Il Vescovo: "Su questo tema noi pastori dovremmo alzare di più la voce, senza timore di scontentare qualcuno"
Il problema dell'immigrazione e dell'accoglienza: l'uomo non è merce
"La legge sull’immigrazione è, senza mezzi
termini, anticristiana. La cosa più preoccupante è che mette tra parentesi la
persona: ciò che interessa è che l’immigrato lavori, non che esista come essere
umano, con una propria cultura. Avalla una mentalità secondo cui lo straniero
dev’essere merce da utilizzare. È legalmente riconosciuto finché serve al
capitale, poi può essere respinto al mittente".
Questa è la valutazione chiara e severa di Alex
Zanotelli (Avvenire del 12 luglio) della legge Bossi-Fini approvata
recentemente. Don Luigi Ciotti, a sua volta, condanna soprattutto un aspetto
odioso della norma: "La rilevazione obbligatoria delle impronte digitali per gli
immigrati anche non clandestini è ingiustificata e intollerante". È difficile
non dare loro ragione e non condividere, dal punto evangelico, questi giudizi
drastici, ma fondati. In effetti da molti mesi il progetto della legge in
questione era stato oggetto di forti critiche da parte soprattutto della
Caritas italiana, della Migrantes, di Pax Christi e
dell’associazionismo cattolico e no, specie nell’ambito missionario e del
volontariato. Alcune riserve, timide per la verità, erano state espresse perfino
dal cardinale Ruini in sede Cei. Ma tutto questo è servito a poco.
Tra le molte considerazioni che potrebbero essere
fatte al riguardo, due in particolare sembrano imporsi all’attenzione di noi
credenti, sia a livello di coscienza personale, sia ancor più di riflessione e
di impegno comunitario ecclesiale.
1) Innanzitutto di fronte a questa legge, in fondo in
fondo, non pare che ci si possa meravigliare più di tanto. Si tratta solo di una
conseguenza logica di un’impostazione politica globale, tipica del neoliberismo
imperante in tutti i settori. Quando il potere pubblico, anziché cercare il bene
comune e in special modo quello dei deboli e degli ultimi, preferisce tutelare e
proteggere gli interessi dei forti e potenti e proseguire nello strisciante, ma
graduale, progressivo smantellamento dello Stato sociale, dalla sanità alla
previdenza e oltre, non ci si può stupire se gli stessi poteri ispirati alla
filosofia politica di un forte individualismo in campo economico e sociale, non
si preoccupino poi delle persone come tali, ma unicamente dell’utilità che se ne
può ricavare. Ci sarebbe da meravigliarsi del contrario. Eppure, almeno per chi
ama dirsi e presentarsi come cristiano, esiste, oltre il Vangelo, una biblioteca
intera di magistero sociale su queste tematiche, con affermazioni chiarissime e
sommamente imperative a livello nazionale e mondiale.
Basti pensare all’enciclica Populorum
progressio (1967!), nella quale Paolo VI profeticamente affrontava con
lucidità impressionante la problematica della cosiddetta "globalizzazione" che
oggi ci tormenta. Quando ancora si pensava che la linea divisoria tra i diversi
mondi fosse quella dell’Est-Ovest, il Pontefice non aveva timore di affermare
che il vero confine era quello del Nord-Sud (tra i popoli che mangiano troppo e
quelli che muoiono di fame); così, quando denunciava con coraggio il rischio che
i Paesi ricchi diventassero sempre più ricchi e quelli poveri sempre più poveri
e metteva in guardia noi occidentali dal pericolo che un bel giorno esplodesse
"la collera di poveri". Tutte previsioni puntualmente avveratesi o in dirittura
di arrivo. Sull’inaccettabilità del sistema neoliberista e sull’esigenza del
mantenere lo Stato sociale circa le necessità primarie della persona, si
potrebbero riportare citazioni a non finire di Giovanni Paolo II, dei nostri
vescovi, specie di alcuni come il card. Martini. In sintesi, dalla Rerum
novarum (1891) a oggi, sempre sulla base di una diretta derivazione
evangelica, che il lavoro umano e soprattutto la persona non siano merce e
perciò da non considerarsi e trattarsi come tali, dovrebbe essere
scontato.
2) E qui si inserisce l’altra riflessione: se non possiamo
meravigliarci troppo del fatto che nell’ambito della società italiana
determinate forze politiche seguano logiche utilitariste e perciò materialiste
(non esiste solo il materialismo ideologico, ma pure quello pratico, specie da
noi) nell’impostare il sociale, dovremmo stupirci però, anzi preoccuparci, della
mancanza di una forte e adeguata reazione da parte di noi credenti di fronte a
queste leggi, soprattutto quelle che rischiano di diventare lesive della dignità
della persona se discriminanti. Infatti se si ritengono assolutamente necessarie
misure di sicurezza tipo le rilevazioni delle impronte, questo dev’essere valido
per tutti, italiani e stranieri. A questo proposito, sarà interessante
verificare se tra gli extracomunitari interessati, rientreranno pure, ad
esempio, i cittadini svizzeri o Usa, oppure sempre e solo i soliti
poveracci.
Grazie a Dio, com’è stato ricordato sopra, molte
realtà ecclesiali hanno reagito da tempo. Però la base dei nostri bravi
praticanti sembra largamente assente, indifferente, quando non addirittura
d’accordo con queste scelte. Pare che la preoccupazione più seria sia quella
della tutela del proprio benessere, non importa se questa comporta ancora una
volta il porre le cose prima delle persone. Certo gli extracomunitari, anche da
noi, vanno bene per vendemmiare, soprattutto per badare ai vecchi e malati che,
data la gravissima denatalità italiana, aumenteranno sempre di più, ma poi
basta: che vogliono ancora? Il tutto coniugato, forse anche con una certa buona
fede o almeno mancata avvertenza, con la pratica religiosa, senza coglierne
l’incompatibilità evangelica. Ma non si tratta solamente di incoerenza da parte
dei fedeli. Una grande responsabilità di questa coscienza distorta ricade su noi
pastori che, se non altro, dovremmo al riguardo alzare di più la voce, senza
timore di scontentare qualcuno in alto e in basso.
+ Sebastiano Dho, vescovo
(da Gazzetta d'Alba del 24 luglio 2002)
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