebbero costituire una piccola Società religiosa, pur continuando a vivere nel mondo. Da questa Società dovrebbero uscire i responsabili per la direzione della Congregazione... Al presente parecchi vorrebbero vivere in comunità regolari, abbandonando qualsiasi legame di ordine temporale. Bisogna accogliere questa ispirazione, badando che resti al servizio della Congregazione”. Egli concludeva la lettera, domandando ad Adele: ”Scrivetemi presto, cara figlia, per dirmi che il vostro desiderio di essere religiosa racchiude anche lo spirito e i sentimenti di una piccola missionaria”. Adele e le sue compagne avrebbero dovuto, secondo il p. Chaminade, essere missionarie a servizio della Congregazione mariana, per rievangelizzare la società.... Adele accettò. Nell’estate 1815, si affittarono alcuni locali ad Agen per la futura comunità ormai nascente: “Voi sarete - scriveva egli ad Adele - le Figlie di Maria e tali apparirete agli occhi di tutti”. Il 3 ottobre 1815, egli precisava: “Sarete delle religiose perché emetterete i voti chiamati “di religione” (obbedienza, castità e povertà). Maria, l’augusta Madre di Gesù, deve essere il vostro modello, oltre che la vostra patrona. Ciò che deve distinguervi dagli altri Ordini è lo zelo per la salvezza delle anime: bisogna far conoscere i principi della fede e delle virtù, bisogna moltiplicare i cristiani”. Consacrate a Cristo e apostole missionarie. Così egli e Adele de Trenquelléon, vollero le Figlie di Maria Immacolata, che presero a far vita comune il 25 maggio 1816, nei locali affittati ad Agen, nel vecchio convento detto “il Rifugio” Dopo 14 mesi, il 25 luglio 1817, fecero la prima professione religiosa. Padre Chaminade era diventato fondatore, coadiuvato da Adele, pure fondatrice. L’Ordine Marianista era iniziato.
12 °- LA SOCIETÀ DI MARIA
La fondazione delle Suore Marianiste aveva convinto il Padre che una comunità religiosa regolare era utilissima per il suo progetto apostolico e missionario. Già nella Congregazione c’erano una quindicina di persone -sacerdoti e laici- che vivevano praticando i consigli evangelici: membri dello 'Stato' di cui abbiamo parlato. Padre Chaminade, fedele alle illuminazioni di Saragozza, attendeva un segno di Dio per dare inizio ad un vero Ordine religioso maschile. Questo “segno” lo ebbe il 1° maggio 1817, quando il congregato Giovanni Battista Lalanne -che aveva fatto studi di medicina, poi si era avviato al sacerdozio, insegnava nell’Istituto del rev. Estebenet e per un momento aveva pensato di farsi gesuita- si presentò a lui per dirgli che aveva deciso di restare al suo fianco, con un genere di vita e di impegni apostolici simili alla vita e agli impegni del direttore della “Congregazione mariana”. Il Padre Chaminade, quasi piangendo di gioia, rispose: “Ecco ciò che aspetto da tanto tempo! Dio sia benedetto! Finalmente si è degnato di manifestare la Sua volontà ed è giunto il momento di attuare il progetto che Egli mi ispirò quasi trent' anni fa”. E spiegò al giovane Lalanne che “la vita religiosa è per il cristianesimo ciò che il cristianesimo è per l’umanità: senza i religiosi, il Vangelo non può avere applicazione completa; dunque per ristabilire la vita cristiana, occorre ristabilire la presenza delle comunità di consacrati. Aggiunse che non era più opportuno farle rinascere con le medesime forme esteriori che avevano prima della Rivoluzione. “Queste forme non sono essenziali e si può essere religiosi anche sotto apparenze laicali”. “Diamo perciò inizio - disse Padre Chaminade - da una Famiglia religiosa con l’emissione dei tre voti ordinari di religione, ma per quanto possibile senza apparenze esteriori, senza nome, senza abito particolare, senza riconoscimento legale: “Nova bella elegit Dominus” (= 'il Signore ha scelto nuove strategie di lotta'). Mettiamo tutto sotto la protezione di Maria Immacolata, alla quale il Divin Figlio ha riservato la vittoria