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MARIALIS CULTUS
ESORTAZIONE APOSTOLICA
DI SUA SANTITÀ
PAOLO PP. VI
INTRODUZIONE
Fin da quando fummo assunti alla
cattedra di Pietro, ci siamo costantemente adoperati per dar incremento
al culto mariano, non soltanto nell’intento di interpretare il sentire
della chiesa e il nostro personale impulso, ma anche perché esso, come è
noto, rientra quale parte nobilissima nel contesto di quel culto sacro,
nel quale vengono a confluire il culmine della sapienza e il vertice
della religione e che pertanto è compito primario del popolo di Dio.
Proprio in vista di tale compito noi
sempre assecondammo e incoraggiammo la grande opera della riforma
liturgica, promossa dal concilio ecumenico Vaticano II, e avvenne certo
non senza un particolare disegno della Provvidenza divina se il primo
documento conciliare, che insieme con i venerabili padri approvammo e
sottoscrivemmo "nello Spirito santo", fu la costituzione Sacrosanctum
concilium, la quale si proponeva appunto di restaurare e di incrementare
la liturgia, rendendo più proficua la partecipazione dei fedeli ai sacri
misteri. Da allora, molti atti del nostro pontificato hanno avuto come
fine il miglioramento del culto divino, come dimostra il fatto di aver
promulgato, in questi anni, numerosi libri del rito romano, restaurati
secondo i principi e le norme del medesimo concilio. Di ciò ringraziamo
vivamente il Signore, datore di ogni bene, e siamo riconoscenti alle
conferenze episcopali e ai singoli vescovi, che in vari modi hanno
collaborato con noi alla preparazione di tali libri.
Mentre consideriamo, però, con animo
lieto e grato il lavoro compiuto e i primi positivi risultati del
rinnovamento liturgico, destinati a moltiplicarsi via via che la riforma
sarà meglio compresa nelle sue motivazioni di fondo e rettamente
applicata, la nostra vigile sollecitudine non cessa di rivolgersi a
quanto può dare ordinato compimento alla restaurazione del culto, con
cui la chiesa in spirito e verità (cf. Gv 4,24) adora il Padre, il
Figlio e lo Spirito santo, "venera con particolare amore Maria
santissima, madre di Dio" e onora con religioso ossequio la memoria dei
martiri e degli altri santi.
Lo sviluppo, da noi auspicato, della
devozione verso la vergine Maria, inserita (come sopra abbiamo
accennato) nell’alveo dell’unico culto che a buon diritto è chiamato
cristiano - perché da Cristo trae origine ed efficacia, in Cristo trova
compiuta espressione e per mezzo di Cristo, nello Spirito, conduce al
Padre - è elemento qualificante della genuina pietà della chiesa. Per
intima necessità, infatti, essa rispecchia nella prassi cultuale il
piano redentivo di Dio, per cui al posto singolare, che in esso ha avuto
Maria, corrisponde un culto singolare per lei; come pure, ad ogni
sviluppo autentico del culto cristiano consegue necessariamente un
corretto incremento della venerazione alla madre del Signore. Del resto,
la storia della pietà dimostra come " le varie forme di devozione verso
la madre di Dio, che la chiesa ha approvato entro i limiti della sana e
ortodossa dottrina ", si sviluppino in armonica subordinazione al culto
che si presta a Cristo e intorno ad esso gravitino come a loro naturale
e necessario punto di riferimento. Anche nella nostra epoca avviene
così. La riflessione della chiesa contemporanea sul mistero del Cristo e
sulla sua propria natura l’ha condotta a trovare, alla radice del primo
e a coronamento della seconda, la stessa figura di donna: la vergine
Maria, madre appunto di Cristo e madre della chiesa. E l’accresciuta
conoscenza della missione di Maria si è tramutata in gioiosa venerazione
verso di lei e in adorante rispetto per il sapiente disegno di Dio, il
quale ha collocato nella sua famiglia - la chiesa -, come in ogni
focolare domestico, la figura di donna, che nascostamente e in spirito
di servizio veglia per essa "e benignamente ne protegge il cammino verso
la patria, finché giunga il giorno glorioso del Signore".
Nel nostro tempo, i mutamenti
prodottisi nel costume sociale, nella sensibilità dei popoli, nei modi
di espressione della letteratura e delle arti, nelle forme di
comunicazione sociale, hanno influito anche sulle manifestazioni del
sentimento religioso. Certe pratiche cultuali, che in un tempo non
lontano apparivano atte ad esprimere il sentimento religioso dei singoli
e delle comunità cristiane, sembrano oggi insufficienti o inadatte,
perché legate a schemi socio-culturali del passato, mentre da più parti
si cercano nuove forme espressive dell’immutabile rapporto delle
creature con il loro Creatore, dei figli con il loro Padre. Ciò può
produrre in alcuni un momentaneo disorientamento; ma chi, con animo
fiducioso in Dio, riflette su tali fenomeni, scopre che molte tendenze
della pietà contemporanea - la interiorizzazione del sentimento
religioso, per esempio - sono chiamate a concorrere allo sviluppo della
pietà cristiana, in generale, e della pietà verso la Vergine, in
particolare. Così la nostra epoca, nel fedele ascolto della tradizione e
nell’attenta considerazione dei progressi della teologia e delle
scienze, offrirà il suo contributo di lode a colei che, secondo le sue
stesse profetiche parole, "tutte le generazioni chiameranno beata" (cf.
Lc 1,48).
Giudichiamo, quindi, conforme al
nostro servizio apostolico trattare, quasi dialogando con voi,
venerabili fratelli, alcuni temi relativi al posto che la beata Vergine
occupa nel culto della chiesa, già in parte toccati dal concilio
Vaticano II e dai noi stessi, ma sui quali non è inutile ritornare, per
dissipare dubbi e, soprattutto, per favorire lo sviluppo di quella
devozione alla Vergine che, nella chiesa, trae le sue motivazioni dalla
parola di Dio e si esercita nello Spirito di Cristo.
Vorremmo, pertanto, soffermarci su
alcune questioni che riguardano i rapporti tra la sacra liturgia e il
culto della Vergine (I); proporre considerazioni e direttive atte a
favorire il legittimo sviluppo di questo culto (II); suggerire, infine,
alcune riflessioni per una ripresa vigorosa e più consapevole della
recita del santo rosario, la cui pratica è stata insistentemente
raccomandata dai nostri predecessori ed è tanto diffusa tra il popolo
cristiano (III).
I. IL CULTO DELLA VERGINE MARIA NELLA
LITURGIA
1, Accingendoci a trattare del posto
che la vergine Maria occupa nel culto cristiano, dobbiamo in primo luogo
rivolgere la nostra attenzione alla sacra liturgia; essa, infatti, oltre
un ricco contenuto dottrinale, possiede un’incomparabile efficacia
pastorale e ha un riconosciuto valore esemplare per le altre forme di
culto. Avremmo voluto considerare le varie liturgie dell’oriente e
dell’occidente, ma, in ordine allo scopo di questo documento, guarderemo
quasi esclusivamente ai libri del rito romano: esso solo è stato
oggetto, in seguito alle norme pratiche impartite dal concilio Vaticano
II, di un profondo rinnovamento anche per quanto attiene alle
espressioni di venerazione a Maria e richiede, pertanto, di essere
attentamente considerato e valutato.
A. La Vergine nella restaurata
liturgia romana
2. La riforma della liturgia romana
presupponeva un accurato restauro del suo Calendario generale. Esso,
ordinato a disporre con il dovuto rilievo, in determinati giorni, la
celebrazione dell’opera della salvezza distribuendo lungo il corso
dell’anno l’intero mistero del Cristo, dall’incarnazione fino all’attesa
del suo glorioso ritorno, ha permesso di inserire in modo più organico e
con un legame più stretto la memoria della Madre nel ciclo annuale dei
misteri del Figlio.
3. Così, nel tempo di avvento, la
liturgia, oltre che in occasione della solennità dell’8 dicembre -
celebrazione congiunta della concezione immacolata di Maria, della
preparazione radicale (cf. Is 11,1,10) alla venuta del Salvatore, e del
felice esordio della chiesa senza macchia e senza ruga -, ricorda
frequentemente la beata Vergine soprattutto nelle ferie dal 17 al 24
dicembre e, segnatamente, nella domenica che precede il natale, nella
quale fa risuonare antiche voci profetiche sulla vergine Maria e sul
Messia e legge episodi evangelici relativi alla nascita imminente del
Cristo e del suo precursore.
4. In tal modo i fedeli, che vivono
con la liturgia lo spirito dell’avvento, considerando l’ineffabile amore
con cui la vergine Madre attese il Figlio, sono invitati ad assumerla
come modello e a prepararsi per andare incontro al Salvatore che viene,
" vigilanti nella preghiera, esultanti nella sua lode ". Vogliamo,
inoltre, osservare come la liturgia dell’avvento, congiungendo l’attesa
messianica e quella del glorioso ritorno di Cristo con l’ammirata
memoria della Madre, presenti un felice equilibrio cultuale, che può
essere assunto quale norma per impedire ogni tendenza a distaccare -
come è accaduto talora in alcune forme di pietà popolare - il culto
della Vergine dal suo necessario punto di riferimento, che è Cristo; e
faccia sì che questo periodo - come hanno osservato i cultori della
liturgia - debba esser considerato un tempo particolarmente adatto per
il culto alla madre del Signore: tale orientamento noi confermiamo,
auspicando di vederlo dappertutto accolto e seguito.
5. Il tempo di natale costituisce una
prolungata memoria della maternità divina, verginale, salvifica, di
colei la cui "illibata verginità diede al mondo il Salvatore": infatti,
nella solennità del natale del Signore, la chiesa, mentre adora il
Salvatore, ne venera la Madre gloriosa; nella epifania del Signore,
mentre celebra la vocazione universale alla salvezza, contempla la
Vergine come vera sede della Sapienza e vera Madre del Re, la quale
presenta all’adorazione dei magi il Redentore di tutte le genti (cf. Mt
2,11); e nella festa della santa famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe
(domenica fra l’ottava di natale) riguarda con profonda riverenza la
santa vita che conducono nella casa di Nazaret Gesù, Figlio di Dio e
Figlio dell’uomo, Maria, sua madre, e Giuseppe, uomo giusto (cf. Mt
1,19).
Nel ricomposto ordinamento del
periodo natalizio ci sembra che la comune attenzione debba essere
rivolta alla ripristinata solennità di Maria ss. madre di Dio; essa,
collocata secondo l’antico suggerimento della liturgia dell’urbe al
primo giorno di gennaio, è destinata a celebrare la parte avuta da Maria
in questo mistero di salvezza e ad esaltare la singolare dignità che ne
deriva per la "Madre santa... per mezzo della quale abbiamo ricevuto...
l’Autore della vita"; ed è, altresì, un’occasione propizia per rinnovare
l’adorazione al neonato Principe della pace, per riascoltare il lieto
annuncio angelico (cf. Lc 2,14), per implorare da Dio, mediatrice la
Regina della pace, il dono supremo della pace. Per questo, nella felice
coincidenza dell’ottava di natale con il giorno augurale del primo
gennaio, abbiamo istituito la Giornata mondiale della pace, che
raccoglie crescenti adesioni e matura già nel cuore di molti uomini
frutti di pace.
