Nord Sud del Mondo

Nord - Sud:sfruttamento e colonizzazione

Il complotto demografico

Informazione alternativa

 

  Nord-sud: sfruttamento e colonizzazione

"Così finisce che i poveri restano ognora poveri, mentre i ricchi diventano sempre più ricchi. Giova riconoscerlo: è il principio del liberalismo, come regola degli scambi commerciali, che viene qui messo in causa. La libertà degli scambi non è equa se non subordinatamente alle esigenze della giustizia sociale. La situazione presente deve essere affrontata coraggiosamente e le ingiustizie che essa comporta combattute e vinte." (Papa Paolo VI, Populorum Progressio)


Prima dell'arrivo degli europei, l'Africa, l'Asia e l'America Latina conoscevano solo la produzione agricola per nutrire la propria gente. Improvvisamente, l'America Latina per prima fu costretta dai nostri avi ad invertire la direzione di marcia e piantare cotone e zucchero per i mercati europei. Siamo intorno all'anno 1500. In quest'epoca la terra africana era risparmiata perché dall'Africa si poteva strappare qualcosa di più redditizio: gli schiavi.
Il commercio degli schiavi durò ufficialmente trecento anni circa e procurò all'Africa una perdita calcolata fra i dieci ed i trenta milioni di esseri umani, i più forti fisicamente. La locale struttura produttiva, ma anche sociale, venne così soppiantata. Inizia qui, con questi rapimenti, il declino dell'Africa.
Ben presto, finito il commercio di schiavi, anche in questo continente, come prima nelle Americhe, vengono aperte le piantagioni a monocoltura, che rendono questi popoli assolutamente dipendenti dagli europei.
Si comincia con la palma, il cui industrie del sapone. Infatti verso la finalmente imparato anche a lavarsi. ben presto si aprono piantagioni di palma anche in Malesia e Indonesia. Intanto gli Stati Uniti colonizzano le Filippine, obbligando i loro abitanti in massa a piantare una olearia, la copra. Tutto questo, si badi bene, significa distruggere le piantagioni locali, fra cui quelle di olio è particolarmente utile alle fine del 1800 gli europei hanno La richiesta è talmente alta che sussistenza della popolazione. Significa rendere dipendente dai gusti e desideri esterni una intera civiltà.
Poi gli inglesi si lanciano sui tessuti: ecco allora che le piante tessili diventano richiestissime. Sudan ed Egitto piantano cotone per gli inglesi, l'Angola lo pianta per i portoghesi, il Brasile un po' per tutti; l'India è adibita a produrre juta e sisal, fibre grezze utilizzate per gli imballaggi.
In seguito nasce l'industria automobilistica ed acquista quindi una grande importanza il caucciù. Immense piantagioni della Michelin si estendono a perdita d'occhio in Indocina e Vietnam, della Goodyear e della Pirelli in Amazzonia, della Firestone in Liberia. Quindi caucciù in Asia, in America Latina e in Africa, a seconda del potere coloniale delle multinazionali e dei loro governi.
E ancora, mentre molte regioni dell'America Latina sono già da decenni votate alla monocoltura del caffè per gli europei, inizia anche in Africa, soprattutto a seguito della penetrazione tedesca, la crescita dell'economia da caffè e cacao.
La varietà cosiddetta "arabica" prende d'assalto le regioni e monopolizza le colture in Camerun, Rwanda, Burundi, Uganda. Anche il cacao è introdotto un po' dappertutto ed in alcuni paesi diventa produzione esclusiva, come nel caso del Ghana.
La banana, graditissima nelle patrie mense dei colonizzatori trasforma molti staterelli del
l'America centrale in "repubbliche delle banane", totalmente controllate dalle compagnie americane da un punto di vista sia economico che politico che sociale. Dall'altra parte dell'oceano, in Africa, gli italiani, per non essere da meno, trasformano la Somalia in un immenso bananiero, così come i francesi fanno per la Costa d'Avorio.
