Da LA STAMPA 27 aprile 2003
La fiducia è il patrimonio che rischia il tracollo, con guerre e Sars
Come cani senza fiducia
di Barbara Spinelli
TORNIAMO indietro di qualche settimana: la guerra in Iraq
ancora non era finita, e già s'accampavano sugli schermi strane figure di
uomini. Non erano coinvolti nel conflitto, ma sembravano come apparecchiati per
diffidare l'uno dell'altro. Lo spirito ostile era quello, e il vestiario pure.
Non portavano armi, ma si proteggevano l'uno dall’altro con una sorta di piccolo
scudo di plastica che tappava loro la bocca e conferiva ai profili una singolare
fisionomia canina. Era il nuovo popolo globale della Sars, la polmonite atipica
che nel frattempo occupa i giornali suscitando più panico dell'Iraq. Gli uomini
in questione sono detti anche i nomadi della mondializzazione, e fino a poco
tempo fa venivano descritti come una classe di cosmopoliti poliglotti: una
specie di avanguardia del mondo integrato in cui pretendiamo vivere. D'un tratto
nulla di tutto ciò. I nomadi girano con il solito cellulare, e dunque già son
tenuti al guinzaglio da familiari o non familiari. Adesso al guinzaglio
s'aggiunge la bianca museruola di plastica o stoffa, e non sono lupi l'uno per
l'altro ma piuttosto cani, più servili ma non meno diffidenti, incattiviti,
addestrati per abbaiare quando qualche sospetto s'avvicina. Gli esperti già
dicono che gli effetti della Sars sul commercio mondiale e su un ordine basato
sulla cooperazione saranno più deleteri della guerra del Golfo.
Già si
fanno improbabili paragoni con la Spagnola, la cui sintomatologia somigliava
all'odierna ma che nel 1918 fece in pochissimo tempo un numero ben più grande di
morti: nella sola Italia 6 milioni di contagiati e 375.000 morti (secondo altre
stime 600.000). In tutto il mondo 20 milioni di morti.
La fiducia è il
patrimonio che rischia il tracollo, con guerre e Sars. Era stata descritta come
la stoffa di cui era fatta la globalizzazione: non un mondo di sicurezza e
armonia ma di alcune regole condivise, nel rapporto fra collettività e fra
persone. Non la fine dei conflitti ma una relativa affidabilità e un certo
numero di garanzie che permettevano a ciascun individuo di bilanciare costi e
guadagni, nuovi doveri e nuovi diritti-libertà. Uno dei principali ingredienti
della fiducia era la lenta elaborazione di un nuovo diritto internazionale
basato non solo sulla politica di potenza e il suo riequilibrio, ma su forme
meno diffidenti di relazioni: su forme che tentavano la cooperazione e la delega
di sovranità statali oppure, nei rapporti con i dittatori, su forme di
dissuasione e contenimento. Un altro ingrediente della fiducia era infine il
rispetto delle memorie: la propria come quella dell'altro. La storia non si
riscriveva a colpi di rivoluzioni, di pagine bianche.
Questi criteri
della fiducia sono oggi messi alla prova: sia per la violenza con cui
l'integralismo terrorista ha colpito l'epicentro della mondializzazione che è
l'America, sia per la maniera confusa in cui la guerra in Iraq è stata motivata,
sia per la paura con cui si risponde, oggi, alla sfida dell'epidemia. Quel che
impressiona è il fondersi progressivo tra comportamenti pubblici e privati. I
primi hanno effetti sempre più forti sui secondi, mutandone la natura e
dilatandone l'arbitrio. Uno Stato egemone decide di adottare verso gli avversari
una inedita dottrina di guerre preventive, intese a liquidare il nemico prima
ancora che esso si manifesti come tale. È inevitabile che un simile atto di
sfiducia diventi caratteristico dell'animo umano, provocando nel singolo
individuo impensate mutazioni antropologiche. Di qui l'impressione singolare
delle immagini legate alla Sars. Gli uomini con museruola bianca sono forse i
figli di quello stesso panico epidemico che dal subconscio ispira le nuove
teorie sulla guerra preventiva. Dal male ci si protegge così, anche quando ci si
tutela a ragion veduta: separandosi l’uno dall’altro, cessando di parlargli,
isolandosi da qualsiasi istanza di cooperazione internazionale sino a usare
unilateralmente le armi. Trasformando ogni diverso in potenziale
nemico-contaminatore, sigillando edifici pubblici e aeroporti, rintanandosi nel
chiuso dei domicili e guardando il mondo da dietro tendine solo provvisoriamente
scostate.
