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 Una vita per Maria

 

 

PIERO FERRERO  marianista

 U N A   V I T A 

P E R   M A R I A

 Beato GUGLIELMO GIUSEPPE

C  H  A  M  I  N  A  D  E

FONDATORE E PADRE

DELLA  FAMIGLIA MARIANISTA 

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 G.G. Chaminade viene elevato agli onori

degli altari  col titolo di ‘beato’

da S.S.Giovanni Paolo 2° a Roma

il giorno 3 settembre 2000.

 

UNA VITA PER MARIA

1° = I PRIMI ANNI

L’arco della vita del B. Chaminade è racchiuso in quasi 90 anni di solerte operosità. Nato a Périgueux, nel sud della Francia, l'8 aprile 1761, ultimo di 14 fratelli (ma solo 9 vivi), da genitori appartenenti alla piccola borghesia provinciale, ricevette in famiglia una buona formazione spirituale e religiosa.

La sua vocazione sacerdotale ha avuto radici nella vita cristiana della famiglia, come pure la sua devozione a Maria. Sua madre gli insegnò a pregare e, secondo i biografi, depose in lui “i germi di quella devozione tenera e forte a un tempo che sarà l’anima della sua pietà, l’oggetto del suo apostolato, il suo grande mezzo per salvare le anime” Périgueux appariva del resto come una città mariana, circondata com’era di santuari e popolata di edicole che accoglievano la statua o l’immagine della Vergine, più numerose di quanto non fossero le vie del centro abitato.

Nella fanciullezza, mentre giocava con i compagni, la caduta di un grosso sasso gli procurò una grave rottura della caviglia, che si rivelò ben presto incurabile. Il fratello Giovanni Battista gli suggerì allora di ricorrere alla Vergine di Verdelais, facendo voto di recarsi ai suoi piedi in pellegrinaggio, qualora fosse stato graziato La guarigione fu così rapida che Guglielmo non esitò a considerarla come miracolosa.

 Per questa grazia ottenuta da ragazzo, egli avrebbe desiderato più tardi ottenere per la Società di Maria la direzione di detto Santuario, ma non vi riuscì, nonostante le molteplici trattative più volte avviate fino agli ultimi anni della sua vita.

2° = GLI STUDI

Per i primi studi, il piccolo Guglielmo fu accolto nel collegio di Mussidan, diretto da una Congregazione diocesana (gli Oblati di S. Carlo), ove si onorava in special modo il mistero dell'Immacolata Concezione di Maria. Qui divenne membro attivo di un gruppo mariano, che si impegnava in una serie di pratiche in onore della Vergine.  In questa scuola scoprì che lo sforzo ascetico è ineliminabile e che l’esperienza spirituale non può procedere in completa autonomia, sulla base di un intuito personale ma che è indispensabile una guida spirituale.

Appunto sotto la guida del fratello maggiore, Giovanni Battista, ex gesuita, si inoltrò nella lettura della Dottrina spirituale di P. Lallement, dove si insegna la docilità all’azione della grazia e l'imitazione “dei sentimenti di Cristo per ciò che riguarda la devozione a Maria” .

E’ di questi anni la realizzazione di un programma di vita spirituale incentrato sulla pratica della “meditazione” personale. Per questo saliva volentieri  al Santuario locale della Madonna di Roc: per pregare, per riflettere sui misteri gaudiosi e dolorosi -fra loro strettamente uniti- e venerare la singolare Pietà che rappresenta in un unico gruppo scultoreo i misteri dell’Incarnazione e della Redenzione.

E’ molto probabile che il giovane Chaminade, quando studiava teologia a Bordeaux, abbia frequentato la Congregazione Mariana, detta di Santa Colomba, già diretta dai padri Gesuiti,  che raggruppava specialmente i giovani provenienti dalla provincia. E’ invece certo che nel seminario di San Sulpizio a Parigi, dove completò i suoi studi teologici e pastorali, trovò un terreno favorevole allo sviluppo della sua pietà mariana. Non è infatti possibile isolare lo Chaminade da quella grande scuola di spiritualità, chiamata appunto Scuola francese, tutta incentrata sulla contemplazione del Verbo incarnato nel grembo della Vergine Maria.

Si viveva allora nel clima culturale del Giansenismo, la cui spiritualità proponeva un cammino arduo e severo, minuziosamente tracciato dalle singole scuole. Tra le mura di un seminario sulpiziano non poteva non essere insistente il riferimento a Maria.

3° = LE PRIME ATTIVITÀ

Una volta sacerdote, il  B. Chaminade diventò professore ed economo del collegio S. Carlo di Mussidan, nonché rettore del Santuario locale della Madonna di Roc. Fu inoltre membro di una fraternità sacerdotale, detta Congregazione degli Oblati di S. Carlo. Le Regole di questo sodalizio contengono alcune indicazioni di pietà mariana e raccomandano la recita di un “Piccolo Ufficio dell’Immacolata”, allora molto diffuso.

La convinzione che la Vergine Maria sia stata esente dal peccato originale raggiunse nell’Istituto toni così forti da indurre alcuni docenti e alunni a impegnarsi con tutte le proprie forze, “fino all’effusione del sangue”, nella difesa di tale privilegio mariano.

E’ interessante notare che si trattava precisamente di quel “votum sanguinis”, contro cui mosse le sue critiche Ludovico Antonio Muratori. La biografia di Bernardo Dariès, il professore col quale lo Chaminade aveva  stabilito un legame di amicizia spirituale, riporta il testo di tale voto, che veniva pronunciato nella cappella del collegio di Mussidan: “Quanto è soave, o mia dolcissima Madre, vivere sempre sotto i tuoi benevoli auspici!  Sono felice di aver consacrato a te, dopo che a Gesù Cristo, tutte le mie attività. Quanto a me, incomparabile Maria, altro non desidero che di vivere per dimostrarti il mio amore e la mia gratitudine. Giuro, pertanto, per il tuo onore, nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, di difendere fino alla morte il privilegio della tua Immacolata Concezione. Che questo voto, ispirato dall’affetto che nutro per te, possa esserti gradito. E che tu sia sempre glorificata, o mia tenera Madre” .

4° = DURANTE LA RIVOLUZIONE (1789-1797)

Intanto, in una Francia tormentata da una difficile crisi economica e agitata da un basso clero in fermento, si giungeva alla convocazione degli Stati Generali (5 maggio 1789), cui fece seguito, il 12 luglio 1790, la Costituzione civile del Clero, che costituì la prima vera frattura tra sacerdoti e rivoluzionari. La  rivoluzione ormai in atto avanzava implacabile, scavando un solco incolmabile tra clero giurato e clero refrattario (contrario cioè alla nuova normativa) fino all’epoca del Terrore, della persecuzione dei preti refrattari, delle esecuzioni capitali e del tentativo controrivoluzionario della Vandea. Alexis de Tocqueville scriveva: “Tra le passioni suscitate da questa rivoluzione, la passione antireligiosa fu la prima ad accendersi e l’ultima a spegnersi”.

Il B. Chaminade fece parte di quel clero che, volendo rimanere coerente con la missione della Chiesa e fedele al Papa, rifiutò il giuramento alla Chiesa costituzionale. Nel periodo del Terrore (1793) rimase nascosto in Bordeaux, continuando ad esercitare clandestinamente il ministero sacerdotale a rischio continuo della vita. Sulla base di testimonianze autentiche, i biografi raccontano che, in alcune circostanze, egli godette di una protezione sensibile e miracolosa di Maria. Ecco, i poliziotti irrompono in una casa in cui sta amministrando i sacramenti, ma stranamente non lo vedono...Un bambino molto ingenuamente dirà di aver visto una “bianca Signora” coprirlo con un velo. E’ comunque documentato dalla corrispondenza di questo periodo, che egli effettivamente fu fatto oggetto di una “protezione” speciale da parte della Vergine. 

Nel suo rifugio il B. Chaminade coraggiosamente teneva una bella statua della Madonna che proveniva da una chiesa dissacrata della città. Quante traversie per portarla a casa! Si era all’inizio della rivoluzione. Fu deciso di camuffare l’immagine e di farle fare il viaggio durante la notte. Ma fu ugualmente bloccata dai poliziotti. Il B. Chaminade, che risultava in Bordeaux privo di nome e di domicilio, riuscì faticosamente, con l’aiuto di qualche amico, a venirne in possesso.

5 ° =  L’ESILIO  A SARAGOZZA (1797 - 1800)

Al prete refrattario, che era passato indenne attraverso le bufere persecutorie, toccò infine l’esilio in Spagna. Tra i tanti  luoghi che potevano offrirgli ospitalità,  egli scelse la città di Saragozza, il cui nome è indissolubilmente legato alla Madonna del Pilar. Le prime testimonianze storiche sul Santuario del Pilar risalgono al sec. XI°, all’inizio della dominazione araba. Nel 1118, liberata la città, fu promulgata dal Papa una particolare indulgenza, volta a raccogliere i fondi per la ricostruzione dell’antica chiesa.  Ma la tradizione popolare risale molto più in là nei secoli, fino a parlare di una visione avuta da S. Giacomo il Maggiore: la Vergine (ancora in vita!) gli sarebbe  apparsa sulle rive dell’Ebro, sopra una colonna (“Pilar”) e l’avrebbe incoraggiato a proseguire nell’opera di evangelizzazione della Spagna.

Il culto di Nostra Signora del Pilar conobbe una grande diffusione dopo la scoperta dell’America, avvenuta esattamente il giorno della sua festa (12 ottobre 1492).Nel 1958 tale data è stata dichiarata ufficialmente ‘fiesta de la hispanidad’, essendo celebrata da tutti i Paesi di lingua spagnola.

Il grandioso Santuario attuale, che racchiude l’antica cappella, è stato costruito a partire dal 1600. L’immagine è una piccola statua della Vergine col bambino in braccio, di fattura gotica.  L’attuale catechismo spagnolo, pubblicato dalla Commissione Episcopale, parlando del Santuario del Pilar, ricorda il periodo in cui il B. Chaminade si trattenne in quel luogo e maturò l’aspetto caratteristico della sua vita interiore, ossia l’amore apostolico verso Maria. Il B. Chaminade era convinto che ogni attività avesse bisogno di un supporto spirituale fortissimo, incessantemente alimentato dalla preghiera e dalla riflessione.

Il soggiorno di Saragozza fu per lui un tempo provvidenziale di meditazione. Osservando il fenomeno generale di un rinascente paganesimo, egli sognò l’affermarsi di nuove forze che si proponessero di vivere quello stato di santità, che fu proprio della Chiesa degli apostoli e dei martiri.

E, come risulta da nuovi documenti, conversando col fratello Luigi, sacerdote anche lui ed esule a Saragozza, sulla base di alcune geniali intuizioni del sac. Bernardo Dariès, accarezzò l’idea di una “Società di Maria”. Una società di tipo nuovo: niente abito, niente chiostro, ma impegno apostolico ad altissimo grado e soprattutto fiducia in Colei che è destinata a schiacciare vittoriosamente la testa dell’Antico Serpente, Satana.

 Sembra che questo tipo di riflessioni e di progetti abbiano avuto la loro origine in una “visione”, forse colta in “un attimo” di luce miracolosa, che andò via via precisandosi nel suo pensiero.

Per quanto riguarda Bernardo Dariès, sappiamo che, dopo la chiusura del San Carlo di Mussidan, nel 1792 prese domicilio a Bayonne, dove scrisse una prima regola di una futura Società di Maria, composta di varie categorie di religiosi i quali, mediante una consacrazione mariana, sarebbero diventati il “popolo della Vergine”. Raggiunse poi la Spagna, e proprio a Saragozza fu al centro di una comunità sacerdotale, un vero gruppo mariano, di cui facevano parte anche Luigi e Guglielmo Chaminade. Il progetto, ulteriormente elaborato, fu in seguito presentato ai Vescovi, ma non ebbe attuazione, poiché sembrava che non potesse reggere al tempo. Il Dariès rese partecipe delle sue idee anche Marcellino Champagnat, il santo fondatore dei  Fratelli Maristi.

Dopo tre anni di proscrizione, il 20 ottobre 1800, un decreto dei Consoli -precedendo il Concordato tra Pio VII e Napoleone (1801)- autorizza i preti esiliati a rientrare in patria; esso  riapre così allo Chaminade la via del ritorno. Napoleone, il nuovo padrone della Francia, in un discorso ai parroci milanesi, aveva tenuto a dire che “resa più saggia dalle sue sventure, la Francia aveva richiamato a sé la fede cattolica”. Bisognava però prendere atto che era tramontata definitivamente la “vecchia cristianità”,cioè tutta l’impalcatura del vecchio mondo cristiano, inteso come ambiente di fede ben compatto, capace di compattare il popolo in strutture coibenti e conservatrici. 

6 = IL RITORNO IN PATRIA (autunno 1800)

Col proposito “di cominciare a fare qualcosa sul serio per la gloria di Cristo”, il B. Chaminade giurò di fare il sacerdote di Maria, nient’altro che il sacerdote a tempo pieno. Vicario episcopale della diocesi di Bazas, fino a  quando non entrò in vigore il Concordato napoleonico (che abolì tale diocesi), aprì poi a Bordeaux  l’oratorio di S. Maria Maddalena né mai volle dedicarsi ad una pastorale di tipo parrocchiale, da lui ritenuta poco adatta ad un apostolato missionario.

