Da Gazzetta d'Alba del 3 aprile 2002
Il netto confine tra la piazza e le pistole...
di Battista Galvagno
Tra la piazza e le pistole c’è un confine o c’è la
continuità che il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha ipotizzato:
"Resisteremo alla piazza e alle pistole. Dobbiamo fare ciò che ci chiede
l’Europa, cambiando il mondo del lavoro"?
Per noi il confine c’è ed è netto: si chiama democrazia. C’è
democrazia là dove ogni cittadino ha diritto di esprimere liberamente il proprio
parere, anche contro chi governa (e la piazza, da sempre è il luogo
dell’incontro, del confronto, anche della critica. In piazza, con Socrate, è
nata la filosofia occidentale e lo stesso Gesù parlava nelle piazze). C’è
terrorismo là dove qualcuno rinuncia alla pubblicità della piazza per agire
nell’ombra e farsi giustizia da sé, utilizzando la pistola. C’è dittatura là
dove la piazza viene chiusa e qualsiasi manifestazione contraria a chi governa
viene assimilata alla pistola: era lo stile di Hitler, di Stalin e di tutti i
dittatori. C’è democrazia là dove c’è confronto dialettico tra maggioranza e
opposizione (la minoranza parlamentare, il sindacato, l’opinione pubblica…),
mentre le pistole restano al di fuori; non c’è più democrazia là dove
l’opposizione perde il diritto di cittadinanza e viene assimilata alle
pistole.
È la democrazia che legittima la piazza e condanna la pistola.
Con la piazza si dialoga, con le pistole no. In Italia siamo a questo punto? No,
ma qualcuno, molto in alto, talvolta sembra tentato di imboccare questa strada.
Fino a ieri potevamo pensare che questi fossero i vaneggiamenti di ministri come
Bossi e Martino. Poi il primo ha semplicemente dichiarato di non aver mai
pronunciato parole riportate, oltre che da tutti i giornali, anche dal suo,
La Padania. Quanto a Martino, è stato liquidato come uno di quei ministri
le cui dichiarazioni ("I sindacati sono un pericolo per la democrazia") "non
fanno testo". E Berlusconi, chiamato dai suoi stessi alleati, oltre che dal Capo
dello Stato, a stemperare le tensioni e a chiamare a raccolta le forze migliori
del Paese contro il terrorismo, anziché comportarsi da uomo di Stato ha
preferito indossare i panni di uomo di parte e ha fatto una vera e propria
dichiarazione di guerra all’opposizione, ostentando disprezzo verso persone e
organizzazioni. Le sue parole rischiano di lacerare ulteriormente la società,
nel momento in cui sarebbe necessaria la massima unità contro il ritorno del
terrorismo. Non c’è spazio per rispondere punto a punto alle argomentazioni
della sua conferenza stampa, segnalando, magari, che la legge sulle rogatorie
internazionali forse non ha liberato dal carcere pericolosi pedofili, ma ha
allontanato dallo stesso carcere i vari Previti e relativi protettori;
segnalando che la scuola è allo sfascio, che la sanità è in svendita, che in sei
mesi sono stati tagliati posti letto e prestazioni diagnostiche, che gli
ospedali migliori rischiano di essere acquistati da fondazioni e gestiti da
privati…
Ci saranno, speriamo, altri momenti di riflessione e confronto,
magari a cominciare dallo sciopero generale del 16 aprile. Ci sarà ancora,
soprattutto, la "piazza": non solo per manifestare ma per discutere, per
studiare, per approfondire i problemi, per progettare quell’"Italia nuova" che
Berlusconi, sulla base dei suoi presupposti politici e con lo stile di governo
che lo caratterizza, può solo vaneggiare, ma non costruire.
|