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Enzo Biagi

Da LA REPUBBLICA 23 maggio 2002

Il giornalista nella lista di proscrizione del Cavaliere è un intollerabile attacco alle libertà fondamentali della democrazia

La RAi che vuole oscurare Biagi

di Curzio Maltese

Non si è ancora spenta l'eco internazionale del "caso Aristofane", con i commenti sarcastici della stampa europea da "Le Monde" a "El Pais", e il Minculpop governativo passa già alla prossima censura. Naturalmente, si tratta di Enzo Biagi. L'autore de "Il Fatto" è nella lista di proscrizione dai tempi del proclama bulgaro di Berlusconi. Per un mese i nuovi consiglieri Rai hanno simulato una minima dignità e autonomia professionale, per le telecamere.

Si sono addirittura concessi il lusso di qualche elogio al "grande giornalista", "risorsa irrinunciabile della Rai". Ma la ricreazione è finita. Nell'Italia servile gli ordini del padrone debbono essere eseguiti. Così "Il Fatto" è sparito dai palinsesti della prossima stagione. Non si sa che fine farà, e nessuno ha informato Biagi, la sua redazione e neppure l'opinione pubblica, i cittadini che pagano il canone. Tanto, si sa come vanno queste cose. Per un po' qualcuno protesterà, ci saranno girotondi, ma intanto un altro spazio di libertà critica è stato soppresso. Oggi Biagi, domani Santoro.

La disonestà intellettuale degli astuti vertici di viale Mazzini è granitica. Se fossero vagamente interessati a fare il loro mestiere, oggi si preoccuperebbero degli ascolti Rai, che in poche settimane sono precipitati a tutto vantaggio dell'azienda televisiva di proprietà del premier. Invece sembrano preoccupati solo di oscurare "Il Fatto", il programma di maggior ascolto e prestigio della tv pubblica. Un altro favore a Mediaset e al suo proprietario, anzi un doppio favore, economico e politico. D'altronde, non sono stati nominati per questo?

Non bastasse, il presidente Baldassarre e il direttore generale Saccà, quello che fa votare tutta la famiglia per Forza Italia (l'ha detto lui, non è una citazione da Il Padrino), hanno censurato come "offensive" un paio di battute di Enzo Biagi. Una riguardava il neo direttore di Raiuno Fabrizio Del Noce ("strappato dall'agricoltura, faceva Linea Verde"). Prima però non si erano scandalizzati del rifiuto di Del Noce di ricevere e rispondere a Enzo Biagi, che ha ottant'anni di vita, sessanta di giornalismo e 42 spesi alla Rai, con enorme successo. Né si erano scandalizzati delle scelte sballate con cui l'ex trasvolatore di campi di cavolfiori, scelto personalmente da Berlusconi, ha ridotto l'ammiraglia Raiuno ad ancella di Canale 5.

Biagi, che ha il torto di condurre una trasmissione molto amata, aveva chiesto a Del Noce soltanto di conoscere il proprio futuro. Non aveva "preteso il suo spazio", come sostiene in un attacco volgare e violento Giuliano Ferrara, il manganellatore di fiducia che il premier ha ereditato dall'amico Craxi. Uno bravo, uno che quando c'è da sostenere un presidente del consiglio contro un giornalista o un magistrato scomodo, non si tira mai indietro, come aveva già brillantemente dimostrato con il pestaggio a mezzo stampa di Indro Montanelli, interrotto solo dalla morte del "nemico". Nel gioco di squadra dei berluscones, il libero sfogo delle frustrazioni nel killeraggio personale serve a compensare l'umiliazione servile. Del resto, l'esempio viene dall'alto. Uno come Berlusconi, che ha un potere immenso, politico, mediatico, economico, e lo scaglia di volta in volta contro un singolo giornalista o magistrato o comico o regista, è l'espressione di una vigliaccheria senza limiti.

Ma più che gli aspetti umani, sui quali tocca rassegnarsi, è grave e ormai intollerabile l'attacco alle libertà fondamentali della democrazia. Qui non è più questione di questo o quel caso, di Benigni o Ronconi, Biagi o Santoro. Tantomeno è una questione di destra o sinistra o del pluralismo all'italiana, in salsa partitica. Il punto è che i governanti democratici non si occupano mai di punire questo o quel giornalista o artista, ma accettano "naturaliter" il diritto di critica. Bush non chiede il licenziamento di Dan Rather, che piccona la Casa Bianca un giorno sì e l'altro pure. Se ci provasse, l'opinione pubblica e il congresso glielo impedirebbero. Berlusconi chiede e ottiene la cacciata di Biagi nel silenzio servile di molti, di troppi. E perfino nel silenzio di chi, come il presidente Ciampi, dovrebbe garantire le libertà costituzionali. Non si può fingere che le censure intellettuali e il conflitto d'interessi non esistano o siano normali diatribe politiche, cose che accadono in tutte le democrazie.




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