6. Alle due solennità già ricordate,
della concezione immacolata e della maternità divina, sono da aggiungere
le antiche e venerande celebrazioni del 25 marzo e del 15 agosto. Per la
solennità dell’incarnazione del Verbo, nel Calendario romano, con
motivata risoluzione. è stata ripristinata l’antica denominazione di
"Annunciazione del Signore", ma la celebrazione era ed è festa congiunta
di Cristo e della Vergine: del Verbo che si fa "figlio di Maria" (Mc
6,3), e della Vergine che diviene madre di Dio. Relativamente a Cristo
l’oriente e l’occidente, nelle inesauribili ricchezze delle loro
liturgie, celebrano tale solennità come memoria del fiat salvifico del
Verbo incarnato, che entrando nel mondo disse "Ecco, io vengo (...) per
fare, o Dio, la tua volontà" (cf. Eb 10,7 Sal 39 8 9); come
commemorazione dell’inizio della redenzione e dell’indissolubile e
sponsale unione della natura divina con la natura umana nell’unica
Persona del Verbo. Relativamente a Maria, come festa della nuova Eva,
vergine obbediente e fedele, che con il suo fiat generoso (cf. Lc 1,38)
divenne, per opera dello Spirito, madre di Dio, ma anche vera madre dei
viventi e, accogliendo nel suo grembo l’unico Mediatore (cf. 1Tm 2,5),
vera arca dell’alleanza e vero tempio di Dio; come memoria di un momento
culminante del dialogo di salvezza tra Dio e l’uomo, e commemorazione
del libero consenso della Vergine e del suo concorso al piano della
redenzione.
La solennità del 15 agosto celebra la
gloriosa assunzione di Maria al cielo; è, questa, la festa del suo
destino di pienezza e di beatitudine, della glorificazione della sua
anima immacolata e del suo corpo verginale, della sua perfetta
configurazione a Cristo risorto; una festa che propone alla chiesa e
all’umanità l’immagine e il consolante documento dell’avverarsi della
speranza finale: ché tale piena glorificazione è il destino di quanti
Cristo ha fatto fratelli, avendo con loro "in comune il sangue e la
carne" (Eb 2,14; cf. Gal 4,4). La solennità dell’Assunzione ha un
prolungamento festoso nella celebrazione della beata Maria vergine
regina, che ricorre otto giorni dopo, nella quale si contempla colei
che, assisa accanto al Re dei secoli, splende come regina e intercede
come madre. Quattro solennità, dunque, che puntualizzano con il massimo
grado liturgico le principali verità dogmatiche concernenti l’umile
ancella del Signore.
7. Dopo queste solennità si devono
considerare, soprattutto, quelle celebrazioni che commemorano eventi
salvifici, in cui la Vergine fu strettamente associata al Figlio, quali
le feste della natività di Maria (8 sett.), " speranza e aurora di
salvezza al mondo intero "; della Visitazione (31 maggio), in cui la
liturgia ricorda " la beata vergine Maria (...), che porta in grembo il
Figlio ", e che si reca da Elisabetta per porgerle l’aiuto della sua
carità e proclamare la misericordia di Dio Salvatore; oppure la memoria
della Vergine addolorata (15 sett.), occasione propizia per rivivere un
momento decisivo della storia della salvezza e per venerare la Madre
"associata alla passione del Figlio" e vicina a lui innalzato sulla
croce.
Anche la festa del 2 febbraio, a cui
è stata restituita la denominazione di "presentazione del Signore", deve
essere considerata, perché sia pienamente colta tutta l’ampiezza del suo
contenuto, come memoria congiunta del Figlio e della Madre, cioè
celebrazione di un mistero di salvezza operato da Cristo, a cui la
Vergine fu intimamente unita quale madre del servo sofferente di Iahvè,
quale esecutrice di una missione spettante all’antico Israele e quale
modello del nuovo popolo di Dio, costantemente provato nella fede e
nella speranza da sofferenze e persecuzioni (cf. Lc 2,21-35).
8. Se il restaurato Calendario romano
mette in risalto soprattutto le celebrazioni sopra ricordate, esso
tuttavia annovera altri tipi di memoria o di feste, legate a ragioni di
culto locale e che hanno acquistato un più vasto ambito e un interesse
più vivo (11 febb.: b. v. Maria di Lourdes; 5 agosto: dedicazione della
basilica di s. Maria maggiore); altre, celebrate originariamente da
particolari famiglie religiose, ma che oggi, per la diffusione
raggiunta, possono dirsi veramente ecclesiali (16 luglio: b. v. Maria
del monte Carmelo; 7 ott. b. v. Maria del rosario); altre ancora che, al
di là del dato apocrifo, propongono contenuti di alto valore esemplare e
continuano venerabili tradizioni, radicate soprattutto in oriente (21
nov. presentazione della b. v. Maria), o esprimono orientamenti emersi
nella pietà contemporanea (sabato dopo la solennità del s. Cuore di
Gesù: Cuore immacolato della b. v. Maria).
9. Né si deve dimenticare che il
Calendario romano non registra tutte le celebrazioni di contenuto
mariano: ché ai calendari particolari spetta accogliere, con fedeltà
alle norme liturgiche, ma anche con cordiale adesione, le feste mariane
proprie delle varie chiese locali. E resta da accennare alla possibilità
di una frequente commemorazione liturgica della Vergine con il ricorso
alla memoria di santa Maria in sabato: memoria antica e discreta, che la
flessibilità dell’attuale calendario e la molteplicità di formulari del
messale rendono sommamente agevole e varia.
10. Non intendiamo in questa
esortazione apostolica considerare tutto il contenuto del nuovo messale
romano, ma nel quadro della valutazione che ci siamo prefissi di
compiere circa i libri restaurati del rito romano, desideriamo
illustrarne alcuni aspetti e temi. E amiamo, anzitutto, rilevare come le
preci eucaristiche del messale - in ammirabile convergenza con le
liturgie orientali - contengono una significativa memoria della b. v.
Maria. Così il vetusto canone romano, che commemora la Madre del Signore
in termini densi di dottrina e di afflato cultuale: " in comunione con
tutta la chiesa, ricordiamo e veneriamo anzitutto la gloriosa e sempre
vergine Maria, madre del nostro Dio e Signore Gesù Cristo "; così la
recente prece eucaristica III, che esprime con intensa supplica il
desiderio degli oranti di condividere con la Madre l’eredità di figli: "
Egli faccia di noi un sacrificio perenne a te (Padre) gradito, perché
possiamo ottenere il regno promesso insieme con i tuoi eletti: con la
beata Maria vergine e madre di Dio ". Tale memoria quotidiana, per la
sua collocazione nel cuore del divin sacrificio, deve essere ritenuta
forma particolarmente espressiva del culto che la chiesa rende alla "
Benedetta dall’Altissimo " (cf. Lc 1,28).
11. Percorrendo poi i testi del
messale restaurato, vediamo come i grandi temi mariani dell’eucologia
romana - il tema della concezione immacolata e della pienezza di grazia,
della maternità divina, della verginità integerrima e feconda, del
tempio dello Spirito santo, della cooperazione all’opera del Figlio,
della santità esemplare, dell’intercessione misericordiosa,
dell’assunzione al cielo, della regalità materna e altri ancora - siano
stati accolti in perfetta continuità dottrinale con il passato, e come
altri temi, nuovi in un certo senso, siano stati introdotti con
altrettanta perfetta aderenza agli sviluppi teologici del nostro tempo.
Così, ad esempio, il tema Maria-chiesa è stato introdotto nei testi del
messale con varietà di aspetti, come vari e molteplici sono i rapporti
che intercorrono tra la madre di Cristo e la chiesa. Tali testi,
infatti, nella concezione immacolata della Vergine ravvisano l’esordio
della chiesa, sposa senza macchia di Cristo; nell’assunzione riconoscono
l’inizio già compiuto e l’immagine di ciò che, per la chiesa tutta
quanta, deve compiersi ancora; nel mistero della maternità la confessano
madre del Capo e delle membra: santa madre di Dio, dunque, e provvida
madre della chiesa.
Quando poi la liturgia rivolge il suo
sguardo sia alla chiesa primitiva che a quella contemporanea, ritrova
puntualmente Maria: là, come presenza orante insieme con gli apostoli;
qui come presenza operante insieme con la quale la chiesa vuol vivere il
mistero di Cristo: "...fa’ che la tua santa chiesa, associata con lei
(Maria) alla passione del Cristo, partecipi alla gloria della
risurrezione"; e come voce di lode insieme con la quale vuole
glorificare Dio: "...per magnificare con lei (Maria) il tuo santo nome";
e, poiché la liturgia è culto che richiede una condotta coerente di
vita, essa supplica di tradurre il culto alla Vergine in concreto e
sofferto amore per la chiesa, come mirabilmente propone l’orazione dopo
la comunione del 15 settembre: "...perché, nella memoria della beata
Vergine addolorata, completiamo in noi, per la santa chiesa, ciò che
manca alla passione di Cristo".
12. Il Lezionario della messa è uno
dei libri del rito romano che ha molto beneficiato della riforma
post-conciliare, sia per il numero dei testi aggiunti sia per il loro
valore intrinseco: si tratta, infatti, di testi contenenti la parola di
Dio, sempre "viva ed efficace" (cf. Eb 4,12). Questa grande abbondanza
di letture bibliche ha consentito di esporre in un ordinato ciclo
triennale l’intera storia della salvezza e di pro porre con maggiore
completezza il mistero del Cristo. Ne è risultato, come logica
conseguenza, che il Lezionario contiene un numero maggiore di letture
vetero e neo-testamentarie riguardanti la beata Vergine; aumento
numerico non disgiunto, tuttavia, da una critica serena, poiché sono
state accolte unicamente quelle letture che, o per l’evidenza del loro
contesto o per le indicazioni di una attenta esegesi, confortata dagli
insegnamenti del magistero o da una solida tradizione, possono
ritenersi, sia pure in modo e in grado diverso, di carattere mariano.
Conviene osservare, inoltre, che queste letture non solo ricorrono in
occasione delle feste della Vergine, ma vengono proclamate in molte
altre circostanze: in alcune domeniche dell’anno liturgico, nella
celebrazione di riti che toccano profondamente la vita sacramentale del
cristiano e le sue scelte, nonché nelle circostanze liete o penose della
sua esistenza.
13. Anche il restaurato libro
dell’ufficio di lode, cioè la Liturgia delle ore, contiene eccellenti
testimonianze di pietà verso la Madre del Signore: nelle composizioni
innodiche, tra cui non mancano alcuni capolavori della letteratura
universale, quale la sublime preghiera di Dante Alighieri alla Vergine;
nelle antifone che suggellano l’ufficiatura quotidiana, implorazioni
liriche, cui è stato aggiunto il celebre tropario In te sola troviamo
rifugio, venerando per antichità, mirabile per contenuto; nelle
intercessioni delle lodi e del vespro, in cui non è infrequente il
fiducioso ricorso alla Madre della misericordia; nella vastissima
selezione di pagine mariane, dovute ad autori vissuti nei primi secoli
del cristianesimo, nel medioevo e nell’età moderna.
14. Se nel messale, nel lezionario e
nella liturgia delle ore, cardini della preghiera liturgica romana, la
memoria della Vergine ritorna con ritmo frequente, anche negli altri
libri liturgici restaurati non mancano espressioni di amore e di
supplice venerazione verso la Madre di Dio: così la chiesa invoca lei,
Madre della grazia, prima di immergere i candidati nelle acque salutari
del battesimo; implora la sua intercessione per le madri che,
riconoscenti per il dono della maternità, si recano liete al tempio; lei
addita come esempio ai suoi membri che abbracciano la sequela di Cristo
nella vita religiosa, o ricevono la consacrazione verginale, e per essi
chiede il suo soccorso materno; a lei rivolge istante supplica per i
figli che sono giunti all’ora del transito; richiede il suo intervento
per coloro che, chiusi gli occhi alla luce temporale, sono comparsi
dinanzi a Cristo, luce eterna, ed invoca conforto, per la sua
intercessione, su coloro che, immersi nel dolore, piangono con fede la
dipartita dei propri cari.
15. L’esame compiuto sui libri
liturgici restaurati porta, dunque, ad una confortante constatazione: la
riforma postconciliare, come già era nei voti del movimento liturgico,
ha considerato con adeguata prospettiva la Vergine nel mistero di Cristo
e, in armonia con la tradizione, le ha riconosciuto il posto singolare
che le compete nel culto cristiano, quale santa Madre di Dio e alma
cooperatrice del Redentore.
