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Da LA STAMPA 21 dicembre 2003

Gheddafi sa di avere collezionato dal 1969, anno del golpe, a oggi una lunga serie di fallimenti, pur resistendo sulla scena internazionale

La conversione del Colonnello
alla rispettabilità

di Igor Man

BABBO Natale a Tripoli. Sotto l'albero, ai piedi del presepio allestito nella chiesa di San Francesco dove pregano i tanti cattolici (perloppiù edili) che lavorano nella Jamahiriya (governo delle masse) libica, insomma in Libia, Babbo Natale ha deposto un regalo tanto più bello perché inaspettato: Gheddafi esce, definitivamente (?), dal club miserabile che riunisce i cosiddetti "paesi canaglia". Quelli, per intenderci, che praticano o appoggiano il terrorismo, confezionando armi letali, chimiche e/o nucleari, per di più rifiutandosi, non senza jattanza, di firmare quei protocolli che dovrebbero impedire la proliferazione dell'atomica. Anche Israele non ha mai firmato qualcosa che abbia a che fare con il possesso del nucleare, obiettano, dall'altro ieri, non pochi paesi islamici e no tuttora e invano a caccia del fosco marchingegno col quale si fabbrica la bomba atomica. Non sanno, o fingono di ignorare, che Israele è un "caso a parte". Israele, nell'ottica delle grandi potenze occidentali, è un paese "accerchiato da almeno ottanta milioni di arabi" che altro non sognano "se non la sua sparizione". Anche al Qaid, la Guida, cioè il colonnello Gheddafi, ha sognato, a suo tempo, di eliminare quello che definiva "un corpo estraneo", "un tumore pernicioso" nel corpo gigantesco della (rissosa) Umma, la famiglia arabo-islamica. Lui, nano politico ma gigante economico, lottò in passato per convincere Sadat a fare dell'Egitto e della Libia "una sola nazione". Per eliminare Israele. Con i petrodollari libici, Sadat avrebbe senz'altro rimpinguato le sue anemiche casse, assicurando col suo (relativamente) poderoso esercito alla "sola nazione" un ruolo di tutto riguardo. Allorché la fusione sembrava "cosa fatta", Sadat frenò. Vanamente il colonnello mobilitò le sue (scarse) masse promuovendo la "marcia verde" sul Cairo al fine di convincere il raîss egiziano a "fondersi". Sadat fermò i marciatori a Marsa Matruh, né si commosse per l'appello, con relative firme, scritto col sangue degli stessi marciatori. Era il luglio del 1973, il raîss egiziano stava preparando l'el obur, l'attraversamento, cioè la guerra del Kippur, altro che fusione con colui che avrebbe, poi, definito "un povero mentecatto, diabolicamente pazzo". Uomo dall'ampia visione, a Gheddafi il suo piccolo paese è andato sempre stretto anche perché la Jamahirija è il caos organizzato, dove vige una sorta di maoismo islamico che si traduce in una continua, molesta opposizione interna, affatto verbale ma in ogni caso disturbante. Gheddafi ancorché ostenti un'aria svagata, sa perfettamente d'aver collezionato, dal 1969 ad oggi, tutta una serie di disastri, di fallimenti. Ha resistito sulla scena internazionale privilegiando due opzioni: il terrorismo come "arma dissuasiva" nei confronti dell'Occidente, una ambigua conflittualità con l'Italia. Negli 80 i sampietrini romani vennero lordati dal sangue di "fuorusciti" libici, eliminati da squadre speciali spedite dal colonnello. Il quale, tuttavia, da buon beduino, conosce bene l'arte della dissimulazione, la takkya, e infatti eccolo, nell'ottobre del 1989, spedire a Napoli la nave Garnata con 800 libici a bordo decisi a sbarcare "pacificamente" per reclamare "ampio risarcimento" pei delitti commessi dall'Italia negli anni tra il 1911 e il 1913. (Quanti furono i libici morti di stenti a Ustica, alle Tremiti in seguito alla deportazione perché "ribelli"?). Proprio mentre la Garnata arroventa il clima a Montecitorio, il colonnello in una intervista a un settimanale del Cairo ammette, per la prima volta, di aver finanziato il terrorismo internazionale, sino a quando non si è accorto che i vari gruppi armati in fatto lottavano contro mulini a vento, erano senza ideali e, più grave ancora: "non aiutavano la causa araba: il riscatto della Palestina". "Noi abbiamo ritirato ogni finanziamento a chi ci aveva ingannato, ne viene che nessuno possa chiamarci a rispondere di atti criminosi commessi dai terroristi". E' stato un errore, quello che abbiamo commesso, dice in buona sostanza il colonnello -, "il ricorso all'arma del terrorismo