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 Maria Oggi

 


 

  Sommario

 

 Maria donna nuova

 

 Maria come ogni donna

 

Le apparizioni mariane  

 Maria dei poveri

 Maria donna nuova

 

Nel costume, nella teologia e nella Chiesa la donna, in particolare la donna cattolica, da oltre un secolo non cessa di specchiarsi e di fare riferimento alla persona di Maria. Stringente è il parallelismo tra la Vergine, che "si libera" degli orpelli che le sono stati appesi da una devozione massimalistica, e la donna che esce dalle pastoie di antichi stereotipi, per attingere una sua originaria fisionomia. Il quadro sinottico a fatica si ricompone, fino a giungere alle intuizioni dei nostri giorni, cariche di interrogativi e di sapienza, di travaglio e profezia. Maria, dunque, un progetto di donna nuova per il Terzo Millennio? La teologia mariana traccia il cammino di promozione della donna.

È di dominio pubblico, per chiunque conservi una elementare memoria storica, che presso i Paesi latini – altro il discorso riferito a quelli nordici – negli ultimi centocinquant’anni la donna cattolica non ha mai cessato di specchiarsi in Maria, ed è stringente il parallelismo tra la Vergine e la donna che la Chiesa si ritrova ma insieme ipotizza, auspica e già forma, in tutto questo arco di tempo. Così che se l’Ottocento conosce una Madonna monolitica nei suoi attributi di madre, di vergine e talvolta anche di sposa come condizione ineludibile per la maternità, questa immagine – in un processo che la accomuna alla più generale "promozione" femminile – si fa poi negli anni dilatato e incandescente "manifesto di giustizia" e "profezia di liberazione", protagonista della storia della salvezza e presenza incancellabile nella civiltà umana quale Maria viene finalmente riconosciuta.

Possiamo dire allora più esplicitamente che, come la donna storica esce dalle pastoie di stereotipi antichi per attingere una sua originaria fisionomia, così la Madonna "si libera" degli orpelli che una devozione massimalistica le aveva cucito addosso per ritornare a essere la cristiana sobria e dirompente su cui misurarsi in ogni condizione e stagione della vita. Sia nel costume come nella teologia e nella Chiesa. In un quadro sinottico che si fa sempre più limpido, fino alle intuizioni dei nostri giorni, cariche di interrogativi e di sapienza, di travaglio e di profezia, di già e non ancora. Cariche sovente di visione.

Come Maria, "Fior di dolore". Fare l’identikit della donna dell’Ottocento e dei primi decenni del Novecento sembra fin troppo semplice. All’apice dei pensieri, dei desideri e delle attese, che ella coltiva fin dalla preadolescenza, si colloca il matrimonio, perché è soltanto nel matrimonio che ella economicamente, socialmente e affettivamente acquisisce identità e spessore e si affranca dalla sua natura di "essere dimezzato". Ben triste sarebbe la sua sorte qualora non riuscisse a sposarsi (a farsi sposare!) o non scegliesse il convento. Chi mai le darebbe protezione affidabile, sicurezza per il futuro, opportunità di relazioni sociali? Chi si farebbe garante della sua virtù per antonomasia, ossia della sua castità?

Simile destino comporta l’educazione della ragazza ai compiti futuri identificati nella capacità di piacere al marito e di compiacerlo, nel governo della famiglia, nell’allevamento e nella formazione morale dei figli: nel vivere in funzione della casa di cui sarà regina e angelo.

Non favorita in una corretta percezione di sé come persona, si "adornerà" dunque di grazia, di dolcezza, di benevolenza, imparerà sottomissione, sopportazione e pazienza, convinta che la capacità di "fare sacrificio" delle proprie opinioni e, ove occorra, delle proprie amicizie femminili e dell’abitudine (del gusto) a una lettura-conoscenza che non sia "dosata e saggia", è premessa e apprendistato al saper soffrire. Ed è ben viva in lei – lo testimoniano con chiarezza solare le riviste, le agiografie e la poca pubblicistica del tempo – la coscienza che la vita familiare le chiederà di nascondere le lacrime sotto il sorriso. Lei che dovrà comporre conflitti, mitigare contrasti, lenire ferite e sofferenze.

Il costo di questa valutazione – la donna nella veste esclusiva di sposa e di madre – è altissimo. Al di fuori del ruolo obbligato, quand’anche sia lavoratrice extrafamiliare (all’opificio o nei campi o nella scuola) non le sono riconosciuti personalità, autonomia, pensieri e desideri propri, e trova sbarrata ogni strada di affermazione personale se non a prezzo di lotte, sacrifici, scelte anticonformistiche che comportano l’emarginazione dai benpensanti e la riprovazione delle altre donne. Questa donna è capace di tacere, di pregare, soprattutto con formule intimistiche e preferibilmente in casa, davanti a una Madonna dalla quale ricava conforto, esempio, forza nel reggere magari all’ingiustizia, violenza compresa, cui è fatta segno o sono fatti segno i suoi cari.

In simile atmosfera pesantemente segnata dal dovere e scarsamente progettuale – quasi sempre alieni i concetti di felicità e di liberazione – fioriscono sulla stampa destinatale e altrove, nelle omelie e nelle orazioni, titoli dalla significatività lampante: "Martirio di una madre", "Calvario di una sposa", "Fior di dolore" (la Madonna, ovviamente).

Ma chi è, esattamente, la Madonna per i buoni, comuni, cristiani di questo scorcio storico? È soprattutto e innanzitutto la donna del nascondimento e della sottomissione, "esaurita" nella sua sfera domestica e privata, relegata in una segregazione riduttiva di ruoli, chiamata a vivere alcune virtù "femminili" configurate, per di più, come virtù private: l’umiltà, l’ubbidienza, la mitezza, l’abbandono, la sottomissione.

Ebbene, questa figura di Madonna così privata, così sofferente, trova culto ed esaltazione oltre il conveniente nel costume e nella pietà popolare: e non tanto per le cose grandi che nella fede ha compiuto, quanto per il sentimento e il sentimentalismo che suscita. Se qualcuno in nome dell’assioma che «di Maria non si dirà mai bene abbastanza» ieri era giunto a chiamarla Spirita Santa, oggi, al di là di ogni solida giustificazione biblica, le esagerazioni e le adulterazioni, non solo linguistiche, si esasperano.

La donna, però, sembra poter così ricuperare in Maria, suo modello, quella grandezza e quei riconoscimenti che i tempi le negano. È forse, per lei, un po’ il vivere per interposta persona, in nome di una delega che gratifica l’eterno femminino che è in ogni donna – madre, vergine o vedova che sia –, le commoventi processioni, le appassionate novene, le ardenti suppliche, la venerazione che il clero tributa in panegirici talora enfatici anche in pieno ’900, le immagini folkloristiche (statue ricoperte di ori e di argenti votivi, cuori brillantati trafitti da implacabili spade) tanto lontane da quello che dovette essere la "normalità" preziosa e intensa di Maria, a Nazareth come altrove.

