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Da la Repubblica 29 aprile 2003

Un processo infinito, intrecciato a doppio filo
con le nuove leggi della Casa della Libertà

Imi-Sir tra leggi e ricusazioni

Tre anni di battaglia in aula. Con innumerevoli istanze i legali di Cesare Previti hanno provato a far spostare il processo da Milano

E' il 1995. Tutto comincia con Stefania Ariosto, la donna che i pm chiamano la "teste Omega". E' lei che racconta ai giudici una storia di sentenze "pilotate", conti esteri, mazzette miliardarie e giudici corrotti. I filoni della inchiesta "toghe sporche" sono tre: la vendita della Sme, il cosiddetto Lodo Mondadori e, appunto, l'affaire Imi-Sir. All'inizio del 2002 questi due ultimi capitoli saranno unificati nello stesso processo. Quello che oggi si è chiuso con la sentenza di primo grado. E che è stato uno dei più tormentati della storia della Repubblica.

Il 15 novembre 1999 vengono rinviati a giudizio Cesare Previti, l'ex capo dei gip romani Renato Squillante e Felice Rovelli, figlio del petroliere Nino. Sono tutti accusati di concorso in corruzione in atti giudiziari. Insieme con loro compariranno davanti alla IV sezione penale del tribunale meneghino, nel processo che si apre l'11 maggio 2000, anche gli ex giudici capitolini Vittorio Metta e Filippo Verde, gli avvocati Attilio Pacifico e Giovanni Acampora e la vedova di Nino Rovelli, Primarosa Battistella.

Già nell'udienza preliminare, durata poco più di un anno (si era aperta il 5 novembre 1998), c'era stato scontro al calor bianco tra le difese e l'accusa. Ma ora che si entra nel vivo, il processo Imi-Sir diventa il terreno di una battaglia senza precedenti, tra schermaglie procedurali e l'approvazione in Parlamento di leggi che l'opposizione definisce "ad personam".

La legge sulle rogatorie (una delle prime approvate dopo la vittoria elettorale di Berlusconi nel 2001), è una di queste. E il 4 novembre 2001, Previti è il primo imputato di Mani Pulite ad avvalersene: dopo l'ennesima richiesta di ricusazione dei giudici, i suoi legali chiedono alla corte di rendere inutilizzabili, ai fini del processo, le prove raccolte all'estero "che non abbiano i requisiti formali richiesti". Non solo. Pochi giorni dopo, il 23 novembre 2001, Previti torna all'attacco: revoca il mandato ai suoi legali e ricusa di nuovo i giudici. Anche questa richiesta, la quinta, verrà respinta.
Il 28 gennaio 2002 i due procedimenti per corruzione di giudici, Imi-Sir e Lodo Mondadori, vengono unificati nello stesso processo. Nelle stesse ore Previti richiama "in servizio" gli stessi avvocati che aveva "licenziato" poche settimane prima, e si arriva così al 26 febbraio 2002, quando i legali depositano la richiesta di remissione (800 pagine) del processo. Chiedono alla Cassazione di spostare da Milano i dibattimenti contro le toghe sporche romane. Gli imputati sostengono che nel capoluogo lombardo non ci sono le condizioni per emettere una sentenza giusta. La data è da cerchiare con il rosso, perché saranno gli sviluppi di questa iniziativa a condurre alla tanto contestata "legge Cirami".

Il 31 maggio 2002 arriva infatti il pronunciamento dell'Alta Corte, che verifica il "vuoto legislativo", giudica la questione "rilevante" e passa la palla alla Corte Costituzionale. I processi vanno avanti, ma si aprono le maglie dice subito il centrodestra - per una legge sull'argomento.

La legge Cirami sul legittimo sospetto (vale a dire la normativa che precisa e amplia le condizioni per le quali è doveroso spostare un processo dalla sua sede naturale) viene approvata dal Senato il 1 agosto 2002. In aula l'opposizione grida allo scandalo. Fuori, i girotondini "assediano" Palazzo Madama. Nanni Moretti e alcune migliaia di persone gridano "vergogna"" e "no" alla legge "salva Previti". Ma il provvedimento, dopo altri tre tormentati passaggi in aula, diventa legge il 5 novembre del 2002. Ciampi lo firma due giorni dopo.

Poco più di un mese prima, il 28 settembre 2002, mentre ancora infuriava la battaglia alle Camere, Previti era stato interrogato come imputato. "I soldi sui miei conti si difende al processo sono regolari parcelle pagate dalla Fininvest". Una versione a cui non crede il pm Ilda Boccassini, che il 19 ottobre 2002 chiede per il parlamentare tredici anni di carcere e l'interdizione perpetua dai pubblici uffici.

Ma ritorniamo a novembre. Passano neanche 48 ore dalla firma del capo dello Stato in calce alla "Cirami" e gli avvocati di Previti si presentano in aula chiedendo "la sospensione discrezionale del processo". E secondo la legge, il 25 novembre 2002, in attesa che si esprima la Cassazione, arriva lo stop al dibattimento. Il procuratore della Repubblica di Milano, Gerardo D'Ambrosio, dice che "è stato raggiunto un primo obiettivo che questo governo si era proposto per risolvere il conflitto d'interessi con la magistratura".

Il resto è storia di quest'anno. Il 28 gennaio l'alta Corte si pronuncia sul ricorso presentato in base alla Cirami, e dice no al trasferimento. Previti e gli altri saranno giudicati a Milano. Ma gli imputati danno ancora battaglia. L'11 febbraio Previti chiede un'altra sospensione. Respinta. E così anche il 24 marzo, quando la quarta sezione del tribunale di Milano dice no alla nuova richiesta. Ormai si va avanti a colpi di istanze: il 27 marzo, ne arriva un'altra. La firma di suo pugno l'ex ministro, sostenendo che la competenza è del Tribunale di Perugia. Il 17 aprile scorso arriva il no della Quinta corte d'appello di Milano. Il giorno dopo, dopo una breve apparizione in aula al processo Sme, il premier Silvio Berlusconi dirà che Cesare Previti è "un perseguitato".

Siamo alle strette finali. Prima delle festività pasquali il presidente Carfì dichiara che il processo è formalmente chiuso. In una settimana partono altre due istanze di ricusazione. Previti parla di una sentenza che può ledere "il suo prestigio e il suo patrimonio". Poi, una altra giradondola di richieste di sospensione e una conferenza stampa, il 25 aprile, nella quale Previti chiede al "sistema" di intervenire in sua difesa. Il 29 aprile viene respinta anche l'ultima istanza di ricusazione e l'imputato ricorre ancora una volta in Cassazione.




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