è un atto di viltà". Molti a Tripoli - libici e no - sostengono che l'infame attentato di Lockerbie ancorché opera d'uno spione libico, condannato a dura pena da un apposito tribunale internazionale, sia frutto di una cosiddetta "intossicazione" dei soliti "servizi deviati" dai soliti "nemici di Gheddafi". E' una tesi suggestiva che tuttavia non sembra aver convinto il colonnello. Che, come sappiamo, ha consegnato il colpevole (vero o presunto che sia) alla giustizia internazionale. Con ciò guadagnandosi la fine del lungo, punitivo, logorante embargo. Soltanto gli Stati Uniti han mantenuto l'embargo, invero pesante. Quegli stessi Stati Uniti che, come abbiamo appreso adesso, già da nove mesi ("il tempo di fare un bambino" ironizzano gli animosi Comitati Popolari, in perenne polemica con Gheddafi che però adorano) trattavano nel massimo segreto proprio con "il terrorista Gheddafi". Il sì della Libia alla distruzione di tutto il suo arsenale di armi non convenzionali; l'azzeramento di tutti i programmi per la costruzione di armi nucleari (ideati con il concorso della Corea del Nord), il libero accesso di ispettori ai siti sospetti di ospitare tuttora armi chimiche e biologiche, tutto questo insieme di "provvedimenti" dovrebbe permettere a Tripoli "di tornare a far parte, pienamente, della comunità internazionale", dichiara il premier britannico Blair, raggiante. Al quale fa eco un euforico Bush: "Sia gli Stati Uniti che il Regno Unito hanno avuto relazioni problematiche con Tripoli, dimodoché vigileremo affinché gli impegni assunti dal colonnello Gheddafi siano mantenuti. (Pausa, sorriso). Non è scritto da nessuna parte che le ostilità debbano proseguire in eterno". Se, dunque, al Qaid farà il bravo ragazzo, prima o poi anche le (severe) sanzioni americane cadranno. "La storica (sic) decisione di Tripoli, invero coraggiosa (sic), prova che si può disarmare un paese senza l'uso della forza", ha concluso Blair. Mentre Bush (che sente profumo di nuovo mandato) conclude augurandosi che "la scelta coraggiosa di Tripoli possa servire di esempio ad altri paesi". Quali, Mister President? E' vero che arrendendosi come un buffaiolo qualsiasi Saddam abbia detto: "Sono pronto a negoziare" ma sembra improbabile, a dir poco, che gli angloamericani, ancorché sottoposti ai tormenti di Gulliver - la piccola guerra, o guerriglia nazionalista-terroristica, continua a svenare i GI -, decidano di negoziare col tiranno-mascalzone. E' vero ch'egli sia pure non amato continui a colpire il cuore e la mente di larghissimi strati della (disgraziata) popolazione irachena, ma si può "negoziare" col Tiranno, ora? Forse si poteva "trattare" con lui prima della guerra. Forse. Ma quanto è accaduto lascia pensare che gli Stati Uniti dovevano invadere l'Iraq. La vittoria in Afghanistan fu senza trionfo (Osama, o il suo clone, continua a promettere castighi terribili) sicché bisognava rifarsi, assolutamente: per sperare in un secondo mandato, Bush - per spezzare la maglia del terrorismo (non importa se la più debole) impersonato dal fosco Saddam. Stupisce che dando notizia del clamoroso accadimento (il no al terrorismo di Gheddafi è un evento storico, lo si voglia o no), i nostri grandi alleati non abbiano fatto cenno al grande, paziente lavoro tessuto dalla nostra diplomazia. A spianare il terreno al colpo di teatro del ravvedimento di Gheddafi è stata in primo luogo l'Italia, già al tempo di Dini ministro degli Esteri. Anche il Presidente emerito della Repubblica, onorevole, professor Cossiga ha fatto la sua parte, e il ministro Pisanu, nonchè lo stesso Berlusconi, per non parlare di quanti italiani hanno affrontato l'argomento con quell'uomo saggio e colto ch'è il ministro degli Esteri libico Basham, finissimo poeta, già ambasciatore libico a Roma durante lunghi e non facili anni. Urge un interrogativo, come ci dicono le e-mail ricevute: il ravvedimento di Gheddafi avrà un fallout positivo sulla lotta al terrorismo di Bin Laden, lo Sceicco della Morte? Tenuto conto del fatto che Gheddafi è famoso per "metter naso" dappertutto, non è da escludere che i suoi apparentemente sfigati 007, liberati da ogni impedimento, scendano in pista. Se questo accadesse, Osama, o il suo clone, dovrà guardarsi le spalle. Dice un proverbio beduino: "Puoi picchiare un cammello tutta la vita ma non stupirti se un giorno improvvisamente, ti morderà".