Come Maria, "grembo del mondo". Il grande spartiacque della seconda guerra mondiale segna il trapasso di un’epoca in tutti i settori della vita: dal costume all’economia, dalla politica alla pratica religiosa. I decenni che seguono sono di ricostruzione materiale e di consolidamento democratico. La donna esce allo scoperto e si scrolla di dosso l’immagine di "persona dipendente". Anzi, ora si è "emancipata", "promossa", "liberata", a seconda delle dottrine, a seconda dei femminismi, toccando giuridicamente (non nel costume) i traguardi culturali e professionali più ambiti (dagli uomini), diventando cittadina votante e votata, ma insieme esperta di autonomie locali e partecipe dei "comitati di gestione", restando moglie e mamma. Ma vive su un terreno straniero e alieno, dovunque si trovi: nella cultura, nel lavoro (dove, a determinare l’andamento delle cose è la logica del potere, del profitto, della prevaricazione individuale e collettiva, della forza), talora nella Chiesa e addirittura in famiglia poiché qui gli oneri sono più pesanti, le contraddizioni più palesi, le frustrazioni quotidiane.

Domandarsi perché ciò avvenga, significa scavare oltre l’approssimazione. Una causa importante mi pare ravvisabile nel seguente fenomeno. La giovane donna pone oggi la professione come primo obiettivo da realizzare, mentre solo in un secondo o terzo momento penserà a diventare moglie o padrona di casa. Ma il nuovo senso sociale può uccidere in lei le emozioni profonde e mutare il senso dei valori. Così il bisogno di uguaglianza rende la donna aggressiva e la fa rivaleggiare con l’uomo; ella diventa il doppione del maschio; il potenziale della sua affettività specificamente femminile si abbassa e la donna rischia di "perdere" la propria natura. Si assiste in tal caso a una deviazione aggravata dal fatto che l’incorporazione della donna nel mondo maschile avviene proprio nel momento in cui questo mondo scivola verso la decadenza. In ogni caso – e qui ci trasferiamo già su un altro piano – la reciprocità, il faccia a faccia con l’uomo vanno persi, l’autonomia trascende l’alterità, ci si serve l’uno dell’altro e si arriva alla solitudine e all’alienazione.

Allora la riflessione si approfondisce e si spalanca su panorami nuovi cui la teologia non è estranea (valga come esempio La donna e la salvezza del mondo di Evdokimov al quale mi rifaccio), si colgono suggestioni e si profilano certezze. Queste, per cominciare.

La crescita della persona umana si realizza spezzando la solitudine orgogliosa e romantica, separandosi da sé stessi e ritrovando la comunione. L’umanità è come una vetta i cui due versanti sono il maschile e il femminile e sono tali proprio in quanto si realizzano l’uno attraverso l’altro. Se l’uomo, e la donna con lui, si prolungano nel mondo con gli utensili, la donna lo fa con il dono di sé al quale intende educare anche l’uomo. Nel suo stesso essere è legata ai ritmi della natura, è in consonanza con l’ordine che regge l’universo. E proprio grazie a questo dono ogni donna è virtualmente madre e porta in fondo all’anima il tesoro del mondo. Possedendo il senso nascosto delle cose, la donna, insieme alla capacità di "dare alla luce", possiede la penetrazione nelle segrete profondità dell’essere. Se l’uomo deve agire (e la donna vuole agire), la donna è: e questa è la categoria religiosa per eccellenza.

La donna potrebbe accumulare valori intellettuali, ma questi valori non danno gioia. La donna intellettualizzata ad imitazione dell’uomo, e costruttrice del mondo alla maniera maschile, finirà con il vedersi spogliata della propria essenza perché suo compito è quello di introdurre nella cultura la femminilità come modo d’essere insostituibile.

L’uomo ha creato la scienza, l’arte, la filosofia e persino la teologia, ma tutto ciò porta a una terribile oggettivazione della verità. Fortunatamente c’è la donna, che è predestinata a diventare la portatrice di questi valori, il luogo in cui essi si incarnano e vivono. In cima al mondo, proprio nel cuore dello spirituale, c’è la "Serva di Dio", manifestazione dell’essere umano riportato alla sua verità originaria. Proteggere il mondo umano in quanto madre e salvarlo in quanto vergine, dare al mondo un’anima, la propria, in quanto donna, questa è la vocazione femminile. La vocazione della donna, insomma, non è in funzione della società ma in funzione dell’umanità. Il suo campo d’azione non è il "progresso" ma la "cultura": se vogliamo, la "civiltà". Ella "onora in silenzio" l’imminente nascita delle cose ultime. E il tempo dell’attesa porta già in sé la "cosa attesa".

La vera trascendenza unisce il maschile e il femminile in un’integrazione che trasforma i suoi elementi. Essa interrompe la loro frammentazione in "femmine" e "maschi", in io e non-io. Il paradosso del destino umano è che si diventa sé stessi diventando qualcosa d’altro: l’uomo si scopre Dio secondo la grazia, ciò che è esteriore non si distingue più da ciò che è interiore.

Una nuova teologia mariana. Ma non è tutto. Mentre la teologia riscopre nel mutato contesto culturale il modo nuovo di rapportarsi alla fede, si sviluppa e matura, parallelamente alle nuove suggestioni sulla donna, una nuova teologia mariana. «Maria – è la teologa Adriana Zarri a parlare – è il grembo pregnante del mondo, dell’umanità, della storia, la terra fertile seminata da Dio. Nella luce della Pentecoste la figura di Maria, simbolo e sintesi dell’accoglienza femminile, acquista un significato particolare. La sua discreta presenza ai primordi della Chiesa, la sua perseveranza nella preghiera e nell’amicizia con i discepoli di Gesù, ce la proiettano in una luce nuova: più impegnata, più pubblica, più ecclesiale. Si direbbe che la vita di Maria, prima così privata, conosca una espansione nuova, un nuovo impegno, una nuova responsabilità».

Paolo VI, dal canto suo, nella Marialis cultus afferma: «Si osserva che è difficile inquadrare l’immagine della Vergine quale risulta da certa letteratura devozionale, nelle condizioni di vita della società contemporanea e, in particolare, di quelle della donna, sia nell’ambiente domestico, dove le leggi e l’evoluzione del costume tendono giustamente a riconoscerle l’uguaglianza e la corresponsabilità con l’uomo nella direzione della vita familiare; sia nel campo politico dove essa ha conquistato in molti Paesi un potere di intervento nella cosa pubblica pari a quello dell’uomo; sia nel campo sociale dove essa svolge la sua attività nei più svariati settori operativi, lasciando ogni giorno di più l’ambiente ristretto del focolare; sia nel campo culturale dove le sono offerte nuove possibilità di ricerca scientifica e di affermazione intellettuale» (n. 34)...