Con una visione semplice e chiarissima, andò maturando qualcosa di più impegnativo nell’ambito dell’associazionismo puro, preferendo riprendere la tradizione mariana dell’antica Congregazione di S. Colomba. Forse alcuni testi della prima edizione della ‘Raccolta di preghiere e di pratiche destinate al culto della purissima Maria’, pubblicata dallo Chaminade nel 1801, provengono da questa associazione. La sua Congregazione, che definì come “milizia santa che avanza nel nome di Maria”, si estese rapidamente accogliendo  giovani e adulti provenienti da tutta la regione.

In questi anni di intensa creatività,  con la sua capacità di ascolto, con la concretezza delle sue decisioni operative e soprattutto  con la sua contagiosa comunicativa, egli si rivelò un autentico leader.  L’atto di consacrazione che faceva pronunciare ai suoi congregati ricorda un po’ quello di Luigi M. Baudouin, scritto e diffuso in Vandea nel 1798. Era un atto di fede sulle verità rivelate riguardanti Maria, quasi una sintesi della sua “conoscenza” .

Sono di questo periodo i quaderni di appunti mariani, detti propriamente “Note di istruzione sulla santa Vergine”. Le frequenti citazioni dei Padri e dei “predicatori” del 17° secolo manifestano nel nostro Autore la volontà di fornire di Maria un insegnamento semplice e stimolante, sulla solida base della tradizione della Chiesa e col supporto di un discreto aggiornamento.

Il B. Chaminade dichiarava di essere colpito dai copiosi frutti di vita cristiana che scaturiscono dal cammino mariano proposto dalla Congregazione, frutti che non gli accadeva di vedere altrove. Lo impressionavano le numerose conversioni profonde che trasformavano avversari o indifferenti in apostoli.  Lo riempivano di stupore le vocazioni sacerdotali e di speciale consacrazione che fiorivano numerose e il vigoroso impulso alla missionarietà che si andava diffondendo nella regione.

7 = CON ADELE  DE TRENQUELLÉON

Tutto ciò risulta dal fitto carteggio intercorso tra il B. Chaminade e la ven. Adele de Batz de Trenquelléon, confondatrice delle Figlie di Maria Immacolata. Dal 1805 al 1808 la giovane Adele, già fortemente animata dallo spirito di S. Francesco di Sales, si sforzò di imitare le virtù di Maria e di vivere in unione con Lei i misteri celebrati nel corso dell’anno liturgico.

Nel 1808 si realizzò la fusione del gruppo da lei diretto con la Congregazione di Bordeaux, all’insegna di un esplicito sigillo mariano: la piccola società di Adele accettò subito di assumere la pratica dell’amore attuale per Maria, che costituiva l’aspetto distintivo dei congregati bordolesi.

In seguito Ella accolse l’introduzione di un testo formativo: il Manuale del servo di Maria. Infine, al centro della vita del gruppo porrà la Consacrazione, alla quale si accedeva dopo un periodo di accurata preparazione.

Ma al di là di queste pie pratiche, si avvertì subito una marcia in più nell’attività apostolica della giovane Adele, dopo che ebbe introdotto a tutto campo la Madre di Gesù nella propria vita interiore. Veramente, con Maria si operò in lei una crescita “nella gioia” e nella disponibilità di servizio per la salvezza delle giovani spesso carenti di verità, di certezze e del senso di Dio. E finalmente si innescò in lei quel processo dinamico che conduce a “morire per Cristo”, per rinascere con lui a vita nuova (Gv 12, 24).

8 = UN ISTITUTO SECOLARE

La presa di posizione di Napoleone contro le Congregazioni Mariane di Francia -tra il 1809 e il 1814- obbligò anche quelle di Bordeaux alla clandestinità. Sospese le attività ufficiali, i congregati più impegnati continuarono ugualmente a condurre una vita permeata di spirito apostolico secondo le modalità più diverse. Il B. Chaminade mantenne in qualche modo i contatti con loro, cercando di orientarne lo sforzo apostolico e offrendo loro la possibilità di consacrarsi a Dio con voti privati.

Ciò gli valse a buon diritto il titolo di precursore degli Istituti secolari, oggi fiorenti nella Chiesa. L’intento da cui scaturì questa  esperienza, che ebbe tuttavia un carattere transitorio, fu quello di creare una tappa importante sul cammino della perfetta consacrazione a Maria.

I guai di p. Chaminade furono notevoli durante i “100 giorni”(20 marzo-22 giugno 1815).  La polizia, poiché riteneva  pericolosa per la tranquillità pubblica la sua presenza a Bordeaux, procedette al suo arresto ed alla sua incarcerazione per due giorni (23-24 giugno 1815) nel forte di Hâ. La disfatta di Waterloo (18 giugno 1815), che segnò la fine di Napoleone, permise al B. Chaminade di tornare a Bordeaux, lieto di  veder rifiorire le sue  Associazioni. In una ulteriore circostanza, si ricorda con simpatia il seguente aneddoto: durante una perquisizione nella casa del B. Chaminade, in un cassetto furono trovate delle medaglie di Maria Immacolata, che vennero subito ritenute come il segno di appartenenza a un gruppo eversivo. Il Beato sorrise e, fatti sedere gli inquirenti, si mise a spiegare loro in tutta tranquillità la dottrina dell’Immacolata Concezione. Essi ascoltarono con una certa impaziente attenzione e infine se ne andarono, non senza averlo rispettosamente ringraziato.

9 = LA SOCIETÀ DI MARIA

Intanto il B. Chaminade attendeva che maturassero i tempi per poter finalmente dar vita alle fondazioni religiose concepite a Saragozza. Il gruppo di sacerdoti che, attorno a lui e a Bernardo Dariès, avevano preparato il progetto di una “Società di Maria”, stava dando i suoi frutti. Mentre Dariès non aveva successo, Baudouin fondava nel 1802 una “Società dei Figli di Maria” e i pp. Colin e Champagnat, certamente sotto l’influsso del Dariès, fondavano nel 1816 la loro “Società di Maria”, meglio nota oggi sotto il nome corrente delle due famiglie religiose nelle quali si è divisa: i “Padri Maristi” e “Fratelli Maristi delle S cuole”.

Il B. Chaminade, da parte sua, riconosciuto -il 1° maggio 1817, “giorno grandemente memorabile”- il segno dal cielo che attendeva (il giovane congregato Giovanni Battista Lalanne gli chiede di poter fare il suo stesso genere di vita, consacrandosi a Dio ed alla causa di Maria) pose decisamente mano a quella che egli riteneva non opera sua, ma di Maria. Il progetto sarà reso effettivo il 2 ottobre successivo, festa dei SS. Angeli Custodi, quando i primi 5 aspiranti religiosi marianisti cominciarono a vivere in comunità. Il marianista P. Léon Meyer riferisce questa confidenza del Fondatore:”E’ stata la Madonna la fondatrice della Società di Maria; è stata Lei a volerla così com’è”.

  Pur tra le inevitabili prove e le difficoltà degli inizi, l’istituzione si consolidava e si dilatava in iniziative coraggiose, specialmente nei campi della scuola e dell’associazionismo. Bisognava aver fiducia nei giovani. La latitanza della loro fede era dovuta alla crisi e al disimpegno degli adulti che non pregavano più.

Un sacerdote, costatando i benefici risultati ottenuti  dall’associazionismo giovanile, scrivendo al B. Chaminade, così si esprime: “Nella Congregazione la gioventù si forma veramente mediante l’invocazione di Maria”. La consacrazione, come itinerario di fedeltà e di configurazione a Cristo, realizzava l’ideale della maternità spirituale di Maria. Per questo il Fondatore consigliava ai suoi religiosi di costituire delle associazioni mariane anche nelle scuole, e chiedeva a P. Fontaine di approntare un “Manuale del servo di Maria” per i giovani alunni.

Non c’è da stupirsi se l’eco di questa devozione speciale già nel 1838 si era talmente diffusa da spingere il canonico Aeby di Friburgo (Svizzera) a offrire una scuola alla Società di Maria, preferendola ad altri Istituti, perché “consacrata a Maria”.

10 = LA CONOSCENZA DI MARIA

Il motto del B. Chaminade era: “Conoscere, amare e servire Maria per farla conoscere, amare e servire”.

Egli proponeva a tutti l’impegno a sviluppare la capacità di comunicare tale conoscenza con gli scritti, la parola e la vita. Era necessario. In un “Dictionnaire Apostolique”, pubblicato in quegli anni, l’autore lamentava l’atteggiamento diffuso “di certi cattolici che a motivo di uno zelo male inteso rinnegavano la devozione mariana” . Tale atteggiamento era piuttosto il frutto della loro ignoranza. Fu precisamente per vincere questa ignoranza che il B. Chaminade scrisse un opuscolo in cui indica le vie della conoscenza della Madre del Signore, aperte all’anima cristiana dalla Grazia.

Il fiore della conoscenza di Maria è comunque l’amore comunicativo. E’ sorprendente come egli, all’età di quasi 80 anni, sapesse ancora entusiasmarsi scrivendo di Maria nella Lettera ai predicatori dei ritiri ,datata 24 agosto 1839 (vedi il testo completo in Appendice) o leggendo i libri di S. Alfonso M. de’ Liguori, che venivano solo allora pubblicati in Francia. .Nelle difficoltà, il B. Chaminade confessava di non avere “altra politica” all’infuori di quella di ricorrere all’intercessione di Maria.

Uomo di riflessione e di profonda preghiera qual era, soleva riflettere sulla visibile concretezza e l’invisibile profondità della figura della Vergine, ponte tra le realtà terrestri e le verità divine, che rivela la presenza dell’Eterno nella storia, proprio nell’istante in cui la salvezza entra nel mondo per mezzo della fede.. E’quanto non smetto di ammirare da un po’ di tempo, da troppo poco tempo...”

11 = GLI ULTIMI ANNI

Il Fondatore manifestò le più vive espressioni di una fervida pietà mariana quando conobbe il dolore della contestazione ad opera dei suoi discepoli della prima ora.

C’è un gesto che esprime tutta la sua fede nella potenza di Maria: quando si recava nel Noviziato di S. Anna, soleva fermarsi presso la statua dell’Immacolata, collocata in fondo ad un lungo viale del giardino e, posando la mano sulla testa del serpente, così esclamava: “Ti ha schiacciato la testa e te la schiaccerà sempre!”.

Ebbe pure modo di iscriversi a una associazione dell’amore attuale di Maria, associazione che si proponeva di mantenere vivo il ricordo della Vergine lungo tutto il corso della giornata, mediante l’impegno degli iscritti a ricordarla ciascuno ad un’ora determinata. Il B. Chaminade si impegnò per ben quattro ore pomeridiane.

E’ interessante notare la fede che trabocca in una circolare del 1844, recante la data del 12 ottobre, festa della Madonna del Pilar: “Vi parlo, miei cari figli, come un vecchio padre di una famiglia numerosa che vede approssimarsi la morte e che non vorrebbe morire senza vedervi tutti, ben uniti, camminare a grandi passi verso le mete che il Verbo Incarnato si è proposto nel fondare la Società di Maria. Sono grandi queste mete e tali da accrescere il culto della sua augusta Madre, per la cui mediazione Dio vuole sostenere la fede e la religione negli ultimi secoli della Chiesa cattolica”.

A 85 anni faceva sapere all’Arcivescovo di Bordeaux: “Adempirò volentieri un voto che vorrete fare alla Madonna di Verdelais  per la vostra guarigione E’ da tempo che penso di recarmici per ringraziarla … e fare al Santuario un offerta secondo le mie possibilità. Così ho fatto ad Agen, per una questione importantissima, risolta la quale, mi sono recato a ringraziare la Madonna di Bonnencontre”

Cinquant’anni prima, a Saragozza, aveva fatto qualcosa di simile, per ottenere la guarigione di Teresa de Lamourous, alla quale scriveva: ”Sto preparando due mazzi di fiori -uno per me ed uno per voi-  da offrire alla Vergine nel giorno della sua festa più prossima”. Nel 1849, stilando il suo testamento a favore dei poveri di Bordeaux, non mancò, di fare un delicato riferimento alla Vergine Maria: era l’ultimo.

Il P. Cheveaux, terzo superiore generale della Società di Maria dirà di lui: “Ha contribuito tanto alla gloria di Maria”.

E i suoi religiosi ricordavano sempre quanto era solito ripetere: Da molto tempo non vivo e non respiro che per diffondere l’amore ed il culto di Maria”.

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PAOLO RISSO

 

C H A M I N A D E

il rivoluzionario innamorato di Maria

 

 

1° = “MICETTO”, UN RAGAZZO SVEGLIO

A Périgueux, nella provincia del Périgord - Francia meridionale - allora non più florida come un tempo, Biagio Chaminade, era maestro ve­traio e Caterina Béthon era figlia di un negoziante di stoffe. Quando si sposarono, lui cambiò mestiere e prese a lavorare con il suocero. Erano dun­que ap­parte­nenti al ceto dei piccoli commercianti, buoni cristiani entrambi, pur nel dilagare delle idee dell’Illuminismo.

