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Al processo Sme depone Romano Prodi, allora ai vertici dell'Iri
Amato: "Craxi mi disse che non voleva vendere industrie pubbliche"


Da la Repubblica del 29 dicembre 2001

"L'offerta Buitoni era congrua
poi spuntò l'altra cordata"

MILANO - Sono due ex presidenti del Consiglio e, forse per la prima volta da quando sono diventati potenti, hanno dovuto fare una bella anticamera: quella che tocca a tutti quando, chiamati a testimoniare in un qualsiasi tribunale italiano, devono passare ore e ore fuori dall' aula. Mostrano, anche ieri pomeriggio, i due stili diversi: politico e umano Romano Prodi, tecnico e didascalico Giuliano Amato. Ed è dunque all' attuale presidente della Commissione europea che si deve un gesto inatteso, che porta un po' di buonumore nell' aula dove la tensione, ormai da sei mesi, si taglia a fette. Alza il braccio destro, in un clamoroso gesto che significa "Ma va" dedicato con un sorriso all' avvocato Filippo Dinacci e alle sue cavillose richieste di precisazione. Un gesto talmente liberatorio da far sorridere tutti, o quasi tutti, nell' aula del processo chiamato "Sme-Ariosto".

Per arrivare al gesto di Prodi bisogna cominciare dalle 14.45, quando lui e Amato s'incontrano in corridoio con un allegro "Monsieur le President", salutano i pm Ilda Boccassini e Gherardo Colombo, e poi si rifugiano in Procura. Passa un'ora. Passa un' altra ora. Escono dall' ufficio della Boccassini, ci tornano, sbuffano, Amato legge persino l' ammenda che punisce i fumatori: "Romano, non hanno aggiunto la conversione in euro", chiosa. Quando arriva la convocazione, Prodi va al banco davanti ai giudici a passo di carica.

La sua versione dell' affare Sme è - e non potrebbe essere diversamente - sempre la stessa: "Nel 1985 era iniziata una nuova epoca in cui le Partecipazioni statali dovevano dismettere cespiti non essenziali e tra questi il settore alimentare. Presi contatto con Pietro Barilla, che venne a Bologna. Ma mi rispose che non era per nulla interessato. Feci contattare Ferrero, che disse di non aver intenzione di tornare in Italia e di acquistare Sme. Invece la Buitoni, e cioè De Benedetti, disse di sì". L'affare stava per andare in porto: per Prodi il prezzo era congruo ("Quanto basta") e lui, allora presidente dell' Iri, s'era impegnato a sostenere l' offerta Buitoni in tutte le sedi.

Sarebbe stata la prima privatizzazione italiana, ma arrivò in extremis la proposta di una cordata capitanata da Silvio Berlusconi. Cordata, secondo l' accusa, messa in piedi con il conforto di Bettino Craxi per eliminare l' offerta dell' Ingegnere. E infatti a Roma, dopo inchieste aperte e sentenze che per i pm possono fare ipotizzare manovre politiche e corruzione, l' affare naufragò definitivamente. La testimonianza di Prodi segna, in qualche modo, un punto utile all' accusa: "Provai - queste le parole sue - un senso di frustrazione e di profonda irritazione" quando, a bloccare tutto, arrivò la seconda offerta, perché insieme all' imprenditore di Arcore c' erano Barilla e Ferrero, che avevano rifiutato le sue proposte e "non s' erano mai fatti vivi".

Come mai erano tornati indietro? Chi e perché si muoveva dietro le quinte? Le difese sollevano, contro questa suggestione, un fuoco d' artificio di dettagli di varia natura, che s' infrangono sulla memoria di un Prodi sempre più stufo. Finché, ormai in extremis, l' avvocato Dinacci insiste pure sulla differenza tra una frase di Prodi, che aveva detto di avere con Barilla "rapporti rari e cordiali", e un' altra, in cui aveva parlato di rapporti "più che cordiali". Prodi sgrana gli occhi, quasi non crede alle sue orecchie, e allora scatta quel gesto: "Barilla era un gentile signore, io cerco di essere cordiale e civile, e lo faccio con tutti di dare la mano, lo farò anche con lei", chiude con un sorriso.

Al Prodi incalzato ma incalzante fa da contrasto un Giuliano Amato che, a sua volta, conferma la vecchia versione, osservata con gli occhi dell' allora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio: "Il presidente Craxi era contrario alla vendita della Sme da parte dell' Iri a De Benedetti per due ragioni: la prima è che era contrario alla vendita delle aziende pubbliche e la seconda che riteneva che il prezzo non fosse congruo. Diceva sempre "No alla svendita dei gioielli di Stato"". Aristocratica la definizione del rapporto tra De Benedetti e Craxi: "Non fluido", tanto che - ricorda Amato - l' Ingegnere cercò di incontrare Craxi tramite Vittorio Ripa di Meana. E Craxi, comunque, "non mi disse mai una frase tipo "Non venderò mai la Sme a De Benedetti"". Dunque, se il complotto antiDe Benedetti ci fu, non era certo Craxi il mandante. E questo alle difese va bene.




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