Da LA STAMPA 22 febbraio 2004
Gli sfoghi di Berlusconi
Il mestiere dell'antipolitico
di Barbara Spinelli
FARE politica è un mestiere così duro che il presidente del
Consiglio quasi ha l’impressione di non farcela, e per questo se la prende di
nuovo, come agli esordi della sua avventura extra-aziendale, contro i politici
che "chiacchierano molto ma intanto rubano, rubano soldi ai cittadini". Dicono i
suoi fedeli che lo sfogo è stato provvidenziale, oltre che in perfetta sintonia
con le sensazioni di milioni d’italiani. Dicono che finalmente c’è qualcuno che
sfrontatamente dice una verità che tanti pensano, e che suscitare scandalo fa
bene alla nostra decadente democrazia, così come fece bene al cristianesimo
nascente la cacciata dei mercanti dal tempio ad opera di Gesù.
Ma di
questa politica Berlusconi deve sentirsi totalmente prigioniero, se a dieci anni
di distanza dalla nascita di Forza Italia e a tre da una vittoria che gli diede
una maggioranza assoluta in Parlamento si sente costretto a ripetere, immutato,
il primordiale gesto che nel ‘94 e nel 2001 gli portò grande fortuna, e che
caratterizzò prima il suo ingresso in politica, poi la vittoria sui partiti
allora governanti. Quel gesto viene riesumato tale e quale, sospendendo tutto
quel che nel frattempo la storia ha fatto accadere: viene abolito il tempo e
quel che il tempo ineluttabilmente produce e trasforma, vengono aboliti tre anni
di governo guidati da Berlusconi e la sconfitta dell’Ulivo nel 2001. È come se
Berlusconi dicesse: non abbiamo ancora vinto, anzi non abbiamo mai vinto, perché
la politica ha una forza tale che tutti ne siamo prigionieri e io stesso ne sono
tutt’ora prigioniero. Siamo ricaduti al punto di partenza, anzi al punto che
precede la partenza, quando ero all’opposizione, e io non sono riuscito a essere
quel che volevo: non sono un uomo libero, non posso fare quel che mi propongo.
Forse le parole del presidente del Consiglio sono ingegnosissime, di certo
occupano le prime pagine dei quotidiani e dei telegiornali. Ma l’immagine che
vien trasmessa non è forse così geniale come sembra: un uomo così prigioniero,
nonostante quasi tutte le leve del comando politico gli appartengano, non può
dire d’aver avuto successo.
Un uomo costretto a manipolare i servizi
televisivi nei modi denunciati da Giovanni Sartori sul Corriere del 19 febbraio
(le platee dell’Onu che abbiamo visto applaudirlo all’epoca in cui era
presidente dell’Unione europea erano un fotomontaggio: in realtà non
applaudivano il nostro premier ma Kofi Annan) è un uomo che ricorre a espedienti
non sapendo escogitare soluzioni, che riparte sempre da zero non essendo giunto
da nessuna parte. È un uomo che sembra addirittura credere di non aver fatto
nulla, se cerca le cause del proprio indebolimento non nelle politiche che non
ha fatto, ma nel mestiere stesso della politica. Un uomo così è come avesse un
tic nervoso, che lo spinge a dire sempre lo stesso slogan - politici, tutti
ladri - ma su questo slogan non edifica alcunché.
Naturalmente è
difficile sapere quel che gli italiani pensano in cuor loro, e cosa penseranno
nella solitudine imprevedibile delle urne. Forse sono ancora sensibili a quello
che appare come tic, forse sono maggioritariamente in sintonia con il disprezzo
che Berlusconi dice di nutrire per i politici, anche se nel frattempo si è
corretto ed ha assicurato di aver accennato solo a precisi esponenti
dell’opposizione. Forse gli italiani si identificano ancora con le sfrontatezze
del premier, e con lo schema che potremmo così riassumere: chi vive per la
politica, come succede all’imprenditore Berlusconi, non ne profitta perché le
sue fonti di ricchezza sono ben altre. Mentre chi vive della politica e ne ha
bisogno per guadagnarsi la vita è costitutivamente un chiacchierone e ladro. È
una distinzione che faceva anche Max Weber, che dedicò un saggio alla Politica
come Professione. Ma il filosofo tedesco aggiungeva: un mondo che esclude chi
vive della politica è interamente fondato sul reclutamento plutocratico, visto
che solo chi è straricco può permettersi il lusso di vivere per la politica. E
concludeva che era un bene che esistesse una professione dedita tutta alla
politica, anche se dalla politica traeva il suo sostentamento e forse proprio
per questo. Far politica infatti non può esser qualcosa di sporadico, di
occasionale. È un’arte che esige dedizione, proprio perché è dura e lenta a
produrre risultati. Weber stesso dice: "La politica consiste in un trivellare
lento e possente di duri assi di legno, da compiersi con passione e
discernimento al tempo stesso".