L’8 aprile 1761, nacque loro il 14° e ultimo figlio, che al battesimo amministratogli lo stesso giorno, essi chiamarono Guglielmo. In casa, fu su­bito “Micetto”. Dei tredici nati, solo sei sopravvis­sero e quattro sa­ranno chia­mati a consacrarsi a Dio. La mamma si preoccupò di avviarli tutti a vi­vere un’intensa vita cristiana, at­traverso le vi­cende umili, liete o tristi di ogni giorno.

Un giorno il piccolo Guglielmo, come capita a tutti i bambini, faceva i ca­pricci per lasciarsi lavare e petti­nare. La mamma allora, ricorrendo alla saggezza popolare, uscì col proverbio: "Chi bello vuole apparire, un poco deve soffrire". Un’altra volta, il bambino si era dimenti­cato di ringraziare per un dono ricevuto: “Sembra che per te valga ben poco quello che ti è stato re­galato”! - commentò la sua mamma. 'Micetto' imparò la lezione del sacri­ficio e del dovere della gratitudine.

La mamma lo conduceva con sé in chiesa: Guglielmo osservava tutto con attenzione, indu­giava presso l’al­tare, seguiva la S. Messa, felice di strin­gersi alla mamma, quando ella aveva ri­cevuto Gesù nel­l’Eucarestia, per sentirsi più vicino a Lui.  Allo stesso modo, imparò a pregare e ad af­fidarsi con fiducia alla Madonna che sarà, con Gesù, la passione più grande della sua esi­stenza.

“Ho sentito raccontare spesso - dirà  Ippolito Hérail - che egli aveva ricevuto da sua ma­dre una devozione filiale verso Maria: que­sta devozione, te­nera e forte, fu l’anima della sua pietà, l’og­getto del suo apostolato e il suo strumento prefe­rito per conquistare le anime”.

Assai presto Guglielmo si preparò alla Cresima: quel giorno, al suo nome di battesimo, ag­giunse quello di Giuseppe, per la sua devozione allo sposo di Maria, S. Giuseppe: con questo nome sarà so­lito firmarsi. Non era stato forse S. Giuseppe il  primo “servo” della redenzione del Cristo, il primo “devotissimo” di Maria?

Frequentò il corso elementare alla scuola parrocchiale di Périgueux, poi passò al Collegio 'S. Carlo' di Mussidan, sorto nel 1744, dove già studiava un fratello più grande, Luigi Saverio. Il col­legio era tenuto dai sa­cerdoti Oblati della Congregazione di S. Carlo, e lì Guglielmo Giuseppe ri­ce­vette la prima Comunione, a 12 anni, e forse sentì per la prima volta il desiderio di diventare anche lui sacer­dote.

 

2° = MIRACOLOSAMENTE GUARITO.....

 

Era soltanto un ragazzo, ma un’attrattiva singolare verso Gesù eucari­stico già lo portava a pas­sare lun­ghe ore in  preghiera, inginocchiato e immo­bile come una statua, davanti al Tabernacolo: Gesù lo atti­rava come una cala­mita attira il ferro e da Lui sembrava, nonostante la giovanissima età, non di­stac­carsi più.

Vivace, allegro, pieno di vita, gli piacevano pure le ricreazioni, i giochi rumorosi, le scam­pa­gnate. Durante una passeggiata, mentre insieme ad alcuni compagni giocava presso una cava di pietre ab­ban­do­nata, G. Giuseppe fu col­pito alla caviglia da una grossa pietra staccatasi dalla parete roc­ciosa. La ferita si ri­velò piuttosto grave e diffi­cilissima a guarire. Anzi non guariva af­fatto.

Vistosi a mal partito e nel rischio di dover rinunciare alla vocazione sa­cer­dotale, che ormai aveva mani­fe­stato, il ragazzo, consigliato dalla sua guida spirituale -che era il suo fratello maggiore, padre Giambattista-  si ri­volse alla Madonna con un voto: se fosse guarito bene,  si sarebbero recati insieme in pellegrinaggio, a piedi,  al San­tuario della Madonna di Verdelais... Tra lo stu­pore dei me­dici, dei compa­gni e dei superiori del Collegio, guarì così rapida­mente che si do­vette pen­sare ad un vero intervento mira­coloso della Madonna.

L’indomani della guarigione, si recò, in effetti, col fratello Giambattista a sciogliere il voto al san­tuario della Madonna di Verdelais, percorrendo a piedi gli oltre 80 Km. di strada che lo separano da Mussidan. Al ritorno, riprese si­curo il cammino verso la meta dell’altare. Il suo amore alla Madonna crebbe a dismisura. Del resto, nel collegio di Mussidan il clima di attaccamento a Maria era assai intenso, ani­mato proprio dal p. Giovanni Battista Chaminade, che si era formato nell’ambiente delle “congregazioni  ma­riane” giovanili dei Gesuiti, e, come già abbiamo detto, era il direttore spi­rituale dei suoi due fratelli, Guglielmo Giuseppe e Luigi Saverio.

Un giorno, G. Giuseppe, appartatosi, come soleva, in cappella a pregare, intuì che Dio vo­leva da lui su­bito qualcosa di grande. Andò a par­lare con il suo consigliere - il p. Giovanni Battista - e con il suo con­senso, a soli 14 anni, offrì a Dio i voti privati di castità, obbedienza e povertà. Era la sua prima con­sacra­zione totale a Dio, la scelta, non solo del sacerdozio, ma della vita re­ligiosa.

“Quei primi voti - dirà - mi impegnavano solamente con Dio, perché non sapevo ancora in quale Ordine sarei potuto en­trare”. La Congregazione di S. Carlo, che gestiva il collegio di Mussidan, era soltanto un’asso­ciazione sacerdotale diocesana e non un Ordine religioso. Per il mo­mento, egli re­stava al suo po­sto, conti­nuando la sua ascesa al sacer­dozio, con impegno negli studi, nella pre­ghiera, con il suo entusia­smo per Cristo, soste­nuto dalla sua affezione sempre più grande alla Madre sua.

 

3. = SACERDOTE APPASSIONATO

 

Nel 1777, a soli 16 anni,  G. Giuseppe con il fratello Luigi, vestì l’abito ecclesiastico e intra­prese gli studi teologici. Ma, mentre il fratello Luigi ebbe modo di frequentare l'Università di Bordeaux- dove conobbe il padre Lacroix, fervente apostolo dei giovani studenti della città e potè essere da lui indirizzato alle prime esperienze pastorali, venendo a contatto con la Congregazione mariana che operava assai proficuamente sui giovani nell'ambito della parrocchia di S. Colomba- G. Giuseppe rimase a Mussidan, salvo due soggiorni a Parigi, presso il Seminario di S. Sulpizio, per una preparazione più accurata ed immediata in vista degli Ordini maggiori.  Lì ebbero una guida autorevole nel padre Psalmon, futuro martire della vio­lenza dei giacobini, durante la Rivolu­zione, e “beato”.

Nonostante le difficoltà del momento, gli spostamenti, le incertezze di un Paese, come la Francia, or­mai sul­l’orlo dell’abisso, G. Giuseppe si dedicò seriamente agli studi di teologia, alla preghiera as­sidua, formando in sé l’uomo di Dio. Nella sua vita, ormai, c’era proprio Gesù solo ed egli, tutto quello che faceva e pro­gettava, lo offriva a Lui, animato soltanto dalla fede e dall’amore. Sarà così per sempre: solo la fede dovrà guidarlo e so­stenerlo, in ogni frangente dell’esi­stenza, in ogni scelta per sé, in ogni decisione o consi­glio per gli altri.

Nel maggio del 1785, con il fratello Luigi, G. Giuseppe, a 24 anni veniva ordinato sacer­dote. Era l’ini­zio di una singolare lunga avventura sa­cerdotale, densa di umile apostolato, di rischi e di imprevisti, di soffe­renze e di opere, così da stupire e quasi da far pensare a un romanzo: un ro­manzo di amore.

L’anno dopo, 1786, i tre Chaminade si ritrovarono insieme al collegio S. Carlo, a Mussidan: p. Giovanni Battista come superiore, p. Luigi Saverio come prefetto degli studi (preside), e p. Guglielmo Giuseppe come eco­nomo. Insieme, come in una triplice alleanza, fecero rifiorire l’Isti­tuto dotandolo di una bella cappella e di una pic­cola fabbrica di porcellane per assicurarne i mezzi di sussi­stenza. Presto fu­rono co­nosciuti come “i tre santi” e gra­zie a loro, il Collegio   si fece assai fiorente.

   P. G. Giuseppe, intanto si poneva alla ricerca di un Ordine religioso, in cui potesse realiz­zare il suo desi­derio intenso di consacrazione a Dio. Ma, nei luoghi dove si recava per rendersi conto di per­sona pen­sando di iniziare un nuovo cammino, restava deluso per la mancanza di fer­vore che veniva no­tando. Rimase a Mussidan in attesa di quanto la Provvidenza di Dio gli avesse rivelato, impe­gnandosi a fondo, come sacer­dote appassio­nato e zelante.

Ma all’orizzonte, si addensava, anzi stava per scoppiare la bufera: da un capo all’altro della Francia - meglio potremmo dire  dell’Europa - scrittori, pub­blici­sti, politici, mestatori, in una parola “gli intellet­tuali”, animati dalla mas­so­neria, finalmente (a sentire loro), avevano acceso “i lumi della ragione”(ecco l’Illuminismo) e soffia­vano sul fuoco per una ri­voluzione che avrebbe dovuto cambiare il volto al pia­neta. Tra tutti costoro, si era di­stinto un certo Voltaire, che aveva scritto “Ecrasez l’infame” (=“Schiacciate l’infame!”): l’infame era la Chiesa Cattolica.                                                              

“Io sono stanco di sentir dire - affermava Voltaire - che 12 uomini, gli apostoli di quel Nazareno cro­ci­fisso a Gerusalemme, da soli conquistarono il mondo al loro Cristo. Se anche fosse così, un uomo solo di­struggerà il Cattolicesimo”. Ma non calcolava, Voltaire, che anche al suo tempo, Dio avrebbe su­sci­tato mi­gliaia, anzi milioni di uomini simili a quei “dodici”, capaci, con la sua grazia, di una nuova pacifica conquista del mondo a Gesù.

Tra questi, proprio il venticinquenne padre G. Giuseppe Chaminade.

                                                                                                                                                       

4° = APOSTOLO, DURANTE LA RIVOLUZIONE

 

Per l’inizio del maggio 1789, furono convocati dal re a Parigi gli "Stati Generali” per quel cambia­mento della Francia, che si sarebbe presto visto nella sua realtà sanguinaria e persecutoria con­tro la Chiesa e contro l’uomo. Ognuno dei tre  “Stati” - nobiltà, clero, e borghesia - doveva nomi­nare i suoi rappresen­tanti. Il 24 marzo 1789,  p. G. Giuseppe partecipò all’elezione dei rappresentanti del clero per la sua pro­vincia.

Radunati gli “Stati Generali” il 5 maggio 1789, fu subito evidente l’indi­rizzo anticristiano de­gli “uomini della rivoluzione” con la persecu­zione che di fatto scatenarono contro la Chiesa, a co­minciare dal clero. Nel gennaio 1790, mentre la Francia era ormai in ebollizione, si spense im­provvi­samente, su­bito dopo aver ce­le­brato la Messa, il p. Giambattista Chaminade, fra­tello maggiore di Giuseppe, il quale, di colpo, si trovò privo del suo migliore appog­gio.

La situazione si faceva sempre più difficile per il clero e per i credenti. Padre G. Giuseppe si tra­sferì a Bordeaux, prendendo domicilio uffi­cialmente presso la famiglia Chagne, dove sa­rebbe rimasto durante la ri­volu­zione. Nel luglio 1790, “l’Assemblea Nazionale”, dominata da illu­ministi, atei e massoni, approvò la “Costituzione Civile del Clero”, per cui i sacerdoti avrebbero do­vuto giurare fe­deltà alla “Costituzione Repubblicana”; questo gesto signi­fi­cava la rot­tura con la Chiesa, la separa­zione dal­l’obbedienza al Papa. Pochissimi preti giurarono e la stragrande maggioranza di essi ri­mase fedele a Roma. La quasi totalità dei fe­deli, rifiutò persino di entrare nelle chiese dei preti “giurati”.

Per questo, ci saranno preti e religiosi incarcerati, torturati, uccisi; intere popolazioni di cre­denti- insorti in di­fesa della fede e della loro li­bertà di co­scienza- sterminate come nella Vandea, dove av­venne il primo ge­noci­dio del­l’età con­temporanea, proprio ad opera di quei 'democratici' che a parole ave­vano proposto come pro­gramma “libertà, ugua­glianza e fraternità”. Nel 1793-94, con Robespierre, si scatenò “il terrore” che mandò alla ghigliot­tina non solo i preti  “refrattari” (cioè non 'giurati') e i semplici fedeli cattolici, ma pure scienziati cre­denti come Lavoisier e poeti come Andrea Chénier. Una vera vergogna per la storia europea.

Padre G. Giuseppe, tra i più decisi “refrattari”,  non si lasciò intimorire: sentiva che occor­reva restare sulla breccia, sfidando la morte ad ogni ora, per sostenere la fede dei confratelli nel sa­cerdo­zio e del po­polo cristiano, senza abbandonare di un passo la sua posizione di sacerdote di Cristo. A San Lorenzo, presso Bordeaux, si pro­curò una casa e chiamò ad abitarvi i suoi an­ziani genitori, man­tenendo però il do­micilio presso gli Chagne: sa­rebbero gio­vati l’una e l’altro, nei giorni tristissimi, facili ormai a preve­dersi.