«La lettura delle divine Scritture compiuta sotto l’influsso dello Spirito Santo e tenendo presenti le acquisizioni delle scienze umane e le varie situazioni del mondo contemporaneo, porterà a scoprire come Maria possa essere assunta a specchio degli uomini del nostro tempo. Così, per dare qualche esempio, la donna contemporanea desiderosa di partecipare con potere decisionale alle scelte della comunità, contemplerà con intima gioia Maria che, assunta al dialogo con Dio, dà il suo consenso attivo e responsabile non alla soluzione di un problema contingente ma all’opera dell’Incarnazione del Verbo; si renderà conto che la scelta dello stato verginale da parte di Maria, che nel disegno di Dio la disponeva alla Incarnazione, non fu gesto di chiusura ad alcuno dei valori dello stato matrimoniale, ma costituì una scelta coraggiosa, compiuta per consacrarsi totalmente all’amore di Dio.

«Così costaterà con lieta sorpresa che Maria di Nazareth, pur completamente abbandonata alla volontà del Signore, fu tutt’altro che donna passivamente remissiva o di una religiosità alienante, una donna che non dubitò di proclamare che Dio è vindice degli umili e degli oppressi e rovescia dai loro troni i potenti del mondo (cf Lc 1,51-53); e riconoscerà in Maria, che "primeggia tra gli umili e i poveri del Signore" (LG 56), una donna forte, che conobbe povertà e sofferenza, fuga ed esilio (cf Mt 2,13-23): situazioni che non possono sfuggire all’attenzione di chi vuole assecondare con spirito evangelico le energie liberatrici dell’uomo e della società; e non le apparirà Maria come una madre gelosamente ripiegata sul proprio figlio divino, una donna che con la sua azione favorì la fede della comunità apostolica in Cristo (cf Lc 2,1-12) e la cui funzione materna si dilatò assumendo sul Calvario dimensioni universali» (n. 37).

Come Maria, protagonista: una realtà e un auspicio. In risposta alle intuizioni teologiche e a realizzazione delle utopie femministe, si profila oggi, ma insieme si auspica, un modello di donna numericamente più esteso di ieri ma lontanissimo ancora dall’essere generalizzato – e le violenze da lei tuttora subite in ambito familiare, lavorativo, sociale, e le discriminazioni, e la difficoltà di accesso a posti dirigenziali la dicono lunga – che viene acquisendo e che viene offrendo coscienza di sé, dei tempi, del mondo. Coscienza di poter rappresentare il crocevia attraverso il quale l’umanità ricupera la capacità del dialogo e il coraggio del confronto, ma insieme raggiunge la liberazione della verità e il riscatto della misericordia, la forza decisionale e la temperanza della pazienza. In altre parole, emerge una donna consapevole che non si può agire solo all’interno della condizione femminile, ma che questa si inserisce in più vasti mutamenti della famiglia e della società; e che lucidamente discerne ciò che veramente è per la persona, e giova alla persona, e ciò che non lo è.

E così, faticosamente ma inevitabilmente, in questa rinnovata identità, compone i propri dissidi interiori come persona; fa sintesi dei rispettivi doni e delle rispettive esperienze – donna e uomo – nella coppia prima e nella famiglia poi, dà incisività e respiro (un supplemento d’anima) alle istituzioni finalizzandole alla dignità della persona. E sa affrontare il nuovo con responsabilità e fiducia adottando la vincente strategia dell’aggregazione. Perché responsabilità, al contrario di quanto qualche ideologia recitava e recita, significa farsi carico del destino degli altri oltre che di sé stessi; ricuperare il senso della maternità, del rapporto con l’uomo, del progettare e costruire famiglie paritarie e serene, non per imposizione culturale o per costume, ma per scelta consapevole e libera, come insegna una donna della Chiesa e del femminismo, Gianna Campanini.

La donna nuova appare in tal modo critica nei confronti delle mode e del costume, e capace di andare controcorrente per proporre soluzioni totalmente altre, quelle dell’inedito evangelico che, incarnato nella complessità e nella frantumazione che caratterizzano l’oggi, riesce a fare "famiglia dei figli di Dio", in unità di obiettivi e in coordinamento di metodi con tutte le persone di buona volontà. Una donna davvero in grado di proporre soluzioni e insieme di assumerle e di attuarle, convinta che la storia non si costruisce malgrado le persone, ma in loro funzione e a loro realizzazione. Una donna protagonista.

Consequenziale, la religiosità che viene aprendosi spazi, l’unica che incontri considerazione e riscuota rispetto, si discosta rigorosamente dal "femminile" tradizionalmente inteso, e cioè segnato da caratteristiche "passive" e "private". Al contrario, corale come non mai, acquista il respiro e il sapore universale di Chiesa.

La "nuova" Maria, icona della donna nuova. La devozione mariana, lasciati forse "inoperosi" i fulgori teologici della Lumen gentium e della Marialis cultus, è alla ricerca di una sua identità e di una liturgia che efficacemente la traduca. A un’epoca ormai definitivamente tramontata di non più accettata presentazione massimalistica della devozione mariana quasi esclusivamente basata su privilegi straordinari, su apparizioni, grazie e miracoli, un’altra sta per seguire. Ma intanto affiorano da più parti interrogativi precisi: forse la Madonna è oggi per molti cristiani una sconosciuta? forse è ignorato il suo protagonismo nella storia della salvezza e nella storia tout-court? forse Maria non è ancora, per la Chiesa, pietra di paragone?

Ebbene, quasi in risposta alle attese espresse e inespresse del mondo e della Chiesa, il Papa indice il 7 giugno 1987 un anno mariano straordinario dopo aver emanato l’enciclica Redemptoris Mater. È, questa enciclica, la traccia per un nuovo cammino. In essa il cristiano riscopre la propria identità, la propria grandezza, il proprio ruolo.

La sinopsi di Maria con la figura della donna nuova che i tempi hanno maturato, poi, è ancora una volta mirabile. Articolata in tre parti: "Maria nel mistero di Cristo"; "La Madre di Dio al centro della Chiesa in cammino"; "Mediazione materna", la Redemptoris Mater presenta infatti rispettivamente la Vergine come madre sollecita di Cristo, sua generosa compagna nell’opera della salvezza, discepola fedele ("piena di grazia", "beata perché ha creduto", Madre, in Giovanni, dell’umanità); modello e guida per il popolo di Dio nel pellegrinaggio tra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio; mediatrice tenerissima nella compagine ecclesiale. Maria come la donna – e la donna come Maria – è allora crocevia di incontro e offerta di dialogo. È colei che si fa carico della perenne generazione di Cristo nell’umanità. Nel silenzio e nel canto. Nella contemplazione e nell’azione.