definitiva sull’Inferno. “Ipsa conteret caput tuum” (= Ella con il suo tallone ti schiaccerà la testa). Nonostante la nostra pochezza, caro figlio - concluse il Padre manifestando un grande entusiasmo - dobbiamo essere noi il tallone della Donna”. Lalanne accettò, entusiasta, e comunicò immediatamente il progetto ad altri quattro amici congregati: Giacomo Brugnon-Perrière, insegnante, don Giambattista Collineau, sacerdote assai colto ed eloquente, Luigi Daguzan e Domenico Clouzet, giovani commercianti. Come si vede, nel primo gruppo c’erano sacerdoti e laici, docenti e lavoratori. Il Padre li riunì periodicamente a San Lorenzo per istruirli ed alla fine di settembre 1817 predicò loro gli esercizi spirituali. Il 2 ottobre 1817, festa degli Angeli Custodi, cominciarono a vivere insieme in comunità con l’intenzione di legarsi presto a Dio con veri voti. Ai primi cinque, se ne aggiunsero subito altri due, Giambattista Bidon, e Antonio Cantau, già affermati artigiani. Si stabilirono in via Ségur, vicino alla chiesa della Maddalena, nel cuore della vecchia Bordeaux, sotto la guida del p. Chaminade per prepararsi -“alla chetichella” ma con grande serietà- alla prima Professione religiosa. La Fondazione aveva alcuni tratti abbastanza originali per quei tempi: si impegnavano a vivere castità, obbedienza e povertà in tutto il fervore dei cristiani della prima generazione, ma senza un abito particolare (i sacerdoti avrebbero vestito come gli altri sacerdoti diocesani, i laici, un abito decoroso, con stile modesto ed edificante). Sacerdoti e laici in comunità dovevano avere pari dignità come religiosi, stando ognuno al suo posto, nel tipo di apostolato cui era chiamato: “unione senza confusione”. Al di sopra di tutto, essi dovevano distinguersi per una singolare dedizione e appartenenza alla SS. Vergine, che il Padre volle assicurata con lo speciale 'voto di stabilità' che “ci impegna a perseverare nella Società di Maria: in questo spirito ci adoperiamo a far conoscere, amare e servire Maria e a non negare mai la nostra collaborazione alla Società che le appartiene”. L’11 dicembre 1817, pronunciarono i primi voti temporanei nelle mani del Padre Fondatore. Un anno più tardi, il 5 settembre 1818, si consacravano per sempre a Dio con la professione dei voti perpetui. Era davvero nata la 'Società di Maria', l’ Ordine dei Marianisti. Il progetto del Pilar si era compiuto.
13°- CHE COSA FARE?
La voce della nascita della nuova Famiglia si diffuse rapidamente e subito vennero altre reclute: Gaussens, che era stato ufficiale dell’esercito in Spagna, Luigi Rothéa, commerciante, al quale presto si aggiunse il fratello p. Carlo, che era già parroco in Alsazia. Costui portò con sé il p. Giorgio Caillet, che era stato suo compagno in seminario. Il Fondatore aprì il primo noviziato a San Lorenzo. Dopo due anni, i novizi erano già trenta.... Alla Maddalena aprì un piccolo seminario per i ragazzi. Ogni anno, in luglio il Padre teneva un ritiro alle “sue” Figlie di Maria Immacolata, ad Agen ed in autunno ai religiosi marianisti, al Noviziato di Saint-Laurent. Durante un ritiro, affinché i religiosi potessero riconoscersi tra loro, essendo ormai numerosi tra effettivi, aspiranti e congregati, diede ai religiosi un piccolo distintivo: un anello d’oro. Sarà il segno di riconoscimento dei Marianisti. Nel 1819, informò il papa Pio VII° della nascita della nuova Società, che il Papa benedisse rispondendo con un BREVE, il 25 maggio del medesimo anno. Ormai l'Istituto delle Figlie e la Società di Maria erano in crescita, ma il lavoro da compiere sarebbe stato grandissimo. Il 2 settembre 1819, fu redatto, per la mano di p. Lalanne, il primo marianista, un atto ufficiale sui fatti che, per grazia di Dio, erano avvenuti in quegli anni. Ora si poneva una domanda fondamentale: “A quale opera dedicarsi in modo particolare? che cosa fare?" Ancora una volta, p. Chaminade attese un segno