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Da LA REPUBBLICA 28 marzo 2003 Il pastrocchio politico-diplomatico sui soldati della 173esima Brigata statunitense spostati da Vicenza al Nord dell´Iraq è l´ennesima prova dell´insostenibile ambiguità della posizione italiana L´ambiguità del premier di Massimo Giannini LA GUERRA che uccide centinaia di soldati combattenti e decine di civili innocenti rende ancora più penoso il cicaleccio del Palazzo romano. Ma il pastrocchio politico-diplomatico sui soldati della 173esima Brigata statunitense spostati da Vicenza al Nord dell´Iraq è l´ennesima prova dell´insostenibile ambiguità della posizione italiana. È un piccolo equivoco, che nasce da un equivoco colossale. La realpolitik di Berlusconi ha lasciato l´Italia in un impossibile limbo: sospesa tra il neutralismo giuridico imposto dalla Costituzione e l´interventismo politico voluto dal governo. Formalmente siamo "non belligeranti". Sostanzialmente appoggiamo la guerra. E gli Stati Uniti agiscono di conseguenza.Il presidente del Consiglio, da Palazzo Chigi, assicura: i parà americani partiti dalla caserma italiana di Ederle e decollati dalla base Usaf di Aviano non sono atterrati in Kurdistan per compiere "un attacco diretto ad obiettivi iracheni". Il generale Vincent Brooks, dal comando centrale del Qatar, rettifica: i parà Usa arrivati dall´Italia sono "una forza che potrà essere usata anche in attacco, se decideremo in tal senso. Lascio all´Italia il compito di commentare il proprio ruolo nella guerra". Ancora una volta, sono gli americani a metterci di fronte al fatto compiuto, spiegandoci chi siamo, dove andiamo e cosa facciamo in questo conflitto contro Saddam. Era già successo con la lettera di ringraziamento di Bush e l´inserimento dell´Italia nella lista dei 30 Paesi della "Coalition of the willing" stilata da Powell. La storia si ripete. Su un tema se vogliamo marginale: stavolta non si trattava di dire sì o no alla guerra, ma più semplicemente di stabilire se le modalità del nostro supporto logistico alle ultime operazioni militari Usa siano compatibili con i vincoli fissati dal Quirinale e dal Parlamento il 19 marzo. Se sono vere le dichiarazioni di Brooks, la risposta è no: non sono compatibili. Il Consiglio Supremo di Difesa, riunito al Quirinale sotto la presidenza del Capo dello Stato, ha declinato i principi della "non belligeranza" italiana, in base all´articolo 11 della Costituzione e alla mancata legittimazione dell´Onu. E ha fissato 6 "paletti" precisi. Con il 4° e il 5°, l´Italia concede all´alleanza angloamericana il diritto di sorvolo e le basi, purché "l´uso di strutture militari" non sia funzionale all´"attacco diretto ad obiettivi iracheni". In una strategia coerente, questa cornice tecnico-giuridica si sarebbe dovuta accompagnare ad una posizione politica forte e chiara: no dell´Italia a questa guerra unilaterale, nel solco dell´autonomia dell´Ue. Berlusconi ha fatto esattamente il contrario: ha definito legittimo l´uso della forza. Fini ha parlato di "guerra sporca, ma giusta". Non c´è da stupirsi se ora i generali americani ci trattano a pieno titolo da "alleati", e si prendono qualche licenza. Così, se com´è ovvio i parà della 173esima Brigata combatteranno sul fronte nordiracheno, i "paletti" costituzionali rischiano di saltare. Il centrosinistra grida allo scandalo (come fa ormai sistematicamente e qualche volta anche strumentalmente). I giuristi traggono le loro conclusioni. Cassese sostiene che "gli americani ci hanno turlupinato". Benvenuti afferma addirittura che "l´Italia ha perso i diritti di neutralità". In pratica, siamo entrati in guerra anche noi. In un conflitto che sconvolge il mondo e stravolge la Carta dell´Onu e la Convenzione di Ginevra, discettare d´"utilizzo attivo" delle infrastrutture e d´"assistenza passiva" alle operazioni militari sembra una pura sottigliezza morotea. Bizantina, e anche un po´ ipocrita. C´è una guerra, che fa morti e feriti, lanciata da una grande democrazia occidentale contro un grande tiranno del mondo arabo. L´Italia ha il dovere di rifiutare l´equidistanza aberrante di chi dice "né con Bush né con Saddam". E alla fine, magari con qualche se e tanti ma, non può che schierarsi con gli Usa. Se fosse questo l´atteggiamento del premier, sarebbe comprensibile. Il problema è che Berlusconi vive come una camicia di forza il quadro delle regole che, a livello nazionale, delimitano il posizionamento italiano rispetto alla guerra. Se potesse, forse manderebbe i nostri alpini non a Kabul a fare peacekeeping, ma a Bagdad insieme ai marines. Ma è proprio questa, oggi, la prima preoccupazione del presidente della Repubblica: gli effetti d´una drammatica escalation dell´avventura bellica. Ieri Ciampi ha voluto conoscere dal Cavaliere i dettagli della vicenda dei parà Usa. Ma poi gli ha voluto ricordare il "sentiero stretto" sul quale deve camminare il nostro Paese, in base alla Costituzione e al voto parlamentare di sette giorni fa. Un indirizzo che vale per oggi ma soprattutto per domani. La guerra si complica, s´allunga, si fa sempre più tragica. Nelle prossime settimane l´America alzerà il prezzo del suo patto con gli Stati "volonterosi". Accrescerà il suo fabbisogno di uomini, mezzi, infrastrutture per il fronte. A quel punto per l´Italia non ci sarà più spazio per l´ambiguità. Bisogna chiarire subito quel che si può e non si può fare. Va interpretato in questa chiave anche l´imprevisto minuto di silenzio per la pace decretato due giorni fa dal presidente della Consulta Chieppa, in nome degli articoli 11 e 52 della Costituzione. Un´iniziativa irrituale, che ha avuto comunque un avallo del Quirinale. Sullo sfondo, "oltre" la guerra, c´è il semestre italiano di presidenza Ue, il destino della Convenzione. È la seconda, profonda preoccupazione di Ciampi, impegnato a ricostruire sulle troppe macerie lasciate dal governo (in Francia prima di tutto). Il presidente del Consiglio non può giocarsi a dadi l´Europa, per scommettere sull´America. Comunque finisca in Iraq, perderebbe la partita. |