Era il 1792 e le cose davvero volgevano al peggio: occorrevano lucidità, coraggio, ottimismo, fede in­do­mita in Gesù, Dio e Signore della storia e del­l’universo, per non arrendersi e alimen­tare la fede e la vita cristiana di tanti credenti, per non perdere la speranza. Quando i preti che non ave­vano giu­rato, fu­rono espulsi dalla Francia, mentre i suoi fratelli se ne andarono -Biagio, francescano cappuccino, a Roma e Luigi Saverio in Spagna- lui rimase come clandestino nella sua casa a San Lorenzo, in campagna, per eser­citare il mini­stero sa­cerdotale, rischiando la pelle ogni giorno.

Si vestì secondo le necessità da contadino, da operaio, da stagnino, da venditore ambu­lante, ma l’a­bito rozzo non consentì mai a chi lo cono­sceva di dimenticare che “quello” era un ottimo prete al quale si poteva ri­correre in ogni evenienza. In un clima simile a quello del tempo delle ca­tacombe, se non peg­giore, in cui i primi cristiani vis­sero e diffusero il Vangelo, egli si fece apo­stolo e missionario intrepido, inarrestabile, con la pre­ghiera e la peni­tenza, con la Messa celebrata nelle case private, nelle cantine e nei nascondigli, con la vi­cinanza ai piccoli e ai malati, a tutti quelli che erano in pericolo per la loro fede, con la guida spirituale, con il ministero delle confessioni, come mi­gliaia e migliaia di altri preti francesi, che non cedettero di un palmo, aiu­tati da mera­vi­gliose fi­gure di credenti.

 

5°- TRA LA MORTE E LA VITA

 

A Bordeaux, i pieni poteri furono assunti, dal 1793 al 1794, da M. A. Jullien, un emissario di Robespierre: cen­tinaia di cittadini “sospetti” al potere, furono giustiziati, pur essendo innocenti da ogni colpa. Le sue guardie pre­sero subito a cercare il prete di Saint-Laurent, come dei le­vrieri. Spesso face­vano improv­visa irruzione nella sua “tenuta”, ma qualcuno, rimasto di vedetta, riu­sciva sempre a nasconderlo e a dire a quelli che il prete non c’era, dandogli la possibilità di scap­pare.

Durante i giorni tremendi del Terrore, capitava di vedere per le strade di Bordeaux un ope­raio con abiti rat­toppati, che, girando con un paiolo in te­sta, si fermava sotto le finestre delle case, gridando: “Stagnaro, stagnaro!”. Era padre Chaminade che si recava nelle famiglie ad eserci­tare il suo mini­stero.

Altre volte entrava nelle case, fingendosi venditore ambulante, subito at­torniato da ra­gazzi istruiti dalle loro mamme ad accogliere   il prete sotto quelle sembianze. Fuori restavano al­cuni, a sorvegliare se vi fossero peri­coli immi­nenti, pronti a farlo scappare.

Un giorno, mentre si recava in una famiglia, travestito da calderaio, per assistervi un mo­rente, un gruppo di rivoluzionari lo fermarono e gli domanda­rono: “Cittadino, hai forse visto il pretaccio Chaminade?”. Egli allora, senza scom­porsi: “Sì, è passato proprio adesso per quella strada”  -rispose, indicando il cammino che aveva appena per­corso-  “ se correte potrete raggiungerlo”. Lui continuò a gridare più forte di prima: “Stagnaro!”.

Un’altra volta, a San Lorenzo, era appena tornato da una sua “spedizione”: i cani si misero ad abba­iare, an­nunziando l’arrivo di estranei. La donna di servizio, che stava lavando, ribaltò il grosso mastello sul suo pa­drone. Sopraggiunti gli sbirri della rivoluzione si misero a perqui­sire la casa. Non avendo trovato alcuno, la donna li invitò ad accettare un bicchiere di vino. Quelli brinda­rono alla salute della repubblica, ap­poggiando bottiglia e bic­chieri sulla tinozza ri­bal­tata... sotto cui stava il prete ricercato!

Per mesi e mesi, padre G. Giuseppe visse così: con notevole sangue freddo, confidando nel­l’aiuto di Dio e della Madonna, preoccupato sol­tanto di essere sacerdote, a servizio di Dio e della Chiesa, della gente più umile che aveva bisogno di coraggio, di fede, dei Sacramenti, in primo luogo della Confessione e dell’Eu­carestia.

Non venne meno neppure quando -quasi ogni giorno, durante i suoi tra­gitti di ministero sacer­dotale, mi­metizzato- si imbatteva nella carretta che tra­spor­tava preti o altre povere vittime, alla ghi­gliottina eretta sulla piazza cen­trale della città. Era consapevole di vivere una nuova 'era dei martiri', come al tempo dei primi cri­stiani nella Chiesa delle origini. Occor­reva avere e ritrovar ogni giorno il loro corag­gio, il gusto della mis­sione, come i primi apostoli.

La morte ebbe a sfiorarlo spesso, ma fu evidente a lui e a molti che Dio lo proteggeva. Come quella volta che, inseguito dagli sbirri, riparò in una casa e si sedette vicino ad un bam­bino, fin­gen­dosi di essere un membro della fami­glia, riunita attorno al camino. Gli inseguitori lo raggiun­sero, ma non si avvi­dero che lui era lì...  Quando se ne andarono, il bambino riferì alla mamma che non pote­vano vederlo perché in quel momento  una bella Signora aveva co­perto con il suo manto il sacerdote se­duto vi­cino a lui.

 

6°- ESULE A SARAGOZZA

 

Nell’estate del 1794, anche Robespierre finì sulla ghigliottina. A Bordeaux Lacombe fu giu­sti­ziato e il comi­tato militare sciolto. Il 21 febbraio 1795, la Convenzione permise un qualche li­bero esercizio del culto. P. Chaminade prese a  dedicarsi apertamente al suo ministero: aprì una cap­pella dove acco­glieva i fedeli per la predi­cazione e la celebrazione della Messa, per le con­fes­sioni,  per prendersi cura in primo luogo dei ra­gazzi e dei gio­vani. L’Arcivescovo di Bordeaux gli diede anche il delicatissimo incarico di ac­cogliere e riconciliare con la Chiesa i preti che,  per debolezza o per paura, avevano giurato fedeltà alla 'Costituzione Civile del Clero'. Così p. Chaminade, “penitenziere maggiore della diocesi”, con bontà, prudenza e fermezza, riportò alla Chiesa più di cento sa­cerdoti.

Ma la relativa libertà durò poco. Nell’autunno 1795, il governo ripristinò le norme della per­se­cu­zione, con la dif­ferenza che ora non si trattava più di ghigliottina, ma di deportazione ai la­vori forzati in Guienna per i preti “refrattari”. P. G. Giuseppe ritornò clandestino, ma ormai era troppo co­no­sciuto, per cui di lì a poco fu arre­stato sotto la falsa accusa di essersi rifugiato all’e­stero negli anni precedenti. Nonostante le sue prote­ste,  nel 1797 fu con­dannato all’esilio.

Allora scelse di emigrare in Spagna, dove già  si erano rifugiati diversi preti francesi, anch'essi esuli dalla patria, tra i quali suo fratello Luigi. Per la in­tensa devozione che li legava alla Madonna, decisero di tra­sferirsi insieme a Saragozza, presso il famoso san­tuario di “Nostra Signora del Pilar” dove, secondo un’antichissima tradi­zione, la Madre di Gesù,  ancora in vita, sarebbe apparsa all’apostolo S. Giacomo ('Santiago' per gli spagnoli), per incoraggiarlo nella sua difficile missione tra i pagani.

Accompagnato dal giovane sacerdote Giuseppe Bouet, giunse al Santuario  la sera dell’11 ottobre 1797, vigilia della solenne festa  della 'Pilarica'. Lì, assieme al fratello Luigi Saverio, che stava ad Orense e lo raggiunse poco dopo, avrebbe atteso “ai piedi della Madonna” la fine dell’e­silio.

Per guadagnarsi da vivere, di­ventò modellatore di statuette, ma la mag­gior parte del suo tempo lo dedi­cava alla meditazione e alla pre­ghiera, inginoc­chiato davanti all’immagine miraco­losa della Madonna del Pilar. Proprio in quei colloqui intensi, Maria Santissima gli fece intravedere la sua fu­tura missione, le opere che era chiamato a fondare,  per la gloria a Dio e  la salvezza di tanti fratelli, che la ri­voluzione aveva tra­viato.

A Maria egli portava la sua fede personale intrepida e un appassionato amore per Lei - doni che si erano raf­forzati nella esperienza missionaria, du­ris­sima ed esaltante sotto “il Terrore”-  il de­siderio, con­diviso con altri con­fra­telli esuli in Spagna e in quella città, di poter rientrare pre­sto in Francia per ri-cri­stianizzare la patria, ca­duta nel materialismo e  devastata dai senza-Dio.

La Madonna, al Pilar, lo illuminò chiaramente sul progetto che Dio da sempre aveva predi­spo­sto per lui: “Figli miei - dirà in seguito ai suoi “figli” - come siete qui ora, vi ho già visti, come in un batter d’occhio molti anni fa”.  Uno dei suoi primi discepoli, il p. Giorgio G. Caillet (1790-1874), scri­verà: “Fu proprio a Saragozza che il suo intenso amore per Maria si fece ancora più profondo, crescendo a dismisura... In quel luogo, per di­vina ispira­zione, egli concepì il progetto che, poi tornato in patria, avrebbe attuato con tanto successo: quello di dare inizio alle associa­zioni laicali in onore della Regina del cielo e in seguito a un Ordine Religioso che fosse a Lei par­ticolarmente consacrato”. Con queste “associazioni laicali mariane” e con l’Or­dine Religioso che avrebbe fondato, p. Chaminade, sotto la guida e con l’aiuto di Maria,  avrebbe rievangeliz­zato la gioventù, le fa­miglie, la so­cietà, la Francia in­tera.

Nel medesimo tempo a Saragozza, egli studiava le regole di diversi Ordini Religiosi, mosso dalla con­vin­zione che solo dei veri consacrati a Dio avreb­bero potuto riportare Cristo nella so­cietà. Era colpito spe­cialmente dal si­lenzio e dal fervore dei monaci della Trappa di S. Susanna, al confine tra l' Aragona e la Catalogna, ma in­tuiva che il suo posto non era “sul monte” bensì per le strade del mondo, con l’amore e l’a­zione stessa di Gesù.

Frequentava altresì le riunioni dei preti francesi esuli, che progettavano il modo con cui avrebbero rie­van­ge­lizzato la Francia, una volta ritornati in patria. A quegli incontri lo aveva orientato l' arcivescovo di Auch- mons. Luigi Apollinare de La Tour du Pin Montauban-  pur esso esiliato; egli inviava ai suoi sacerdoti let­tere pa­storali in cui si ri­chiamava continua­mente alla Chiesa delle origini, al coraggio dei primi testi­moni e missionari della fede.  A lui,  al  vescovo di Tarbes - mons. Francesco Montagnac- e al loro co­mune vicario general -Tommaso Casteran-  padre G. Giuseppe si sentì legato non solo da santa amicizia e stima reci­proca, ma dalla condivisione dei medesimi ideali di apostolato missio­nario.

 

7° - L’ORA DEL RITORNO

 

Dalla Francia intanto giungevano notizie tristissime: ancora la persecu­zione contro la Chiesa, la morte del papa Pio VI, in esilio a Valence, le vittorie di Napoleone in Italia, la sua cam­pagna d’E­gitto, il discredito del “Direttorio” da­vanti alla nazione, la stanchezza di un clima di vio­lenza che non poteva più du­rare e final­mente un certo desiderio di pace religiosa, con l’a­scesa al potere di Napoleone, nel 1799.

Un giorno d’autunno del 1800, arrivò la fausta notizia che il primo con­sole, Napoleone, con­cedeva ai francesi la libertà religiosa. Non gli im­portava tanto la religione quanto assicurarsi tran­quillità per il suo potere e stabilirvisi con sicurezza.

Padre G. Giuseppe Chaminade - con il fratello p. Luigi - rientrò a Bordeaux: l’atten­deva un la­voro enorme per far fronte alle rovine cau­sate dalla Rivoluzione e per di più manca­vano i sacerdoti e i mezzi ma­teriali. Che fare? Riprese il suo incarico di Penitenziere: regolariz­zava la po­sizione di preti 'giurati' e i matri­moni contratti da­vanti ai funzionari del Governo rivolu­ziona­rio.

Al momento di rientrare in patria, l'Arcivescovo di Auch -pur al corrente dei suoi progetti apo­stolici- gli affidò l’amministrazione della diocesi di Bazas, rimasta senza Vescovo dal 1791. Accettò solo quando fu rassicurato che l’incarico era provvisorio e, in cambio, chiese all’Arcive­scovo di otte­nergli dalla Santa Sede il titolo di “Missionario Apostolico”, che gli avrebbe con­sen­tito di agire su tutto il terri­torio della Francia. In seguito al Concordato tra il go­verno di Napoleone e il papa Pio VII° (16 luglio 1801), il numero delle Diocesi venne ridotto e a Bordeaux arrivò il nuovo arcivescovo, mons. D’Aviau.