Abbiamo voluto ascoltare il pensiero di due donne credenti e praticanti. La prima è Veronica, una ricercatrice trentenne: «Se c’è persona abissalmente umile (mai umiliata, però) e pur tuttavia perfettamente conscia delle grandi cose che Dio ha operato in lei tanto da profetare che le generazioni tutte la diranno beata per la distesa dei giorni; così discreta da non riempire di sé il Vangelo ma tanto sicura da andarsene, libera e sola, missionaria ante litteram da Elisabetta e da strappare il primo miracolo dando ordini ai servi di Cana contro la precisa dichiarazione del Figlio: "non è ancora giunta la mia ora"; tanto ubbidiente da definirsi "serva" ma... del Signore (e servire il Signore è regnare); espropriata di sé come nessuna ma per poter essere, come nessuna, inabitata da Dio... questa è la Madonna».

Mentre Alessandra, una mamma cinquantenne molto provata dalla vita, aggiunge: «La vita di Maria giocata tutta sulla fede che è una roccia dura, nuda, aspra; la perseveranza senza ripensamenti e senza cedimenti, non senza martirio; la costante accettazione, conformazione e adorazione del mistero fanno di lei una cristiana non ignorabile con cui confrontarsi. Non quindi l’icona policroma su cui versare lacrime di dolcezza, ma la pietra di paragone davanti alla quale porsi in discussione senza maschere».

Il progetto di donna in perenne divenire e in costante attuazione è dunque Maria, la donna incessantemente nuova fino alla parusia. Oggi esattamente come ieri. Come domani. La donna del 2000 e di tutti i tempi.

Sigillo luminoso e autorevole a quanto detto, la lettera apostolica di Giovanni Paolo II datata 1988. In essa è detto come per l’invio del Figlio come "uomo nato da donna" – culminante e definitivo punto dell’autorivelazione di Dio all’umanità – la donna si trova al cuore dell’evento salvifico. E non solo nella prospettiva della storia di Israele, ma anche nella prospettiva di tutte quelle vie lungo le quali l’umanità da sempre cerca risposta agli interrogativi fondamentali e insieme definitivi che più l’assillano. Ma, ancora, nella donna si ravvisa la rappresentante e l’archetipo di tutto il genere umano in quanto essa esprime l’umanità che appartiene a tutti gli esseri umani ma mette in rilievo una forma di unione col Dio vivo che può appartenere solo alla "donna". La pienezza di "grazia" concessa alla Vergine di Nazareth significa la pienezza della perfezione di «ciò che è caratteristico della donna», di «ciò che è femminile».

A ciò consegue un’indicazione etica. La donna deve intendere la sua realizzazione come persona, la sua dignità e vocazione, sulla base delle sue risorse, secondo la ricchezza della femminilità che ella ricevette nel giorno della creazione e che ereditò come espressione a lei peculiare dell’«immagine e somiglianza di Dio».

Non si può non riconoscere che di strada se ne è fatta. Tanta. E mai come oggi la donna può trovare in Maria, l’Amica.

  ( da Vita Pastorale, maggio 1999, Carla Guglielmi)

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Maria come ogni donna

 

A ROMA, AL  CONGRESSO SU "IL MISTERO DI MARIA": LE IMPRESSIONI DI TINA BEATTIE, TEOLOGA FEMMINISTA.

L'AUTRICE TINA BEATTIE È DOCENTE Di TEOLOGIA ALLA BRISTOL UNIVERSITY. QUESTO ARTICOLO È STATO PUBBLICATO SUL SETTIMANALE CATTOLICO INGLESE "THE TABLET" (6/10/2000). TITOLO ORIGINALE: "MARY AS EVERYWOMAN".

