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Da LA REPUBBLICA 27 maggio 2003

Valutazione sui risultati delle elezioni amministrative del 25 maggio

Un segnale al Cavaliere

di Massimo Giannini

"Sono condannato a vincere, e infatti ho sempre vinto", aveva detto il Cavaliere due giorni prima del voto. A parte la non trascurabile amnesia sulla bruciante sconfitta alle politiche del 1996, Silvio Berlusconi deve prendere atto che queste elezioni, se non le ha addirittura perse, sicuramente non le ha vinte. Ai tempi della Prima Repubblica si sarebbe detto che il centrodestra "soffre ma tiene", mentre il centrosinistra "fatica ma rimonta". I Poli escono dal test di ieri in posizioni di apparente parità. Con il solito gioco delle bandierine piantate sul territorio, la Casa delle Libertà mantiene al primo turno quattro province su sei. L'Ulivo vince a sua volta con la maggioranza assoluta in quattro delle sei province che già governava. Ma la parità è più che altro formale. Il centrosinistra strappa in modo netto al centrodestra la provincia di Roma. E questo fa già una differenza sostanziale. Non è solo un voto che si "conta": quello della Capitale è anche un voto che si "pesa". Come sempre, sarebbe sbagliato trarre conclusioni assiomatiche e definitive da questi risultati. Com'è nello spirito della "rivoluzione costituzionale" della legge 81/1993, nelle consultazioni popolari influiscono soprattutto i rapporti diretti tra i singoli candidati e le rispettive "municipalità". Ma mai come questa volta, per l'asprezza delle polemiche politiche che le hanno precedute, queste sono diventate elezioni di medio-termine. Se non un "referendum sul governo", sicuramente un importante check-up sul suo stato di salute. Lo ha voluto lo stesso presidente del Consiglio, che dal giorno dopo la sentenza di condanna di Previti a Milano ha avviato una campagna elettorale strisciante, ma grondante di livori ideologici e furori demagogici. Solo una settimana fa, a Udine, ha chiamato a raccolta i militanti azzurri, gli "apostoli guerrieri della libertà" da lui stesso predestinati a fermare "i giudici golpisti" e "i comunisti indegni di governare". Partendo da queste premesse, per il premier adesso è molto difficile derubricare le amministrative di ieri come una sagra paesana, folcloristica e irrilevante. C'è dunque una prima lezione da trarre: il voto (anche se non la boccia in modo inappellabile) sicuramente non premia la "strategia della tensione" che il Cavaliere ha adottato come stile di governo.




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