Né poteva essere altrimenti.
Ripercorrendo, infatti, la storia del culto cristiano, si nota che sia
in oriente, sia in occidente le espressioni più alte e più limpide della
pietà verso la beata Vergine sono fiorite nell’ambito della liturgia o
in essa sono state incorporate. Desideriamo sottolinearlo: il culto che
oggi la chiesa universale rende alla santa Madre di Dio è derivazione,
prolungamento e accrescimento incessante del culto che la chiesa di ogni
tempo le ha tributato con scrupoloso studio della verità e con sempre
vigile nobiltà di forme. Dalla tradizione perenne, viva per la presenza
ininterrotta dello Spirito e per l’ascolto continuo della parola, la
chiesa del nostro tempo trae motivazioni, argomenti e stimolo per il
culto che essa rende alla beata Vergine. E di tale viva tradizione la
liturgia, che dal magistero riceve conferma e forza, è espressione
altissima e probante documento.
B. La Vergine modello della chiesa
nell’esercizio del culto
16. Vogliamo ora, seguendo alcune
indicazioni della dottrina conciliare su Maria e la chiesa, approfondire
un aspetto particolare dei rapporti intercorrenti tra Maria e la
liturgia, vale a dire: Maria quale modello dell’atteggiamento spirituale
con cui la chiesa celebra e vive i divini misteri. L’esemplarità della
beata Vergine in questo campo deriva dal fatto che ella è riconosciuta
eccellentissimo modello della chiesa nell’ordine della fede, della
carità e della perfetta unione con Cristo, cioè di quella disposizione
interiore con cui la chiesa, sposa amatissima, strettamente associata al
suo Signore, lo invoca e, per mezzo di lui, rende il culto all’eterno
Padre.
17. Maria è la Vergine in ascolto,
che accoglie la parola di Dio con fede; e questa fu per lei premessa e
via alla maternità divina, poiché, come intuì s. Agostino, "la beata
Maria colui (Gesù) che partorì credendo, credendo concepì". Infatti,
ricevuta dall’angelo la risposta al suo dubbio (cf. Lc 1,34-37), "essa
piena di fede e concependo il Cristo prima nella sua mente che nel suo
grembo, ‘Ecco - disse - la serva del Signore, sia fatto di me secondo la
tua parola (Lc 1,38)"; fede, che fu per lei causa di beatitudine e
certezza circa l’adempimento della promessa: "E beata colei che ha
creduto nell’adempimento delle parole del Signore" (Lc 1,45); fede con
la quale ella, protagonista e testimone singolare della incarnazione,
ritornava sugli avvenimenti dell’infanzia di Cristo, raffrontandoli tra
loro nell’intimo del suo cuore (cf. Lc 2,19.51). Questa, accoglie,
proclama, venera la parola di Dio, la dispensa ai fedeli come pane di
vita e alla sua luce scruta i segni dei tempi, interpreta e vive gli
eventi della storia.
18, Maria è, altresì, la Vergine in
preghiera. Così essa appare nella visita alla madre del precursore, in
cui effonde il suo spirito in espressioni di glorificazione a Dio, di
umiltà, di fede, di speranza: tale è il cantico L’anima mia magnifica il
Signore (cf. Lc 1,46-55), la preghiera per eccellenza di Maria, il canto
dei tempi messianici nel quale confluiscono l’esultanza dell’antico e
del nuovo Israele, poiché - come sembra suggerire s. Ireneo - nel
cantico di Maria confluì il tripudio di Abramo che presentiva il Messia
(cf. Gv 8,56) e risuonò, profeticamente anticipata, la voce della
chiesa: "Nella sua esultanza Maria proclamava profeticamente a nome
della chiesa: "L’anima mia magnifica il Signore"". Infatti, il cantico
della Vergine, dilatandosi, è divenuto preghiera di tutta la chiesa in
tutti i tempi.
Vergine in preghiera appare Maria a
Cana dove, manifestando al Figlio con delicata implorazione una
necessità temporale, ottiene anche un effetto di grazia: che Gesù,
compiendo il primo dei suoi "segni", confermi i discepoli nella fede in
lui (cf. Gv 2,1-12). Anche l’ultimo tratto biografico su Maria ce la
presenta Vergine orante. Infatti gli apostoli "erano assidui e concordi
nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù,
e con i fratelli di lui" (At 1,14): presenza orante di Maria nella
chiesa nascente e nella chiesa di ogni tempo, poiché ella, assunta in
cielo, non ha deposto la sua missione di intercessione e di salvezza.
Vergine in preghiera è anche la chiesa, che ogni giorno presenta al
Padre le necessità dei suoi figli, "loda il Signore incessantemente e
intercede per la salvezza del mondo".
19. Maria è, ancora, la Vergine
madre, cioè colei che " per la sua fede e obbedienza generò sulla terra
lo stesso Figlio del Padre, senza contatto con uomo, ma adombrata dallo
Spirito santo ": prodigiosa maternità, costituita da Dio quale tipo e
modello della fecondità della vergine-chiesa, la quale " diventa anche
essa madre, poiché con la predicazione e il battesimo genera a vita
nuova e immortale i figli, concepiti per opera dello Spirito santo e
nati da Dio ". Giustamente gli antichi padri insegnavano che la chiesa
prolunga nel sacramento del battesimo la maternità verginale di Maria.
Tra le loro testimonianze ci piace ricordare quella del nostro illustre
predecessore s. Leone Magno, il quale in una omelia natalizia afferma: "
L’origine che (Cristo) ha preso nel grembo della Vergine, l’ha posta nel
fonte battesimale; ha dato all’acqua quel che aveva dato alla Madre;
difatti, la virtù dell’Altissimo e l’adombramento dello Spirito santo (cf.
Lc 1,35), che fece sì che Maria desse alla luce il Salvatore, fa anche
sì che l’acqua rigeneri il credente ". Volendo attingere alle fonti
liturgiche, potremmo citare la bella Conclusione della liturgia
ispanica: " Quella (Maria) portò la Vita nel grembo, questa (la chiesa)
la porta nell’onda battesimale. Nelle membra di lei fu plasmato il
Cristo, nelle acque di costei fu rivestito il Cristo ".
20. Maria è, infine, la Vergine
offerente Nell’episodio della presentazione di Gesù al tempio (cf. Lc
2,22-35), la chiesa, guidata dallo Spirito, ha scorto, al di là
dell’adempimento delle leggi riguardanti l’oblazione del primogenito (cf.
Es 13,11-16) e la purificazione della madre (cf. Lv 12,6-8), un mistero
salvifico, relativo appunto alla storia della salvezza: ha rilevato,
cioè, la continuità dell’offerta fondamentale che il Verbo incarnato
fece al Padre, entrando nel mondo (cf. Eb 10,5-7); ha visto proclamata
l’universalità della salvezza poiché Simeone, salutando nel bambino la
luce per illuminare le genti e la gloria di Israele (cf. Lc 2,32),
riconosceva in lui il Messia, il Salvatore di tutti; ha inteso il
riferimento profetico alla passione di Cristo: ché le parole di Simeone,
le quali congiungevano in un unico vaticinio il Figlio "segno di
contraddizione" (Lc 2,34) e la Madre, a cui la spada avrebbe trafitto
l’anima (cf. Lc 2,35), si avverarono sul Calvario. Mistero di salvezza,
dunque, che nei suoi vari aspetti orienta l’episodio della presentazione
al tempio verso l’evento salvifico della croce. Ma la chiesa stessa,
soprattutto a partire dai secoli del medioevo, ha intuito nel cuore
della Vergine, che porta il Figlio a Gerusalemme per presentarlo al
Signore (cf. Lc 2,22), una volontà oblativa, che superava il senso
ordinario del rito. Di tale intuizione abbiamo testimonianza
nell’affettuosa apostrofe di s. Bernardo: " Offri il tuo Figlio, o
Vergine santa, e presenta al Signore il frutto benedetto del tuo seno.
Offri per la riconciliazione di noi tutti la vittima santa, a Dio
gradita ".
Questa unione della Madre con il
Figlio nell’opera della redenzione raggiunge il culmine sul Calvario,
dove Cristo "offrì se stesso quale vittima immacolata a Dio" (Eb 9,14) e
dove Maria stette presso la croce (cf. Gv 19,25), "soffrendo
profondamente con il suo Unigenito e associandosi con animo materno al
sacrificio di lui, armoniosamente consenziente all’immolazione della
vittima da lei generata" e offrendola anch’ella all’eterno Padre. Per
perpetuare nei secoli il sacrificio della croce il divin Salvatore
istituì il sacrificio eucaristico, memoriale della sua morte e
risurrezione, e lo affidò alla chiesa, sua sposa, la quale, soprattutto
alla domenica, convoca i fedeli per celebrare la pasqua del Signore,
finché egli ritorni: il che la chiesa compie in comunione con i santi
del cielo e, prima di tutto, con la beata Vergine, della quale imita la
carità ardente e la fede incrollabile.
21. Modello di tutta la chiesa
nell’esercizio del culto divino, Maria è anche, evidentemente, maestra
di vita spirituale per i singoli cristiani. Ben presto i fedeli
cominciarono a guardare a Maria per fare, come lei, della propria vita
un culto a Dio e del loro culto un impegno di vita. Già nel IV secolo,
s. Ambrogio, parlando ai fedeli, auspicava che in ognuno di essi fosse
l’anima di Maria per glorificare Dio: "Dev’essere in ciascuno l’anima di
Maria per magnificare il Signore, dev’essere in ciascuno il suo spirito
per esultare in Dio". Maria, però, è soprattutto modello di quel culto
che consiste nel fare della propria vita un’offerta a Dio: dottrina
antica, perenne, che ognuno può riascoltare, ponendo mente
all’insegnamento della chiesa, ma anche porgendo l’orecchio alla voce
stessa della Vergine, allorché essa, anticipando in sé la stupenda
domanda della preghiera del Signore: " Sia fatta la tua volontà " (Mt
6,10), rispose al messaggero di Dio: "Ecco la serva del Signore: sia
fatto di me secondo la tua parola" (Lc 1,38). E il "sì" di Maria è per
tutti i cristiani lezione ed esempio per fare dell’obbedienza alla
volontà del Padre la via e il mezzo della propria santificazione.
22. È importante, d’altra parte,
osservare come la chiesa traduca i molteplici rapporti che la uniscono a
Maria in vari ed efficaci atteggiamenti cultuali: in venerazione
profonda, quando riflette sulla singolare dignità della Vergine,
divenuta, per opera dello Spirito, madre del Verbo incarnato; in amore
ardente, quando considera la maternità spirituale di Maria verso tutte
le membra del corpo mistico; in fiduciosa invocazione, quando
esperimenta l’intercessione della sua avvocata e ausiliatrice; in
servizio di amore, quando scorge nell’umile ancella del Signore la
regina di misericordia e la madre di grazia; in operosa imitazione,
quando contempla la santità e le virtù della " piena di grazia " (Lc
1,28); in commosso stupore, quando vede in lei, "come in una immagine
purissima, ciò che essa, tutta, desidera e spera di essere"; in attento
studio, quando ravvisa nella cooperatrice del Redentore, ormai
pienamente partecipe dei frutti del mistero pasquale, il compimento
profetico del suo stesso avvenire, fino al giorno in cui, purificata da
ogni ruga e da ogni macchia (cf. Ef 5,27), diverrà come una sposa ornata
per lo sposo, Gesù Cristo (cf. Ap 21,2).