Compiuto per la diocesi di Bazas quanto gli era stato possibile, padre Chaminade rassegnò le dimis­sioni da quell’incarico nelle mani del nuovo Arcivescovo, per dedicarsi completamente alla missione che, per ispira­zione della Madonna, ormai credeva essere la sua.

 

8° -LA ”CONGREGAZIONE MARIANA”

 

Al centro del suo interesse c’era prima di tutto la gioventù da riportare a Cristo, per mezzo di Maria, la “via regale”  dell’evangelizzazione, la medesima via scelta da Dio per farsi uomo su questa terra. Fin dal no­vem­bre 1800, aveva preso in affitto il terzo piano di una casa, al centro della città di Bordeaux: la ca­mera più ampia diventò cappella, dove lui celebrava ogni do­menica la Messa e in­tratteneva i fedeli con dense istruzioni cate­chi­stiche.

In una di quelle domeniche, scoprì tra i presenti due giovani che ascolta­vano con partico­lare inte­resse le sue parole. Li chiamò in disparte e domandò loro di diventare suoi amici e colla­boratori per una grande opera di bene. Quelli accettarono, entusiasti e promisero di tornare la dome­nica suc­cessiva condu­cendo con sé ciascuno un altro compagno. La domenica seguente erano in quattro, che poi diventarono otto, poi do­dici. L’8 dicembre 1800, festa del­l’Immacolata, il Padre già pro­poneva di fondare una “Congregazione Mariana” laicale.

Il 2 febbraio 1801, i primi dodici “congregati” si consacrarono pubblica­mente alla Madonna, giu­rando così: “Io, servitore di Dio e figlio della Chiesa Cattolica, apostolica e romana, mi dono e mi de­dico al culto del­l’Immaco­lata Concezione della Santissima vergine Maria. prometto di ono­rarla e di farla onorare, per quel che dipenderà da me, come ma­dre della gioventù. Così Dio e  i suoi Santi Vangeli mi siano di aiuto”.

Nel corso dell’anno, diventarono rapidamente un centinaio. Ciò vi­sto con soddisfa­zione, l’Arci­ve­scovo offrì a p. Chaminade la chiesa spaziosa e bella dedicata a S. Maria Maddalena, affinché di­ventasse il cen­tro della Congregazione.  Rapidamente essa ebbe centinaia di soci che il Padre, con no­te­vole ta­lento organizza­tivo, suddivise in diverse sezioni: padri e ma­dri di fa­miglia, fan­ciulli, giovani e ragazze dai 17 anni in su, ognuno ani­mato da impe­gno di vi­vere intensamente la vita cristiana e di farsi apostolo in mezzo agli al­tri, con un vero piano di conqui­sta spiri­tuale a Cristo.

Il Padre diede loro questo programma: “Nelle Congregazioni del pas­sato si mirava soprat­tutto alla per­se­veranza dei buoni cristiani sulla via del bene, mediante la reciproca edificazione; ma in questo nostro tempo di mutamenti, la Chiesa esige ben altro dai suoi figli: essa vuole che tutti, di comune ac­cordo, asse­condino lo zelo dei suoi ministri e diretti dalla loro pru­denza, si adoperino fattivamente per una felice ri­presa della vita cri­stiana”.

Egli voleva formare degli apostoli, sia tra i laici che tra i sacerdoti  - nei diversi ambienti di vita e di la­voro e per questo chiedeva che essi fossero prima dei veri uomini e donne di fede, of­frendo loro la possibilità di istruirsi a fondo nella religione, per mezzo di letture, studi, lezioni col­lettive, conferenze. Dovevano essere sale e lievito, me­glio ancora, luce del mondo. Occorreva per­tanto che fossero traboccanti della luce di Cristo.

Ogni settimana i “congregati’ si radunavano per un incontro a piccoli gruppi. Partecipavano poi pe­riodi­ca­mente ad adunanze generali di ca­rattere re­ligioso. Ogni domenica sera, il Padre te­neva un’assem­blea pubblica, aperta a tutti, durante la quale uno dei sacerdoti pre­senti o uno dei gio­vani teneva una conferenza, spesso in forma di dialogo, su diversi argomenti: difesa della fede cattolica, questioni di morale e di vita cri­stiana, storia della Chiesa, attualità con­frontata alla luce del Vangelo.

I membri erano uniti da una vivissima devozione alla Vergine Immacolata, contemplata nella sua colla­bo­razione all’opera della Redenzione di Gesù, di vit­toria sul diavolo e sulle forze del male: Maria come “corredentrice” accanto al­l’unico Redentore, Gesù, da Betlemme e Nazareth fino al Calvario, alla Pentecoste e alla Chiesa nascente. Come Maria ha portato Gesù al mondo e forma Gesù nei credenti in Lui, così i membri della “Congregazione Mariana”, sul suo esempio e sotto la sua guida, avrebbero portato Gesù alla società scri­stianizzata del tempo.

Così p. Chaminade definiva la Congregazione: “Una comunità di cri­stiani ferventi i quali -ad imi­ta­zione dei credenti della Chiesa primitiva, si ritrovano frequentemente insieme nell’intento di formare un’unica fami­glia; non solo per­ché figli dell’unico Dio, fratelli di Gesù Cristo e membra vive del Suo corpo, che è la Chiesa, ma anche perché figli di Maria, vo­tati in specialissimo modo al suo culto e alla confessione esplicita del pri­vi­le­gio della sua Immacolata Concezione. Le regole, le pratiche, i doveri ge­ne­rali e partico­lari sui quali si regge la Congregazione in quanto società or­ganizzata e soprattutto lo spi­rito di in­tenso apostolato che deve ani­mare tutti e ciascuno, sono esigenze intimamente legate alla sua spe­ciale con­sacra­zione alla Vergine Immacolata”.

Da Maria, dunque, discendeva tutto un programma di vita e di azione. Maria è per lui e per i suoi il più alto e affascinante modello di santità e di apo­stolato per i giovani e per ogni ceto di persone.

 

 

9° - MISSIONARI

 

All’inizio del 1802, i membri - contando solo i maschi - erano più di cento. Il 25 marzo 1801 era nato il ramo femminile, grazie a Maria Teresa De Lamourous, diretta dal Padre, con altre otto ra­gazze tra i 16 e i 24 anni: in un anno arrivarono a più di sessanta. Il giorno di Natale 1802, nacque il ramo maschile degli adulti comprendente commercianti, medici, impiegati, operai, av­vocati, conta­dini... e si chiamò “Congregazione dei padri di famiglia”, desti­nati a crescere con il medesimo stile. Nel 1803, aveva pure preso corpo il ramo femmi­nile adulto con il nome di 'Congregazione delle Dame del ritiro'. In tre anni p. Chaminade aveva creato un mo­vimento di più di 500 per­sone di ogni età e condizione.

L’intento era bello e grande: rievangelizzare la Francia:  “Sapendo che pregiudizi e ignoranza pe­sano molto sull’at­teggiamento dei giovani nei ri­guardi del Cristianesimo, la Congregazione cercava in tutti i modi di atti­rare a sé e ad acco­gliere  anche coloro che erano lontani da ogni pratica religiosa” (J. Verrier), una fede presa molto sul serio, vissuta, dif­fusa. Un apo­stolato intenso con molte va­lide iniziative; “Non siamo - spie­gava il Padre - solo delle pie associazioni, in onore di Maria, ma piut­tosto una schiera ben compaginata di laici militanti al servizio e sotto la guida di Colei che, oggi come sempre, deve schiac­ciare il capo a Satana, il Nemico infer­nale”.

Mossi da vera carità cristiana, i “congregati” diffusero la buona stampa, si impegnarono a  visi­tare le fa­miglie più povere e i carcerati, portando loro aiuto materiale e spirituale; orga­nizzarono turni di assi­stenza ai malati, scuole serali per i bisognosi di istruzione, una sorta di uffi­cio di collo­camento per i di­soc­cupati, sale di let­tura e di ritrovo, esercizi spirituali annuali in pre­parazione alla festa dell’Immaco­lata... Nell’ambito stesso della “Congregazione Mariana” pa­dre Chaminade diede vita così agli “Amici cristiani”, agli “Amici della Sapienza”, all’ “Opera della Buona Stampa”, una trentina di istituzioni. Si ebbero presto figure di laici cattolici di intensa vita spirituale e impegno apostolico e nu­merose vo­ca­zioni alla vita religiosa e al sacerdo­zio.

Rivolgendosi alla gioventù più bisognosa di cure, p. Chaminade ed i suoi discepoli prediles­sero in spe­cial modo i fanciulli che, discendendo dalle mon­ta­gne dell’Alvernia, giunge­vano a Bordeaux per fare gli spazza­ca­mini, per guadagnarsi qualcosa per sé e per le famiglie lon­tane. Spesso erano sfruttati da padroni brutali e avari e vivevano nella miseria più nera.

Un giorno, un membro della “Congregazione” ne avvicinò alcuni per la strada e li invitò a pre­sen­tarsi la do­menica successiva alla loro sede. Quelli, credendo che si trattasse di un’offerta di la­voro, arriva­rono con i loro at­trezzi, ma rimasero assai stupiti quando si accorsero che non c’era al­cun camino da spaz­zare. I “congregati” spiega­rono subito che li avevano invitati come amici, che d’ora in poi avrebbero avuto quella casa come punto di riferi­mento e di aiuto. Quello stesso giorno, offri­rono loro colazione e un gruzzolo di soldi per le loro neces­sità e, salu­tandoli, chie­sero loro di ritor­nare conducendo con sé altri compagni.

In brevissimo tempo, gli spazzacamini furono un’ottantina e trovarono da parte del Padre e dei suoi “figli” cure materiali, istruzione ed edu­cazione, una buona formazione cristiana.

Era uno dei frutti più belli dell’opera del Padre. Ma egli puntava, con i suoi collaboratori più capaci, “a molti­plicare i cristiani, moltipli­cando i con­gre­gati”, senza alcuna distinzione o privilegio: “la sua Congregazione è aperta a tutte le età e a tutte le classi sociali; si apre al neo­fita, al peni­tente, al giusto, all’a­po­stolo; accoglie sia colui che vuole salvarsi dal nau­fragio del mondo come quello che intende impegnarsi per sal­vare gli altri dal nau­fra­gio” (J. Verrier). Non un’elite di raffinati, neppure di intellet­tuali o di opera­tori pa­storali, ma di cattolici veri, dal senso vivo della loro iden­tità e dal gusto della missione apostolica, “missionari”, secondo possibilità e talenti pro­pri in qual­siasi ambiente di vita.

 

10°- ADELE DE TRENQUELLÉON

 

Presto le difficoltà si fecero sentire, nonostante il clima un po’ diverso che si era stabilito in se­guito al con­cordato di Napoleone con il Papa. In fondo, i princìpi dominanti erano ancora quelli della Rivoluzione, per cui il Cattolicesimo avrebbe dovuto essere equiparato a qualche vago deismo-umani­tario o sparire come tale, cioè nel suo essere più vero di 'primato di Gesù Cristo come Salvatore e Re in tutte le re­altà dell’uomo e della società'. Nel 1809, Napoleone as­sunse un atteggiamento dichiara­tamente ostile al Papa e prese inizia­tive gravissime contro la li­bertà della Chiesa. Venne sequestrata la corri­spondenza di un congregato di Bordeaux e parve che ci fosse una con­giura antimperiale, an­che se p. Chaminade non si era mai interessato di poli­tica, pre­occupato com’era sol­tanto degli interessi di Dio. Tramite un decreto del Ministro degli Interni, Napoleone soppresse tutte le Congregazioni, rite­nendole una minaccia al suo po­tere. Anche se la prova era durissima -e durò fino alla ca­duta di Napoleone nel 1815- p. Chaminade, pas­sato at­traverso il “terrore” di Robespierre e l’esilio, non era fa­cile a scoraggiarsi.

Proprio in quegli anni, andò prendendo forma la seconda parte del pro­getto che aveva “visto” ai piedi della Vergine del Pilar a Saragozza cioè la fondazione di un Ordine religioso. Durante l’estate 1808, presso l’O­spizio di Figeac, si incontrarono ca­sual­mente, per far visita alla su­pe­riora della casa, la Baronessa de Trenquelléon e Gian Battista Lafon, un congregato di Bordeaux.

Lafon seppe che la figlia della Baronessa, Adele, aveva fondato e ani­mava una “Piccola Società” o “Associazione di pre­ghiera”, e le suggerì di mettersi in con­tatto con il p. Chaminade. La qual cosa Adele su­bito fece: sca­turì una lunga e feconda corri­spon­denza epistolare tra il Padre a Bordeaux, e Adele che ri­sie­deva nel suo castello, presso Agen.

Adele era nata nel 1789, l’anno “fatale”, e nei suoi ricordi non c’era al­tro che la Rivolu­zione. Esule in Portogallo, ancora ragazza aveva pen­sato di en­trare al Carmelo per consacrarsi a Dio. A causa dei tristi av­veni­menti del tempo e della malattia del padre, non le era stato possi­bile attuare tale pro­getto ma non si era arresa: restando nel mondo, viveva un’intensa vita di unione con Dio, si dedi­cava alla preghiera e al soccorso delle fa­miglie dei suoi conta­dini più poveri, nel corpo e nello spi­rito.