Quelli che ho citato erano solo alcuni esempi del passato, ma valgono ancora oggi: i Paesi impoveriti producono per noi i prodotti che noi vogliamo, dai fiori ai peperoni, dalla carne al pesce. Negli ultimi vent'anni le esportazioni agricole dei Paesi del Sud del mondo, sono cresciute costantemente, ma contemporaneamente sono aumentate le loro importazioni di prodotti alimentari. Questo è il segno più evidente che in questi Paesi non si produce abbastanza cibo per garantire a tutti un'alimentazione soddisfacente, visto che non consumano ciò che producono per noi (qualcuno gradisce assaporare un poco di caucciù, di cotone o della squisitissima juta?)
Molti pensano che nel Sud gli alimenti scarseggino per un aumento incontrollato della popolazione, per colpa di politici corrotti o per condizioni climatiche avverse. Forse questo vale per stati pre-desertici come l'Algeria o lo Yemen o per stati con concentrazioni umane spropositate come il Bangladesh. Ma non può valere per l'Ecuador o il Camerun e decine di altri paesi, con densità di popolazione notevolmente inferiore all'Europa e con un clima migliore.
In questi casi non si può ignorare la responsabilità delle colture per l'esportazione che tolgono terre e denari alla produzione alimentare. E se non può coltivare né mangiare, questa gente cosa può fare per vivere? Non resta che emigrare e tentare fortuna, magari in Italia.
Ecco allora che i paesi impoveriti conoscono oggi una nuova forma di schiavismo: ancora una volta le loro forze migliori, i più forti fisicamente ed i più istruiti, se ne vanno. Per forza.
Facciamo un esempio: se parlo di pranzo, cosa ti viene in mente? Suppongo lasagne, carne, verdura, formaggio, frutta, dolce (basta, che ingrassi). Ad un africano invece viene in mente riso, grano, miglio e sorgo. Cereali insomma. Allora, il cibo per ricchi è la carne e il formaggio, quello per i poveri sono i cereali. Eppure, il Nord produce così tanti cereali da esportarne in quantità: infatti i primi produttori mondiali sono gli Usa, la Francia e il Canada.
Ma guarda un po' : il Nord ricco detiene il primato della produzione di cibo per poveri, mentre il Sud povero, con tutta la sua fame, produce il superfluo per i ricchi.
Questa situazione conviene a molti. Conviene intanto ad un pugno di multinazionali che dominano il commercio mondiale dei cereali e conviene ai consumatori del Nord che dispongono di un abbondante quantità di farine da dare in pasto al bestiame da macellare.
Agli abitanti rurali del Sud del mondo rimane solo un modo per sfamarsi: produrre da loro, sulle loro terre, il loro cibo, senza padroni con cui spartire il prodotto. Invece succede che perdono sempre più terre perché fanno gola alle multinazionali per i loro guadagni.
Per esempio, in America Latina si distruggono le foreste e si creano pascoli per il bestiame da inviare alle nostre industrie che ricercano carne a basso costo per la produzione di scatolame, di surgelati e insaccati, da rifilare ai consumatori attraverso le mense e i fast food Mc Donald, specializzati nella vendita di cibo a rapida preparazione. Ma il suolo su cui crescono le foreste tropicali è povero di elementi nutritivi: la vegetazione è rigogliosa solo grazie ad una fitta rete di radici collocate nei primi trenta centimetri di terreno che riescono ad assorbire il materiale organico in decomposizione.
Se questo terreno è messo a nudo, cioè si tagliano le piante che lo proteggono, esso soccombe sotto l'effetto devastante del clima equatoriale: la pioggia, se non filtrata dagli alberi, batte infatti violentemente sul terreno e realizza un'azione di dilavamento. Poi i potenti raggi del sole induriscono il terreno stesso impedendo la crescita di nuove pianticelle. Quel che era un paradiso si trasforma in deserto.
Inoltre, dove si eliminano le foreste si assiste ad un altro fenomeno devastante: 1' alternanza di siccità e inondazioni. Nella zona ben coperta da foresta, quasi tutta l'acqua piovana viene assorbita dalla fitta rete di radici che funziona da spugna. L'acqua immagazzinata durante la stagione umida è rilasciata nel resto dell'anno e le falde acquifere si mantengono sempre ad un buon livello facendo scorrere acqua nei fiumi anche durante la stagione secca. Quando la foresta è distrutta, viene a mancare la "spugna" e l'acqua si dirige immediatamente ai torrenti che provocano allagamenti di città e campagne. Al contrario, durante la stagione