Da LA REPUBBLICA del 26 gennaio 2004
Dimissioni del vicedirettore del Tg1 non omogeneo alla linea filo-berlusconiana di Clemente Mimun per l'impaginazione del notiziario
Il diktat del "panino"
UN VICEDIRETTORE che se ne va perché non vuole più stare al
gioco di Mimun, con la solidarietà di trenta colleghi, non è una faccenda
interna del Tg1. È il primo ingranaggio che si rompe, rumorosamente e
clamorosamente, nell'oliatissima macchina blindata di un telegiornale ormai del
tutto berlusconizzato. E' il primo vero segnale di dissenso che si leva
dall'interno del primo tg italiano contro l'uso delle notizie come strumento di
persuasione occulta del telespettatore.
Chi è abituato a leggere le
vicende della Rai come un braccio di ferro quotidiano per la gestione del potere
potrà trovare incomprensibile e forse autolesionista, il gesto a sorpresa di
Daniela Tagliafico - cioè la rinuncia a una posizione di comando da parte
dell'unico vicedirettore del Tg1 non omogeneo alla linea filo-berlusconiana di
Clemente Mimun - per quella che può sembrare solo un'arida questione di
impaginazione del notiziario, ovvero la tecnica del "panino".
E invece
mai come in questo caso una lettera di dimissioni ha messo davanti agli occhi di
tutti, anche di chi faceva finta di non vedere, una questione fondamentale per
la democrazia italiana: il taroccamento dei telegiornali, ovvero l'arte di
addomesticare le notizie.
Il "panino", il bersaglio principale della
lucidissima lettera della Tagliafico, non è infatti un simpatico giochino
dell'ora di pranzo né un divertente esempio del gergo redazionale. Il "panino" è
un metodo sistematico per il confezionamento delle notizie di giornata, una
tecnica scientifica per separare nettamente, senza che il telespettatore se ne
accorga, le Verità del governo dalle Parole dell'opposizione. Il suo schema
è semplice come quello di un sandwich: la parte del pane spetta alla
maggioranza, cioè a Berlusconi, e quella della fettina di prosciutto
all'opposizione. Qualunque sia il tema del giorno, qualunque cosa abbiano detto
Berlusconi o Rutelli, Bossi o D'Alema, Fini o Prodi, quando il Tg1 arriva al
capitolo della politica il telespettatore si vede consegnare il suo "panino"
quotidiano.
La prima fetta di pane tocca sempre al governo: è una fetta
abbondante e saporita, ricca di immagini e di dichiarazioni che i ministri
rilasciano a una telecamera, senza che nessun giornalista faccia mai loro uno
straccio di domanda. Poi la parola passa all'opposizione: una frasetta di
Fassino, una dichiarazioncina di Rutelli, una svelta citazione di Pecoraro
Scanio, insomma un riassuntino insapore e incolore di un dibattito che sembra
privo di senso. A quel punto la palla torna alla maggioranza, cui tocca la
seconda fetta di pane: così appaiono a turno il rubizzo Calderoli, il sardonico
Nania e il curiale Sandro Bondi, lo sghignazzante Schifani, che si prendono
puntualmente il compito di ribattere al centro-sinistra.
Così, dietro
una distribuzione apparentemente imparziale degli spazi - un terzo al governo,
un terzo all'opposizione, un terzo alla maggioranza: come se il governo e la
maggioranza fossero avversari - si nasconde un subdolo metodo persuasivo che,
come ha ricordato Umberto Eco, applica un'infallibile regola mediatica: "Ha
ragione chi parla per ultimo".
E' solo un dettaglio che il "panino" non
sia nato al Tg1, ma al Tg2, dove Mimun lo applicava già durante il governo
dell'Ulivo (e già allora riusciva a dare a Berlusconi l'ultima parola: non si
può dire che non sia coerente). Da quando il centro-destra ha preso il potere
anche a Viale Mazzini, però, il telegiornale di RaiUno è diventato un
laboratorio di taroccamento della realtà, dalla depurazione dell'audio
dell'imbarazzante sfuriata del premier contro il tedesco Schulz all'aggiunta di
un pubblico fittizio, in sala montaggio, al suo discorso alle Nazioni Unite. Per
non parlare dei titoli al bromuro, degli scontri tra Palazzo Chigi e il
Quirinale nascosti dentro una nebbia di altre polemiche, delle cattive notizie
annegate nei pastoni.
E' un buon segno, dunque, che a Saxa Rubra ci sia
ancora qualcuno che abbia il coraggio di dire "non ci sto", come ha fatto
Daniela Tagliafico, così come è un buon segno che con lei si siano schierati -
con la prevedibile eccezione del neopromosso Giorgino - quasi tutti coloro che
oggi prestano il volto e il nome al Tg1, da Lilli Gruber a David Sassoli, da
Tiziana Ferrario a Maria Luisa Busi, denunciando pubblicamente una "situazione
intollerabile". Ormai non sono in gioco gli equilibri politici di una redazione
- che al cittadino interessano assai poco - ma l'identità, l'autorevolezza e la
credibilità del primo telegiornale italiano.
|