23. Considerando, dunque, fratelli
carissimi, la venerazione che la tradizione liturgica della chiesa
universale e il rinnovato rito romano esprimono verso la santa Madre di
Dio; ricordando che la liturgia, per il suo preminente valore cultuale,
costituisce una regola d’oro per la pietà cristiana; osservando, infine,
come la chiesa, quando celebra i sacri misteri, assuma un atteggiamento
di fede e di amore simili a quello della Vergine, comprendiamo quanto
sia giusta l’esortazione del concilio Vaticano II a tutti i figli della
chiesa, " perché promuovano generosamente il culto, specialmente
liturgico, della beata Vergine ": esortazione, che vorremmo vedere
dappertutto accolta senza riserve e tradotta in pratica con zelo.
II. PER IL RINNOVAMENTO DELLA PIETÀ
MARIANA
24. Lo stesso concilio Vaticano Il
esorta, poi, a promuovere, accanto al culto liturgico, altre forme di
pietà, soprattutto quelle raccomandate dal magistero. Tuttavia, come è
ben noto, la venerazione dei fedeli verso la Madre di Dio ha assunto
forme molteplici secondo le circostanze di luogo e di tempo, la diversa
sensibilità dei popoli e la loro differente tradizione culturale. Ne
deriva che le forme in cui tale pietà si è espressa, soggette all’usura
del tempo, appaiono bisognose di un rinnovamento che permetta di
sostituire in esse gli elementi caduchi, di dar valore a quelli perenni
e di incorporare i dati dottrinali, acquisiti dalla riflessione
teologica e proposti dal magistero ecclesiastico. Ciò dimostra la
necessità che le conferenze episcopali, le chiese locali, le famiglie
religiose e le comunità di fedeli favoriscano una genuina attività
creatrice e procedano, nel medesimo tempo, ad una diligente revisione
degli esercizi di pietà verso la Vergine; revisione, che auspichiamo
rispettosa della sana tradizione e aperta ad accogliere le legittime
istanze degli uomini del nostro tempo.
Pertanto, ci sembra opportuno,
venerabili fratelli, indicarvi alcuni principi secondo cui bisogna
operare in questo campo.
A. Nota trinitaria, cristologica
ed ecclesiale nel culto della Vergine
25. È sommamente conveniente,
anzitutto, che gli esercizi di pietà verso la vergine Maria esprimano
chiaramente la nota trinitaria e cristologica, che in essi è intrinseca
ed essenziale. Il culto cristiano infatti è, per sua natura, culto al
Padre, al Figlio e allo Spirito santo, o meglio - come si esprime la
liturgia - al Padre per Cristo nello Spirito. In questa prospettiva,
esso legittimamente si estende, sia pure in modo sostanzialmente
diverso, prima di tutto e in maniera speciale alla Madre del Signore, e
poi ai santi, nei quali la chiesa proclama il mistero pasquale, perché
essi hanno sofferto con Cristo e con lui sono stati glorificati. Nella
vergine Maria tutto è relativo a Cristo e tutto da lui dipende: in vista
di lui Dio Padre, da tutta l’eternità, la scelse Madre tutta santa e la
ornò di doni dello Spirito, a nessun altro concessi.
Certamente la genuina pietà cristiana
non ha mai mancato di mettere in luce l’indissolubile legame e
l’essenziale riferimento della Vergine al divin Salvatore. Tuttavia, a
noi pare particolarmente conforme all’indirizzo spirituale della nostra
epoca, dominata e assorbita dalla "questione di Cristo", che nelle
espressioni di culto alla Vergine abbia speciale risalto l’aspetto
cristologico e si faccia in modo che esse rispecchino il piano di Dio,
il quale prestabilì " con un solo e medesimo decreto l’origine di Maria
e l’incarnazione della divina Sapienza ". Ciò concorrerà senza dubbio a
rendere più solida la pietà verso la Madre di Gesù e a farne uno
strumento efficace per giungere alla " piena conoscenza del Figlio di
Dio, fino a raggiungere la misura della piena statura di Cristo " (Ef
4,13); e contribuirà, d’altra parte, ad accrescere il culto dovuto a
Cristo stesso, poiché, secondo il perenne sentire della chiesa,
autorevolmente ribadito ai nostri giorni, " vien riferito al Signore
quel che è offerto in servizio all’Ancella; così ridonda sul Figlio quel
che, è attribuito alla Madre; (...) così ricade sul Re l’onore che vien
reso in umile tributo alla Regina ".
26. A questo accenno circa
l’orientamento cristologico del culto alla Vergine, ci sembra utile far
seguire un richiamo all’opportunità che in esso sia dato adeguato
risalto a uno dei contenuti essenziali della fede: la persona e l’opera
dello Spirito santo. La riflessione teologica e la liturgia hanno
rivelato, infatti, come l’intervento santificatore dello Spirito nella
Vergine di Nazaret sia stato un momento culminante della sua azione
nella storia della salvezza. Così, ad esempio, alcuni santi padri e
scrittori ecclesiastici attribuirono all’opera dello Spirito la santità
originale di Maria, da lui " quasi plasmata e resa nuova creatura ";
riflettendo sui testi evangelici - " lo Spirito santo verrà sopra di te,
e la potenza dell’Altissimo ti ricoprirà " (Lc 1,35) e " Maria (...) si
trovò incinta per virtù dello Spirito santo; (...) è opera di Spirito
santo, ciò che in lei si è generato " (Mt 1,18.20) - scorsero
nell’intervento dello Spirito un’azione che consacrò e rese feconda la
verginità di Maria e lei trasformò in Palazzo del Re o Talamo del Verbo,
Tempio o Tabernacolo del Signore, Arca dell’Alleanza o della
Santificazione, titoli ricchi di risonanze bibliche, Approfondendo
ancora il mistero della incarnazione, essi videro nell’arcano rapporto
tra Spirito santo e Maria un aspetto sponsale, poeticamente ritratto
così da Prudenzio: " La Vergine non sposata si sposa allo Spirito ", e
la chiamarono Santuario dello Spirito santo espressione che sottolinea
il carattere sacro della Vergine, divenuta stabile dimora dello Spirito
di Dio. Addentrandosi nella dottrina sul Paraclito, avvertirono che da
lui, come da sorgente, erano scaturite la pienezza di grazia (cf. Lc
1,28) e l’abbondanza di doni che la ornavano: allo Spirito, quindi,
attribuirono la fede, la speranza e la carità che animavano il cuore
della Vergine, la forza che ne sosteneva l’adesione alla volontà di Dio,
il vigore che la sorreggeva nella sua " compassione " ai piedi della
croce; segnalarono nel cantico profetico di Maria (cf. Lc 1,46-55) un
particolare influsso di quello Spirito che aveva parlato per bocca dei
profeti. Considerando, infine, la presenza della Madre di Gesù nel
cenacolo, dove lo Spirito scese sulla chiesa nascente (cf. At 1,12-14;
2,1-4), arricchirono di nuovi sviluppi l’antico tema Maria-chiesa, e,
soprattutto, ricorsero all’intercessione della Vergine per ottenere
dallo Spirito la capacità di generare Cristo nella propria anima, come
attesta s. Ildefonso in una supplica, sorprendente per dottrina e per
vigore orante: " Ti prego, ti prego, o Vergine santa, che io abbia Gesù
da quello Spirito, dal quale tu stessa hai generato Gesù. Riceva l’anima
mia Gesù per opera di quello Spirito, per il quale la tua carne ha
concepito lo stesso Gesù (...). Che io ami Gesù in quello stesso
Spirito, nel quale tu lo adori come Signore e lo contempli come Figlio
".
27. Si afferma, talvolta, che molti
testi della pietà moderna non rispecchiano sufficientemente tutta la
dottrina intorno allo Spirito santo. Spetta agli studiosi verificare
questa affermazione e valutarne la portata; nostro compito è quello di
esortare tutti, specialmente i pastori e i teologi, ad approfondire la
riflessione sull’azione dello Spirito nella storia della salvezza, e a
far sì ch i testi della pietà cristiana pongano nella dovuta luce la sua
azione vivificante. Da tale approfondimento emergerà in particolare,
l’arcano rapporto tra lo Spirito di Dio e la Vergine di Nazaret e la
loro azione sulla chiesa; e dai contenuti della fede più profondamente
meditati deriverà una pietà più intensamente vissuta.
28. È necessario, poi, che gli
esercizi di pietà con cui i fedeli esprimono la loro venerazione alla
madre del Signore, manifestino in modo perspicuo il posto che essa
occupa nella chiesa: "dopo Cristo il più alto e il più vicino a noi ";
un posto che negli edifici cultuali di rito bizantino è plasticamente
espresso nella stessa disposizione dei membri architettonici e degli
elementi iconografici - nella porta centrale dell’iconostasi la
raffigurazione dell’annuncio a Maria, nell’abside la rappresentazione
della Theotocos gloriosa - sì che da essi risulta manifesto come dal
consenso dell’Ancella del Signore l’umanità inizi il ritorno a Dio e
nella gloria della Tuttasanta veda la meta del suo cammino. Il
simbolismo con cui l’edificio della chiesa esprime il posto di Maria nel
mistero della chiesa contiene un’indicazione feconda e costituisce un
auspicio perché dappertutto le varie forme di venerazione alla beata
Vergine si aprano verso prospettive ecclesiali.
Infatti, il richiamo ai concetti
fondamentali esposti dal concilio Vaticano II circa la natura della
chiesa, come famiglia di Dio, popolo di Dio, regno di Dio, corpo mistico
di Cristo, permetterà ai fedeli di riconoscere più prontamente la
missione di Maria nel mistero della chiesa e il suo posto eminente nella
comunione dei santi; di sentire più intensamente il legame fraterno che
unisce tutti i fedeli, perché figli della Vergine " alla cui
rigenerazione e formazione spirituale ella collabora con materno amore "
e figli altresì della chiesa, perché " noi dal suo parto nasciamo, dal
suo latte siamo nutriti e dal suo Spirito siamo vivificati ", ché
ambedue concorrono a generare il corpo mistico di Cristo: " L’una e
l’altra è madre di Cristo, ma nessuna di esse genera tutto (il corpo)
senza l’altra "; di percepire, infine, più distintamente che l’azione
della chiesa nel mondo è come un prolungamento della sollecitudine di
Maria. Infatti, l’amore operante della Vergine a Nazaret, nella casa di
Elisabetta, a Cana, sul Golgota - tutti momenti salvifici di vasta
portata ecclesiale - trova coerente continuità nell’ansia materna della
chiesa, perché tutti gli uomini giungano alla conoscenza della verità (cf.
1Tm 2,4), nella sua cura per gli umili, i poveri, i deboli, nel suo
impegno costante per la pace e per la concordia sociale, nel suo
prodigarsi perché tutti gli uomini abbiano parte alla salvezza, meritata
per loro dalla morte di Cristo. In questo modo l’amore per la chiesa si
tradurrà in amore per Maria, e viceversa; perché l’una non può
sussistere senza l’altra, come acutamente osserva s. Cromazio di
Aquileia: " Si riunì la chiesa nella parte alta (del cenacolo) con
Maria, che era la madre di Gesù, e con i fratelli di lui. Non si può,
dunque, parlare di chiesa se non vi è presente Maria, la madre del
Signore, con i fratelli di lui ". Concludendo, ribadiamo la necessità
che la venerazione rivolta alla beata Vergine renda esplicito il suo
intrinseco contenuto ecclesiologico: questo vorrà dire avvalersi di una
forza capace di rinnovare salutarmente forme e testi.
B. Quattro orientamenti per il
culto della Vergine: biblico, liturgico, ecumenico, antropologico
29. Alle indicazioni precedenti, che
emergono dalla considerazione dei rapporti della vergine Maria con Dio -
Padre, Figlio e Spirito santo - e con la chiesa, vogliamo aggiungere
proseguendo secondo la linea dell’insegnamento conciliare, alcuni
orientamenti - biblico, liturgico, ecumenico, antropologico - da tener
presenti nel rivedere o creare esercizi e pratiche di pietà, per rendere
più vivo e più sentito il legame che ci unisce alla madre di Cristo e
madre nostra nella comunione dei santi.