Quattordici anni fa, quando vivevo in Zimbabwe e riflettevo sulla possibilità di diventare cattolica, dissi ad un prete che le mie due maggiori difficoltà erano il papa e la Vergine Maria. Di recente, una domenica mattina, mi sono ritrovata accaldata ma giubilante sui gradini della basilica di San Pietro, dove papa Giovanni Paolo II stava celebrando la messa. Era il punto culminante di un convegno su "Il mistero di Maria e la Trinità" organizzato dalla Pontificia Accademia Internazionale Mariana, al quale ero stata invitata come relatrice. é passata molta acqua sotto i ponti dal tempo dello Zimbabwe.
Il convegno ha riunito delegati da tutto il mondo, tra cui membri di altre Chiese. Mi ha lasciato un senso della complessità e della vitalità della Chiesa oggi, e della centralità di Maria nella fede cattolica. Mi ha anche fatto chiedere con sempre maggiore insistenza: qual è il significato di Maria nel mondo cattolico moderno?
Non ci può essere una risposta semplice a questa domanda perché ci sono molte Marie, e il mondo cattolico moderno è molti mondi, tenuti insieme da una qualche allusiva forza vitale che emana dal suo cuore romano. Me ne sono accorta quando ho incontrato partecipanti dei Paesi non occidentali. Nelle sessioni plenarie, il congresso tendeva ad essere dominato da coloro che avevano un'agenda occidentale, teologicamente conservatrice, anche se a merito degli organizzatori va ascritto di aver fatto uno sforzo reale per chiamare relatori con prospettive diverse. Ma nelle discussioni informali, divenne chiaro che c'è un processo di trasformazione che abbraccia tutta la Chiesa nel mondo, e che il suo dinamismo non viene dall'Europa ma dal Terzo mondo, e in particolare dall'Asia. Come un delegato asiatico ha detto, riguardo alla gerarchia europea: "Dobbiamo dirgli chi siamo, perché se non lo facciamo, ce lo diranno loro".
Le donne costituivano una minoranza significativa tra i partecipanti al convegno. Quelle che ho incontrato avevano una grande forza e un'educazione superiore, alcune con un dottorato o una laurea in teologia, molte di loro religiose che vivono in modi davvero radicali nel contesto del nostro mondo moderno. Tra queste, membri di comunità che si occupano di bambini di strada, di prostitute e di tossicodipendenti; lettrici universitarie e insegnanti, artiste e musiciste; tutte donne che stanno scolpendo i contorni di una Chiesa futura che è visionaria, gioiosa e coraggiosa, qualità che certamente riassumono Maria. Ma, con poche eccezioni, queste donne sono profondamente sospettose riguardo al femminismo. Dottrinalmente conservatrici e socialmente radicali, hanno sfidato alcune delle mie idee sulle aspirazioni delle donne nella Chiesa e sui modi in cui Maria riflette e plasma queste aspirazioni. C'è stata molta canzonatura giocosa circa alcuni dei preti partecipanti, e sono state veloci nel criticare la noiosa retorica di alcuni relatori. Ma per me era rinfrescante essere tra donne che erano contente della Chiesa, in pace con loro stesse, e capaci di ridere più che di arrabbiarsi per le debolezze della gerarchia maschile.
Mi sono anche resa conto dello iato esistente tra la Maria amata da milioni di semplici cattolici e la Maria idealizzata e concettualizzata degli uomini della tradizione teologica occidentale. Il convegno si è svolto al santuario della Madonna dei divino Amore fuori Roma, dove un ampio nuovo santuario e un centro conferenze sono stati edificati a fianco di un più vecchio santuario sulla collina. Essere presente mi ha fatto capire quanto sia vitale Maria per una teologia dell'incarnazione che può essere vissuta e non semplicemente teorizzata. Era un luogo dove la gente era capace di essere se stessa alla presenza di un Dio accessibile e intimo, senza guardare alle astrazioni teologiche sulla "generatività divina" e 1e processioni trinitarie" proposte nella sala conferenze. C'era una stanza piena di istantanee familiari, trofei sportivi, biciclette da corsa, fotografie di auto distrutte, e una vetrina piena di caschi, il tutto attestando la capacità della Madonna di incarnare Dio in ogni aspetto della vita e della morte umana. Ragazze italiane in gonne minime accendevano candele e si facevano il segno di croce, mamme prosperose chiacchieravano durante la messa accompagnando bambini ciarlieri, arrivavano uomini in pantaloncini da ciclista o completi scuri per offrire le loro devozioni; matrimoni, battesimi e funerali sembravano una processione continua e le famiglie uscivano dalle macchine per combinare la preghiera con un picnic e un giorno fuori porta.
Questa è la ordinarietà della vita religiosa cattolica, ricca espressione dell'incarnazione che concentra l'attenzione sulla maternità di Maria. Questo è quanto è scomparso dalla cultura protestante durante la Riforma e dopo. Non è questione di moralità o di seguire o meno gli insegnamenti della Chiesa o di andare a messa ogni domenica. Si tratta invece della capacità di Maria di riunire le persone intorno al suo Figlio in tutta la loro vulnerabilità e diversità ed è questo il motivo per cui, forse, il culto della Vergine è tanto diversamente caratterizzato. Non c'è una Maria universale, perché ogni comunità cattolica ha la sua Maria che riflette le immagini e gli interessi dei suoi devoti. Questa è una Maria in cui l'incarnazione santifica la terra e tutti i suoi abitanti con la diffusione del suo culto attraverso un milione di lenti culturali.
Nel corso di una delle sessioni più interessanti del convegno, p. René Laurentin ha interrogato p. Johann Roten sulla relazione tra incarnazione e inculturazione. P. Roten ha risposto che riteneva l'inculturazione necessaria per manifestare la piena diversità dell'incarnazione. La verità di questo è stata meravigliosamente illustrata durante un concerto internazionale in lode di Maria all'auditorium Paolo VI adiacente a San Pietro.
Il concerto era diretto da Patricia Adkms Chiti, presidente della Women in Music Foundation. Era la prima volta che un'organizzazione pontificia aveva nominato una donna a questo ruolo, e anche le artiste principali erano donne. Un gruppo di donne indiane in sari hanno incensato un'icona della madonna, e un coro di donne musulmane iraniane ha cantato versi mariani dal corano, e il concerto è culminato in una danza magnifica di giovani donne vestite nei colori del giubileo, celebrando la resurrezione. Il palco dell'Auditorium è dominato dalla grande statua in bronzo della resurrezione di Pericle Fazzini, con il Cristo che emerge da un incubo astratto di carne in decomposizione e frammenti scheletrici, i suoi piedi ancora persi nella putrefazione, la parte più bassa del suo corpo nascosta dal sudario, ma le sue braccia sollevate in un leggero, estatico gesto di libertà. Sembrava dirigere la musica e i movimenti delle donne sul palco, loro che emergevano da una storia di silenzio per celebrare l'incarnazione in canto e danza, come fecero Maria ed Elisabetta all'inizio. Parlando con la direttrice qualche giorno dopo, mi ha detto di quanti ostacoli avesse posto il Vaticano, e che almeno un cardinale sembrava determinato a far interrompere il concerto. Ma, ha detto, "la storia è stata creata per le donne, quella sera".
Sono ripartita da Roma con molte cose a cui pensare, ma anche un maggiore rispetto per la forza perdurante del cattolicesimo tradizionale. Come teologa femminista, devo continuare a porre questioni difficili su Maria in relazione alla dottrina e alla devozione cattolica. Qualcosa di quanto è stato detto durante il convegno sulla passività, l'obbedienza e la totale arrendevolezza di Maria come sposa di Cristo era problematico, perché era basato su una visione anacronistica del matrimonio. C'era qualcosa di curioso sulla confidenza con cui molti relatori maschi esponevano le loro teorie su Maria in concetti teologici che sembravano remoti e irrilevanti, non solo per la vita delle donne ma per ogni realtà umana tangibile. Me ne sono andata anche sentendo che sono parte di un corpo vivente di fede che può accogliere tutta l'abbondanza della famiglia umana, uomini e donne, giovani e anziani, di diverse razze, culture e credo. Si dice tanto oggi su quello che è sbagliato nella Chiesa. Ho lasciato Roma con la volontà di celebrare quello che è giusto, e c'è molto da celebrare.

 torna inizio   (Adista, novembre 2000, Tina Beattie)

 

 

