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Da LA STAMPA 30 aprile 2003

Col caso Previti scontro politico e giudiziario di straordinaria durezza

Uno scontro senza precedenti

di Luigi La Spina

DOPO sei anni di inchiesta e tre di dibattimento è arrivata la sentenza sul "caso Previti". Non si tratta del primo processo che vede imputato un parlamentare. Né viene coinvolto un politico di grande prestigio e di lungo corso, basti pensare ai procedimenti contro Andreotti e Craxi. Eppure, intorno a questo caso, si è svolto e continuerà a svolgersi uno scontro politico e giudiziario di straordinaria durezza che si lega sostanzialmente a una strategia processuale inedita: quella di un accusato che preferisce difendersi non dentro ma fuori dalle aule giudiziarie. Il nodo della polemica è legato alla scritta che compare in ogni tribunale italiano: "La legge è uguale per tutti". Gli accusatori di Previti sostengono che l’ex ministro, in questi anni, abusando della sua carica parlamentare, dell’appoggio della sua parte politica e dello zelo dei suoi avvocati nello scovare qualsiasi cavillo per evitare la sentenza, abbia dimostrato come quella legge sia stata, nei suoi confronti, "meno uguale" di quella che colpisce un qualsiasi cittadino. I suoi difensori ritengono, invece, che sia stata "più uguale", perché i magistrati, con un accanimento giustificato solo dall’odio politico, hanno voluto a tutti i costi una condanna. La tesi di una persecuzione politica contro Previti, che dovrebbe comprendere, in una manovra concertata e complessa, non solo i giudici di Milano, ma quelli della Cassazione e, perfino, della Corte Costituzionale, si scontra, tra l’altro, almeno in una contraddizione del suo comportamento. Se è lecito, infatti, usare la carica politica per disertare le udienze, far appello ai colleghi di maggioranza per sollecitare iniziative legislative che possano aiutarlo, non è giusto, sfruttati fino all’ultima possibilità i diritti di un parlamentare, negare i doveri che il ruolo politico comporta: quelli, innanzi tutto, di accettare il giudizio e confidare che un eventuale errore possa venir corretto nei successivi gradi di esame. Anche perché una così totale ed estesa sfiducia nell’intera magistratura italiana dovrebbe impedire l’accettazione di una carica politica in questa Repubblica. Uno Stato, se così fosse, dove non esisterebbero le condizioni minime di una democrazia. Il caso Previti, infine, ha avuto e probabilmente avrà una conseguenza grave sull’intero rapporto tra la politica e la giustizia in Italia. Alcune riforme importanti dell’ordinamento giudiziario, utili per garantire sentenze più rapide e certe per tutti i cittadini sono state evitate per timore che potessero favorire anche l’ex ministro della Difesa. Altre modifiche della legge sono state introdotte, invece, nella speranza che potessero aiutare anche lui. In questi anni, i nostri politici non hanno avuto il coraggio di affrontare la questione dell’immunità parlamentare in modo aperto, varando, ad esempio, una legge di sospensione dei verdetti fino all’esaurimento del mandato. Norme certo discutibili, ma che pure esistono in altre sicure democrazie. Hanno preferito le strade oblique di interventi legislativi mirati a salvare i colleghi imputati. Vie apparentemente meno impopolari, ma che rivelano una preoccupante mancanza di credibilità complessiva della nostra classe politica. Una debolezza che dimostra, se ce ne fosse ancora bisogno, di come l’Italia sia ancora lontana da quel paese normale dove sarebbe così bello poter vivere.




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