secca, i fiumi si prosciugano e tutto è arido. È così che ci stiamo mangiando anche l'ultima grande foresta della terra, 1'Amazzonia. Lasciata a nudo, la terra produce solo un'erbaccia che basta a mala pena per l'allevamento del bestiame. Ma in questi pascoli la produzione di carne arriva a solo 50 Kg/ettaro, contro i 600 delle nostre zone temperate: questo perché l'erba che cresce è una graminacea poco nutriente per cui una vacca deve mangiarne tantissima per ottenere un poco di peso. Ha quindi bisogno di grandi spazi, possibili solo aumentando ulteriormente la distruzione della foresta. D'altronde l'allevamento per l'esportazione è il male numero uno dell'Amazzonia: la sua distruzione è dovuta infatti più all'allevamento estensivo che al prelievo di legname pregiato. Tutta 1'Amazzonia alleva bestiame da inviare alle industrie conserviere del Nord che ricercano carne a basso costo per la produzione di scatolame di surgelati e insaccati per i fast food. Praticamente, chi si siede al tavolino di un Mc Donald, mangiando un hamburger si sta mangiando insieme una fetta di foresta. Poi magari si dice ecologista e verde.
Inoltre collabora ad affamare i popoli produttori: infatti, la forte richiesta di carne dall'estero fa aumentare il prezzo sul mercato interno, rendendo inaccessibile per i poveri l'acquisto della carne per uso alimentare. Dunque, mai più Mc Donald!
Altro esempio: i1 Sahel,una delle zone aride più vaste del mondo. È la fascia di terra a sud del Sahara, larga 750 Km. che corre dall'Oceano Atlantico al Sudan investendo sei nazioni: Senegal, Mauritania, Burkina Faso, Mali, Niger, Ciad.
La fascia nord del Sahel è poco adatta alla coltivazione, a causa della scarsità di pioggia. Gli abitanti della zona lo sapevano e si erano quindi organizzati, nei secoli, a vivere di pastorizia: sapevano quanto bestiame potevano tenere, dove farlo pascolare e dopo quanto tempo tornare sullo stesso luogo per trovarci di nuovo dell'erba.
Nella zona sud del Sahel la coltivazione è possibile, con le dovute cautele: i contadini africani avevano appreso perciò a seminare cereali resistenti alla siccità, come il sorgo e il miglio. Ma soprattutto avevano imparato a sottoporre i terreni a rotazione: dopo alcuni anni di coltivazione continuata, la terra veniva lasciata incolta a disposizione dei pastori del nord, che ringraziavano dell'accoglienza arricchendo il terreno con gli escrementi delle loro bestie. A partire dagli anni `50 questo equilibrio si è rotto.
Infatti, dopo la seconda guerra mondiale, la richiesta di arachidi da parte delle fabbriche olearie occidentali aumentò considerevolmente. Visto che il Sud Sahel era zona climatica favorevole alla coltivazione delle arachidi, i contadini locali furono stimolati a produrle, con la garanzia da parte degli europei di prezzi stabili e acquisto della produzione.
Così, per esempio, il Niger che prima della guerra dedicava 73.000 ettari di terra alla produzione di arachidi, negli anni `60 era già a quasi 500.00 ettari, il 700% in più. Questo perché le sementi di arachide coltivate per le multinazionali europee, erano di tipo speciale: crescevano più in fretta, avevano bisogno di meno acqua e permettevano ai contadini due raccolti l'anno.
Ma l'accorciamento dei tempi di riposo del terreno, da annuale a semestrale, unito allo sfruttamento intensivo, ha provocato con gli anni una riduzione paurosa della fertilità del terreno in tutto il Sahel. Ciò ha comportato l'indurimento della superficie esposta al sole, l'erosione del suolo, la sua polverizzazione e dispersione col vento, la formazione di dune di sabbia sulla terra coltivabile e la distruzione dei raccolti da parte di forti venti polverosi. Un vero disastro, anche per i pastori del Nord che non hanno più dove pascolare le mandrie in fuga dalla siccità.
Inoltre, la gente del Sahel non si nutre di noccioline, ma di miglio e sorgo. Ma piantare le arachidi ha significato rinunciare a produrre gli alimenti per la gente locale che ora, per assurdo, devono essere importati, e pagati caramente, dagli europei e americani in testa.