Vivace ed esuberante, si era legata d’amicizia con un bel gruppo di ra­gazze ge­nerose, per pre­gare in­sieme e darsi alla carità verso i più poveri. Con le amiche più intime ella aveva manifestato “il caro pro­getto” di riunirsi con loro per formare una vera comunità religiosa con voti e vita comune e l’impegno di dedicarsi a cu­rare le miserie fisiche e morali dell’ambiente ru­rale in cui vivevano.

 

11°- FINALMENTE FONDATORE

 

Ella espose, per lettera, il progetto al p. Chaminade; egli si accorse su­bito di trovarsi a contatto con una creatura scelta da Dio. Nonostante le diffi­coltà che gli aveva creato il decreto di Napoleone, il Padre sempre in­teressato alla vita religiosa, fin dai tempi in cui si trovava a Mussidan, mosso dal grande numero di “congregati ma­riani” cui doveva provvedere, aveva  pre­visto un gruppo di respon­sabili della Congregazione che vivessero come consacrati con forme nuove, in vista della fonda­zione dell’Ordine, che la Madonna gli aveva ispirato a Saragozza.

“Parecchi congregati di ogni ramo della Congregazione - scriveva l’8 ot­to­bre 1814 - avrebbero for­mato una piccola società religiosa pur restando nel mondo. All’interno di questa società si sa­rebbe at­tinto tutte le volte che fosse stato necessa­rio eleggere in futuro i dirigenti responsabili della Congregazione, sia ma­schile che fem­minile”.

Dunque, una società religiosa immersa nel mondo - formata di congre­gati destinati a costituire i “quadri” della Congregazione. Era “lo Stato reli­gioso abbracciato da cristiani che vivono nel mondo” (lo si chiamava cor­ren­te­mente 'lo Stato'),”una maniera più perfetta di vivere per intero la pro­pria consacra­zione alla SS. Vergine, la pra­tica dei consigli evangelici”, sempre con lo scopo di “moltiplicare i cristiani”.

Adele ora veniva ad esporre al Padre il suo “caro progetto”: pochi ritoc­chi sarebbero forse ba­stati per­ché la sua “associazione di preghiera” entrasse nello spirito della Congregazione Mariana. Il Padre, il 30 ago­sto 1814, le ri­spondeva: “Mi esponete il desiderio di dar vita con le vostre compa­gne ad una comunità reli­giosa... Voglio rendervi partecipe del mio progetto, che, pur non del tutto identico al vo­stro, ha con esso stretti rap­porti. Da parec­chi anni, qui abbiamo ini­ziato a metterlo in pra­tica. Molte gio­vani vivono come reli­giose, emet­tono voti... La maggior parte delle dirigenti fa parte di questa associa­zione religiosa; le altre con­gre­gate ne igno­rano l’esi­stenza”.

Il Padre vedeva bene una comunità di Consacrate al servizio della Congregazione, ma non aveva an­cora l’idea di una vera comunità rego­lare, con vita comune. Ma, trascorse poche setti­mane, l’8 ottobre 1814, scrisse ad Adele: “Un certo numero di congregati, in ogni settore, dovrebbero costi­tuire una piccola Società religiosa, pur continuando a vivere nel mondo. Da questa Società dovrebbero uscire i responsabili per la di­re­zione della Congregazione... Al presente parecchi vor­rebbero vivere in co­munità re­go­lari, abbandonando qualsiasi legame di ordine temporale. Bisogna ac­co­gliere questa ispira­zione, badando che resti al servizio della Congregazione”.

Egli concludeva la lettera, domandando ad Adele: ”Scrivetemi presto, cara figlia, per dirmi che il vo­stro desiderio di essere religiosa racchiude anche lo spirito e i sentimenti di una piccola missionaria”. Adele e le sue compagne avrebbero dovuto, secondo il p. Chaminade, essere missionarie a ser­vizio della Congregazione ma­riana, per rie­vangelizzare la società.... Adele accettò.

Nell’estate 1815, si affittarono alcuni locali ad Agen per la futura comu­nità ormai nascente: “Voi sa­rete - scriveva egli ad Adele - le Figlie di Maria e tali apparirete agli occhi di tutti”.

Il 3 ottobre 1815, egli precisava: “Sarete delle religiose perché emet­te­rete i voti chiamati “di re­li­gione” (obbedienza, castità e povertà). Maria, l’augu­sta Madre di Gesù, deve essere il vostro modello, ol­tre che la vo­stra patrona. Ciò che deve di­stinguervi dagli altri Ordini è lo zelo per la sal­vezza delle anime: bi­so­gna far co­noscere i principi della fede e delle virtù, biso­gna moltiplicare i cristiani”.

Consacrate a Cristo e apostole missionarie. Così egli e Adele de Trenquelléon, vollero le Figlie di Maria Immacolata, che presero a far  vita comune il 25 maggio 1816, nei locali affittati ad Agen, nel vec­chio con­vento detto “il Rifugio” Dopo 14 mesi, il 25 luglio 1817, fecero la prima pro­fes­sione reli­giosa. Padre Chaminade era diventato fondatore, coadiuvato da Adele, pure fondatrice. L’Ordine Marianista era iniziato.

 

12 °- LA SOCIETÀ DI MARIA

 

La fondazione delle Suore Marianiste aveva convinto il Padre che una comunità religiosa rego­lare era uti­lis­sima per il suo progetto aposto­lico e mis­sionario. Già nella Congregazione c’erano una quindi­cina di persone -sacerdoti e laici- che vivevano praticando i consigli evangelici: membri dello 'Stato' di cui abbiamo parlato. Padre Chaminade, fedele alle illuminazioni di Saragozza, at­ten­deva un segno di Dio per dare inizio ad un vero Ordine re­ligioso maschile.

Questo “segno” lo ebbe il 1° maggio 1817, quando il congregato Giovanni Battista Lalanne -che aveva fatto studi di medicina, poi si era avviato al sacerdozio, insegnava nell’Istituto del rev. Estebenet e per un mo­mento aveva  pensato di farsi gesuita- si presentò a lui per dirgli che aveva de­ciso di restare al suo fianco, con un genere di vita e di impegni apostolici si­mili alla vita e agli im­pegni del direttore della “Congregazione  ma­riana”.

Il Padre Chaminade, quasi piangendo di gioia, rispose: “Ecco ciò che aspetto da tanto tempo! Dio sia be­nedetto! Finalmente si è degnato di manife­stare la Sua volontà ed è giunto il momento di at­tuare il pro­getto che Egli mi ispirò quasi trent' anni fa”.

E spiegò al giovane Lalanne che “la vita religiosa è per il cristianesimo ciò che il cristiane­simo è per l’u­manità: senza i religiosi, il Vangelo non può avere applicazione completa; dunque per ristabilire la vita cri­stiana, occorre ri­stabilire la presenza delle comunità di consacrati. Aggiunse che non era più op­portuno farle rinascere con le medesime forme esteriori che avevano prima della Rivoluzione. “Queste forme non sono es­senziali e si può essere reli­giosi anche sotto apparenze laicali”.

“Diamo perciò inizio - disse Padre Chaminade - da una Famiglia reli­giosa con l’emissione dei tre voti or­di­nari di reli­gione, ma per quanto pos­sibile senza apparenze esteriori, senza nome, senza abito par­ticolare, senza riconoscimento legale: “Nova bella  elegit Dominus” (= 'il Signore ha scelto nuove strategie di lotta').

 Mettiamo tutto sotto la protezione  di Maria Immacolata, alla quale il Divin Figlio ha ri­servato la vit­toria definitiva sull’Inferno. “Ipsa conte­ret caput tuum”  (= Ella con il suo tallone ti schiaccerà la testa). Nonostante la nostra po­chezza, caro figlio - concluse il Padre manifestando un grande entusiasmo - dob­biamo essere noi il tallone della Donna”.

Lalanne accettò, entusiasta, e comunicò immediatamente il progetto ad altri quattro amici con­gre­gati: Giacomo Brugnon-Perrière, insegnante, don Giambattista Collineau, sacerdote assai colto ed elo­quente, Luigi Daguzan e Domenico Clouzet, giovani commercianti. Come si vede, nel primo gruppo c’e­rano sacer­doti e laici, docenti e lavoratori.

Il Padre li riunì periodicamente a San Lorenzo per istruirli ed alla fine di settembre 1817 pre­dicò loro gli esercizi spirituali. Il 2 ottobre 1817, festa degli Angeli Custodi, cominciarono a vi­vere insieme in comu­nità con l’in­ten­zione di legarsi presto a Dio con veri voti.

Ai primi cinque, se ne aggiunsero subito altri due, Giambattista Bidon, e Antonio Cantau, già affer­mati ar­tigiani. Si stabilirono in via Ségur, vicino alla chiesa della Maddalena, nel cuore della vecchia Bordeaux, sotto la guida del p. Chaminade per prepararsi -“alla chetichella” ma con grande serietà- alla prima Professione reli­giosa.

La Fondazione aveva alcuni tratti abbastanza originali per quei tempi: si impegnavano a vi­vere ca­stità, ob­be­dienza e povertà in tutto il fer­vore dei cri­stiani della prima generazione, ma senza un abito particolare (i sa­cerdoti avrebbero vestito come gli altri sacerdoti diocesani, i laici, un abito decoroso, con stile modesto ed edifi­cante). Sacerdoti e laici in comunità dovevano avere pari di­gnità come reli­giosi, stando ognuno al suo po­sto, nel tipo di apostolato cui era chia­mato: “unione senza confusione”. Al di sopra di tutto, essi dove­vano di­stinguersi per una singo­lare dedizione e ap­partenenza alla SS. Vergine, che il Padre volle assicurata con  lo spe­ciale 'voto di stabi­lità' che “ci im­pegna a perseverare nella Società di Maria: in questo spirito ci adope­riamo a far cono­scere, amare e servire Maria e a non negare mai la no­stra col­laborazione alla Società che le ap­par­tiene”.

L’11 dicembre 1817, pronunciarono i primi voti temporanei nelle mani del Padre Fondatore. Un anno più tardi, il 5 set­tembre 1818, si consacravano per sempre a Dio con la professione dei voti per­petui. Era dav­vero nata la 'Società di Maria', l’ Ordine dei Marianisti. Il progetto del Pilar si era com­piuto.

 

13°- CHE COSA FARE?

 

La voce della nascita della nuova Famiglia si diffuse rapidamente e subito vennero altre re­clute: Gaussens, che era stato ufficiale dell’eser­cito in Spagna, Luigi Rothéa, commerciante, al quale presto si ag­giunse  il fratello p. Carlo, che era già parroco in Alsazia. Costui portò con sé il p. Giorgio Caillet, che era stato suo compagno in se­minario. Il Fondatore aprì il primo noviziato a San Lorenzo. Dopo due anni, i novizi erano già trenta.... Alla Maddalena aprì un piccolo seminario per i ragazzi. Ogni anno, in luglio il Padre te­neva un ritiro alle “sue” Figlie di Maria Immaco­lata, ad Agen ed in au­tunno ai religiosi maria­nisti, al Noviziato di Saint-Laurent. Durante un ri­tiro, affinché i religiosi potes­sero ri­co­noscersi tra loro, essendo ormai nume­rosi tra effettivi, aspiranti e congre­gati, diede ai religiosi un piccolo distin­tivo: un anello d’oro.

Sarà il segno di riconoscimento dei Marianisti.

Nel 1819, in­formò il papa Pio VII° della nascita della nuova Società, che il Papa benedi­sse rispon­dendo con un BREVE, il 25 maggio del me­desimo anno. Ormai l'Istituto delle Figlie e la Società di Maria erano in cre­scita, ma il lavoro da compiere sarebbe stato grandissimo.

Il 2 settembre 1819, fu redatto, per la mano di p. Lalanne, il primo ma­rianista, un atto ufficiale sui fatti che, per grazia di Dio, erano avvenuti in quegli anni. Ora si poneva una domanda fondamen­tale: “A quale opera dedi­carsi in modo particolare? che cosa fare?" Ancora una volta, p. Chaminade at­tese un segno della vo­lontà di Dio.

La scuola, nonostante la restaurazione, dopo il crollo di Napoleone, era rimasta in gran parte anti-cri­stiana. Sarebbe stato utile e meritorio dar vita a Bordeaux a una vera scuola catto­lica, per istruire la gio­ventù e riportarla a Cristo. Il segno di Dio venne al Padre, quando due congre­gati, Changeur e Bardinet, misero a di­sposizione il de­naro, per il primo impianto dell’o­pera. Con quel de­naro, diede vita alla prima scuola cui la Società di Maria, ap­pena fon­data, fornì gli in­segnanti e gli assistenti necessari. Era il 14 no­vembre 1818 e la scuola prosperò rapida­mente con un numero di iscritti sempre in crescita e  ottimo me­todo educativo. Nel 1824, gli studenti si trovarono allo stretto e p. Chaminade comprò un intero pa­lazzo che chiamò  Istituto Santa Maria. Nello stesso anno, anche le Figlie di Maria ebbero la loro scuola-colle­gio.