della volontà di Dio. La scuola, nonostante la restaurazione, dopo il crollo di Napoleone, era rimasta in gran parte anti-cristiana. Sarebbe stato utile e meritorio dar vita a Bordeaux a una vera scuola cattolica, per istruire la gioventù e riportarla a Cristo. Il segno di Dio venne al Padre, quando due congregati, Changeur e Bardinet, misero a disposizione il denaro, per il primo impianto dell’opera. Con quel denaro, diede vita alla prima scuola cui la Società di Maria, appena fondata, fornì gli insegnanti e gli assistenti necessari. Era il 14 novembre 1818 e la scuola prosperò rapidamente con un numero di iscritti sempre in crescita e ottimo metodo educativo. Nel 1824, gli studenti si trovarono allo stretto e p. Chaminade comprò un intero palazzo che chiamò Istituto Santa Maria. Nello stesso anno, anche le Figlie di Maria ebbero la loro scuola-collegio. Intanto, nel 1820, il Padre aveva ristabilito la “Congregazione” ad Agen, presso le Figlie di Maria: intervenne il Vescovo, mons. Jacoupy, a chiedergli di portare là anche la Società di Maria. Il Padre, dopo aver pregato, mandò ad Agen un gruppetto di suoi religiosi i quali subito vi aprirono una scuola che avrebbe dovuto accogliere i ragazzi più poveri. In breve la scuola, proprio per il buon metodo educativo, meritò la stima anche dei benestanti liberali che vollero mandarvi numerosi i loro figli. Da quei giorni, la crescita della Società di Maria e la diffusione delle sue scuole non si fermò più. Al Padre arrivavano domande da ogni dove. A Villeneuve-sur-Lot, il medesimo sindaco gli mise a disposizione il collegio comunale e le scuole primarie. Il Padre gli mandò un altro gruppo di religiosi che si trovarono a provvedere a trecento fanciulli. Poi, circostanze provvidenziali non prive di rischi, lo portarono nel Nord-Est della Francia, in Alsazia e in Franca Contea. Un missionario diocesano della Franca Contea, don Bardenet, gli mise a disposizione una vasta tenuta di 150 ettari di terreno con un castello e varie dipendenze, Saint-Rémy. Era una proposta interessante: p. Chaminade -non troppo ben informato dal suo segretario, l'avv. David Monier, che egli aveva incaricato di provvedere- accettò trovandosi però subito in gravi difficoltà; il castello non era abitabile, le spese altissime, le condizioni di vita precarie. I religiosi, mandati tra il 1823 e il 1824, affrontarono un inverno rigidissimo, quasi privi di cibo, al freddo, animati però da un grandissimo spirito di sacrificio cui non mancava la gioia. La loro forza di irradiazione fu tale che 15 giorni dopo il loro arrivo, nel gennaio 1824, già avevano nove postulanti che chiedevano di condividere la loro vita di consacrazione. A Saint-Rémy p. Chaminade avrebbe voluto organizzare una comunità di preghiera che si mantenesse con il lavoro agricolo e offrisse uno spazio di silenzio e di colloquio con Dio a coloro che volessero isolarsi dal mondo, come aveva pensato don Bardenet. Ma presto si accorse che, mentre cominciava a diffondersi l’istruzione elementare tra le classi più umili, mancavano i maestri davvero preparati per insegnare ed educare. Proprio a Saint-Rémy, organizzò la prima “Scuola normale” (= Scuola magistrale) per preparare i formatori alla luce di Cristo, in modo, che andando nelle scuole, potessero domani educare, alla medesima luce del divin Maestro, i loro alunni. Nonostante le difficoltà che le autorità civili facevano per riconoscere o almeno accettare le sue “scuole cattoliche”, anche la “Scuola normale” di ebbe un grande successo. Gli arrivarono subito altre richieste, che il Padre prendeva in considerazione solo se gli era assicurata la possibilità di unire ai corsi una forte educazione cristiana, perché non aveva mai dimenticato - anzi lo ricordava spesso ai suoi - che il loro fine non era quello di insegnare ma quello di “moltiplicare i cristiani”. Ora il Fondatore e la Società di Maria sapevano che cosa fare.
