Da AVVENIRE 28 settembre 2001
Lotta al terrorismo, senza arrendersi alla violenza distruttiva.
Un contributo di teologi moralisti italiani
Sul crinale di guerra e giustizia
"Il sostegno alle vittime non deve far dimenticare che sta crescendo
una sensibilità contraria a risolvere i conflitti tra i popoli con le armi"
Lo scontro fra Occidente e islam dopo le tragedie di New York e
Washington ci pone di fronte a due logiche di conflitto: la guerra giusta e la
guerra santa. Cosa fare? E come fare giustizia? Quale lezione può venire dalla
morale cattolica di fronte alla necessità di una giustizia che sembra potersi
realizzare soltanto con lo scontro bellico? Ospitiamo un contributo di
teologi moralisti italiani che prende posizione sul dibattito di questi giorni.
La prospettiva adeguata per capire la violenza terroristica - nelle
vecchie e nuove forme - è mettersi dalla parte delle vittime. Da loro si attinge
forza d'animo per non arrendersi alla violenza distruttrice della convivenza
umana e, insieme, intravedere i compiti posti alle persone e alle comunità
civile ed ecclesiale. Cosa fare? Si deve fare memoria delle vittime, rendere
loro giustizia anche per riparare, per quanto possibile, il debito che la
società ha verso di loro per non avere saputo o potuto difenderle. Fare memoria
impegna a rendere loro giustizia. Come fare giustizia? All'esecrazione della
tragedia e alla domanda di giustizia, subito si è fatto appello allo
strumento-guerra, sia pure denominata con aggettivi diversi (non classica,
asimmetrica, ecc.). Come risposta agli attacchi terroristici realizzati e
prevedibili, si è dato il via - dagli Usa con l'adesione della Nato - a
interventi armati senza limite di spazio, di durata, di ricorso a nuovi
strumenti difensivi. Si possono tralasciare, al momento, le varie questioni sul
ruolo dell'Onu e sulla funzione dei parlamenti nazionali, una domanda radicale
s'impone: è eticamente sostenibile e pacifico il collegamento giustizia -
guerra? Nella cultura tradizionale, laica e religiosa, lo si dava per scontato,
oggi è messo fortemente in questione. "Tra i segni di speranza va pure
annoverata la crescita, in molti strati dell'opinione pubblica, di una nuova
sensibilità sempre più contraria alla guerra, come strumento di soluzione
dei conflitti tra i popoli e sempre più orientata alla ricerca di strumenti
efficaci ma non violenti per bloccare l'aggressore armato" (Evangelium
vitae, n. 27).
1. Nella Chiesa cattolica, il momento storico di una
profonda revisione del tradizionale rapporto giustizia - guerra è stato il
concilio Vaticano II. La nuova posizione - in estrema sintesi - è così
delineata: si abbandona la teoria della cosiddetta guerra giusta (la
guerra è sempre un male); esaurito ogni altro strumento, si tollera
(resta un male) il ricorso alla forza solo nel caso della legittima difesa
(autodifesa), mai comunque da attuare con le armi atomiche, batteriologiche e
chimiche (la condanna di queste è totale) o anche con le armi convenzionali che
provocano distruzioni indiscriminate. L'esperienza drammatica dimostra
abbondantemente che le guerre moderne non soddisfano tali condizioni, sono
sproporzionate a qualsiasi causa giusta. L'uso della difesa si traduce
facilmente (o fatalmente) in abuso. In breve, il collegamento giustizia - guerra
oggi non regge più, se pure reggeva ieri. Certo, non basta dire no alla guerra.
È necessario rendere praticabili vie alternative. In questa prospettiva, si
comprende l'insistenza del pensiero cattolico che, da Pio XII a Giovanni Paolo
II, indica la necessità di istituire un'autorità internazionale competente e,
quindi, l'urgenza di mettere l'Onu in grado di operare per il riconoscimento, la
difesa, e la riparazione dei diritti tra i popoli.