30. La necessità di un’impronta
biblica in ogni forma di culto è oggi avvertita come un postulato
generale della pietà cristiana. Il progresso degli studi biblici, la
crescente diffusione delle sacre scritture e, soprattutto, l’esempio
della tradizione e l’intima mozione dello Spirito, orientano i cristiani
del nostro tempo a servirsi sempre più della bibbia come del libro
fondamentale di preghiera, ed a trarre da essa genuina ispirazione e
insuperabili modelli. Il culto alla beata Vergine non può essere
sottratto a questo indirizzo generale della pietà cristiana anzi ad esso
deve particolarmente ispirarsi per acquistare nuovo vigore e sicuro
giovamento. La bibbia, proponendo in modo mirabile il disegno di Dio per
la salvezza degli uomini, è tutta impregnata del mistero del Salvatore e
contiene anche, dalla Genesi all’Apocalisse, non indubbi riferimenti a
colei che del Salvatore fu madre e cooperatrice. Non vorremmo, però, che
l’impronta biblica si limitasse a un diligente uso di testi e simboli,
sapientemente ricavati dalle sacre scritture; essa comporta di più:
richiede, infatti, che dalla bibbia prendano termini e ispirazione le
formule di preghiera e le composizioni destinate al canto; ed esige,
soprattutto, che il culto della Vergine sia permeato dei grandi temi del
messaggio cristiano, affinché, mentre i fedeli venerano colei che è sede
della Sapienza, siano essi stessi illuminati dalla luce della divina
Parola e indotti ad agire secondo i dettami della Sapienza incarnata.
31. Della venerazione che la chiesa
rende alla Madre di Dio nella celebrazione della sacra liturgia abbiamo
già parlato. Ma ora, trattando delle altre forme di culto e dei criteri
cui esse si devono ispirare, non possiamo non ricordare la norma della
costituzione "Sacrosanctum concilium", la quale, mentre raccomanda
vivamente i pii esercizi del popolo cristiano, aggiunge: "...bisogna
però che tali esercizi, tenendo conto dei tempi liturgici, siano
ordinati in modo da essere in armonia con la sacra liturgia, da essa
traggano in qualche modo ispirazione, e ad essa, data la sua natura di
gran lunga superiore, conducano il popolo cristiano ". Norma saggia,
norma chiara, la cui applicazione non si presenta tuttavia facile,
soprattutto nel campo del culto alla Vergine, così vario nelle sue
espressioni formali; essa richiede, infatti, da parte dei responsabili
delle comunità locali sforzo, tatto pastorale, costanza e, da parte dei
fedeli, prontezza ad accogliere orientamenti e proposte che, derivanti
dalla genuina natura del culto cristiano, comportano talvolta il
cambiamento di usi inveterati, nei quali quella natura si era in qualche
modo oscurata.
A questo proposito, vogliamo
accennare a due atteggiamenti che potrebbero render vana nella prassi
pastorale la norma del concilio Vaticano II: innanzitutto,
l’atteggiamento di alcuni che si occupano di cura d’anime, i quali
disprezzando a priori i pii esercizi, che pure, nelle debite forme, sono
raccomandati dal magistero, li tralasciano e creano un vuoto che non
provvedono a colmare; essi dimenticano che il concilio ha detto di
armonizzare i pii esercizi con la liturgia, non di sopprimerli.
In secondo luogo, l’atteggiamento di
altri che, al di fuori di un sano criterio liturgico e pastorale,
uniscono insieme pii esercizi e atti liturgici in celebrazioni ibride.
Avviene talora che nella stessa celebrazione del sacrificio eucaristico
vengano inseriti elementi propri di novene o altre pie pratiche, col
pericolo che il memoriale del Signore non costituisca il momento
culminante dell’incontro della comunità cristiana, ma quasi occasione
per qualche pratica devozionale. A quanti agiscono così vorremmo
ricordare che la norma conciliare prescrive di armonizzare i pii
esercizi con la liturgia, non di confonderli con essa. Una azione
pastorale illuminata deve da una parte distinguere e sottolineare la
natura propria degli atti liturgici, dall’altra valorizzare i pii
esercizi, per adeguarli alle necessità delle singole comunità ecclesiali
e renderli ausiliari preziosi della liturgia.
32. Per il suo carattere ecclesiale,
nel culto alla Vergine si rispecchiano le preoccupazioni della chiesa
stessa, tra cui, ai nostri giorni, spicca l’ansia per la ricomposizione
dell’unità dei cristiani. La pietà verso la madre del Signore diviene,
così, sensibile alle trepidazioni e agli scopi del movimento ecumenico,
cioè acquista essa stessa una impronta ecumenica. E questo per vari
motivi.
innanzitutto, perché i fedeli
cattolici si uniscono ai fratelli delle chiese ortodosse, presso le
quali la devozione alla beata Vergine riveste forme di alto lirismo e di
profonda dottrina, nel venerare con particolare amore la gloriosa Madre
di Dio, e nell’acclamarla " Speranza dei cristiani "; si uniscono agli
anglicani, i cui teologi classici già misero in luce la solida base
scritturistica del culto alla Madre di nostro Signore, e i cui teologi
contemporanei sottolineano maggiormente l’importanza del posto che Maria
occupa nella vita cristiana; e si uniscono ai fratelli delle chiese
della riforma, nelle quali fiorisce vigoroso l’amore per le sacre
scritture, nel glorificare Dio con le parole stesse della Vergine (cf.
Lc 1,46-55). In secondo luogo, perché la pietà verso la Madre di Cristo
e dei cristiani è per i cattolici occasione naturale e frequente di
implorazione, affinché ella interceda presso il Figlio per l’unione di
tutti i battezzati in un solo popolo di Dio. E ancora, perché è volontà
della chiesa cattolica che in tale culto, senza che ne sia attenuato il
carattere singolare, sia evitata con ogni cura qualunque esagerazione
che possa indurre in errore gli altri fratelli cristiani circa la vera
dottrina della chiesa cattolica, e sia bandita ogni manifestazione
cultuale contraria alla retta prassi cattolica. Infine, essendo
connaturale al genuino culto verso la beata Vergine che " mentre è
onorata la Madre (...), il Figlio sia debitamente conosciuto, amato,
glorificato ", esso diventa via che conduce al Cristo, fonte e centro
della comunione ecclesiale, nel quale quanti apertamente confessano che
egli è Dio e Signore, Salvatore e unico Mediatore (cf. 1Tm 2,5), sono
chiamati ad essere una sola cosa tra loro, con lui e con il Padre
nell’unità dello Spirito santo.
33. Siamo consapevoli che esistono
non lievi discordanze tra il pensiero di molti fratelli di altre chiese
e comunità ecclesiali e la dottrina cattolica " intorno (...) alla
funzione di Maria nell’opera della salvezza " e, quindi, intorno al
culto da renderle. Tuttavia, poiché la stessa potenza dell’Altissimo che
adombrò la Vergine di Nazaret (cf. Lc 1,35) agisce nell’odierno
Movimento ecumenico e lo feconda, desideriamo esprimere la nostra
fiducia che la venerazione verso l’umile Ancella del Signore, nella
quale l’onnipotente fece grandi cose (cf. Lc 1,49), diverrà, sia pur
lentamente, non un ostacolo, ma tramite e punto di incontro per l’unione
di tutti i credenti in Cristo. Ci rallegriamo, infatti, di constatare
che una migliore comprensione del posto di Maria nel mistero di Cristo e
della chiesa, anche da parte dei fratelli separati, rende più spedito il
cammino verso l’incontro. Come a Cana la Vergine con il suo intervento
ottenne che Gesù compisse il primo dei suoi miracoli (cf. Gv 2,1-12),
così nella nostra epoca ella potrà, con la sua intercessione, propiziare
l’avvento dell’ora in cui i discepoli di Cristo ritroveranno la piena
comunione nella fede. E questa nostra speranza è confortata
dall’osservazione del nostro predecessore Leone XIII: la causa
dell’unione dei cristiani "appartiene specificamente all’ufficio della
spirituale maternità di Maria. Difatti, quelli che sono di Cristo, Maria
non li generò e non poteva generarli se non in un’unica fede e in un
unico amore: ché forse è diviso il Cristo? (1Cor 1,13); dobbiamo,
invece, tutti insieme vivere la vita del Cristo, per poter in un unico e
medesimo corpo fruttificare per Iddio (Rm 7,4)".
34. Nel culto alla Vergine si devono
tenere in attenta considerazione anche le acquisizioni sicure e
comprovate delle scienze umane, perché ciò concorrerà ad eliminare una
delle cause del disagio che si avverte nel campo del culto alla Madre
del Signore: il divario, cioè, tra certi suoi contenuti e le odierne
concezioni antropologiche e la realtà psicosociologica, profondamente
mutata, in cui gli uomini del nostro tempo vivono ed operano. Si
osserva, infatti, che è difficile inquadrare l’immagine della Vergine,
quale risulta da certa letteratura devozionale, nelle condizioni di vita
della società contemporanea e, in particolare, di quelle della donna,
sia nell’ambiente domestico, dove le leggi e l’evoluzione del costume
tendono giustamente a riconoscerle l’uguaglianza e la corresponsabilità
con l’uomo nella direzione della vita familiare; sia nel campo politico,
dove essa ha conquistato in molti paesi un potere di intervento nella
cosa pubblica pari a quello dell’uomo; sia nel campo sociale, dove
svolge la sua attività in molteplici settori operativi, lasciando ogni
giorno di più l’ambiente ristretto del focolare; sia nel campo
culturale, dove le sono offerte nuove possibilità di ricerca scientifica
e di affermazione intellettuale.
Ne consegue presso taluni una certa
disaffezione verso il culto alla Vergine e una certa difficoltà a
prendere Maria di Nazaret come modello, perché gli orizzonti della sua
vita - si afferma - risultano ristretti in confronto alle vaste zone di
attività in cui l’uomo contemporaneo è chiamato ad agire. A questo
proposito, mentre esortiamo i teologi, i responsabili delle comunità
cristiane e gli stessi fedeli a dedicare la dovuta attenzione a tali
problemi, ci sembra utile offrire, noi pure, un contributo alla loro
soluzione, facendo alcune osservazioni.
35. Innanzitutto, la vergine Maria è
stata sempre proposta dalla chiesa alla imitazione dei fedeli non
precisamente per il tipo di vita che condusse e, tanto meno, per
l’ambiente socioculturale in cui essa si svolse, oggi quasi dappertutto
superato; ma perché, nella sua condizione concreta di vita, ella aderì
totalmente e responsabilmente alla volontà di Dio (cf. Lc 1,38); perché
ne accolse la parola e la mise in pratica; perché la sua azione fu
animata dalla carità e dallo spirito di servizio; perché, insomma, fu la
prima e la più perfetta seguace di Cristo: il che ha un valore
esemplare, universale e permanente.
36. In secondo luogo, vorremmo notare
che le difficoltà sopra accennate sono in stretta connessione con alcuni
connotati dell’immagine popolare e letteraria di Maria, non con la sua
immagine evangelica, né con i dati dottrinali precisati nel lento e
serio lavoro di esplicitazione della parola rivelata. Si deve ritenere,
anzi, normale che le generazioni cristiane, succedutesi in quadri
socio-culturali diversi, al contemplare la figura e la missione di Maria
- quale nuova donna e perfetta cristiana che riassume in sé le
situazioni più caratteristiche della vita femminile perché vergine,
sposa, madre -, abbiano ritenuto la Madre di Gesù tipo eminente della
condizione femminile e modello chiarissimo di vita evangelica, ed
abbiano espresso questi loro sentimenti secondo le categorie e le
raffigurazioni proprie della loro epoca. La chiesa, quando considera la
lunga storia della pietà mariana, si rallegra constatando la continuità
del fatto cultuale, ma non si lega agli schemi rappresentativi delle
varie epoche culturali né alle particolari concezioni antropologiche che
stanno alla loro base, e comprende come talune espressioni di culto,
perfettamente valide in se stesse, siano meno adatte a uomini che
appartengono ad epoche e civiltà diverse.