14° -FEDE E RAGIONE
Gli allievi intenzionati a diventare futuri maestri di scuola elementare dovevano avere almeno 17 anni ed essere dotati di buone “referenze morali”. Con luminosa intuizione, p. Chaminade volle che istruzione e formazione religiosa fossero procurate con un metodo che si appellasse alla ragione: “Voglio che accanto a quello dei dogmi ci sia l’insegnamento delle prove della religione. Siamo in un secolo in cui si fanno “ragionare” -o piuttosto sragionare- finanche i contadini delle campagne e perfino le serve della città. Bisogna che tutti i nostri candidati divengano dei piccoli esperti di logica ed anche un po’ di metafisica; bisogna che conoscano tutte le fonti della certezza umana”. La Religione doveva avere tutto lo spazio necessario senza togliere nulla alle altre discipline. Citiamo, a proposito, una pagina di Rino Cammilleri : “Il popolo non può essere oggi riportato alla fede e alle virtù di cui essa è principio, se non attraverso un grado superiore di sviluppo delle sue facoltà intellettuali e un accrescimento dell’istruzione. E’ questa una profondissima intuizione di Chaminade. La fede, infatti si trova ai due capi della cultura: nell’ignoranza semplice dei pastori al presepio o nella dotta profondità dei Magi. Niente di peggio di quella mezza acculturazione, di quella presuntuosa ignoranza di chi, sapendo qualcosa, crede di aver capito tutto e non accetta più istruzione. Nell’epoca pre-rivoluzionaria, si poteva ancora far conto sulla fede tradizionale, forse sempliciotta ma immediata, della gente qualunque. Il filosofismo aveva dato a tutti un’infarinatura appunto 'enciclopedica' di tutto, inducendo a credere che anche il più ignorante potesse interpretare e comprendere il cosmo con il solo uso della sua 'ragione'. Per questo adesso occorreva rimettere in ordine le idee di ciascuno , tramite un sano e minuzioso approfondimento di quell’infarinatura 'enciclopedica' che non era certo cultura” (cfr. “G. Giuseppe Chaminade: un prete tra due rivoluzioni," PiEmme, Casale Monferrato, 1993). Alla luce di questi principi, il Padre voleva che i corsi della “Scuola Normale" o Magistrale, fossero dotati anche di varie altre materie -come contabilità, agrimensura, diritto amministrativo e di quant'altro fosse utile- e che avessero la durata di tre anni. In una parola, il p. Chaminade intendeva formare in queste scuole degli uomini e dei cristiani che fossero in grado di rigenerare i loro ambienti di vita (città, villaggi) e perciò bisognava che godessero di una certa considerazione per la serietà delle conoscenze che comunicavano ai loro alunni. In quel medesimo 1824 che aveva visto l’apertura di Saint-Rémy, mons. Tharin, nuovo Vescovo di Strasburgo, accolse p. Chaminade e i suoi “figli” a Colmar, dando loro il castello di Saint-Hippolyte, affinché diventasse centro del loro apostolato. In breve furono loro affidate le scuole comunali. Animato dallo stesso spirito, il Padre elaborò un serio progetto di insegnamento professionale, progettando due tipi di corsi: i primi per un insegnamento specializzato e superiore ( =scuole di 'arti e mestieri' o professionali) , gli altri (=le “scuole congiunte”) più popolari, da affiancare all’insegnamento primario. Li sperimentò da Agen e a San Lorenzo, poi con l’approvazione delle autorità, li lanciò mediante l’opera dei suoi religiosi. Cominciò ad organizzare “scuole congiunte” nella tenuta di Saint- Rémy, con diversi “laboratori”: nel 1827 vi nasceva la prima scuola professionale. A Besançon, il Padre accettò di prendersi cura di un orfanatrofio dove i ragazzi, fino allora solo “repressi”, ma scarsamente educati, erano divenuti dei piccoli delinquenti, così da tentare di avvelenare i loro educatori. Con la forza dell’onore, della fede e della ragione, unite ad una grande carità, il sig. Clouzet e confratelli Marianisti riuscirono a trasformarli in ragazzi in cammino verso la loro maturità umana e cristiana. Il Padre vi installò corsi di maglieria, tessitura, calzoleria, falegnameria: una vera meraviglia per tutta la regione.