In tal modo questi paesi non riescono a sfamare i propri abitanti, i quali a causa della fame fuggono e arrivano in Italia e noi non li vogliamo perché non capiamo le ragioni che li fanno muovere dalla loro terra.
Eppure le ragioni sono proprio queste: non sono liberi di piantare i prodotti di sussistenza, non sono liberi di fabbricare ciò che serve a loro. Ecco perché muoiono di fame, ecco perché si spostano e vengo no qui da noi. Ecco perché come Caritas o Centro Missionario o Segretariato Migranti ci sentiamo obbligati ad aiutare questa gente anche in Italia, sopportando raffiche di ingiurie da parte di tanta persone, magari "bravi cristiani": perché conosciamo le ragioni che li hanno spinti fuori dalle loro terre e conosciamo chi ne è la causa.
E c'è ancora chi crede alla favoletta degli europei e americani buoni che, col colonialismo, "gli hanno fatto tanto del bene".
Parte delle fabbriche olearie occidentali aumentò considerevolmente. Visto che il Sud Sahel era zona climatica favorevole alla coltivazione delle arachidi, i contadini locali furono stimolati a produrle, con la garanzia da parte degli europei di prezzi stabili e acquisto della produzione.
Così, per esempio, il Niger che prima della guerra dedicava 73.000 ettari di terra alla produzione di arachidi, negli anni `60 era già a quasi 500.00 ettari, il 700% in più. Questo perché le sementi di arachide coltivate per le multinazionali europee, erano di tipo speciale: crescevano più in fretta, avevano bisogno di meno acqua e permettevano ai contadini due raccolti l'anno.
Ma l'accorciamento dei tempi di riposo del terreno, da annuale a semestrale, unito allo sfruttamento intensivo, ha provocato con gli anni una riduzione paurosa della fertilità del terreno in tutto il Sahel. Ciò ha comportato l'indurimento della superficie esposta al sole, l'erosione del suolo, la sua polverizzazione e dispersione col vento, la formazione di dune di sabbia sulla terra coltivabile e la distruzione dei raccolti da parte di forti venti polverosi. Un vero disastro, anche per i pastori del Nord che non hanno più dove pascolare le mandrie in fuga dalla siccità.
Inoltre, la gente del Sahel non si nutre di noccioline, ma di miglio e sorgo. Ma piantare le arachidi ha significato rinunciare a produrre gli alimenti per la gente locale che ora, per assurdo, devono essere importati, e pagati caramente, dagli europei e americani in testa.
In tal modo questi paesi non riescono a sfamare i propri abitanti, i quali a causa della fame fuggono e arrivano in Italia e noi non li vogliamo perché non capiamo le ragioni che li fanno muovere dalla loro terra.
Eppure le ragioni sono proprio queste: non sono liberi di piantare i prodotti di sussistenza, non sono liberi di fabbricare ciò che serve a loro. Ecco perché muoiono di fame, ecco perché si spostano e vengo no qui da noi. Ecco perché come Caritas o Centro Missionario o Segretariato Migranti ci sentiamo obbligati ad aiutare questa gente anche in Italia, sopportando raffiche di ingiurie da parte di tanta persone, magari "bravi cristiani": perché conosciamo le ragioni che li hanno spinti fuori dalle loro terre e conosciamo chi ne è la causa.
E c'è ancora chi crede alla favoletta degli europei e americani buoni che, col colonialismo, "gli hanno fatto tanto del bene".
COSA FACCIO ADESSO?
Nei prossimi capitoli presentiamo alcune modalità e strumenti che ci consentono di rivedere i nostri stereotipi culturali e ci permettono di far crescere una cultura alla mondialità ed una apertura ai problemi internazionali. A te consegniamo il compito di approfondire gli argomenti trattati e di diffonderne i contenuti in famiglia, sul lavoro, a scuola, tra gli amici: perché solo insieme possiamo cambiare la società e renderla più umana. Basta volerlo.
COSA LEGGO ADESSO?
Centro Nuovo Modello di sviluppo, Nord-Sud: predatori, predati e opportunisti, EMI, 1996.
B. de Las Casas, Brevissima relazione sulla distruzione delle Indie, Giunti, 1991.
G. Minà, Un continente desaparecido, Mondadori, 1996.
A. Zanotelli, I poveri non ci lasceranno dormire, Monti, 1996.
(da Questione di stile di vita, Centro Diocesano missionario, Brescia)