Sorpresa degli esperti britannici, ma il settore più avanzato era quello chimico

La Libia era a un passo
dalla bomba atomica

di Paolo Mastrolilli

NEW YORK - Almeno cento tonnellate di agenti chimici, un programma nucleare condotto in dieci siti diversi che era arrivato ad un passo dalla bomba, e missili Scud da potenziare con l'aiuto della Corea del Nord. Questi erano i gioielli nell'arsenale del colonnello Gheddafi, che in parte sono già stati mostrati agli esperti di disarmo americani e britannici in una serie di ispezioni segrete e condotte nei mesi scorsi. Il settore in cui la Libia aveva ottenuto i risultati più concreti era quello chimico. All'inizio degli anni Ottanta, contando soprattutto sull'aiuto di aziende tedesche, Tripoli aveva costruito la fabbrica di Rabta, considerata dagli americani come la struttura più ampia nel Terzo mondo per la produzione di agenti letali. Vicino era stato aperto anche un centro per realizzare le testate da caricare con questi materiali. Le pressioni internazionali, comprese le minacce di bombardamenti da parte degli Stati Uniti, avevano obbligato Gheddafi a chiudere Rabta e trasformarla in uno stabilimento farmaceutico. Negli anni Novanta, però, il colonnello aveva cercato di rilanciare il suo programma chimico nella fabbrica sotterranea di Tarhunah, costruita con l'assistenza di compagnie thailandesi. Questa struttura doveva essere a prova di bomba, ma nel 1993 il governo di Bangkok aveva ordinato al proprio settore privato di interrompere ogni collaborazione con Tripoli, e nel 1997 anche Washington aveva confermato la cessazione delle attività in quel sito. Durante gli ultimi venti anni, però, questo programma è riuscito a produrre degli agenti chimici, nonostante tutte le difficoltà e le denunce internazionali. Gli esperti di intelligence stimano che la Libia abbia almeno 100 tonnellate di mustard gas, e forse anche alcuni agenti nervini più pericolosi tipo il sarin. Nel campo biologico Gheddafi aveva avviato un programma, ma gli esperti di disarmo sembrano concordare sul fatto che era rimasto allo stadio della ricerca e dello sviluppo. A meno di soprese, insomma, il suo arsenale non dovrebbe contenere armi come l'antrace già pronte all'uso. L'avanzamento del settore nucleare, a giudicare dalle prime indiscrezioni, è quello che ha sorpreso di più gli analisti britannici e americani. Si sapeva che il colonnello, con l'aiuto dell'Unione Sovietica, aveva costruito nel 1981 un piccolo reattore da 10 megawatt a Tajura, vicino Tripoli, ma si pensava che anche questa struttura fosse rimasta allo stadio della ricerca. Secondo l'intelligence occidentale la pressione internazionale, e le sanzioni imposte dopo l'attentato di Lockerbie, avevano impedito alla Libia di ottenere le forniture tecnologiche necessarie per costruire la bomba. Adesso invece gli inglesi sostengono che il programma nucleare era sparso in almeno dieci strutture diverse, ed era molto più avanzato di quanto non si pensasse. Gheddafi aveva cercato aiuto in Cina, Pakistan, Unione Sovietica, e nell'Europa orientale del dopocomunismo anche se non aveva ancora realizzato un ordigno, ci era andato molto vicino, costruendo almeno due centrifughe per l'arricchimento dell'uranio. Un altro settore in cui Tripoli restava parecchio attiva era quello dei missili e degli aerei per lanciare o sganciare le armi prodotte. Di sicuro il colonnello aveva diversi Scud, vettori FROG, e bombardieri di medio raggio Tu-22. Questa parte dell'arsenale, potenzialmente capace di colpire anche l'Italia, era quella più decrepita. Gli Scud erano vecchi e la flotta aerea soffriva le conseguenze dell'embargo. Gheddafi, però, aveva tenuto aperto un canale con la Corea del Nord, nella speranza di potenziare e aggiornare i suoi Scud, oppure di comprare i missili No Dong. Finora non ci era riuscito, ma i contatti proseguivano. Secondo l'intelligence americana, poi, a metà degli anni Novanta alcuni tecnici di Baghdad erano andati a Tripoli. Il loro obiettivo era rilanciare il programma missilistico libico Al Fatah, o fonderlo nello sviluppo del vettore iracheno Badr 2000, ma questa collaborazione si era interrotta da tempo.