15° - UN GRAN LAVORO
Il 16 novembre 1825, la Società di Maria, pur passando prima attraverso non poche spine, ebbe il riconoscimento legale dello Stato. Le Figlie di Maria Immacolata l’avranno il 23 marzo 1828, dopo che la loro fondatrice, Madre Adele de Trenquelléon, se ne sarà già andata da questo mondo, il 10 gennaio, a soli 38 anni di età. Nel 1826, era anche morto Mons. D’Aviau, Arcivescovo di Bordeaux che tanto aveva sostenuto p. Chaminade nella sua fondazione. La Società di Maria sembrava andare a gonfie vele. Tutti volevano quei religiosi e le loro scuole; arrivavano richieste persino dalle colonie d’America e dalle lontanissime isole dell’Oceano Pacifico. Per il momento, il Padre pensava a consolidare la sua famiglia, cercando di arrivare a scrivere e promulgare le Costituzioni che ancora non c’erano. Volgeva ormai verso i settant’anni ed era carico di lavoro senza limiti. Spesso in viaggio da un capo all’altro della Francia, alle prese con situazioni diverse, con problemi di ogni genere, dal come far quadrare i bilanci, fidandosi della Provvidenza, all’organizzare Scuole Magistrali o Professionali, al pensare alla formazione delle reclute che entravano, al disbrigo della corrispondenza, senza mai dimenticare la preghiera e il ministero sacerdotale, in primo luogo l’altare e il confessionale. Dalle autorità civili e scolastiche, spesso si faceva sentire l’ostilità alle sue scuole, ma egli non si arrendeva: si “era fatto le ossa” ai tempi del “terrore” di Robespierre, quando spesso, quasi ogni giorno aveva visto la morte in faccia, per cui non si intimidiva ora, essendoci, con re Luigi XVIII° e poi con Carlo X, una certa tranquillità per la Chiesa. Ma, nel 1830, si sentì di nuovo la tempesta avvicinarsi, la persecuzione incombere contro i cattolici. Nel luglio 1830, Carlo X fu costretto da abdicare per l’azione delle sinistre, della massoneria e della piazza, sobillata da un pugno di intellettuali parigini. Il nuovo re sostenuto dalla massoneria, fu Luigi Filippo d’Orléans, che durante la “restaurazione” aveva a lungo tramato per assidersi sul trono di Francia. Con l’avvento al potere dei “liberali”, laicisti e anticlericali, vennero di nuovo prese di mira le istituzioni religiose, sospettate di complicità con il deposto re Carlo X. La polizia cominciò a fare perquisizioni nelle case dei “legittimisti” considerati più pericolosi, secondo i linciaggi che la stampa stava organizzando. Padre Chaminade, settantenne, anche se non si era mai immischiato in questioni politiche, occupato soltanto del regno di Dio, fu considerato un 'carlista' fanatico. Così, una mattina, mentre confessava nella sua chiesa della Maddalena, a Bordeaux, gli si presentò un sostituto-procuratore con il mandato di perquisizione. Gli agenti della polizia gli buttarono all’aria la casa senza trovare nulla, ma infine lo stesso capo trovò, in un cassetto, quattro medaglie della Madonna su cui era scritto: “Maria è stata concepita senza peccato”, simili a quelle trovate presso un altro dei capi della “congregazione mariana. Il funzionario esclamò trionfante: "Ecco il motto distintivo dei congregati!". Per di più, seppe che molti bordolesi portavano addosso la medaglia. Dunque, quello era il segno della congiura ed occorreva prendere misure di polizia. P. Chaminade lo invitò a sedersi mentre lui, partendo da Adamo ed Eva, gli avrebbe spiegato il significato di quella medaglia e della scritta. Quello pretese che venisse subito al “corpo del reato” compiuto, ma il Padre, con la solita calma ribatté: “Mi lasci dire, perché se mi interrompe, la spiegazione sarà molto più lunga!” Dopo un po’, il procuratore si dichiarò soddisfatto e se ne andò. A Bordeaux, quanti seppero la cosa risero assai divertiti, pensando alla flemma del “Bon Père” (= buon Padre; così era chiamato Chaminade) e alla furia inutile dell'altro. Ma il clima non faceva affatto ridere: la situazione generale era di nuovo pesante verso la Chiesa e le sue opere, per cui il Padre per evitare il peggio, si trasferì ad Agen: dovrà restarci, salvo brevi interruzioni, per cinque anni. Di là, continuò il suo lavoro di Fondatore e di Padre, con la sua incrollabile fede in Dio e nell’Immacolata. 16°- PROVE DURISSIME