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La prima sensazione che si riceve viaggiando per il mondo è che il pianeta è diviso in due. Da una parte si incontrano paesi con una potente struttura industriale, grande capacità tecnologica, molti servizi e un benessere diffuso. Dall'altra paesi con un apparato industriale debole o nullo, servizi pubblici scadenti, larghe fasce della popolazione che vivono in condizioni disumane.
Al primo gruppo appartengono gli Stati Uniti, il Canada, l'Europa, il Giappone, l'Australia, la Nuova Zelanda e poiché
sono collocati quasi tutti nell'estrema parte settentrionale del globo, sono stati genericamente definiti «Nord». Per contrapposizione, il secondo gruppo, formato da tutti gli altri paesi, è stato definito «Sud».Per capire quanto è squilibrato il mondo, basta dare un'occhiata alla produzione e ai consumi. Attraverso due secoli di sfruttamento del lavoro e di accaparramento di risorse a livello planetario, il Nord ha concentrato quasi tutta la struttura produttiva del pianeta nella sua parte di mondo e la fa funzionare con materie prime a basso costo provenienti da tutta la terra. Così, pur ospitando solo un miliardo e 200 milioni di persone, pari al 20% della popolazione planetaria, si garantisce 1'84% del prodotto lordo mondiale. Viceversa il Sud, che accoglie gli altri 4 miliardi e 600 milioni di persone, partecipa al prodotto lordo mondiale per una quota pari al 16%. Il risultato è che ogni abitante del Nord dispone di una ricchezza che è quasi 21 volte più alta di quella di ogni abitante del Sud.
Naturalmente, la contrapposizione Nord/Sud è solo una rappresentazione schematica delle grandi differenze e delle grandi linee di tendenza a livello planetario. Non vuole assolutamente dire che all'interno dei due blocchi tutti i paesi sono nella stessa, identica, condizione economica.
La divisione Nord/Sud: economica più che geografica
 (da Nord Sud, predatori, predati... ediz,.EMI)

