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DIBATTITO SULLA
GUERRA IN AFGHANISTAN

da Gazzetta d'Alba del 21 novembre 2001

Riflessioni a proposito di conflitti "giusti" e di vittime innocenti

Ogni guerra avventura senza ritorno

di mons.Sebastiano Dho

Avventura senza ritorno: questa definizione lapidaria delle guerre, di ogni guerra, data da Giovanni Paolo II fin dai tempi dell’intervento militare americano nel Golfo, dovrebbe risuonare quale richiamo martellante e ineludibile, almeno per i cattolici tutti, pastori e fedeli laici, in questi drammatici momenti in cui stranamente sembrano prevalere dubbi al riguardo o un imbarazzante silenzio che finisce per attutire i rinnovati moniti del Pontefice.

Non pochi credenti, più attenti e sensibili alle problematiche della giustizia e della pace, si chiedono come mai, a livello di responsabili pastorali italiani, non si faccia debita eco alle prese di posizione chiare e coraggiose non di ideologi o estremisti politici, ma del Papa. Si interrogano e soffrono perché sinceramente pensano che la Chiesa debba essere più profetica e meno preoccupata di allinearsi alle scelte, peraltro legittime, di questo o quel governo.

Si tratta infatti di responsabilità diverse per cui, senza negare le competenze di chi rappresenta la pubblica autorità, non si può dimenticare che la Chiesa, a livello di annuncio e di denuncia, è chiamata a pronunciarsi, quando necessario, in modo diverso dalla logica mondana del potere, soprattutto in difesa della vita degli innocenti, che hanno tutti lo stesso valore e la stessa dignità, dalle vittime di New York a quelle dell’Afghanistan e a tante altre.

In effetti, parecchi diocesani, sacerdoti e laici, hanno richiesto una parola semplice, ma chiara, a chi porta la responsabilità di guidare la Chiesa, non solo a proposito della strage operata dai terroristi in Usa, ma pure sulla reazione, in primo tempo autoproclamatasi "giustizia infinita", da parte degli americani e dei loro alleati, con i bombardamenti e i massacri delle povere e innocenti popolazioni afghane. Credo sia giusto tentare di dare una risposta onesta a queste attese, senza alcuna pretesa di infallibilità, ma pure senza timore di scontentare qualcuno.

1. Innanzitutto mi pare importante denunciare la capziosità del dilemma molto gridato: "Chi non accetta la guerra proclamata dagli Usa sta con i terroristi". Si può e si deve condannare ogni forma di terrorismo, non solo quello contro l’America, e nel tempo stesso dissentire legittimamente dal modo con cui si vuole eliminare il gravissimo pericolo.

2. Ma possono esistere (ancora) guerre "giuste"? Prescindendo da ogni discussione storica, ci limitiamo a ciò che oggi emerge a livello di magistero e di riflessione teologica ecclesiale. È vero che il Vaticano II, quando nella costituzione pastorale Gaudium et spes tratta il problema della guerra, al n. 79 ammette che, "finché non vi sarà un’autorità internazionale competente munita di forze efficaci, una volta esaurite tutte le possibilità di un pacifico accomodamento, non si potrà negare ai governi il diritto alla legittima difesa", ma, subito dopo, il Concilio continua con altre affermazioni, tali da rendere praticamente impossibile l’applicazione concreta di questa possibilità teorica. Infatti, dopo aver brevemente descritto, e solo in parte (siamo nel 1965!), l’inumana tecnica bellica moderna, sostiene che comunque "ogni atto di guerra che indiscriminatamente mira alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti è delitto contro Dio e contro la stessa umanità e con fermezza e senza esitazione deve essere condannato" (n. 80).

Il Vaticano II condanna perciò la guerra "totale" che di fatto mira a far vincere non importa come (è il caso dell’uso di armi nucleari, già tristemente collaudato proprio dagli Usa in Giappone). E per questo recentemente il cardinale Ratzinger ha dichiarato che "le risposte elaborate dalla tradizione cristiana, a proposito della guerra di difesa, devono essere aggiornate sulla base delle nuove possibilità di distruzione, dei nuovi pericoli. Provocare, ad esempio, con una bomba atomica la distruzione dell’umanità, può forse anche escludere ogni difesa".

3. Ma si impone un’ulteriore precisazione. È nella natura intrinseca della guerra che l’uomo sia armato per colpire e uccidere un altro uomo. Ciò senza alcun rapporto diretto con un avversario, come avviene in caso di legittima difesa. La quale, peraltro, anche quando è giustificabile, lascia sempre un segno indelebile e traumatizzante in una coscienza sensibile.

4. L’assurdità e l’immoralità della guerra consistono esattamente in questo: essa fa delle vittime non solo in coloro che sono colpiti a morte senza essere responsabili di alcun crimine e quindi innocenti, ma, con una logica perversa intrinseca alla natura della guerra stessa, fa delle vittime pure in coloro che colpiscono, perché diventano uomini costretti a uccidere altri uomini, a togliere la vita a fratelli e a ferire la propria per sempre. Questa pare essere la verità scomoda, ma autentica, al di là di ogni desueta retorica.

5. Senza pretendere affatto di giudicare o condannare alcuno, specie coloro che devono decidere della vita degli altri, a cominciare dai propri cittadini mandati a morire, non si può sottacere la perplessità che nasce dal fatto che in tanti altri casi di conflitti e di veri e propri massacri ci si sia ben guardati dall’intervenire, dando così l’impressione che alcune vittime siano più vittime di altre.

6. In ogni caso, pare che sia da ricordare un vecchio principio morale, sempre valido, per cui altro è sopportare il male fatto da altri e tentare di difendersi; altro è positivamente e direttamente causarne uno peggiore da parte nostra. Dimenticare questo significa cadere dalla logica della giustizia a quella della vendetta o rappresaglia, tipica del dramma israeliano e palestinese. Se vogliamo essere minimamente coerenti con il Vangelo, il magistero del Vaticano II e di Giovanni Paolo II, questa dovrebbe essere l’indicazione cristiana per un retto giudizio di coscienza di tutti coloro i quali dicono di riferirsi a questo insegnamento, compresi i parlamentari italiani che hanno votato per la guerra in grande maggioranza, a parte le (troppo) poche eccezioni.

7. Non possiamo concludere questa riflessione senza ricordare che, al di là delle decisioni dei potenti di turno, per noi esiste sempre un modo tipico di impegno: la preghiera a Dio, l’unico capace di toccare menti e cuori per costruire progetti di pace per tutti; naturalmente invocandolo non perché ci dia ragione ("Dio è con noi!"), ma perché ci converta. Dio, infatti, non sta dalla parte di nessuno, se non dei più deboli e degli ultimi. Soprattutto, non benedice mai la guerra, ma la pace. Sempre!

monsignor Sebastiano Dho, vescovo di Alba




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