  Alla scuola di Maria per servire i poveri

La chiamiamo madre di Dio. La riteniamo grande più di ogni altra creatura. La vediamo sempre affiancata a Cristo in ogni tappa della sua vita. In questo mese di maggio la vogliamo contemplare nel suo essere maestra nel servizio ai poveri. Per questo, giustamente, la riteniamo beata. Ma forse non ci siamo mai chiesti seriamente quale sia il motivo della sua vera grandezza, della sua beatitudine; forse non ci siamo ancora accorti che è da ritenersi beata perché ha creduto.
Maria, donna di servizio perché donna di fede Anche se adornata di particolari privilegi, più degli altri esseri umani ebbe bisogno di esercitarsi nella fede: Maria credette alla Parola, servì la Parola anche quando le circostanze e la saggezza umana avrebbero portato a pensare al fallimento, all'illusione, all'abbandono da parte di Dio. Credette all'angelo quando le disse che avrebbe avuto un bambino senza il rapporto con il suo sposo. Credette che era Dio quel bambino povero che nasceva da lei: bambino accettato da poveri e umili persone e rifiutato dai grandi, dai potenti, dai sapienti, dai ricchi. Credette di fronte alla persecuzione di Erode e durante i tre anni di esilio in Egitto. Credette, pur non comprendendo, a quelle strane parole che Gesù le disse, dopo averlo ritrovato nel tempio a dodici anni. Continuò a credere pure quando vedeva che l'odio dei giudei cresceva sempre più contro il suo figlio. Credette quando lo senti gridare dall'alto della croce: "Dio mio, Dio mio; perché mi hai abbandonato?". Credette, infine, quando se lo vide morto (un Dio morto!) tra le braccia. Pure noi, se crederemo come lei, potremo generare al mondo Cristo. Pure noi potremo contare con lei il nostro Magnificat, perché ci accorgeremo che Dio in noi compie grandi cose. II Magnificat proclama che il Signore viene nella povertà, nell'oscurità; proclama che la sua venuta è un'esaltazione dell'estrema umiltà e povertà. Nel Magnificat vi si canta un Dio che viene ad amare gli umili e i poveri, che guarda a coloro che sono stati abbassa
ti, umiliati, messi da parte; e siccome sono questi i credenti, egli si rivela venendo tra loro e per loro. Vi si canta un Dio che viene a dare speranza a tutti quelli che lottano sapendo che è giunta l'ora del riscatto, l'ora della redenzione, l'ora in cui l'uomo può sentirsi pienamente libero. Maria può cantare il Magnificat perché vive nella speranza di contribuire a cambiare l'umanità; perché vive la forza con cui Dio disperde i potenti, rovescia i poteri, innalza i poveri, ricolma di beni gli affamati e solleva il suo popolo. Maria può cantare il Magnificat in quanto la sua fede si traduce in opere, in fonte di liberazione per tutti quelli che accetteranno suo Figlio.
Maria, donna di servizio perché donna dell'attenzione
Attenta al rivelarsi di Dio, nell'annunciazione Maria ascolta, si scuote, s'interroga e interroga. È un atteggiamento questo profondamente dialogico, semplice e istintivo e insieme delicato, attento, perfettamente proporzionato alla situazione che pure è nuova, imprevista, inedita. Attenta al rivelarsi dell'umano. Alle nozze di Cana Maria partecipa alla festa, serve, aiuta, mangia, beve, conversa. Ma nello stesso tempo osserva, con un qualche distacco, le cose e ne coglie il senso globale. Il suo distacco attento e discreto le permette di vedere ciò che nessuno di fatto vede (cioè il vino è terminato), vede ciò che provoca disagio e sofferenza. Maria è attenta al momento umano dell'esistenza, è attenta alle situazioni, alle persone e alle cose. Maria, donna di servizio perché donna della concretezza
L'opposto della concretezza è indulgere ai sogni di bene. È giusto ed è bello sognare, ma non indulgere ai sogni di bene senza che ne segua un'azione. S. Giacomo ci ammonisce dicendo: "Siate di quelli che mettono in pratica la Parola e non soltanto ascoltatori illudendo voi stessi" (Gc. I, 23). La concretezza di Maria è il giusto rapporto tra ascolto, decisione e azione; è l'equilibrio tra orecchio e occhio, tra cuore e mani.
  (Vittorio Nozza, Italia Caritas, maggio2002)

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Il giusto posto delle apparizioni mariane

 