Certamente non c'è rapporto tra la guerra americana che ha
fatto cadere la dittatura di Saddam e la sindrome respiratoria che sta
trasformandoci in cani circospetti: così circospetti da girare il mondo come
quegli antichi cinici greci che la diffidenza l'avevano presa in prestito,
appunto, dal cane (kynòs, cane, è la radice di cinismo). Non c'è rapporto
fra i bombardamenti di Baghdad e la Sars, perché la guerra americana ha messo
fine a un clima di diffidenza verso le autorità irachene, e ha anzi liberato una
nuova fiducia: nella libertà dalla tortura, nella democrazia da costruire. Ma
troppe regole sono state infrante da Washington, in questa guerra, perché la
fiducia che dovrebbe tenere insieme il mondo non ne venga ulteriormente
intaccata. Solo il tempo dirà se l'antiamericanismo di gran parte della terra
aumenterà o diminuirà, a causa del conflitto nel Golfo, ma fin da ora si può
dire che gli effetti positivi non controbilanciano ancora con sufficiente forza
i negativi (la rivolta irachena contro gli americani che presidiavano il
deposito d'armi lo conferma). Il regno del sospetto reciproco tende a dilagare,
e ognuno - anche i peggiori, non solo gli esposti a polmonite atipica - va alla
ricerca di una sua, personale o collettiva, dottrina di sicurezza preventiva.
Chi ha armi di distruzione vi s'aggrappa, come a un'ultima risorsa. Chi può
colpire prima che l'altro pensi di colpire lo farà. Questa è la legge della
giungla, contrapposta al diritto delle genti: la giustizia di un'azione è
determinata dalla forza, non dall'argomentare più efficace. In economia come nei
rapporti individuali ci si ripara nel protezionismo, nell’indifferentismo. Non è
l'elaborazione di un diverso diritto internazionale, meno obbediente verso gli
Stati e più attento ai diritti della persona di quanto lo sia l'Onu. È una
regressione più vasta del diritto, causata da successivi crolli di
fiducia.
Dice giustamente Eugenia Tognotti su questo giornale che anche
per la Spagnola fu così. Se i pericoli venivano dissimulati, è perché lo si
presentiva: le epidemie, come le guerre, "deprimono lo spirito pubblico". La
responsabilità per l'insieme della società si sfilaccia, il privato si fa
preponderante. Ognuno corre a proteggere il bene che ha, chiudendo le porte allo
straniero e dimenticando leggi e ospitalità. "La violenza selvaggia del morbo
aveva come spezzato i freni morali degli uomini che, preda di un destino ignoto,
non si attenevano più alle leggi divine e alle norme di pietà umana": questo
scriveva Tucidide, raccontando la peste di Atene. E proseguiva: "Considerando
ormai la vita e il denaro come valori di passaggio, bramavano godimenti e
piaceri che s'esaurissero in fretta, in soddisfazioni rapide e concrete. Nessuno
si sentiva trasportare dallo zelo di impegnare con anticipo energie in qualche
impresa ritenuta degna, nel dubbio che la morte giungesse a folgorarlo, a mezzo
del cammino. L'immediato piacere e qualsiasi espediente atto a procurarlo
costituivano gli unici beni considerati onesti e utili". Pericle dovette
intervenire, per fronteggiare la tendenza a mescolare tutto, a privatizzare le
epidemie come le guerre: "Ai sacrifici imposti dal volere divino - sono
inevitabili - bisogna opporre una rassegnata pazienza; a quelli provocati dal
nemico un energico ardire. Furono questi i valori venerati in Atene: non
interrompetene la tradizione".
Quando la fiducia viene meno si perde il
rispetto della propria memoria, e anche di quella altrui. L'idea di società si
sfalda, e il privato s'impossessa del pubblico inghiottendolo. Perché il
presidente del Consiglio italiano dovrebbe esser presente a una cerimonia
pubblica in onore della Resistenza, quando può passare il tempo visitando ville
in Sardegna? Perché difendere dal saccheggio grandiosi musei Assiri o un'antica
biblioteca, se essenziali sono le "soddisfazioni rapide e concrete" e la
protezione dei pozzi petroliferi? Se non sono stati dati ordini di proteggere
musei e biblioteche, ai soldati Usa, è perché la memoria non è più il
fondamento, in un mondo dove tutti e tutto ci sono estranei. Imbavagliati come
cani ma senza la saggezza dei cinici, i vandali che stiamo diventando non hanno
bisogno di sapere come nacque la scrittura, fra il Tigri e l'Eufrate: se siamo
cani, l'unica cosa che conti è chi tiene al momento il guinzaglio, e chi ci
imbavaglia con la museruola.
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