Pagina iniziale |
Rassegna stampa locale |
Rassegna stampa nazionale |
Approfondimenti |
Da FAMIGLIA CRISTIANA del 24 novembre 2002 Appello contro la riforma introdotta dalla Legge Finanziaria Cancellare il debito: di padre Gino Barsella Vanificare una legge che funziona. Questo sarà il prevedibile risultato dell’articolo 42, comma 1, della Legge Finanziaria 2003. La legge che funziona è la 209/2000, che regola l’iniziativa italiana per la cancellazione del debito internazionale ai Paesi impoveriti. Funziona perché è maturata in un lungo processo di discernimento che ha coinvolto la società civile – coordinata dalle campagne "Sdebitarsi" e "Tu in azione", quest’ultima della Cei – e il Parlamento, che l’ha approvata in maniera unanime. Uno strumento innovativo attento alle situazioni dei Paesi più poveri, che aiuta a creare sinergie tra Governi e società civile nell’elaborare e monitorare progetti di sviluppo e lotta alla povertà finanziati con le risorse liberate dalla cancellazione. Funziona perché ha obiettivi precisi: impegna l’Italia a cancellare fino a sei miliardi di euro di debito entro il giugno 2004. Nel primo anno di piena applicazione ha consentito accordi di cancellazione per un miliardo di euro. Vengo adesso dal Mozambico, dove è in atto un vivace dibattito tra i Governi e la società civile italiani e mozambicani per l’elaborazione di un piano strategico per investire le risorse liberate dalla cancellazione di 524 milioni di dollari (il 100 per cento) di debito bilaterale nei nostri confronti. Si dibatte sulle priorità (educazione, sanità, agricoltura, comunicazione) e su come arrivare soprattutto alle zone e ai gruppi di persone più svantaggiati; e si cerca di elaborare criteri e strumenti di monitoraggio per la trasparenza dell’operazione. Ma perché la cancellazione del debito non sia resa vana dalle gravi situazioni di povertà è necessario sostenerla con un serio impegno di cooperazione internazionale. Una legge che funziona, quindi, non va indebolita, ma applicata interamente e, piuttosto, modificata nel senso di una maggiore efficacia di applicazione e di una maggiore attenzione alle situazioni di ingiustizia. L’articolo 42, comma 1, della Finanziaria sopprime gli obiettivi quantitativi e temporali della legge 209 (sei miliardi di euro entro il 2004) e condiziona la cancellazione "alle esigenze di finanza pubblica". Si tornerebbe, in pratica, al disegno di legge 6.662, presentato dal Governo nel dicembre ’99. Ne deriva una situazione di incertezza e mancanza di trasparenza: l’annullamento sarebbe ricondotto nella sfera decisionale dell’amministrazione finanziaria (ministero del Tesoro e Ragioneria dello Stato) e si potrebbe giungere al rallentamento o al blocco delle cancellazioni. Mentre la cancellazione del debito è un atto di giustizia, che impegna economicamente l’Italia in modo modesto. Non possiamo accettare lo smantellamento di una legge che funziona e ha un’attenzione nuova ai problemi dei popoli svantaggiati. Smontarla poi con un’appendice alla Finanziaria, senza un vero dibattito parlamentare e confronto con la società civile, la dice lunga sul rispetto di questo Governo verso il Parlamento e la società civile. Sarebbe piuttosto necessario un maggior impegno di cooperazione – già ridotta ai minimi termini – a fianco della 209; invece, questa amministrazione lo sta ancora riducendo, diminuendolo di un ammontare pari alle quote di debito cancellato (mentre questo impegno doveva aggiungersi a quello della cooperazione). Per questo, "Sdebitarsi" ha lanciato un nuovo appello ai parlamentari e alla società civile, per salvare la 209, che ha per titolo: "L’Italia non torni indietro" (info@sdebitarsi.org). Il Giubileo è finito, e si è anche smesso di parlare di debito. Le priorità oggi sono il terrorismo e la sicurezza. Ma questo "quieto" tornare indietro – che a medio e lungo termine non aiuterà certo a risolvere il problema della sicurezza – è emblematico dell’importanza simbolica, più che pratica, dell’intera questione del debito dei Paesi impoveriti. Cominciare a cancellarlo davvero, questo debito, significherà cominciare a mettere in discussione l’attuale sistema economico mondiale che crea così tanta ingiustizia e sofferenza. E significherà scardinarne l’elemento chiave: la preminenza
dell’interesse economico e del profitto sulla persona umana e i suoi bisogni
fondamentali. padre Gino Barsella |