Intanto, nel 1820, il Padre aveva ristabilito la “Congregazione” ad Agen, presso le Figlie di Maria: in­ter­venne il Vescovo, mons. Jacoupy, a chie­dergli di portare là anche la Società di Maria. Il Padre, dopo aver pre­gato, mandò ad Agen un gruppetto di suoi religiosi i quali subito vi apri­rono una scuola che avrebbe do­vuto ac­cogliere i ragazzi più poveri. In breve la scuola, proprio per il buon metodo educativo, meritò la stima anche dei benestanti libe­rali che vollero mandarvi numerosi i loro figli.

Da quei giorni, la crescita della Società di Maria e la diffusione delle sue scuole non si fermò più. Al Padre ar­rivavano domande da ogni dove. A Villeneuve-sur-Lot, il medesimo sindaco gli mise a disposi­zione il collegio co­munale e le scuole primarie. Il Padre gli mandò un altro gruppo di reli­giosi che si tro­varono a provvedere a tre­cento fanciulli.

Poi, circostanze provvidenziali non prive di rischi, lo portarono nel Nord-Est della Francia, in Alsazia e in Franca Contea. Un missionario diocesano della Franca Contea, don Bardenet, gli mise a di­sposizione una vasta te­nuta di 150 ettari di terreno con un castello e varie dipendenze, Saint-Rémy. Era una proposta inte­ressante: p. Chaminade -non troppo ben informato dal suo se­gre­tario, l'avv. David Monier, che egli aveva in­caricato di provvedere-  accettò tro­vandosi però subito in gravi difficoltà;  il castello non era abitabile, le spese altissime, le condizioni di vita precarie. I re­ligiosi, mandati tra il 1823 e il 1824, affrontarono un inverno ri­gidissimo, quasi privi di cibo, al freddo, ani­mati però da un grandissimo spirito di sacrificio cui non mancava la gioia.  La loro forza di irradiazione fu tale che 15 giorni dopo il loro arrivo, nel gennaio 1824, già avevano nove postu­lanti che chie­de­vano di condi­videre la loro vita di consa­crazione. A Saint-Rémy p. Chaminade avrebbe voluto organizzare una comu­nità di preghiera che si man­tenesse con il lavoro agricolo e offrisse uno spazio di si­lenzio e di colloquio con Dio a co­loro che volessero iso­larsi dal mondo, come aveva pensato don Bardenet.

Ma presto si ac­corse che, mentre co­minciava a diffon­dersi l’istruzione elementare tra le classi più umili, manca­vano i maestri davvero preparati per in­segnare ed edu­care. Proprio a Saint-Rémy, organizzò la prima “Scuola nor­male” (= Scuola magistrale) per preparare i formatori alla luce di Cristo, in modo, che andando nelle scuole, potessero domani educare, alla medesima luce del divin Maestro, i loro alunni.

Nonostante le difficoltà che le autorità civili facevano per riconoscere o almeno accettare le sue “scuole catto­liche”, anche la “Scuola nor­male” di ebbe un grande successo. Gli arri­varono subito altre ri­chieste, che il Padre pren­deva in considerazione solo se gli era assicurata la possibilità di unire ai corsi una forte educazione cri­stiana, perché non aveva mai dimenticato - anzi lo ri­cor­dava spesso ai suoi - che il loro fine non era quello di insegna­re ma quello di “moltiplicare i cristiani”.

Ora il Fondatore e la Società di Maria sapevano che cosa fare.

 

14° -FEDE E RAGIONE

 

Gli allievi intenzionati a diventare futuri maestri di scuola elementare do­ve­vano avere almeno 17 anni ed essere dotati di buone “referenze mo­rali”. Con luminosa intuizione, p. Chaminade volle che istru­zione e forma­zione reli­giosa fossero procurate con un metodo che si ap­pellasse alla ragione: “Voglio che ac­canto a quello dei dogmi ci sia l’insegnamento delle prove della re­li­gione. Siamo in un secolo in cui si fanno “ragionare” -o piutto­sto sragio­nare- finanche i con­tadini delle campagne e per­fino le serve della città. Bisogna che tutti i nostri candi­dati divengano dei piccoli esperti di logica ed anche un po’ di metafisica; biso­gna che conoscano tutte le fonti della certezza umana”.

La Religione doveva avere tutto lo spazio necessario senza togliere nulla alle altre disci­pline. Citiamo, a proposito, una pagina di Rino Cammilleri : “Il popolo non può essere oggi ripor­tato alla fede e alle virtù di cui essa è principio, se non attraverso un grado superiore di svi­luppo delle sue facoltà intellet­tuali e un accresci­mento del­l’istruzione. E’ questa una profondissima intuizione di Chaminade. La fede, in­fatti si trova ai due capi della cul­tura: nell’igno­ranza semplice dei pastori al pre­sepio o nella dotta profon­dità dei Magi. Niente di peggio di quella mezza acculturazione, di quella presuntuosa ignoranza di chi, sa­pendo qualcosa, crede di aver capito tutto e non ac­cetta più istruzione. Nell’epoca pre-rivo­lu­zionaria, si po­teva ancora far conto sulla fede tradizio­nale, forse sem­pliciotta ma im­mediata, della gente qualun­que. Il fi­losofismo aveva dato a tutti un’infa­rinatura appunto 'enciclopedica' di tutto, inducendo a cre­dere che an­che il più igno­rante po­tesse in­terpretare e compren­dere il co­smo con il solo uso della sua 'ragione'. Per que­sto adesso occorreva rimet­tere in ordine le idee di cia­scuno , tramite un sano e minuzioso appro­fon­di­mento di quell’in­farina­tura   'enciclopedica' che non era certo cultura” (cfr. “G. Giuseppe Chaminade: un prete tra due rivoluzioni," PiEmme, Casale Monferrato, 1993).

Alla luce di questi principi, il Padre voleva che i corsi della “Scuola Normale" o Magistrale, fossero do­tati an­che di varie altre ma­te­rie -come contabilità, agri­men­sura, diritto amministrativo e di quant'altro fosse utile- e che avessero la du­rata di  tre anni.

 In una parola, il p. Chaminade intendeva formare in queste scuole degli uomini e dei cri­stiani che fos­sero in grado di rigenerare i loro ambienti di vita (città, villaggi) e perciò biso­gnava che godes­sero di una certa consi­derazione per la serietà delle conoscenze che comunicavano ai loro alunni. In quel mede­simo 1824 che aveva visto l’apertura di Saint-Rémy, mons. Tharin, nuovo Vescovo di Strasburgo, ac­colse p. Chaminade e i suoi “figli” a Colmar, dando loro il castello di Saint-Hippolyte, affinché diven­tasse cen­tro del loro apostolato. In breve furono loro affidate le scuole comunali.

Animato dallo stesso spirito, il Padre elaborò un serio progetto di inse­gnamento professio­nale, pro­get­tando due tipi di corsi: i primi per un insegna­mento specializzato e superiore ( =scuole di 'arti e me­stieri' o pro­fessionali) , gli altri (=le “scuole congiunte”) più popolari, da affiancare all’inse­gna­mento prima­rio. Li spe­rimentò da Agen e a San Lorenzo, poi con l’approvazione delle auto­rità, li lanciò me­diante l’opera dei suoi religiosi.

Cominciò ad organizzare “scuole congiunte” nella tenuta di Saint- Rémy, con diversi “laboratori”: nel 1827 vi nasceva la prima scuola profes­sio­nale. A Besançon, il Padre accettò di prendersi cura di un or­fana­trofio dove i ra­gazzi, fino allora solo “repressi”, ma scarsamente edu­cati, erano di­venuti dei piccoli delin­quenti, così da tentare di avvelenare i loro educatori. Con la forza dell’o­nore, della fede e della ra­gione, unite ad una grande carità, il sig. Clouzet e confra­telli Marianisti riuscirono a trasformarli in ra­gazzi in cammino verso la loro ma­turità umana e cri­stiana. Il Padre vi installò corsi di maglieria, tessitura, calzoleria, falegname­ria: una vera mera­viglia per tutta la re­gione.

 

15° - UN GRAN LAVORO

                                                                                                                   

Il 16 novembre 1825, la Società di Maria, pur passando prima attraverso non poche spine, ebbe il ri­co­nosci­mento legale dello Stato. Le Figlie di Maria Immacolata l’avranno il 23 marzo 1828, dopo che la loro fon­datrice, Madre Adele de Trenquelléon, se ne sarà già andata da que­sto mondo, il 10 gennaio, a soli 38 anni di età. Nel 1826, era anche morto Mons. D’Aviau, Arcivescovo di Bordeaux che tanto aveva soste­nuto p. Chaminade nella sua fondazione.

La Società di Maria sembrava andare a gonfie vele. Tutti volevano quei religiosi e le loro scuole; ar­riva­vano richieste persino dalle colonie d’America e dalle lontanissime isole dell’Oce­ano Pacifico. Per il mo­mento, il Padre pensava a consolidare la sua famiglia, cercando di arrivare a scri­vere e  promulgare le Costituzioni che ancora non c’erano.

Volgeva ormai verso i settant’anni ed era carico di lavoro senza limiti. Spesso in viaggio da un capo al­l’al­tro della Francia, alle prese con si­tuazioni di­verse, con problemi di ogni genere, dal come far qua­drare i bi­lanci, fidan­dosi della Provvidenza, all’organizzare Scuole Magistrali o Professionali, al pensare alla formazione delle re­clute che entravano, al disbrigo della corri­spondenza, senza mai dimenticare la preghiera e il mini­stero sacerdo­tale, in primo luogo l’altare e il confessionale.

Dalle autorità civili e scolastiche, spesso si faceva sentire l’ostilità alle sue scuole, ma egli non si arren­deva: si  “era fatto le ossa” ai tempi del “terrore” di Robespierre, quando spesso, quasi ogni giorno aveva vi­sto la morte in fac­cia, per cui non si intimidiva ora, essendoci, con re Luigi XVIII° e poi con Carlo X, una certa tran­quillità per la Chiesa. Ma, nel 1830, si sentì di nuovo la tem­pesta avvicinarsi, la persecuzione in­combere contro i cattolici.

Nel luglio 1830, Carlo X fu costretto da abdicare per l’azione delle sini­stre, della massoneria e della piazza, sobillata da un pugno di intellet­tuali pari­gini. Il nuovo re sostenuto dalla massone­ria, fu Luigi Filippo d’Orléans, che du­rante la “restaurazione” aveva a lungo tramato per assidersi sul trono di Francia. Con l’av­vento al potere dei “liberali”, laicisti e anticlericali, vennero di nuovo prese di mira le istitu­zioni religiose, so­spet­tate di complicità con il depo­sto re Carlo X. La polizia cominciò a fare perquisi­zioni nelle case dei “legittimisti” considerati più pericolosi, se­condo i lin­ciaggi che la stampa stava or­ganizzando.

Padre Chaminade, settantenne, anche se non si era  mai immischiato in questioni politi­che, oc­cu­pato sol­tanto del regno di Dio, fu conside­rato un 'carlista' fanatico. Così, una mattina, men­tre confessava nella sua chiesa della Maddalena, a Bordeaux, gli si presentò un sostituto-procura­tore con il man­dato di perquisi­zione. Gli agenti della polizia gli buttarono all’aria la casa senza trovare nulla, ma infine lo stesso capo trovò, in un cas­setto, quattro medaglie della Madonna su cui era scritto: “Maria è stata conce­pita senza peccato”, simili a quelle trovate presso un altro dei capi della “congregazione mariana. Il fun­zionario esclamò trion­fante: "Ecco il motto distintivo dei congregati!". Per di più, seppe che molti bordolesi portavano addosso la medaglia. Dunque, quello era il segno della congiura ed occor­reva prendere misure di polizia. P. Chaminade lo invitò a sedersi mentre lui, partendo da Adamo ed Eva, gli avrebbe spiegato il significato di quella medaglia e della scritta. Quello pretese che venisse subito al “corpo del reato” com­piuto, ma il Padre, con la solita calma ribatté: “Mi lasci dire, perché se mi in­terrompe, la spiega­zione sarà molto più lunga!” Dopo un po’, il procuratore si dichiarò soddisfatto e se ne andò. A Bordeaux, quanti sep­pero la cosa risero as­sai divertiti, pensando alla flemma del “Bon Père” (= buon Padre; così era chiamato Chaminade) e alla fu­ria inutile del­l'altro. Ma il clima non faceva affatto ridere: la situazione ge­ne­rale era di nuovo pesante verso la Chiesa e le sue opere, per cui il Padre per evitare il peggio, si tra­sferì ad Agen: dovrà restarci, salvo brevi interruzioni, per cinque anni. Di là, continuò il suo lavoro di Fondatore e di Padre,  con la sua incrolla­bile fede in Dio e nell’Immacolata.                                                                                                                                                                                                               

16°- PROVE DURISSIME

 

Nel clima di ostilità  che di nuovo dilagava, il Padre, per il momento, sciolse i noviziati. Diventava sem­pre più difficile la vita per le scuole cattoliche, perché i nuovi padroni, secondo co­pione, volevano solo la scuola laica, che spesso era anti-cristiana. Il Padre vide sempre più ri­dotti non solo gli spazi di li­bertà e di azione, ma anche i sussidi, ormai spariti, per le sue scuole. Doveva  esserci solo la scuola di Stato. In Francia era soprag­giunta, come spesso ca­pita dopo le rivoluzioni, una situazione di grave in­certezza eco­nomica, con rin­cari di prezzi e di­soccupazione.