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Il complotto demografico

"Gli USA sono venuti al Cairo per tre motivi: stabilizzare la popolazione mondiale, aumentare i fondi e i programmi di pianificazione familiare e costituire una rete di strutture che garantiscano l'attuazione delle politiche di pianificazione " (Timothy Wirth, Sottosegretario al Dipartimento di Stato, Capo delegazione USA al Cairo per la Conferenza mondiale sulla popolazione, tenutasi nel settembre 1994)

Il complotto demografico

Come sarà il mondo nel 2015? Certamente non è dato saperlo, a parte maghi e futurologi, ma c'è chi ha le idee chiare su come dovrebbe essere e da tempo lavora perché tutto vada secondo il piano previsto.
I prossimi vent'anni vedranno crescere considerevolmente le risorse destinate dalle Nazioni Unite al controllo della popolazione del Terzo Mondo (dai 12 miliardi di dollari ai 21 miliardi entro il 2015),  risorse alle quali vanno aggiunte quelle dei singoli Paesi (USA in testa), della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale.  Una gigantesca movimentazione di risorse che rilancerà le multi nazionali chimiche e farmaceutiche nello sviluppo di nuovi contraccettivi e abortivi, che sosterrà le organizzazioni impegnate in tutto il  mondo in capillari attività denataliste, che interpreterà ogni politica di sviluppo in chiave di controllo della popolazione, che entrerà nella sfera più intima delle persone, quella sessuale e procreativa.  Accogliendo la tesi che "per promuovere lo sviluppo si deve controllare la popolazione", la Conferenza del Cairo del settembre 1994 è stata il punto di arrivo del vasto movimento politico e culturale che da  decenni promuove il controllo della popolazione.
La tesi è entrata ormai nel modo comune di sentire e percepire il  problema. Si dà ormai per scontato che siamo in troppi, che la popolazione del Terzo mondo muore di fame perché si fanno troppi figli, che la colpa è del Papa che rifiuta la contraccezione. La crescita senza precedenti della popolazione è subito individuata come pericolo per la sopravvivenza delle future generazioni e sarebbe la causa dell'esaurimento delle risorse e dell'inquinamento ambientale. Posizioni che le persone assumono acriticamente e che si traducono in un consenso alle tesi sulla popolazione e alle politiche demografiche perseguite dalle istituzioni internazionali.
Contro si sono schierati solo la Santa Sede ed alcuni Paesi in via di Sviluppo, convinti che "la politica demografica ha a che fare con persone e non con numeri".
1 fattori che riguardano il rapporto tra popolazione e sviluppo sono diversi; invece gli USA si sono concentrati solo sul controllo della popolazione dei paesi impoveriti, e su questo tasto insistono fino alla paranoia.
Se il "duello" fra Santa Sede e USA si svolge sul terreno della questione demografica, va però compreso che il senso è ben più ampio: si tratta di un confronto fra due "antitetiche concezioni della famiglia e della società, tra due stili di vita dai quali dipende il futuro dell'umanità" (da Il Cairo e dopo, in "Studi cattolici", dicembre 1994). Da una parte abbiamo la concezione neoliberista individualistica, che considera l'individuo al centro del mondo, padrone assoluto della propria vita e del proprio destino: per questa concezione il criterio supremo è 1a "libertà di scelta" dell'individuo, a cui devono essere garantiti tutti i mezzi per soddisfare i propri bisogni. Dall'altra parte, la nostra parte, troviamo una concezione basata sulla sacralità della vita, che è anzitutto dono divino. La libertà della persona coincide con la responsabilità e alla persona devono essere garantiti tutti i mezzi per esercitare liberamente tale responsabilità. Perciò alla "libera scelta" americana si oppone la "responsabile scelta" cattolica.
Ma passiamo ad analizzare il problema dell'incremento della popolazione, per smentire alcune delle bugie demografiche spacciate dagli USA come verità suprema.
Anzitutto il Sud del mondo sta passando attraverso lo stesso gene-
re di mutamento demografico (aumento rapido della popolazione per un periodo lungo ma limitato) che Europa e USA sperimentarono durante la rivoluzione industriale. Per evoluzione naturale, alla crescita zero ci stanno arrivando anche questi paesi. È un fatto storico, verificabile nella storia dell'umanità.
Inoltre il numero assoluto degli abitanti del pianeta è in aumento perché diminuisce la mortalità: infatti il tasso di crescita della popolazione è calato ed addirittura crollato quello di fertilità. Il tasso di incremento nel 1965 era del 2,1%, nel 1975 era del 1,8% e oggi è del 1,5%, malgrado la percentuale di popolazione riproduttiva sia decisamente aumentata rispetto al 1965. Nei paesi del Sud si è passati da una media di 6,1 figli per ogni donna degli anni 60 a 3,7 del 1990.
I Paesi che sperimentano il calo più significativo della natalità sono proprio quelli con un processo di modernizzazione in atto. Le persone di questi paesi stanno raggiungendo significativi aumenti nel reddito pro-capite e migliori condizioni di vita; il processo di inurbamento, la graduale proibizione del lavoro minorile e il diffondersi dell'istruzione (col conseguente passaggio dei figli da fonte di ricchezza a fonte di costi) hanno ovviamente contribuito alla scelta di avere meno figli. Esattamente quel che è successo nella popolazione europea e nord-americana alla metà del XX secolo. Evidentemente è lo sviluppo sociale ed economico la ragione del calo demografico e non viceversa!