...Per collocare l'apparizione mariana in rapporto alla fede della Chiesa cattolica, credo sia utile dire qualche parola sul mistero del Cristo e della Chiesa cattolica in una vera devozione verso la Vergine Maria. Infine, guarderei all'apparizione mariana come ad un segno di speranza che possa essere constatato. Non pretendo certo di portare delle novità illuminanti sui fatti, che di per sé sono sorgente di interrogativi benefici in quanto hanno prodotto numerosi frutti, come provato abbondantemente dagli avvenimenti di Lourdes. La mia intenzione è solo quella di considerare le apparizioni mariane secondo una prospettiva capace di nutrire il dialogo ecumenico e, di conseguenza, i nostri scambi.
Il mistero di Cristo e detta Chiesa.
"Questo Figlio, che è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza e sostiene tutto con la potenza della sua parola..." (3). Con lui la Rivelazione si conclude, benché non sia completamente esplicitata. Attraverso tutte le parole della Santa Scrittura, Dio dice, in effetti, una sola parola, il suo Verbo unico, completo (4). Nella Chiesa, lo Spirito Santo dà vita alla Parola di Dio. Grazie allo Spirito Santo, Gesù Cristo apre il cuore del credente "all'intelligenza delle Scritture" (5).
Nel corso della liturgia viene proclamata la parola divina. In questa stessa liturgia "il Cristo significa e realizza principalmente il suo mistero pasquale" (6). La liturgia è, in effetti, l'opera che il Cristo compie nel popolo della Nuova Alleanza. È l'opera della salvezza, opera che, grazie alla Croce ed alla Resurrezione del "testimone fedele"(7), stabilisce una comunione tra l'uomo e Dio.
Tuttavia, nella liturgia, lo Spirito Santo e la Chiesa animata dal suo soffio, cooperano nel manifestare il Cristo e la sua opera di salvezza (8). Il sacrificio del Cristo, l'unico sacrificio della croce, viene commemorato in modo sacramentale nell' Eucaristia e fonda, di conseguenza, un culto nuovo e definitivo. Ad ogni messa il sacrificio del "grande sacerdote della nostra fede" viene attualizzato in un modo sacramentale che rende presente questo sacrificio unico senza mai ripeterlo. Questa attualizzazione è l'effetto "di un'irruzione" dello Spirito Santo, come dice san Giovanni Damasceno. I nostri fratelli d'Oriente gradiscono, a giusto titolo, ricordarlo. Aggiungiamo che la celebrazione dell'Eucaristia dona al cristiano la possibilità di vivere nella speranza del giorno in cui "il Cristo sarà manifestato nella gloria di Dio" (9). Opera del Cristo e dello Spirito Santo, la liturgia è anche, per grazia di Dio, un'azione della Chiesa che realizza e manifesta la chiesa stessa come segno visibile della comunione di Dio e degli uomini attraverso il Cristo (10). Nel mistero degli sponsali costitutivi dell'Alleanza, la Chiesa è comunione. Raccolta dal Padre attorno al Cristo, è anche "il germoglio e l'inizio del Regno di Dio" (11). Il Regno del Cristo è misteriosamente presente in questo piccolo gregge al quale Gesù insegna "un modo di agire nuovo ed una bella preghiera" (12). La Chiesa riceve da Colui che ha fatto di lei il suo corpo mistico" la missione di annunciare e di instaurare il Regno messianico, regno "destinato ad accogliere gli uomini di ogni nazione". In questa missione l'Eucaristia occupa un posto essenziale e primario perché è "il vertice dell'azione attraverso la quale, nel Cristo, Dio santifica il mondo, e del culto che nello Spirito Santo gli uomini rendono al Cristo e attraverso di Lui al Padre" (13). Al termine della prima parte della mia esposizione non è difficile comprendere perché l'ultimo concilio abbia tanto insistito sul fatto che "la Chiesa non smette di presentare ai fedeli il Pane della vita preso sulla Tavola della Parola di Dio e del Corpo di Cristo (14)."
Adesso contempliamo per alcuni istanti, "la Vergine Maria nel mistero del Cristo e della Chiesa", secondo la bella espressione del concilio Vaticano Il al capitolo 8 della costituzione "Lumen Gentium".
Il concilio insiste in primo luogo sul fatto che la Vergine Maria viene "onorata come la vera Madre di Dio e del Redentore". Ma subito aggiunge: "benché la sua carica e la sua dignità la mettano lontano, al di sopra di tutte le creature del cielo e della terra come discendente di Adamo, Maria si unisce all'insieme dell'umanità che ha bisogno di salvezza". Lei stessa si definisce nel "Magnificat" l'umile "serva" dell'Altissimo: "L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore". Il Vaticano II sottolinea poi che, alla croce, la Madre di Dio coopera "con la propria carità alla nascita nella Chiesa dei fedeli che sono le membra del suo capo", parole ricche di sapore evangelico. Mi sembrava importante sottolineare che la carità è in Maria il fondamento della sua maternità sulla Chiesa. La carità è partecipazione alla vita divina. Lei è una grazia che finalizza la libertà umana in un'ultima fioritura agli occhi del credente. Agli occhi della Chiesa cattolica, la Vergine Maria esercita una maternità voluta dal Cristo stesso, una maternità "che continua senza interruzione fino alla definitiva consumazione degli eletti". Nell'ambito del mio soggetto non posso dilungarmi sul modo in cui la chiesa cattolica considera questa maternità. Giovanni Paolo II ha dissipato molti equivoci ed aperto all'ecumenismo felici prospettive, sorgenti di speranza. A proposito degli insegnamenti del Vaticano II, tengo solo a rilevare due punti che riassumerei in due citazioni:
 - Il ruolo materno di Maria nei confronti degli uomini "non offusca e non diminuisce in alcun modo l'unica mediazione del Cristo. Al contrario ne manifesta la virtù". L'ultimo concilio rimanda qui ad una domanda fondamentale: Dio ha voluto realizzare la sua opera di salvezza per mezzo di mediazioni che, senza portare attacco alla sua trascendenza, sono l'espressione a volte della potenza del suo amore e della sovrabbondanza della sua misericordia? E questa domanda ne solleva un'altra: Dio ha voluto stabilire un legame tra la maternità divina e la maternità sulla Chiesa? Simili interrogazioni sono nel cuore del dibattito ecumenico.
- L'amore materno della Vergine Maria " la rende attenta ai fratelli del suo Figlio per i quali il pellegrinaggio non è concluso, o che si trovano impegnati nel pericolo e nelle prove, fino a quando non saranno arrivati alla patria beata" (15).
Una tale sollecitudine riveste la forma di un "aiuto" che il Vaticano II caratterizza brevemente dichiarando che la Vergine Maria, Madre di Dio, è madre degli uomini e "brilla già come un segno di speranza assicurata e di consolazione davanti al popolo di Dio in pellegrinaggio" (16). In effetti lei è, per la chiesa, un modello "nell'ordine della fede, della carità, della perfetta unione al Cristo" (17). Come dire che la Chiesa contempla nella Vergine Maria ciò che il Cristo si aspetta dalla Sua sposa. D'altra parte questa madre incomparabile "rappresenta ed inaugura la Chiesa nel suo compimento nel secolo futuro" (18).
Secondo il concilio Vaticano II, Paolo VI ha voluto rinnovare la pietà mariana sottolineando con insistenza l'aspetto trinitario, cristologico ed ecclesiale del culto della Vergine Maria, precisando così il fondamento di una vera pietà mariana. Una tale pietà è importante perché è in grado di diventare lo strumento efficace per raggiungere la piena conoscenza del Figlio di Dio e costituire questo uomo perfetto, nella forza dell'età, che realizza la pienezza del Cristo" (19)." Paolo VI ha aggiunto in modo significativo: "Questo contribuirà a sviluppare il culto dovuto al Cristo stesso, poiché, conformemente al permanente sentimento della Chiesa, riaffermato con autorità ai nostri giorni, ciò che si rivolge alla serva si rapporta al Padrone; (...) così ricade sul Figlio ciò che viene attribuito alla Madre; (...) così ricade sul Re l'onore reso come umile omaggio alla Regina" (20). Si comprende da questo perché il culto mariano, essenzialmente diverso, è tuttavia idoneo ad aprire quello del Cristo.