37. Desideriamo, infine, rilevare che
la nostra epoca, non diversamente dalle precedenti, è chiamata a
verificare la propria cognizione della realtà con la parola di Dio e,
per limitarci al nostro argomento, a confrontare le sue concezioni
antropologiche e i problemi che ne derivano con la figura della vergine
Maria, quale è proposta dal vangelo. La lettura delle divine scritture,
compiuta sotto l’influsso dello Spirito santo e tenendo presenti le
acquisizioni delle scienze umane e le varie situazioni del mondo
contemporaneo, porterà a scoprire come Maria possa essere considerata
modello di quelle realtà che costituiscono l’aspettativa degli uomini
del nostro tempo. Così, per dare qualche esempio, la donna
contemporanea, desiderosa di partecipare con potere decisionale alle
scelte della comunità, contemplerà con intima gioia Maria che, assunta
al dialogo con Dio, dà il suo consenso attivo e responsabile non alla
soluzione di un problema contingente, ma a quell’" opera di secoli ",
come è stata giustamente chiamata l’incarnazione del Verbo; si renderà
conto che la scelta dello stato verginale da parte di Maria, che nel
disegno di Dio la disponeva al mistero dell’incarnazione, non fu atto di
chiusura ad alcuno dei valori dello stato matrimoniale, ma costituì una
scelta coraggiosa, compiuta per consacrarsi totalmente all’amore di Dio.
Così constaterà con lieta sorpresa che Maria di Nazaret, pur
completamente abbandonata alla volontà del Signore, fu tutt’altro che
donna passivamente remissiva o di una religiosità alienante, ma donna
che non dubitò di proclamare che Dio è vindice degli umili e degli
oppressi e rovescia dai loro troni i potenti del mondo (cf. Lc 1,51-53);
e riconoscerà in Maria, che " primeggia tra gli umili e i poveri del
Signore ", una donna forte, che conobbe povertà e sofferenza, fuga ed
esilio (cf. Mt 2,13-23): situazioni che non possono sfuggire
all’attenzione di chi vuole assecondare con spirito evangelico le
energie liberatrici dell’uomo e della società; e non le apparirà Maria
come una madre gelosamente ripiegata sul proprio Figlio divino, ma donna
che con la sua azione favorì la fede della comunità apostolica in Cristo
(cf. Gv 2,1-12) e la cui funzione materna si dilatò, assumendo sul
Calvario dimensioni universali. Non sono che esempi, dai quali appare
chiaro come la figura della Vergine non deluda alcune attese profonde
degli uomini del nostro tempo ed offra ad essi il modello compiuto del
discepolo del Signore: artefice della città terrena e temporale, ma
pellegrino solerte verso quella celeste ed eterna; promotore della
giustizia che libera l’oppresso e della carità che soccorre il
bisognoso, ma soprattutto testimone operoso dell’amore che edifica
Cristo nei cuori.
38. Dopo aver offerto queste
direttive, ordinate a favorire lo sviluppo armonico del culto alla Madre
del Signore, riteniamo opportuno richiamare l’attenzione su alcuni
atteggiamenti cultuali erronei. Il concilio Vaticano II ha già
autorevolmente denunziato sia l’esagerazione di contenuti o di forme che
giunge a falsare la dottrina, sia la grettezza di mente che oscura la
figura e la missione di Maria; nonché alcune deviazioni cultuali: la
vana credulità, che al serio impegno sostituisce il facile affidamento a
pratiche solo esteriori; lo sterile e fugace moto del sentimento, così
alieno dallo stile del vangelo, che esige opera perseverante e concreta.
Noi ne rinnoviamo la deplorazione: non sono forme in armonia con la fede
cattolica e, pertanto, non devono esistere nel culto cattolico. La
vigile difesa da questi errori e deviazioni renderà il culto alla
Vergine più vigoroso e genuino: solido nel suo fondamento, per cui in
esso lo studio delle fonti rivelate e l’attenzione ai documenti del
magistero prevarranno sulla ricerca esagerata di novità o di fatti
straordinari; obiettivo nell’inquadramento storico, per cui dovrà essere
eliminato tutto ciò che è manifestamente leggendario o falso; adeguato
al contenuto dottrinale, donde la necessità di evitare presentazioni
unilaterali della figura di Maria, le quali, insistendo più del dovuto
su un elemento, compromettono l’insieme dell’immagine evangelica;
limpido nelle sue motivazioni, per cui con diligente cura sarà tenuto
lontano dal santuario ogni meschino interesse.
39. Infine, qualora ve ne fosse
bisogno, vorremmo ribadire che lo scopo ultimo del culto alla beata
Vergine è di glorificare Dio e di impegnare i cristiani ad una vita del
tutto conforme alla sua volontà. I figli della chiesa, infatti, quando,
unendo le loro voci alla voce della donna anonima del vangelo,
glorificano la Madre di Gesù, esclamando, rivolti a Gesù stesso, " Beato
il seno che ti ha portato, e le mammelle che tu hai succhiato! " (Lc
11,27), saranno indotti a considerare la grave risposta del divin
Maestro: " Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la
mettono in pratica " (Lc 11,28). E questa risposta, se risulta essa
stessa viva lode per la vergine Maria, come interpretarono alcuni santi
padri e il concilio Vaticano II ha confermato, suona pure per noi
ammonimento a vivere secondo i comandamenti di Dio ed è come eco di
altri richiami dello stesso divin Salvatore: "Non chiunque mi dice:
Signore, Signore! entrerà nel regno dei cieli; ma colui che fa la
volontà del Padre mio che è nei cieli" (Mt 7,21); e "Voi siete amici
miei, se farete ciò che io vi comando" (Gv 15,14).
III. INDICAZIONE CIRCA I PII ESERCIZI
DELL’"ANGELUS DOMINI" E DEL SANTO ROSARIO
40. Abbiamo indicato alcuni principi,
atti a dare nuovo vigore al culto della Madre del Signore; ora è compito
delle conferenze episcopali, dei responsabili delle comunità locali,
delle varie famiglie religiose, restaurare sapientemente pratiche ed
esercizi di venerazione verso la beata Vergine, assecondare l’impulso
creativo di quanti, per genuina ispirazione religiosa o per sensibilità
pastorale, desiderano dare vita a nuove forme. Tuttavia, ci sembra
opportuno, sia pure per motivi diversi, trattare di due pii esercizi,
molto diffusi in occidente e dei quali questa sede apostolica si è
occupata in varie occasioni: l’"Angelo del Signore" e il rosario o
"corona" della beata vergine Maria.
41. La nostra parola sull’Angelo del
Signore vuole essere solo una semplice, ma viva esortazione a mantenere
consueta la recita, dove e quando sia possibile. Tale preghiera non ha
bisogno di restauro: la struttura semplice, il carattere biblico,
l’origine storica, che la collega alla invocazione dell’incolumità nella
pace, il ritmo quasi liturgico, che santifica momenti diversi della
giornata, l’apertura verso il mistero pasquale, per cui, mentre
commemoriamo l’incarnazione del Figlio di Dio, chiediamo di essere
condotti " per la sua passione e la sua croce alla gloria della
risurrezione ", fanno sì che essa, a distanza di secoli, conservi
inalterato il suo valore e intatta la sua freschezza. È vero che alcune
usanze, tradizionalmente collegate con la recita dell’"Angelo del
Signore", sono scomparse o difficilmente possono continuare nella vita
moderna; ma si tratta di elementi marginali. Immutati restano il valore
della contemplazione del mistero dell’incarnazione del Verbo, del saluto
alla Vergine e del ricorso alla sua misericordiosa intercessione; e,
nonostante le mutate condizioni dei tempi, invariati permangono per la
maggior parte degli uomini quei momenti caratteristici della giornata -
mattino, mezzogiorno, sera -, i quali segnano i tempi della loro
attività e costituiscono invito ad una pausa di preghiera.
Indicazioni per il "rosario"
42. Vogliamo ora, fratelli carissimi,
soffermarci alquanto sul rinnovamento di quel pio esercizio, che è stato
chiamato " il compendio di tutto quanto il vangelo ": la corona della
beata vergine Maria, il rosario. Ad essa i nostri predecessori hanno
dedicato vigile attenzione e premurosa sollecitudine: ne hanno più volte
raccomandata la recita frequente, favorita la diffusione, illustrata la
natura, riconosciuta l’attitudine a sviluppare una preghiera
contemplativa, che è insieme di lode e di supplica, ricordata la
connaturale efficacia nel promuovere la vita cristiana e l’impegno
apostolico. Anche noi, fin dalla prima udienza generale del nostro
pontificato (13 luglio 1963), abbiamo dimostrato la nostra grande stima
per la pia pratica del rosario, e in seguito ne abbiamo sottolineato il
valore in molteplici circostanze, ordinarie alcune, gravi altre, come
quando, in un’ora di angoscia e di insicurezza, pubblicammo l’epistola
enciclica "Christi matri" (15 settembre 1966), perché fossero rivolte
supplici preghiere alla beata Vergine del rosario, per implorare da Dio
il bene supremo della pace; appello che abbiamo rinnovato nella nostra
esortazione apostolica "Recurrens mensis october" (7 ottobre 1969),
nella quale commemoravamo il quarto centenario della lettera apostolica
"Consueverunt romani pontifices" del nostro predecessore s. Pio V, che
in essa illustrò e, in qualche modo, definì la forma tradizionale del
rosario.
43. Il nostro assiduo interesse verso
il tanto caro rosario della beata vergine Maria ci ha spinto a seguire
molto attentamente i numerosi convegni, dedicati in questi ultimi anni
alla pastorale del rosario nel mondo contemporaneo: convegni promossi da
associazioni e da persone che hanno profondamente a cuore la devozione
del rosario, ed ai quali hanno partecipato vescovi, presbiteri,
religiosi e laici di provata esperienza e di accreditato senso
ecclesiale. Tra questi è giusto ricordare i figli di s. Domenico, per
tradizione custodi e propagatori di così salutare devozione. Ai lavori
dei convegni si sono affiancate le ricerche degli storici, condotte non
per definire con intenti quasi archeologici la forma primitiva del
rosario, ma per coglierne l’intuizione originaria, l’energia primigenia,
la essenziale struttura. Da tali convegni e ricerche sono emerse più
nitidamente le caratteristiche fondamentali del rosario, i suoi elementi
essenziali e il loro mutuo rapporto.
44. Così, per esempio, è apparsa in
più valida luce l’indole evangelica del rosario, in quanto dal vangelo
esso trae l’enunciato dei misteri e le principali formule; al vangelo si
ispira per suggerire, movendo dal gioioso saluto dell’angelo e dal
religioso assenso della Vergine, l’atteggiamento con cui il fedele deve
recitarlo; e del vangelo ripropone, nel susseguirsi armonioso delle Ave
Maria, un mistero fondamentale - l’incarnazione del Verbo contemplato
nel momento decisivo dell’annuncio fatto a Maria. Preghiera evangelica
è, dunque, il rosario, come oggi forse più che nel passato amano
definirlo i pastori e gli studiosi.