2. Morale e politica, di
certo, non s'identificano, ma la tensione dialettica tra l'una e l'altra va
mantenuta ed accentuata, per non rischiare, in teoria e nella prassi, la nefasta
separazione tra idealità obbligatoria, da un lato, e realtà dall'altro. Una
morale legittimista e benedicente la realpolitik, e le sue scelte di
guerra, snatura se stessa, diventa inutile e perde ogni indicazione del dover
essere. Dove mai la realpolitik troverà l'istanza etica a cercare vie
alternative a quelle delle armi, se la stessa morale fa a gara per legittimare
la forza delle armi? La Chiesa cattolica ha compreso oggi, più di ieri - con
l'esplicita volontà di iniziare una nuova tradizione nella linea conciliare -
che il Vangelo (e la morale che coerentemente ne deriva) non sono spendibili per
legittimare la guerra di qualsiasi tipo essa sia. La politica militare - come in
passato - farà di tutto per avere la legittimazione dalla religione. Tale attesa
deve andare disillusa e sarà salutare anche per la politica. La Chiesa si sente
impegnata, in nome del Vangelo, ad educare la coscienza collettiva a risolvere i
conflitti in modo umano e civile con il negoziato, con la diplomazia, con la
politica del giusto compromesso, che segna il punto massimo d'intesa tra i
contendenti.
3. Nell'orizzonte globale dell'umanità, non basta perfezionare
la difesa militare, è necessario promuovere la giustizia sociale. Il
rafforzamento, esteso anche alle armi nucleari e allo scudo spaziale, previsto
nel Nuovo concetto strategico dell'alleanza, approvato dal vertice di
Washington (23/24 aprile 1990); il ricorso a qualsiasi tipo di armi, non escluse
quelle nucleari, riaffermato in questi giorni, appaiono in netto contrasto con
le prospettive del concilio Vaticano II e di numerose conferenze episcopali, con
le esperienze non violente di persone e movimenti che, senza ricorrere ad
armi devastanti, sono riuscite a liberarsi dall'oppressione con la volontà
sincera di pace e di dialogo maturate nel vivo dei conflitti.
4. L'antico
assioma "Se vuoi la pace prepara la guerra" attende dai singoli, dalle famiglie,
dai popoli e dai loro governanti di essere cambiato in "Se vuoi la pace prepara
la pace". È questa la sfida globale alla quale siamo chiamati a rispondere.
Volere la pace globale significa oggi operare per la giustizia globale. Non
basta limitarsi a dire che la globalizzazione economica e finanziaria offre
possibilità per tutti, bisogna governarla in modo che lo sia di fatto. D'altra
parte, si è consapevoli che il male, purtroppo, non è del tutto estirpabile da
questo mondo, ci saranno sempre gli operatori d'iniquità e i violenti omicidi,
ma saranno isolati e la comunità civile li saprà isolare. I terroristi di ogni
tempo e luogo non rappresentano i popoli poveri, approfittano e strumentalizzano
la disperazione della gente per acquisire potere e dominio.
Luigi Lorenzetti, direttore della "Rivista di teologia morale", e consulenti alla
direzione: A. Autiero (Germania, Trento); L. Biagi (Treviso); G. Bof (Savona);
A. Bondolfi (Zurigo); E. Bosetti (Modena); E. Chiavacci (Firenze); S. de Guidi
(Verona); A. Gelardi (Bologna); G. Gualerni (Milano); F. D'Agostino, Roma); P.G.
Grassi (Rimini); R. Levi (Roma); M. Lombardi Ricci (Savona); B. Marra (Napoli);
D. Masi (Reggio Emilia), G. Mattai (Alassio, SV); M. Matté (Bologna); D.
Mongillo (Roma); M.P. Montenmurro (Roma); P. Montini (Roma); B. Petrà (Prato,
Firenze); G. Piana (Novara); S. Privitera (Acireale, CT); A. Rizzi (Firenze); C.
Zuccaro (Roma). Si associano altri Teologi morali docenti nei Seminari diocesani
italiani e Atenei romani: M. Cozzoli (Roma), A. Conci (laico, Trento); G.
Coccolini (laico, Bologna); G. De Virgilio (Chieti); M. Doldi (Genova); A. Drago
(laico, Napoli); A. Fumagalli (Milano); K. Golser (Bolzano-Bressanone); P.
Guenzi (Novara); S. Leone (Palermo); G. Marsico (Livorno); G. Manzone (Roma); G.
Miglietta (Roma); R. Pegoraro (Padova); I. Schinella (Catanzaro).
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