Nel clima di ostilità che di nuovo dilagava, il Padre, per il momento, sciolse i noviziati. Diventava sempre più difficile la vita per le scuole cattoliche, perché i nuovi padroni, secondo copione, volevano solo la scuola laica, che spesso era anti-cristiana. Il Padre vide sempre più ridotti non solo gli spazi di libertà e di azione, ma anche i sussidi, ormai spariti, per le sue scuole. Doveva esserci solo la scuola di Stato. In Francia era sopraggiunta, come spesso capita dopo le rivoluzioni, una situazione di grave incertezza economica, con rincari di prezzi e disoccupazione. Il Padre, che fidando nella Provvidenza di Dio, aveva sempre trovato le somme per far fronte alle sue case e scuole, ora ordinò il risparmio fino all’osso, tranne che per l’elemosina e il soccorso ai più poveri. Così diversi religiosi lasciarono la Società, cedendo allo scoramento. In quel frangente egli -che aveva pensato fin dal 1827 alle Costituzioni- non aveva voluto imporle alla Società senza sentire il suo Consiglio. A diversi consiglieri, parve che quelle regole non fossero più come quelle iniziali e che non prevedessero lo spazio adeguato per tutti. Così il Padre vide le sue Costituzioni respinte. Lui non l’ebbe a male, confidando che contava più lo spirito che la regola - lo spirito era quello della più intensa unione con Dio e dell’apostolato per moltiplicare i cristiani, sotto la guida della Vergine Immacolata - e continuò ad essere per tutti il 'Buon Padre' di sempre. Ma ormai, nella Società, c’era un clima di fronda, proveniente proprio da alcuni “operai” della prima ora. La croce si faceva davvero pesante, per il fatto che a procurargliela erano i suoi stessi figli, per dissidi personali. Non mancarono le incomprensioni da parte del clero diocesano e degli stessi Vescovi che, pur continuando a stimarlo e a volergli bene, non sempre riuscivano a veder chiaro nelle diverse questioni che si agitavano. Anche quando la nuova superiora delle Suore Marianiste, madre Saint-Vincent pretese indipendenza dal Fondatore e persino padre Lalanne, in buona fede, si dimostrò contrario alle sue posizioni, p. Chaminade non perse la calma e l’abbandono a Dio. Anche se gli fosse stata sottratta la sua Opera, egli sapeva di non essere il primo fondatore a subire la stessa umiliazione e che non sarebbe stato l’ultimo. Cercò luce ed energie nuove nella S. Messa, nella preghiera prolungata davanti al tabernacolo, nel Rosario a Maria: con Gesù e con l’Immacolata era sicuro che nulla sarebbe andato perduto. "Invano si cercherebbe nella sua corrispondenza uno sfogo, una lamentela. Non solo, ma al di fuori degli stretti interessati, da lui nessuno seppe nulla. Chi è abituato a guardare le cose con l’occhio di Dio, comprende che certe contraddizioni, specialmente quando accadono tutte assieme, non possono essere fortuite. E’ il tempo della prova in cui si deve solo aspettare che Colui che comanda al vento e alle onde, ordini ai flutti di tacere. Allora di colpo, si farà gran bonaccia” (Rino Cammilleri).
17°- SOTTO IL PATROCINIO DI MARIA
Il Padre seppe comportarsi come solo può un vero uomo di Dio. I suoi “figli” tornarono a rasserenarsi nei rapporti con lui e tra di loro. Le questioni si appianarono. Le comunità, sebbene in condizioni meno favorevoli, continuarono o ripresero la loro opera educativa con dedizione alla gioventù negli istituti già esistenti e ne aprirono di nuovi. P. Chaminade chiuse la vicenda con la prima lettera circolare che da allora prese ad inviare regolarmente a tutti i suoi: “La Società di Maria è realmente, per riconoscimento di tutti, un’opera di Dio. Posta specialmente sotto l’augusto patronato della sua Santissima Madre, non può essere distrutta che dalle vostre mani”. Proprio per rinforzare la Società, nel 1834, il Fondatore pubblicò la prima parte delle sue Costituzioni, la più importante, relativa ai fini della Società, alle virtù e ai mezzi richiesti ai suoi membri. Nessuno fece più obiezioni contro il Padre, il quale dichiarò loro, senza che alcuno potesse mai smentirlo: “Io non penso che a voi, non mi occupo altro che di voi; le mie forze e la mia vita si consumano per voi. Per tutto il corso del mio pellegrinaggio su questa terra d’esilio, lavorerò per rendervi felici nel tempo e nell’eternità”. Riorganizzò e potenziò