Il Padre, che fidando nella Provvidenza di Dio, aveva sempre trovato le somme per far fronte alle sue case e scuole, ora ordinò il risparmio fino al­l’osso, tranne che per l’elemosina e il soccorso ai più poveri. Così diversi reli­giosi lasciarono la Società, cedendo allo scoramento.

In quel frangente egli -che aveva pensato fin dal 1827 alle Costituzioni- non aveva voluto imporle alla Società senza sentire il suo Consiglio. A diversi consiglieri, parve che quelle regole non fossero più come quelle ini­ziali e che non prevedessero lo spazio adeguato per tutti. Così il Padre vide le sue Costituzioni re­spinte. Lui non l’ebbe a male, confidando che contava più lo spirito che la regola - lo spi­rito era quello della più intensa unione con Dio e dell’apostolato  per moltiplicare i cristiani, sotto la guida della Vergine Immacolata - e conti­nuò ad essere per tutti il 'Buon Padre' di sem­pre. Ma ormai, nella Società, c’era un clima di fronda, proveniente proprio da alcuni “operai” della prima ora.

La croce si faceva davvero pesante, per il fatto che a procurargliela erano i suoi stessi figli, per dis­sidi per­so­nali. Non mancarono le incom­pren­sioni da parte del clero diocesano e degli stessi Vescovi che, pur conti­nuando a sti­marlo e a volergli bene, non sempre riuscivano a veder chiaro nelle diverse questioni che si agita­vano. Anche quando la nuova superiora delle Suore Marianiste, madre Saint-Vincent pretese in­dipen­denza dal Fondatore e persino padre Lalanne, in buona fede, si dimostrò contrario alle sue posizioni, p. Chaminade non perse la calma e l’abbandono a Dio.

Anche se gli fosse stata sottratta la sua Opera, egli sapeva di non es­sere il primo fondatore a subire la stessa umiliazione e che non sarebbe stato l’ul­timo. Cercò luce ed energie nuove nella S. Messa, nella pre­ghiera pro­lun­gata davanti al tabernacolo, nel Rosario a Maria: con Gesù e con l’Im­macolata era sicuro che nulla sa­rebbe an­dato perduto.

"Invano si cercherebbe nella sua corrispondenza uno sfogo, una la­mentela. Non solo, ma al di fuori de­gli stretti interessati, da lui nessuno seppe nulla. Chi è abituato a guardare le cose con l’occhio di Dio, com­prende che certe contraddizioni, specialmente quando accadono tutte as­sieme, non possono essere for­tuite. E’ il tempo della prova in cui si deve solo aspettare che Colui che comanda al vento e alle onde, or­dini ai flutti di tacere. Allora di colpo, si farà gran bo­naccia” (Rino Cammilleri).

 

17°- SOTTO IL PATROCINIO DI MARIA

 

Il Padre seppe comportarsi come solo può un vero uomo di Dio. I suoi “figli” tornarono a rasse­renarsi nei rapporti con lui e tra di loro.  Le questioni si appianarono. Le comunità, sebbene in con­dizioni meno fa­vorevoli, con­ti­nua­rono o ripresero la loro opera educativa con dedizione alla gio­ventù negli isti­tuti già esistenti e ne apri­rono di nuovi. P. Chaminade chiuse la vi­cenda con la prima lettera circolare che da al­lora prese ad inviare rego­lar­mente a tutti i suoi: “La Società di Maria è realmente, per riconoscimento di tutti, un’opera di Dio. Posta specialmente sotto l’au­gusto patronato della sua Santissima Madre, non può essere di­strutta che dalle vostre mani”.

Proprio per rinforzare la Società, nel 1834, il Fondatore pubblicò la prima parte delle sue Costituzioni, la più importante, relativa ai fini della Società, alle virtù e ai mezzi richiesti ai suoi mem­bri. Nessuno fece più obiezioni contro il Padre, il quale dichiarò loro, senza che alcuno po­tesse mai smen­tirlo: “Io non penso che a voi,  non mi occupo altro che di voi; le mie forze e la mia vita si con­sumano per voi. Per tutto il corso del mio pellegri­naggio su questa terra d’esi­lio, lavorerò per ren­dervi fe­lici nel tempo e nell’e­ter­nità”.

Riorganizzò e potenziò i noviziati, certo che preparando meglio i religiosi si sarebbero evi­tati in futuro nu­merosi problemi. Arrivarono nuove vocazioni, si aprirono nuove scuole. Aveva 75 anni, il Padre, ed esor­tava come se non si stancasse mai: “Coraggio, le pene, le tribolazioni, le con­traddi­zioni nelle opere del Signore, sono di buon augurio”. Aggiungeva: “Arrivati alla mia età, se ci arri­vate, non ab­biate i rimpianti che ho io di non aver servito me­glio il buon Dio”.

Ora, con le Costituzioni, avevano tutti la via tracciata, su cui camminare. Iniziavano così: ”La pic­cola Società che offre i suoi deboli servigi a Dio e alla Chiesa, sotto gli auspici dell’augusta Maria, si pro­pone due obiettivi principali: 1) elevare ogni suo membro, con la grazia di Dio, alla perfe­zione cri­stiana; 2) lavorare nel mondo per la salvezza delle anime, so­ste­nendo e propagando con i mezzi adatti ai bisogni e alle mentalità del se­colo, gli insegnamenti del Vangelo, le virtù del Cristianesimo e le prati­che della Chiesa Cattolica”. Badavano, le Costituzioni, più allo spirito che alla let­tera, più alla fede, raccomandata ad ogni riga, che all’e­lenco delle 'cose' da fare. Questo 'spirito' si riassumeva nell’ordine di Maria ai servi di Cana: “Fate quello che Gesù vi dirà” (Gv 2,5). Per questo, il Fondatore, pur privilegiando l’educazione della gio­ventù, non re­strin­geva il campo d’azione della Società di Maria.

Dopo qualche tempo, egli completò la seconda parte delle Costituzioni, ri­guardanti il Go­verno e l’Or­ga­nizza­zione della Società, affermando una forte centralizzazione, per tenere in­sieme gli ele­menti più diversi della sua Famiglia Religiosa e rispondere con più facilità alle esi­genze dei tempi tanto difficili. Poi, d’accordo con le Figlie di Maria Immacolata, preparò le loro Costituzioni. Le due “Regole”, corredate dalle approva­zioni dei Vescovi delle diocesi in cui ope­ravano i Marianisti, furono presentate a Papa Gregorio XVI° dal Cardinale Isoard, amico del Fondatore.

Il 12 aprile 1839, il p. Chaminade ricevette da Roma, un “Decreto di Lode”, con cui, ricono­scendo l’esi­stenza delle due Famiglie, si dichiarava che “il Santo Padre ne gradiva pienamente l’isti­tuzione e si au­gu­rava che i ri­spettivi membri avanzassero spediti, sotto il patrocinio di Maria, sulla via in­trapresa, si­curi di ren­dere in tal modo, un prezioso servizio alla Chiesa”. Davvero felice per la meta finalmente rag­giunta, il Padre, il 5 settem­bre 1839, pubblicò le Costituzioni.

Vennero così numerose vocazioni da non sapere più dove sistemarle.  Seguirono altre aper­ture di case a Clairac, in Alsazia e in Franca Contea, in Svizzera a Friburgo e a Losanna. Mentre a Bordeaux, anche per la lunga as­senza del Padre, qualcuno pensava che la Società si fosse dissolta, egli me­ravi­gliò tutti of­frendo una casa per dare inizio a una nuova scuola cattolica.

Nel 1839, pubblicò quattro circolari in cui spiegava i caratteri propri del suo Ordine: “Noi, nella grande tribù degli Ordini religiosi, abbiamo un’aria di famiglia che ci distingue da tutti gli altri”.

Perché la Società è “di Maria”? Ecco la risposta: “Tutte le eresie -ci dice la Chiesa- hanno piegato la fronte davanti alla Santissima Vergine e, a poco a poco, Ella le ha ri­dotte al silenzio del nulla.

 Ora, la grande eresia attualmente regnante è l’indifferenza reli­giosa, che va istupi­dendo le anime nel tor­pore dell’egoi­smo e nel marasma delle pas­sioni”. Una cosa simile non si era mai vista prima: ”Sembra che siamo  arrivati da una defezione gene­rale e da un’a­postasia di fatto quasi universale”. Ma, coraggio!: ”Noi cre­diamo ferma­mente  che Ella  vin­cerà questa eresia come ha vinto tutte le altre”.

Il discorso di Padre Chaminade - è più che mai evidente - è di una singo­lare sconcertante at­tua­lità. Il no­stro è il tempo della più grande apostasia dalla fede che mai sia stata vista. E’ indi­spensa­bile che Maria ri­torni e vinca, che ri­porti Lei il Figlio suo Gesù.

Continuava p. Chaminade: “Ora noi, ultimi di tutti, noi che ci cre­diamo chiamati da Maria stessa per as­se­con­darla con tutte le nostre forze nella sua lotta contro la grande eresia di quest’epoca, noi ab­biamo per con­se­gna, come dichia­riamo nelle nostre Costituzioni, queste parole della SS. Vergine ai servi di Cana: “Fate tutto quello che Gesù vi dirà” (Gv 2,5).

 

18°- ”ELLA TI HA SCHIACCIATO IL CAPO!”  

Aveva più di ottant’anni, il Padre Chaminade, ma non si sentiva vecchio né credeva giunto il mo­mento di passare da altri la guida dell’Or­dine Marianista. Era sempre di buon umore, nono­stante il peso degli anni, gli ac­ciacchi e i problemi immancabili. Un giorno in cui gli fu offerta una coperta più calda per il letto, disse: “Conserviamola per quando sarò vecchio”. Ma vi­sta, udito e memoria co­minciavano a de­clinare ed era sem­pre più curvo. Era ora di ritirarsi, di nomi­nare un successore? Non era molto d’accordo, il 'Buon Padre', rima­sto sulla breccia fino da allora...

Ma le permissioni di Dio erano d’altro avviso. Seguì una contro­versia di natura finanziaria. Il 7 gennaio 1841, il Padre annunciò al Consiglio della Società di Maria che era pronto a dimet­tersi. Il Consiglio ac­cettò le sue dimis­sioni dalla carica di Superiore Generale. Pur da dietro le quinte, non trala­sciò un attimo di la­vorare per la Società che aveva fondato e che considerava sempre sua crea­tura. Accettò di fare il maestro dei novizi nella casa di San Lorenzo - la sua dai tempi della grande Rivoluzione - che era stata riaperta. I no­vizi crebbero e si dovette aprire una casa più grande per il noviziato a Sant'Anna, presso Bordeaux.

L’inaugurazione fu l’ultima festa per il Padre, circondato dai suoi e dal­l’Arcivescovo di Bordeaux e dai Vescovi di Beauvais e di Nancy, suoi amici.

Ormai era davvero vecchio e malato e tuttavia avrebbe ancora voluto re­stare al suo posto. Fu un mo­mento difficile per la Società. Nell’autunno del 1845, si riunì il Capitolo a Saint-Rémy per l’ele­zione del suc­ces­sore, che fu scelto l’otto ottobre nella persona del p. Giorgio Caillet.

Il Fondatore si ritirò nella sua casa presso la chiesa di S. Maria Maddalena, a Bordeaux, che per quasi 50 anni (1804-1850) era stata il centro della sua Opera, il luogo da cui era partita  ogni sua inizia­tiva.

Impiegava ormai un’ora a cele­brare la S. Messa, ma era pur sempre la sua ora più bella e più grande. Passava lungo tempo a sgranare il Rosario da­vanti all’altare della Madonna o in profondo raccoglimento presso il Tabernacolo. Pregava per i suoi figli, per la Francia, per la Chiesa, ancora scossa -nel 1848, l’anno di altre ri­volu­zioni in tutta Europa- da venti di bufera. Anche se era quasi cieco non rinunciava alla quotidiana passeggiata all'a­perto; si faceva ac­compa­gnare nel giardino di S. Anna, in fondo ad un viale dove c’era una statua dell'Immacolata e lì, premendo la  mano tre­mante sulla testa del ser­pente, con voce ener­gica e commossa, ripeteva: “Ella  ti ha schiac­ciato la testa.. ti ha schiacciato la testa... E te la schiac­cerà sempre”.

Il 6 gennaio 1850, il Padre fu colpito da apoplessia, che gli tolse la pa­rola e lo immobilizzò al lato de­stro, la­sciandolo però lucido di mente. L’antico di­scepolo p. Collineau venne ad am­mini­strargli i Sacramenti. Vide ac­correre a lui tutti i suoi figli e il nuovo Superiore generale, per rive­derlo e salutarlo un’ultima volta. Fu così per quindici giorni.

Martedì 22 gennaio 1850, sentì che la sua ora era vicina. Si portò il Crocifisso alle labbra, poi lo strinse al petto fino alle quattro del pome­riggio, l’ora in cui, in silenzio, senza retorica, in sem­plicità e po­vertà, andò in­contro a Dio. I funerali in Cattedrale, dove aveva il titolo di canonico, furono solenni. Seguì la sepoltura al cimi­tero della Certosa di Bordeaux. Nulla di clamoroso, tutto in silenzio.

 

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