Washington vede una vittoria della politica dei muscoli, Europa, Russia e Cina un trionfo della trattativa. I familiari di Lockerbie: Bush cinico

Gheddafi jr: l'Iraq non c'entra
con la nostra scelta

di Paolo Mastrolilli

NEW YORK - La Libia incassa gli elogi internazionali per la rinuncia alle armi di distruzione di massa, invia una squadra di tecnici a Vienna per discutere subito con l'Aiea i particolari dei suoi programmi nucleari da smantellare, e assicura per bocca del figlio del colonnello Gheddafi che la guerra in Iraq non ha avuto alcun peso nella decisione del padre. Ma mentre i famigliari delle vittime di Lockerbie criticano la Casa Bianca, accusandola di essere pronta a vendere la memoria dei loro cari, il dibattito internazionale si concentra proprio su questo punto: Tripoli ha ceduto per non fare la fine di Baghdad, oppure la sua svolta è frutto della paziente pressione diplomatica, sommata alle sanzioni economiche? La prima ipotesi segnerebbe un successo per la dottrina della guerra preventiva del presidente americano Bush, mentre la seconda darebbe ragione a chi preferisce usare la forza militare solo come ultima risorsa. La Libia ha voluto dimostrare subito che fa sul serio, e già ieri ha inviato a Vienna il segretario del Consiglio nazionale per la ricerca scientifica. Aveva un appuntamento con Mohamed El Baradei, direttore dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica, allo scopo di discutere i passi da compiere per eliminare il programma nucleare sotto la supervisione internazionale. Il colonnello Gheddafi, che ha negoziato di persona l'accordo durante una serie di incontri segreti notturni con agenti della Cia, non ha commentato l'intesa raggiunta con Bush e Blair, ma al suo posto ha parlato il figlio, Saif al-Islam: "La guerra in Iraq - ha detto - è stata irrilevante per la nostra scelta. I negoziati segreti erano cominciati prima dell'invasione, e l'intesa è stata raggiunta due settimana fa, cioè prima della cattura di Saddam. Abbiamo preso questa decisone alla fine di un processo di riavvicinamento durato anni, e adesso ci aspettiamo di stabilire nuovi rapporti con gli Stati Uniti e il mondo occidentale in generale, rimuovendo le potenziali minacce che gravavano sul nostro paese. Quanto alle armi, quando le sanzioni verranno completamente eliminate, avremo legalmente accesso alla tecnologia convenzionale". Venerdì il presidente Bush aveva lasciato intendere di considerare la svolta di Tripoli come un successo della sua linea del pugno di ferro, e ieri il ministro degli Esteri britannico Straw, pur riconoscendo che "il risultato è stato frutto di anni di difficile diplomazia", ha fatto una considerazione da lasciare agli storici: "Se Saddam si fosse presentato da noi con le stesse intenzioni di Gheddafi un anno fa, o magari prima, forse le cose sarebbero andate diversamente". Non la pensano così il ministro degli Esteri russo Ivanov, il collega cinese Liu Jianchao, e il responsabile della politica estera europea Solana, che hanno usato i loro commenti per lanciare critiche oblique a Washington. "La decisione libica - ha detto Ivanov - conferma ancora una volta l'efficacia degli sforzi politici e diplomatici e del dialogo, nella ricerca di soluzioni per i complicati problemi internazionali". Questa svolta, secondo Solana, "prova chiaramente che la diplomazia può vincere sulla proliferazione delle armi nucleari, biologiche e chimiche". Liu ha aggiunto che "gli approcci politici e diplomatici sono i più efficaci per raggiungere gli obiettivi della non proliferazione". Alcuni analisti, invece, pensano che Gheddafi, sentendosi minacciato personalmente tanto da Al Qaeda quanto dagli Stati Uniti, abbia scelto di accordarsi con Washington promettendo di collaborare anche alla guerra al terrorismo. I familiari americani delle vittime di Lockerbie non sono rimasti contenti, nonostante la Libia abbia preso l'impegno a compensarli con 2,7 miliardi di dollari, che potrebbero salire nel momento in cui Washington togliesse le sanzioni bilaterali, rimaste in piedi nonostante l'Onu abbia cancellato le sue il 12 settembre scorso. Secondo il loro portavoce, Bert Ammerman, "è stato molto cinico da parte di Bush e Blair definire quell'accordo come un grande passo avanti, quando hanno a che fare con una persona responsabile del massacro di 189 americani. Se qualcun altro era al potere, avrei appoggiato l'intesa, ma non Gheddafi. Non posso credere alla sua buona fede. Allora perché non ristabiliamo le relazioni con Fidel Castro, che in trent'anni non ha fatto nulla e non ha ucciso neppure un americano?". I familiari temono che dietro ci sia l'interesse economico: prima dell'embargo, infatti, le compagnie petrolifere Usa estraevano dalla Libia un milione di barili al giorno, che finite le sanzioni potrebbero riprendere a scorrere e raddoppiare nel giro di 5 anni.




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