45. È stato, altresì, compreso più
facilmente come l’ordinato e graduale svolgimento del rosario rifletta
il modo stesso con cui il Verbo di Dio, inserendosi per misericordiosa
determinazione nella vicenda umana, ha operato la redenzione: di essa il
rosario considera, infatti, in ordinata successione i principali eventi
salvifici che si sono compiuti in Cristo: dalla concezione verginale e
dai misteri dell’infanzia fino ai momenti culminanti della pasqua - la
beata passione e la gloriosa risurrezione - ed agli effetti che essa
ebbe sia sulla chiesa nascente nel giorno di pentecoste, sia sulla
vergine Maria nel giorno in cui, dopo l’esilio terreno, ella fu assunta
in corpo e anima alla patria celeste. Ed è stato ancora osservato come
la triplice partizione dei misteri del rosario non solo aderisca
strettamente all’ordine cronologico dei fatti, ma soprattutto rifletta
lo schema del primitivo annuncio della fede e riproponga il mistero di
Cristo nel modo stesso in cui è visto da s. Paolo nel celebre inno della
lettera ai Filippesi: umiliazione, morte, esaltazione ( Fil 2,6-11).
46. Preghiera evangelica, incentrata
nel mistero dell’incarnazione redentrice, il rosario è, dunque,
preghiera di orientamento nettamente cristologico. Infatti, il suo
elemento caratteristico - la ripetizione litanica del " Rallegrati,
Maria " - diviene anch’esso lode incessante a Cristo, termine ultimo
dell’annuncio dell’angelo e del saluto della madre del Battista: "
benedetto il frutto del tuo seno " (Lc 1,42). Diremo di più: la
ripetizione dell’Ave, Maria costituisce l’ordito, sul quale si sviluppa
la contemplazione dei misteri: il Gesù che ogni Ave, Maria richiama, è
quello stesso che la successione dei misteri ci propone, di volta in
volta, Figlio di Dio e della Vergine, nato in una grotta di Betlemme;
presentato dalla madre al tempio; giovinetto pieno di zelo per le cose
del Padre suo; Redentore agonizzante nell’orto; flagellato e coronato di
spine; carico della croce e morente sul Calvario; risorto da morte e
asceso alla gloria del Padre, per effondere il dono dello Spirito. È
noto che, appunto per favorire la contemplazione e far corrispondere la
mente alla voce, si usava un tempo - e la consuetudine si è conservata
in varie regioni - aggiungere al nome di Gesù, in ogni "Ave Maria", una
clausola che richiamasse il mistero enunciato.
47. Si è pure sentita con maggiore
urgenza la necessità di ribadire, accanto al valore dell’elemento della
lode e dell’implorazione, l’importanza di un altro elemento essenziale
del rosario: la contemplazione. Senza di essa il rosario è corpo senza
anima, e la sua recita rischia di divenire meccanica ripetizione di
formule e di contraddire all’ammonimento di Gesù: " Quando pregate, non
siate ciarlieri come i pagani, che credono di essere esauditi in ragione
della loro loquacità " (Mt 6,7). Per sua natura la recita del rosario
esige un ritmo tranquillo e quasi un indugio pensoso, che favoriscano
all’orante la meditazione del misteri della vita del Signore, visti
attraverso il cuore di colei che al Signore fu più vicina, e ne
dischiudano le insondabili ricchezze.
48. Dalla riflessione contemporanea
sono stati, infine, compresi con maggior precisione i rapporti
intercorrenti tra liturgia e rosario. Da una parte, è stato sottolineato
come il rosario sia quasi un virgulto germogliato sul tronco secolare
della liturgia cristiana, per il quale gli umili venivano associati al
cantico di lode ed alla universale intercessione della chiesa;
dall’altra, è stato osservato che ciò è avvenuto in un’epoca - il
declino del medioevo -, in cui lo spirito liturgico era in decadenza e
si verificava un certo allontanamento dei fedeli dalla liturgia in
favore di una devozione sensibile verso l’umanità di Cristo e verso la
beata Vergine Maria. Se in tempi non lontani poté sorgere nell’animo di
alcuni il desiderio di vedere annoverato il rosario tra le espressioni
liturgiche ed in altri, per la preoccupazione di evitare errori
pastorali del passato, una ingiustificata disattenzione verso il
medesimo rosario, oggi il problema si può facilmente risolvere alla luce
dei principi della costituzione "Sacrosanctum concilium": le
celebrazioni liturgiche e il pio esercizio del rosario non si devono né
contrapporre né equiparare. Ogni espressione di preghiera riesce tanto
più feconda, quanto più conserva la sua vera natura e la fisionomia che
le è propria. Riaffermato quindi il valore preminente delle azioni
liturgiche, non sarà difficile riconoscere come il rosario sia un pio
esercizio che si accorda facilmente con la sacra liturgia. Come la
liturgia, infatti, esso ha un’indole comunitaria, si nutre della sacra
scrittura e gravita intorno al mistero di Cristo. Sia pure su piani di
realtà essenzialmente diversi, l’anamnesi della liturgia e la memoria
contemplativa del rosario hanno per oggetto i medesimi eventi salvifici
compiuti da Cristo. La prima rende presenti, sotto il velo dei segni ed
operanti in modo arcano, i più grandi misteri della nostra redenzione;
la seconda, con il pio affetto della contemplazione, rievoca quegli
stessi misteri alla mente dell’orante e ne stimola la volontà perché da
essi attinga norme di vita. Stabilita questa sostanziale differenza, non
è difficile comprendere come il rosario sia un pio esercizio che dalla
liturgia ha tratto motivo e, se praticato secondo la ispirazione
originaria, ad essa naturalmente conduce, pur senza varcarne la soglia.
Infatti, la meditazione dei misteri del rosario, rendendo familiari alla
mente e al cuore dei fedeli i misteri del Cristo, può costituire
un’ottima preparazione alla celebrazione di essi nell’azione liturgica e
divenirne poi eco prolungata. È, tuttavia, un errore, purtroppo ancora
presente in qualche luogo, recitare il rosario durante l’azione
liturgica.
49. La corona della beata vergine
Maria, secondo la tradizione accolta dal nostro predecessore s. Pio V e
da lui autorevolmente proposta, consta di vari elementi, organicamente
disposti: a) la contemplazione in comunione con Maria di una serie di
misteri della salvezza, sapientemente distribuiti in tre cicli, che
esprimono il gaudio dei tempi messianici, il dolore salvifico di Cristo,
la gloria del Risorto che inonda la chiesa; contemplazione che, per sua
natura, conduce a pratica riflessione e suscita stimolanti norme di
vita; b) l’orazione del Signore, o Padre nostro, che per il suo immenso
valore è alla base della preghiera cristiana e la nobilita nelle sue
varie espressioni.
c) la successione litanica dell’Ave,
Maria, che risulta composta dal saluto dell’angelo alla Vergine (cf. Lc
1,25) e dal benedicente ossequio di Elisabetta (cf. Lc 1,42), a cui
segue la supplica ecclesiale "Sante Maria". La serie continuata delle
"Ave, Maria" è caratteristica peculiare del rosario, e il loro numero,
nella forma tipica e plenaria di centocinquanta, presenta una certa
analogia con il salterio ed è un dato risalente all’origine stessa del
pio esercizio. Ma tale numero, secondo una comprovata consuetudine,
diviso in decadi annesse ai singoli misteri, si distribuisce nei tre
cicli anzidetti, dando luogo alla corona di cinquanta Ave, Maria, la
quale è entrata nell’uso come misura normale del medesimo esercizio e,
come tale, è stata adottata dalla pietà popolare e sancita dai sommi
pontefici, che la arricchirono anche di numerose indulgenze; d) la
dossologia Gloria al Padre che, conformemente ad un orientamento comune
alla pietà cristiana, chiude la preghiera con la glorificazione di Dio,
uno e trino, dal quale, per il quale e nel quale sono tutte le cose (cf.
Rm 11,36).
50. Questi sono gli elementi del
santo rosario. Ognuno di essi ha la sua indole propria che, saggiamente
compresa e valutata, deve riflettersi nella recita, perché il rosario
possa esprimere tutta la sua ricchezza e varietà. Detta recita,
pertanto, diventerà grave e implorante nell’orazione del Signore; lirica
e laudativa nel calmo fluire delle Ave, Maria; contemplativa
nell’attenta riflessione intorno ai misteri; adorante nella dossologia.
E ciò deve avvenire nelle varie forme, in cui si è soliti recitare il
rosario: o privatamente, quando l’orante si raccoglie nell’intimità con
il suo Signore; o comunitariamente, in famiglia o tra fedeli riuniti in
gruppo, per creare le condizioni di una particolare presenza del Signore
(cf. Mt 18,20); o pubblicamente, cioè in assemblee nelle quali è
convocata la comunità ecclesiale.
51. In tempi recenti sono stati
creati alcuni pii esercizi, che traggono ispirazione dal rosario. Tra
essi, desideriamo indicare e raccomandare quelli che inseriscono nello
schema consueto delle celebrazioni della parola di Dio alcuni elementi
del rosario della beata Vergine, quali la meditazione dei misteri e la
ripetizione litanica del saluto angelico. Tali elementi acquistano così
maggior risalto, essendo inquadrati nella lettura di testi biblici,
illustrati con l’omelia, circondati da pause di silenzio, sottolineati
con il canto. Ci rallegra sapere che tali esercizi hanno contribuito a
far comprendere più compiutamente le ricchezze spirituali del rosario
stesso ed a rivalutarne la pratica presso associazioni e movimenti
giovanili.
52. Vogliamo ora, in continuità di
intendimenti con i nostri predecessori, raccomandare vivamente la recita
del rosario in famiglia. Il concilio Vaticano II ha messo in luce come
la famiglia, cellula prima e vitale della società, "grazie all’amore
scambievole dei suoi membri e alla preghiera a Dio elevata in comune, si
riveli come il santuario domestico della chiesa". La famiglia cristiana,
quindi, si presenta come una chiesa domestica, se i suoi membri,
ciascuno nell’ambito e nei compiti che gli sono propri, tutti insieme
promuovono la giustizia, praticano le opere di misericordia, si dedicano
al servizio dei fratelli, prendono parte all’apostolato della più vasta
comunità locale e si inseriscono nel suo culto liturgico; ed ancora, se
innalzano in comune supplici preghiere a Dio: ché, se non ci fosse
questo elemento, le verrebbe a mancare il carattere stesso di famiglia
cristiana. Perciò, al recupero della nozione teologica della famiglia
come chiesa domestica, deve coerentemente seguire un concreto sforzo per
instaurare nella vita familiare la preghiera in comune.
53. Conformemente alle direttive
conciliari, i principi e norme per la liturgia delle ore giustamente
annoverano il nucleo familiare tra i gruppi, a cui si addice la
celebrazione in comune dell’ufficio divino: " È cosa lodevole (...) che
la famiglia, santuario domestico della chiesa, oltre alle comuni
preghiere celebri anche, secondo l’opportunità, qualche parte della
liturgia delle ore, inserendosi così più intimamente nella chiesa ".
Nulla deve essere lasciato intentato, perché questa chiara e pratica
indicazione trovi nelle famiglie cristiane crescente e gioiosa
applicazione.
54. Ma, dopo la celebrazione della
liturgia delle ore - culmine a cui può giungere la preghiera domestica
-, non v’è dubbio che la corona della beata vergine Maria sia da
ritenere come una delle più eccellenti ed efficaci " preghiere in comune
", che la famiglia cristiana è invitata a recitare. Noi amiamo, infatti,
pensare e vivamente auspichiamo che, quando l’incontro familiare diventa
tempo di preghiera, il rosario ne sia espressione frequente e gradita.
Siamo ben consapevoli che le mutate condizioni della vita degli uomini
non favoriscono, ai nostri giorni, la possibilità di riunione tra
familiari e che, anche quando ciò avviene, non poche circostanze rendono
difficile trasformare l’incontro della famiglia in occasione di
preghiera. È cosa difficile, senza dubbio. Ma è pur caratteristico
dell’agire cristiano non arrendersi ai condizionamenti ambientali, ma
superarli; non soccombere, ma elevarsi. Perciò, le famiglie che vogliono
vivere in pienezza la vocazione e la spiritualità propria della famiglia
cristiana, devono dispiegare ogni energia per eliminare tutto ciò che
ostacola gli incontri in famiglia e le preghiere in comune.