La teoria di Malthus, economista inglese che nel 1798 scrisse il Saggio sul principio di popolazione, secondo il quale la produzione di cibo aumenta in modo aritmetico
(1, 2, 3, 4...) mentre la popolazione aumenta in modo geometrico (2, 4, 8, 16 ...) è falsa e smentita dalla storia: infatti il periodo in cui il numero degli uomini avrebbe superato i mezzi per la loro sussistenza sarebbe già arrivato da almeno un secolo. Tuttavia Malthus continua a godere di un credito notevole: perdurando la disponibilità di cibo, i neomalthusiani hanno detto che gli investimenti non avrebbero garantito il lavoro alle nuove popolazioni; quando i lavori sono stati storicamente dimostrati, hanno detto che la disponibilità di capitali sarebbe cresciuta troppo lentamente per mantenere 1a crescita dei livelli di vita. Quando tali livelli hanno continuato a crescere, hanno predetto che le risorse naturali si sarebbero presto esaurite. Quando le risorse naturali non si sono esaurite, hanno detto che la crescita della popolazione avrebbe danneggiato irreparabilmente l'ambiente. Questo, più o meno, è il punto dove è arrivato oggi il dibattito.
Vediamo come stanno le cose. Negli USA solo il 3% del territorio è urbanizzato e nel mondo tale percentuale scende all' 1%. Certamente non tutta la superficie terrestre è abitabile ma anche considerando solo la parte ritenuta tale (90 milioni di kmq) in nessun modo potremmo parlare di sovraffollamento: saremmo a 60 ab/kmq, contro i 191 in Italia: tu, ti senti sovraffollato in Italia? Se nel 2100 la popolazione mondiale raggiungesse i 12 miliardi e le aree coltivate venissero raddoppiate, la densità nella superficie abitabile arriverebbe a 184 ab/kmq, sempre inferiore quindi a quella attuale dell'Italia.
Inoltre l'equazione sovrappopolazione = povertà è falsa: dei ventuno Paesi più poveri del mondo solo sette hanno una densità superiore ai 100 ab/kmq, mentre fra i ventuno Paesi più ricchi ben dodici superano questa cifra e cinque di loro hanno una densità più alta di quella dell'India (Giappone, Olanda, Belgio, Singapore e Hong Kong). I venti milioni di abitanti del Sahel, colpiti dalla carestia del 1973, avevano una densità pari a 4 abitanti per kmq. Tra i cinque Paesi africani colpiti dalla fame nel `91 (Etiopia, Sudan, Somalia, Mozambico e Liberia) il più popolato aveva una densità di 42 ab/kmq. E gli esempi si possono moltiplicare. Cosa significa tutto ciò? Semplicemente che la povertà non è conseguenza della sovrappopolazione.
Non è nemmeno vero che il nostro mondo sia affetto da scarsità di cibo: negli ultimi 30 anni, dati FAO, la produzione di alimenti è aumentata del 30% e il tasso di produzione di cibo pro-capite è aumentato del 40%. Significa che la produzione, anche nei paesi impoveriti, sta crescendo più velocemente della popolazione (cioè il contrario di quanto affermato da Malthus). E solo il 40% delle terre potenzialmente agricole sono coltivate. L'Africa nera ha effettivamente problemi legati alla fame ma si tratta di un continente per anni sconvolto da guerre civili, eredità anche di abusi coloniali, che hanno distrutto l'agricoltura e le già deficienti infrastrutture, come strade e ferrovie. E che negli ultimi decenni ha forzatamente prodotto caffè e cacao per l'esportazione e non miglio e sorgo per l'alimentazione come si spiega nel capitolo "Nord-Sud".
Anche la tesi che la crescita della popolazione è insostenibile per l'ecosistema (ultima trovata degli americani) è falsa. Nei Paesi dell'ex Unione Sovietica vi sono livelli di inquinamento da 10 a 100 volte superiori a quelli dell'Europa occidentale eppure sono Paesi prossimi alla crescita zero della popolazione. L'aumento dell'inquinamento infatti non è proporzionale a quello della popolazione, bensì alla tecnologia utilizzata: se anche gli operai russi avessero usato più profilattici - scusami - Chernobyl si sarebbe verificata lo stesso.
Inoltre "le più recenti prospettive demografiche dell'umanità ammettono che la popolazione mondiale si fermerà entro 40 anni al livello di sette miliardi e settecento milioni, e dopo di allora comin cerà a declinare; intanto nell'Occidente abbiamo sotto gli occhi una vera e propria desertificazione, una carestia di bambini che può cambiare il futuro delle nostre società e compromettere quello della stessa Europa"; chi scrive così non è il Card. Tonini su Avvenire ma Antonio Polito su Repubblica del 26 luglio 1998. E aggiunge: "il germe prezioso della famiglia (...) non è più solo un'ossessione morale della Chiesa cattolica, ma un'esigenza civile e sociale per salvaguardare la società da un lento suicidio, procurato con un'overdose di prosperità e di individualismo". Ossessione morale a parte, volentieri sottoscrivo ogni parola di Polito.
Un francese consuma 155 volte più energia di un abitante del Mali, un canadese 436 volte più di un etiope, i 57 milioni di italiani quanto due miliardi di cinesi e indiani, gli americani vanno in macchi na anche al cinema e vivono di consumismo anche quando dormono. Questo è il vero problema ambientale e di risorse, altro che ossessione morale e preservativo gratuito!