i noviziati, certo che preparando meglio i religiosi si sarebbero evitati in futuro numerosi problemi. Arrivarono nuove vocazioni, si aprirono nuove scuole. Aveva 75 anni, il Padre, ed esortava come se non si stancasse mai: “Coraggio, le pene, le tribolazioni, le contraddizioni nelle opere del Signore, sono di buon augurio”. Aggiungeva: “Arrivati alla mia età, se ci arrivate, non abbiate i rimpianti che ho io di non aver servito meglio il buon Dio”. Ora, con le Costituzioni, avevano tutti la via tracciata, su cui camminare. Iniziavano così: ”La piccola Società che offre i suoi deboli servigi a Dio e alla Chiesa, sotto gli auspici dell’augusta Maria, si propone due obiettivi principali: 1) elevare ogni suo membro, con la grazia di Dio, alla perfezione cristiana; 2) lavorare nel mondo per la salvezza delle anime, sostenendo e propagando con i mezzi adatti ai bisogni e alle mentalità del secolo, gli insegnamenti del Vangelo, le virtù del Cristianesimo e le pratiche della Chiesa Cattolica”. Badavano, le Costituzioni, più allo spirito che alla lettera, più alla fede, raccomandata ad ogni riga, che all’elenco delle 'cose' da fare. Questo 'spirito' si riassumeva nell’ordine di Maria ai servi di Cana: “Fate quello che Gesù vi dirà” (Gv 2,5). Per questo, il Fondatore, pur privilegiando l’educazione della gioventù, non restringeva il campo d’azione della Società di Maria. Dopo qualche tempo, egli completò la seconda parte delle Costituzioni, riguardanti il Governo e l’Organizzazione della Società, affermando una forte centralizzazione, per tenere insieme gli elementi più diversi della sua Famiglia Religiosa e rispondere con più facilità alle esigenze dei tempi tanto difficili. Poi, d’accordo con le Figlie di Maria Immacolata, preparò le loro Costituzioni. Le due “Regole”, corredate dalle approvazioni dei Vescovi delle diocesi in cui operavano i Marianisti, furono presentate a Papa Gregorio XVI° dal Cardinale Isoard, amico del Fondatore. Il 12 aprile 1839, il p. Chaminade ricevette da Roma, un “Decreto di Lode”, con cui, riconoscendo l’esistenza delle due Famiglie, si dichiarava che “il Santo Padre ne gradiva pienamente l’istituzione e si augurava che i rispettivi membri avanzassero spediti, sotto il patrocinio di Maria, sulla via intrapresa, sicuri di rendere in tal modo, un prezioso servizio alla Chiesa”. Davvero felice per la meta finalmente raggiunta, il Padre, il 5 settembre 1839, pubblicò le Costituzioni. Vennero così numerose vocazioni da non sapere più dove sistemarle. Seguirono altre aperture di case a Clairac, in Alsazia e in Franca Contea, in Svizzera a Friburgo e a Losanna. Mentre a Bordeaux, anche per la lunga assenza del Padre, qualcuno pensava che la Società si fosse dissolta, egli meravigliò tutti offrendo una casa per dare inizio a una nuova scuola cattolica. Nel 1839, pubblicò quattro circolari in cui spiegava i caratteri propri del suo Ordine: “Noi, nella grande tribù degli Ordini religiosi, abbiamo un’aria di famiglia che ci distingue da tutti gli altri”. Perché la Società è “di Maria”? Ecco la risposta: “Tutte le eresie -ci dice la Chiesa- hanno piegato la fronte davanti alla Santissima Vergine e, a poco a poco, Ella le ha ridotte al silenzio del nulla. Ora, la grande eresia attualmente regnante è l’indifferenza religiosa, che va istupidendo le anime nel torpore dell’egoismo e nel marasma delle passioni”. Una cosa simile non si era mai vista prima: ”Sembra che siamo arrivati da una defezione generale e da un’apostasia di fatto quasi universale”. Ma, coraggio!: ”Noi crediamo fermamente che Ella vincerà questa eresia come ha vinto tutte le altre”. Il discorso di Padre Chaminade - è più che mai evidente - è di una singolare sconcertante attualità. Il nostro è il tempo della più grande apostasia dalla fede che mai sia stata vista. E’ indispensabile che Maria ritorni e vinca, che riporti Lei il Figlio suo Gesù. Continuava p. Chaminade: “Ora noi, ultimi di tutti, noi che ci crediamo chiamati da Maria stessa per assecondarla con tutte le nostre forze nella sua lotta contro la grande eresia di quest’epoca, noi abbiamo per consegna, come dichiariamo nelle nostre Costituzioni, queste parole della SS. Vergine ai servi di Cana: “Fate tutto quello che Gesù vi dirà” (Gv 2,5).