Oggi questa professione che consiste nel
lento trivellare di duri assi di legno non è ancora riabilitata, e le ragioni
non mancano. Gli anni che ci separano da Tangentopoli sono un passato che
nessuno si sforza davvero di far passare, sono una storia di melma e corruzione
del mestiere politico che Berlusconi stesso ha voluto che restasse melma, con il
suo continuo attacco a giudici e processi, ma che non cessa di essere melma per
il solo fatto che Berlusconi d’un tratto torna a servirsene con animo
giustizialista, per sporcare questo o quell’avversario oltre che, più in
segreto, questo o quell’alleato. Non c’è stata ancora una purificazione delle
memorie, per quanto riguarda quel passato di corruzione e abuso del potere, né
nell’ex Dc né nell’ex socialismo, né fra i repubblicani né fra gli ex Pci. E
quando la memoria viene così occultata o schivata, quando manca ogni seria
riflessione sul passato, tutti i colpi bassi diventano possibili, nulla viene
chiarito, e ogni cosa e il suo contrario restano in fondo vere. È vero, c’è chi
ha fatto illecitamente fortuna in politica, ma c’è anche chi l’ha fatta
illecitamente fuori di essa e profittando di essa. Se non si rompe
l’inconfessabile complicità fra il dentro e il fuori della politica, se il
politico di professione non spiega all’elettore come son stati ottenuti certi
averi, allora anche Berlusconi potrà continuare a schivare le domande
sull’origine delle sue ricchezze e il risultato sarà che la melma resterà
immutata, eterna, adoperabile da ciascuno nei modi più perversi. E alle urne
potremmo avere il disastro: gli italiani potrebbero allontanarsi da qualsiasi
politica, sia essa berlusconiana o dell’opposizione.
Chi tuona contro i
politici di professione ha trovato un espediente assai temerario. I tempi
infatti sono radicalmente mutati, rispetto agli Anni 90: oggi, a seguito dei
fatti Cirio e Parmalat, vediamo sui banchi degli imputati non più i corrotti ma
i corruttori, non più i politici ma piuttosto i banchieri e gli imprenditori che
fanno il mestiere con cui Berlusconi divenne ricco prima di entrare in politica.
Una nuova epoca si apre, e il premier rischia molto, con il suo gesto ripetitivo
e anacronistico. Inoltre gli italiani hanno altri miti, rispetto a quelli del
‘94 e 2001: resta la simpatia per Berlusconi, ma l’ammirazione dei più va oggi
al presidente Ciampi, che alla politica ha restituito molta della nobiltà
perduta. E poi ci sono altri segni della politica professionale che rinasce,
meno visibili solo perché meno seguiti dai mezzi di comunicazione.
Un
esempio estremo dell’esistenza di una forte aspirazione a ridar credibilità al
mestiere politico è il ricorso agli scioperi della fame, che i radicali hanno
istituzionalizzato. È il tentativo di conferire alla politica una dignità di
natura straordinaria, attraverso la messa in gioco di se stessi. Un parlamentare
europeo, Olivier Dupuis, è al 34° giorno di digiuno, e ha attirato l’attenzione
di alcuni dirigenti europei e del presidente della Commissione Prodi sul
genocidio che Putin sta attuando in Cecenia. Un deputato della Margherita,
Roberto Giachetti, digiuna contro la mancata discussione in Parlamento della
legge sul conflitto di interessi. Lo sciopero della fame può essere un mezzo
discutibile, ma nessuno può contestare la passione e la dedizione che esso
incarna: una passione prossima al sacrificio personale, per la politica allo
stato puro.
Questo significa che dipende da ciascuno di noi, fare in
modo che la politica appaia un nobile mestiere fatto di passione e anche
discernimento. Dipende da noi giornalisti, che non dovremmo star zitti quando un
applauso tributato a Kofi Annan viene proditoriamente regalato a Berlusconi.
Dipende da chi fa politica di professione, rispondere alle provocazioni con una
meditazione sul passato e con parole di verità. Berlusconi sta facendo una cosa
strana: davanti agli elettori, non si presenta come uno statista riuscito che ha
cominciato a riformare l’Italia (con le leggi sul lavoro, sulle pensioni). Si
presenta come uno schiavo di Michelangelo che invano cerca di divincolarsi dalla
pietra. Certo, è più facile far politica nelle dittature o negli stati di
guerra, perché nelle dittature la politica intesa come scelta fra due o più
alternative viene semplicemente abolita. Per questo c’è oggi chi volutamente
oltrepassa i recinti del professionismo politico, pur di mantener vivo il
carisma del capo, che in fondo non necessita di coalizioni. Bush si presenta
come president of war, come Presidente in stato di permanente mobilitazione
bellica. Berlusconi si presenta come professionista ormai rodato
dell’antipolitica, che non negozia con gli alleati ma li tiene sotto comando, e
che sembra considerare ogni critica dell’opposizione come un’aggressione cui è
lecito rispondere abusando del potere - a cominciare dal potere sulla Tv
pubblica. Siccome siamo ancora in democrazia, e la possibilità di scegliere
esiste ancora, spetta all’opposizione dimostrare che esiste un’alternativa
dignitosa e non sospettabile a questa fuga dalla
politica.
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