L'apparizione mariana come segno di speranza
Dopo questa breve evocazione dell'orientamento cristologico ed ecclesiale del culto mariano, è tempo di fare alcune osservazioni sulla giusta collocazione delle apparizioni mariane nel culto cattolico. A questo proposito auspico che le mie parole aprano tra di noi un dialogo costruttivo ed arricchente.
- Una apparizione mariana è, prima di tutto, un segno di speranza. Questo segno viene proposto ai "fedeli del Cristo", al pellegrino della Chiesa nella fede. Viene dato sotto forma di un intervento particolare e sensibile della Madre di Dio, rivolto ad uno o più membri della comunità ecclesiale. Dicendo che l'apparizione mariana è nell'ordine del segno, desideriamo precisare che è, in qualche modo, un indice che permette al credente di ricordarsi della gloria del Verbo Incarnato, di questa gloria che solamente la Parola di vita gli rivela. Una vera apparizione mariana è rivolta al mistero del Cristo Risorto. Per questo si produce sempre in riferimento alla Chiesa, corpo mistico e sposa del Salvatore del mondo.
- L'apparizione mariana non è l'oggetto di un atto di fede ecclesiale. Gli interlocutori cattolici del Gruppo di °Dombes" lo spiegano chiaramente: "Le Apparizioni non hanno il compito di fondare la fede, ma di servirla. Non aggiungono nulla all' unica rivelazione, ma possono esserne un umile ricordo. Costituiscono segni sensibili in cui Dio si dona secondo le capacità di chi li riceve. Si è potuto paragonare il loro ruolo a quello dell'icona che, secondo la teologia orientale, è "un' oggettivazione vera, ispirata dallo spirito Santo(...), generatrice e portatrice di presenza—. Sono nell'ordine del carisma, vale a dire un dono di Dio ad un membro del Corpo per il bene di tutto il Corpo; "come tutti i carismi a carattere eccezionale, non devono essere cercate, ma accolte nell'azione di grazia, con discernimento e prudenza(21). .
L'apparizione mariana non ha lo stesso ruolo né la stessa importanza dei miracoli del Cristo riportati dal Vangelo. Può essere un incoraggiamento sulla nostra strada di pellegrini in cammino verso la Gerusalemme celeste. Non è un riferimento da trascurare, è un segno. Per dirlo in altro modo, l'apparizione mariana ci invita alla speranza. Torneremo ulteriormente su questo punto.
Il segno costituito dall'apparizione mariana ha bisogno di una verifica ecclesiale. Una volta autenticato, potrà attirare l'attenzione, a condizione tuttavia che si sappia superare la materialità dei fatti per raggiungere il loro vero significato. Non mi attarderei sui criteri impiegati per operare questa verifica. Direi solamente che sono il frutto della lunga esperienza di quella che è "Mater et magistra". La loro applicazione richiede comunque una saggezza fatta di umiltà e di prudenza.
Un'apparizione mariana riconosciuta ricorda a chi ne ha bisogno che il Regno di Dio è a volte presente" e "che viene". Vale a dire che è al servizio del popolo di Dio in marcia verso "le nozze con l'Agnello-, verso quelle nozze che, precisamente, la speranza fa desiderare. La speranza non è forse un'ancora "sicura e ferma- che ci fa penetrare "dove Gesù è entrato per noi come precursore" (22), Questa speranza teologale riposa sulla promessa del Salvatore reggendosi anche sul soccorso della grazia dello Spirito Santo (23). Secondo una bella espressione dell'apostolo Paolo è un "casco che protegge il credente nella lotta per la salvezza 24). La preghiera appare allora per quello che è profondamente: l'atto per eccellenza che nutre la speranza cristiana!
Come serva della Trinità, totalmente abbandonata alla volontà divina in un adorazione permanente, la Vergine Maria esercita la propria maternità. ricevuta come pura grazia, nell'ottica di aiutare i suoi figli ad avere una fede ecclesiale portata dalla speranza (25). una "fede che opera per mezzo della carità" (26). Questo significa che ogni apparizione mariana autentica riporta da una parte alla Parola di Dio e chiama, dall'altra, alla celebrazione liturgica dell'alleanza nuova e definitiva, dell'alleanza consumata dall'offerta del Grande sacerdote unico ed eterno. Secondo un modo che gli è affine i sacramenti comunicano la vita eterna sgorgata da questa offerta.
Nella verifica ecclesiale l'apparizione mariana invita a preparare nella carità l'avvenimento pieno e definitivo del regno di Dio: "Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri" (27 ).
Al termine di queste considerazioni, quale altra conclusione dare se non questa: un'apparizione mariana è un segno attraverso il quale l'Immacolata, tramite diversi simboli, la cui chiave di lettura ci è fornita dalle Scritture, si presenta ai testimoni della sua visitazione materna, così come l'abbiamo conosciuta nel Vangelo. Il suo messaggio sarà quindi l'eco fedele delle parole che ha pronunciato a Cana: "Fate quello che vi dirà" (28). Così. attraverso una via misteriosa, la Vergine fa riecheggiare nella Chiesa il grido del Crocifisso, grido dell'amore vittorioso: "Ho sete" (29).
In questo luogo dove una madre piena di compassione e di tenerezza è cosi presente, sono felice di mettere un punto finale alla mia esposizione citando di nuovo Paolo VI: "Sappiamo che ci sono importanti discordanze tra il pensiero di numerosi fratelli appartenenti ad altre Chiese e comunità ecclesiali e la dottrina cattolica sul ruolo di Maria nell'opera della salvezza", e quindi sul culto da riservarle. Tuttavia, poiché la stessa potenza dell'Altissimo ha steso la sua ombra sulla Vergine di Nazareth (Cfr. Lc 1, 35), questa agisce nell'attuale movimento ecumenico e lo feconda. Ci sta a cuore esprimere la nostra speranza confidando che la devozione verso l'umile Serva del Signore, nella quale l'Onnipotente ha fatto grandi cose (cfr. Lc l,49), diverrà, col tempo, non un ostacolo ma un'intermediazione ed un punto d'incontro per l'unione di tutti coloro che credono nel Cristo. Ci rallegriamo infatti nel constatare che una migliore comprensione del ruolo di Maria nel mistero del Cristo e della Chiesa, anche da parte dei fratelli separati, rende più rapido il cammino dell'incontro. Così come la Vergine, a Cana, ottenne da Gesù che compisse il primo miracolo (cfr. Gv 2, 1-12) grazie alla suo materno intervento, così ai nostri tempi lei potrà, grazie alla sua intercessione, affrettare l'ora in cui i discepoli del Cristo ritroveranno la perfetta comunione nella fede. Questa speranza che è la nostra si trova incoraggiata da una riflessione del nostro predecessore, Leone XIII: la causa dell'unione dei cristiani "concerne in particolare la maternità spirituale di Maria. In effetti, coloro che appartengono al Cristo, Maria non li ha generati e non avrebbe potuto generarli se non nella stessa fede e nello stesso amore: "Cristo è stato forse diviso?" (1 Cor l, 13); dobbiamo tutti vivere la stessa vita del Cristo e "noi portiamo frutti per Dio" (Rm 7, 4) in un solo e stesso corpo" (30).
Questo insegnamento di Paolo VI attinge alla sorgente viva del Vangelo, ci invita a conservare una gioiosa speranza mentre noi percorriamo, con l'aiuto dello Spirito Santo, il difficile cammino che porta all'unità plenaria. Una simile speranza ci farà desiderare il ritorno del Signore e ci inviterà ad affrettarlo col favore della nostra carità. ( Mons. Henri Brincard, vescovo. Cfr Lourdes magazine, aprile - maggio 2002. Estratto dagli atti del "Colloquio Mariano" tenuto a Lourdes, alla presenza di studiosi e rappresentanti delle altre confessioni cristiane)

Note

(3) Catechismo della Chiesa cattolica, n°65

(4) Eb 1, 3
(5) Lc 24, 45
(6) Catechismo della Chiesa Cattolica, n°1085

(7) Ap l, 5
(8) Catechismo della Chiesa cattolica, n°1099

(9) Xavier Léon Dufour, Vocabolario biblico, 1966, p. 184
(10) Catechismo della Chiesa cattolica, n°1071

(11) Lumen Gentium, n°5
(12) Catechismo della Chiesa cattolica. n°764

(13) Catechismo della Chiesa cattolica, n°1325

(14) Dei Verbum n°21
(15) Lumen Gentium, n°62

(16) Lumen Gentium, n°68

17) Lumen Gentium, n°63

(18) Lumen Gentium. n°68

(19) Paolo Vl: Il culto mariano oggi n°25

(20) Paolo VI: il culto mariano oggi, n 25

(21) ".Maria nel disegno di Dio". n° 311

(22) Eb 6, 19-20
(23) Catechismo della Chiesa cattolica, n°1817

(24) cf. II Th 5, 8
(25) cf. Rm 15, 13

(26) Gal 5, 6

(27) Gv 13, 35

(28) Gv 2,5
(29) Gv 19,28
(30) Paolo VI: "Il culto mariano oggi", n°33