18°- ”ELLA TI HA SCHIACCIATO IL CAPO!” Aveva più di ottant’anni, il Padre Chaminade, ma non si sentiva vecchio né credeva giunto il momento di passare da altri la guida dell’Ordine Marianista. Era sempre di buon umore, nonostante il peso degli anni, gli acciacchi e i problemi immancabili. Un giorno in cui gli fu offerta una coperta più calda per il letto, disse: “Conserviamola per quando sarò vecchio”. Ma vista, udito e memoria cominciavano a declinare ed era sempre più curvo. Era ora di ritirarsi, di nominare un successore? Non era molto d’accordo, il 'Buon Padre', rimasto sulla breccia fino da allora... Ma le permissioni di Dio erano d’altro avviso. Seguì una controversia di natura finanziaria. Il 7 gennaio 1841, il Padre annunciò al Consiglio della Società di Maria che era pronto a dimettersi. Il Consiglio accettò le sue dimissioni dalla carica di Superiore Generale. Pur da dietro le quinte, non tralasciò un attimo di lavorare per la Società che aveva fondato e che considerava sempre sua creatura. Accettò di fare il maestro dei novizi nella casa di San Lorenzo - la sua dai tempi della grande Rivoluzione - che era stata riaperta. I novizi crebbero e si dovette aprire una casa più grande per il noviziato a Sant'Anna, presso Bordeaux. L’inaugurazione fu l’ultima festa per il Padre, circondato dai suoi e dall’Arcivescovo di Bordeaux e dai Vescovi di Beauvais e di Nancy, suoi amici. Ormai era davvero vecchio e malato e tuttavia avrebbe ancora voluto restare al suo posto. Fu un momento difficile per la Società. Nell’autunno del 1845, si riunì il Capitolo a Saint-Rémy per l’elezione del successore, che fu scelto l’otto ottobre nella persona del p. Giorgio Caillet. Il Fondatore si ritirò nella sua casa presso la chiesa di S. Maria Maddalena, a Bordeaux, che per quasi 50 anni (1804-1850) era stata il centro della sua Opera, il luogo da cui era partita ogni sua iniziativa. Impiegava ormai un’ora a celebrare la S. Messa, ma era pur sempre la sua ora più bella e più grande. Passava lungo tempo a sgranare il Rosario davanti all’altare della Madonna o in profondo raccoglimento presso il Tabernacolo. Pregava per i suoi figli, per la Francia, per la Chiesa, ancora scossa -nel 1848, l’anno di altre rivoluzioni in tutta Europa- da venti di bufera. Anche se era quasi cieco non rinunciava alla quotidiana passeggiata all'aperto; si faceva accompagnare nel giardino di S. Anna, in fondo ad un viale dove c’era una statua dell'Immacolata e lì, premendo la mano tremante sulla testa del serpente, con voce energica e commossa, ripeteva: “Ella ti ha schiacciato la testa.. ti ha schiacciato la testa... E te la schiaccerà sempre”. Il 6 gennaio 1850, il Padre fu colpito da apoplessia, che gli tolse la parola e lo immobilizzò al lato destro, lasciandolo però lucido di mente. L’antico discepolo p. Collineau venne ad amministrargli i Sacramenti. Vide accorrere a lui tutti i suoi figli e il nuovo Superiore generale, per rivederlo e salutarlo un’ultima volta. Fu così per quindici giorni. Martedì 22 gennaio 1850, sentì che la sua ora era vicina. Si portò il Crocifisso alle labbra, poi lo strinse al petto fino alle quattro del pomeriggio, l’ora in cui, in silenzio, senza retorica, in semplicità e povertà, andò incontro a Dio. I funerali in Cattedrale, dove aveva il titolo di canonico, furono solenni. Seguì la sepoltura al cimitero della Certosa di Bordeaux. Nulla di clamoroso, tutto in silenzio.
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