55. Concludendo queste osservazioni,
testimonianza della sollecitudine e della stima di questa sede
apostolica per il rosario mariano, vogliamo raccomandare, tuttavia, che
nel diffondere così salutare devozione non ne vengano alterate le
proporzioni, né essa sia presentata con inopportuno esclusivismo; il
rosario è preghiera eccellente, nei riguardi della quale però il fedele
deve sentirsi serenamente libero, sollecitato a recitarlo, in composta
tranquillità, dalla sua intrinseca bellezza.
CONCLUSIONE
VALORE TEOLOGICO E PASTORALE DEL CULTO
DELLA VERGINE MARIA
56. Venerabili Fratelli, al termine
di questa nostra esortazione apostolica desideriamo sottolineare in
sintesi il valore teologico del culto alla Vergine e ricordare
brevemente la sua efficacia pastorale per il rinnovamento del costume
cristiano.
La pietà della chiesa verso la
vergine Maria è elemento intrinseco del culto cristiano. La venerazione
che la chiesa ha reso alla Madre di Dio in ogni luogo e in ogni tempo -
dal saluto benedicente di Elisabetta (cf. Lc 1,42-45) alle espressioni
di lode e di supplica della nostra epoca - costituisce una validissima
testimonianza che la norma di preghiera della chiesa è un invito a
ravvivare nelle coscienze la sua norma di fede. E, viceversa, la norma
di fede della chiesa richiede che, dappertutto, si sviluppi rigogliosa
la sua norma di preghiera nei confronti della Madre del Cristo. Tale
culto alla Vergine ha radici profonde nella parola rivelata e insieme
solidi fondamenti dogmatici: la singolare dignità di Maria, " Madre del
Figlio di Dio e, perciò, figlia prediletta del Padre e tempio dello
Spirito santo; per il quale dono di grazia straordinaria precede di gran
lunga tutte le altre creature, celesti e terrestri "; la sua
cooperazione nei momenti decisivi dell’opera della salvezza, compiuta
dal figlio; la sua santità, già piena nella concezione immacolata e pur
crescente via via che ella aderiva alla volontà del Padre e percorreva
la via della sofferenza (cf. Lc 2,34-35; 2,41-52; Gv 19,25-27),
progredendo costantemente nella fede, nella speranza e nella carità; la
sua missione e condizione unica nel popolo di Dio, del quale è insieme
membro eccellentissimo, modello chiarissimo e Madre amorosissima; la sua
incessante ed efficace intercessione per la quale, pur assunta in cielo,
è vicinissima ai fedeli che la supplicano ed anche a coloro che ignorano
di esserne figli; la sua gloria, che nobilita tutto il genere umano,
come mirabilmente espresse il poeta Dante: " Tu sé colei che l’umana
natura / nobilitasti sì, chél suo fattore / non disdegnò di farsi sua
fattura ". Maria, infatti, è detta nostra stirpe, vera figlia di Eva,
benché esente dalla colpa di questa madre, e vera nostra sorella, la
quale ha condiviso pienamente, donna umile e povera, la nostra
condizione.
Aggiungiamo che il culto alla beata
Vergine ha la sua ragione ultima nell’insondabile e libera volontà di
Dio, il quale, essendo eterna e divina carità (cf. 1Gv 4,7-8.16), tutto
compie secondo un disegno di amore: egli l’amò ed in lei operò grandi
cose (cf. Lc 1,49); l’amò per se stesso e l’amò anche per noi; la donò a
se stesso e la donò anche a noi.
57. Cristo è la sola via al Padre (cf.
Gv 14,4-11). Cristo è il modello supremo al quale il discepolo deve
conformare la propria condotta (cf. Gv 13,15), fino ad avere gli stessi
suoi sentimenti (cf. Fil 2,5), vivere della sua vita e possedere il suo
Spirito (cf. Gal 2,20; Rm 8,10-11): questo la chiesa ha insegnato in
ogni tempo e nulla, nell’azione pastorale, deve oscurare questa
dottrina. Ma la chiesa, edotta dallo Spirito e ammaestrata da una
secolare esperienza, riconosce che anche la pietà verso la beata
Vergine, subordinatamente alla pietà verso il divin Salvatore ed in
connessione con essa, ha una grande efficacia pastorale e costituisce
una forza rinnovatrice del costume cristiano. La ragione di tale
efficacia è facilmente intuibile. Infatti la molteplice missione di
Maria verso il popolo di Dio è realtà soprannaturale operante e feconda
nell’organismo ecclesiale. E rallegra considerare i singoli aspetti di
tale missione e vedere come essi siano orientati, ciascuno con propria
efficacia, verso il medesimo fine: riprodurre nei figli i lineamenti
spirituali del Figlio primogenito. Vogliamo dire che la materna
intercessione della Vergine, la sua santità esemplare, la grazia divina,
che è in lei, diventano per il genere umano argomento di speranze
superne.
La missione materna della Vergine
spinge il popolo di Dio a rivolgersi con filiale fiducia a colei, che è
sempre pronta ad esaudirlo con affetto di madre e con efficace soccorso
di ausiliatrice. Esso, pertanto, è solito invocarla come consolatrice
degli afflitti, salute degli infermi, rifugio dei peccatori, per aver
nella tribolazione conforto, nella malattia sollievo, nella colpa forza
liberatrice; perché ella, che è libera dal peccato, a questo conduce i
suoi figli: a debellare con energica risoluzione il peccato. E tale
liberazione dal peccato e dal male (cf. Mt 6,13) è - occorre
riaffermarlo - la premessa necessaria per ogni rinnovamento del costume
cristiano.
La santità esemplare della Vergine
muove i fedeli ad innalzare " gli occhi a Maria, la quale rifulge come
modello di virtù davanti a tutta la comunità degli eletti ". Si tratta
di virtù solide, evangeliche: la fede e l’accoglienza docile della
parola di Dio (cf. Lc 1,26-38; 1,45; 11,27-28; Gv 2,5); l’obbedienza
generosa (cf. Lc 1,38); l’umiltà schietta (cf. Lc 1,48); la carità
sollecita (cf. Lc 1,39-56); la sapienza riflessiva (cf. Lc 1,29-34;
2,19.33.51); la pietà verso Dio, alacre nell’adempimento dei doveri
religiosi (cf. Lc 2,21,22-40.41), riconoscente dei doni ricevuti (cf. Lc
1,46-49), offerente nel tempio (cf. Lc 2,22-24), orante nella comunità
apostolica (cf. At 1,12-14); la fortezza nell’esilio (cf. Mt 2,13-23),
nel dolore (cf. Lc 2,34-35.49; Gv 19,25); la povertà dignitosa e fidente
in Dio (cf. Lc 1,48; 2,24); la vigile premura verso il Figlio,
dall’umiliazione della culla fino all’ignominia della croce (cf. Lc
2,1-7,; Gv 19,25-27), la delicatezza previdente (cf. Gv 2,1-11); la
purezza verginale (cf. Mt 1,18-25; Lc 1,26-38); il forte e casto amore
sponsale. Di queste virtù della Madre si orneranno i figli, che con
tenace proposito guardano i suoi esempi, per riprodurli nella propria
vita. Tale progresso nella virtù apparirà conseguenza e già frutto
maturo di quella forza pastorale che scaturisce dal culto reso alla
Vergine.
La pietà verso la Madre del Signore
diviene per il fedele occasione di crescita nella grazia divina: scopo
ultimo, questo, di ogni azione pastorale. Perché è impossibile onorare
la Piena di grazia senza onorare in se stessi lo stato di grazia, cioè
l’amicizia con Dio, la comunione con lui, l’inabitazione dello Spirito.
Questa grazia divina investe tutto l’uomo e lo rende conforme
all’immagine del figlio di Dio (cf. Rm 8,29; Col 1,18). La chiesa
cattolica, basandosi sull’esperienza di secoli, riconosce nella
devozione alla Vergine un aiuto potente per l’uomo in cammino verso la
conquista della sua pienezza. Ella, la Donna nuova, è accanto a Cristo,
l’Uomo nuovo, nel cui mistero solamente trova vera luce il mistero
dell’uomo, e vi è come pegno e garanzia che in una pura creatura, cioè
in lei, si è già avverato il progetto di Dio, in Cristo, per la salvezza
di tutto l’uomo. All’uomo contemporaneo, non di rado tormentato tra
l’angoscia e la speranza, prostrato dal senso dei suoi limiti e assalito
da aspirazioni senza confini, turbato nell’animo e diviso nel cuore, con
la mente sospesa dall’enigma della morte, oppresso dalla solitudine
mentre tende alla comunione, preda della nausea e della noia, la beata
vergine Maria, contemplata nella sua vicenda evangelica e nella realtà
che già possiede nella città di Dio, offre una visione serena e una
parola rassicurante: la vittoria della speranza sull’angoscia, della
comunione sulla solitudine, della pace sul turbamento, della gioia e
della bellezza sul tedio e la nausea, delle prospettive eterne su quelle
temporali, della vita sulla morte.
Sigillo della nostra esortazione e
ulteriore argomento del valore pastorale della devozione alla Vergine
nel condurre gli uomini a Cristo, siano le parole stesse che ella
rivolse ai servitori delle nozze di Cana: " Fate quello che egli vi
dirà" (Gv 2,5); parole, in apparenza, limitate al desiderio di porre
rimedio a un disagio conviviale, ma, nella prospettiva del quarto
evangelo, sono come una voce in cui sembra riecheggiare la formula usata
dal popolo di Israele per sancire l’alleanza sinaitica (cf. Es 19,8;
24,3,7; Dt 5,27), o per rinnovarne gli impegni (cf. Gios 24, 24; Esd
10,12; Ne 5,12), e sono anche una voce che mirabilmente si accorda con
quella del Padre nella teofania del monte Tabor: "Ascoltatelo!" (Mt
17,5).
58. Abbiamo trattato diffusamente,
venerabili fratelli, di un elemento che è parte integrante del culto
cristiano: la venerazione verso la Madre del Signore. Lo ha richiesto la
natura della materia, che è stata oggetto di studio, di revisione e,
talora, di qualche perplessità in questi ultimi anni. Ci è di conforto
il pensiero che il lavoro compiuto, in adempimento delle norme del
concilio, da questa sede apostolica e da voi stessi - in particolar
modo, la riforma liturgica - sia valida premessa per un culto a Dio,
Padre e Figlio e Spirito, sempre più vivo e adorante, e per la crescita
della vita cristiana nei fedeli. Ci è motivo di fiducia la constatazione
che la rinnovata liturgia romana costituisce, anche nel suo insieme,
fulgida testimonianza della pietà della chiesa verso la Vergine. Ci
sostiene la speranza che le direttive, emanate per rendere tale pietà
sempre più limpida e vigorosa, saranno sinceramente applicate. Ci
allieta, infine, l’opportunità che il Signore ci ha concesso di offrire
alcuni spunti di riflessione per rinnovare e confermare la stima verso
la pratica del rosario mariano. Conforto, fiducia, speranza, letizia
sono i sentimenti che, unendo la nostra voce alla voce della Vergine -
come implora la liturgia romana -, vogliamo tradurre in fervida lode e
ringraziamento al Signore.
Mentre auspichiamo, pertanto, che
grazie al vostro impegno generoso, fratelli carissimi, ci sia nel clero
e nel popolo, affidato alle vostre cure, un salutare incremento della
devozione mariana con indubbio profitto per la chiesa e per la società
umana, impartiamo di cuore a voi ed a tutti i fedeli, cui è rivolto il
vostro zelo pastorale, una speciale benedizione apostolica.
Roma, presso San Pietro, 2
febbraio 1974, festa delle presentazione del Signore, anno undicesimo
del nostro pontificato.
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