 

 

Bugie sulla povertà

 

 

Informazione alternativa

"Lo spirito di molti uomini è frivolo come lo scarabeo. Questo ama vivere sullo sterco di vacca e rifugge da ogni altro ambiente. Si  sentirebbe infatti molto a disagio se voleste costringerlo a sostare su un fiore di loto dal delizioso profumo. Così gli uomini frivoli non apprezzano che le conversazioni frivole. Essi abbandonano i luoghi ove si parla di Dio e trovano pace soltanto là dove si dicono sciocchezze" (detto buddhista)

 

 
 

Se siamo d'accordo che l'informazione deve essere considerata come un bene sociale e non come un prodotto materiale o una merce allora essa non può essere un privilegio di pochi ma appartiene all'umanità intera.

Ma in realtà oggi non si può certo parlare di informazione al servizio della comunità intera, dato che il 90% delle notizie che circolano a livello mondiale sono monopolio di un ristretto numero di agenzie di stampa occidentali, quali 1'Associated Press (Stati Uniti), la United Press International (Stati Uniti), la France Press (Francia), la Reuter (Inghilterra). Sono loro che selezionano alla fonte e smistano le notizie che diventano "informazione" ad ogni latitudine del nostro pianeta. Anche le immagini televisive (da cui attingiamo il 70% delle notizie) sono le stesse per tutti: Reuter, Wtn, Itn e Cnn. sui fatti del mondo si tratta in genere di una copertura informativa  sinistra, cupa, negativa, incentrata sui disastri, conflitti, colpi di Stato. Da questi dati è possibile capire l'atteggiamento dei mass-media nei confronti del Sud del mondo e le deformazioni prevalenti: utilizzazione frequente cioè di stereotipi come immagini di repertorio e frequenti pregiudizi. Per esempio, se dall'Africa ci fanno vedere solo foreste, savane e capanne, ogni volta che incontriamo un africano penseremo che viene da una cultura illetterata, rurale, nomade. Loro stessi si sentiranno poveri ed ignoranti perché non conoscono la loro vera storia. La superiorità della razza si mantiene anche così. Per esempio, sul Mozambico si è parlato solo della guerra civile ma nessuno ha mai detto che nella sua capitale, Maputo, il tasso di vaccinazione dei bambini è più alto di quello di New York. Trent'anni fa molte testate occidentali avevano i loro corrispondenti nelle principali capitali africane. Oggi, gli unici corrispondenti italiani in Africa sono quelli dell'agenzia Ansa, a cui fanno riferimento tutti i giornali. Ne esce fuori per forza una visione distorta, fuorviante della realtà perché riduce ad un'unica, appiattita immagine paesi, regioni, religioni, culture e storie diversissime tra loro, anch'esse ricche di atteggiamenti e connotati positivi che non vengono mai posti in evidenza. Perché? Semplicemente per il fatto che spesso il quarto potere è legato a doppio filo con coloro che detengono anche il potere economico (non c'è bisogno di citare nomi e cognomi, vero?). Quindi, quelle che noi chiamiamo "buone notizie", per esempio la cacciata di una multinazionale dal territorio, sono in realtà "cattivissime notizie" per il capitalista. Se la buona notizia è che la gente comincia a boicottare la Standa o la Rinascente, non pensiate di sentirla trasmettere la sera al TG5. Così come la notizia che il commercio equo e solidale ha conosciuto negli ultimi anni un incremento esponenziale da far invidia a qualunque attività commerciale: ma il commercio equo e solidale non fa telepromozioni pubblicitarie a suon di fustini di Dash e quindi non fa notizia perché non fa audience televisiva. Oppure che la Banca Etica ha completato, a forza di centomila lire di privati cittadini, la raccolta del capitale sociale necessario per iniziare. Certo, sui giornali o televisioni nazionali non se ne parla: a chi fa comodo una Banca che presta soldi solo a chi passa attraverso un'accurata indagine sull'eticità della ditta richiedente? A chi interessa una banca che permette al risparmiatore di decidere dove investire i propri soldi? Non fa notizia perché chi ha le televisioni possiede anche quote nelle Banche "normali" che perderanno capitali. Sono alcuni esempi di ciò che è in atto per fronteggiare lo strapotere del capitalismo, lo strapotere dell'avere sull'essere come già denunciava Paolo VI nella Populorum Progressio; certo, non faranno notizia ma ci sono e stanno crescendo sempre più. La gente si informa, coloro che denunciano e divulgano crescono in continuazione. Quando il Centro Missionario diocesano ha invitato a Brescia l'amico Padre Alex Zanotelli, l'Università di Medicina era stracolma tanto che abbiamo dovuto chiedergli di fare nella stessa serata due interventi. E l'anno dopo, invitato nuovamente, la Chiesa parrocchiale di San Faustino non riusciva a contenere tutti. Al Convegno Missionario Diocesano sui "Nuovi stili di vita", realizzato nell'aula magna del Seminario, abbiamo dovuto portare sedie perché i presenti erano il doppio del previsto, il doppio rispetto all'anno precedente. I Corsi S.V.I. per insegnanti sull'educazione alla mondialità raggiungono una crescita esponenziale di anno in anno. i libri che trattano argomenti solidali spopolano nelle librerie.

È una chiara ricerca di valori in atto da parte, della gente, è la ricerca di coniugare i valori etici e morali con le proprie quotidiane scelte di vita! Siamo tanti, stiamo crescendo. Non è più una questione di dubbi sul bene che c'è ma non si vede: il bene c'è e si vede, sta crescendo, sta urlando, sta uscendo dalla periferia della storia per diventare protagonista.

E qualcuno se ne sta accorgendo, eccome: Norman, un economista americano, dice che entro il 2010 o l'industria sarà etica o non sarà. Molte imprese stanno cambiando il loro modo di produrre perché condizionate terribilmente dalle campagne di boicottaggio in atto contro di loro nel mondo intero. Sono colossi multinazionali, non briciole. Ora queste imprese si muovono non tanto se perdono qualche vendita ma se perdono in immagine. La nostra è la società dell'immagine, ed una campagna di denigrazione nuoce tantissimo.

Di "buone notizie" come questa sentiremo sempre più parlare e dobbiamo noi stessi informare più gente possibile, far crescere senza sosta l'informazione giusta ed obiettiva.

Non ci fermeranno. Ricordiamoci il monito biblico: se tacciono i profeti, grideranno le pietre!

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