Da LA REPUBBLICA 20 ottobre 2001
La rimozione di Tano Grasso da commissario dell'antiracket: lo Stato non protegge più i suoi servitori più esposti
Quando parte la risacca della mafia
di Giorgio Bocca
Tano Grasso il primo commerciante siciliano che si ribellò al
pizzo della Onorata società non è più commissario dell'antiracket: con rapida e
strisciante decisione lo ha rimosso dall'incarico il ministro della risacca
Scajola, si torna alla normalità indicata testé da un altro ministro, quello
delle Infrastrutture Lunardi: "Con la Mafia dobbiamo convivere". I debiti vanno
pagati, la vittoria elettorale della destra in sessantun collegi siciliani su
sessantuno va onorata. La notizia della rimozione di Grasso è stata ignorata, o
data con il minimo risalto, dai mezzi di informazione nazionali così come quel
suo corollario che è l'abolizione delle scorte ai magistrati in prima linea
nella lotta alla Mafia o nelle ultime indagini su Tangentopoli. Con il plauso
dell'avvocato Taormina e degli altri avvocati bloccarogatorie che stanno al
governo e nella indifferenza ormai scontata della pubblica opinione. Quando
parte la risacca della Mafia è come se un'Italia sino a ieri vigile e ardita
scivolasse verso il nulla.
I giudici coraggiosi subiscono o chiedono il
trasferimento, sostituiti da quelli con le facce di pietra e il sedere di ferro.
Non dimenticherò mai la grande risacca dopo l'assassinio del generale Dalla
Chiesa sostituito dal prefetto De Francesco. Prefettura e Questura cadute in un
silenzio tombale, i collaboratori di Dalla Chiesa introvabili o muti, De
Francesco nel suo ufficio seduto impettito, con un viso immobile da divinità
incaica. Rispondeva a monosillabi, evasivi, distante come il potere che sa e non
parla interrogato da un signor nessuno. Ritorna così la stagione del grande gelo
fra le palme e i fiori di zagara: il giudice La Torre faceva fare le perizie a
Londra, non si fidava dei luminari palermitani, i giudici Costa e Chinnici
andavano su e giù in ascensore per parlarsi senza essere ascoltati, Borsellino
in esilio a Trapani, Falcone a Roma, fra le scartoffie, commissari e brigadieri
onesti in viaggio verso il continente... La risacca mafiosa è leggibile solo
dagli esperti nei suoi simboli, gli altri non devono capire o far finta di non
capire. Sessantun collegi su sessantuno regalati alla destra alle elezioni
nazionali neppur uno all'opposizione: quale messaggio più chiaro? Tutta l'isola
come Trapani, come Mazara del Vallo come i feudi di Riina e di Bontade allineata
in un voto di impudente unanimità e l'informazione nazionale non ha fiatato,
nessuno fiata quando la risacca sta trascinando con sé memorie e coraggio
civile. Notori "amici degli amici" ai primi posti nelle liste del partito di
governo, del resto una storia vecchia, dagli anni dell'Unità e anche dopo, negli
anni di Giolitti. La risacca è anche il silenzio delle lupare. Non ce n'è più
bisogno: all'assemblea regionale sono arrivati gli uomini del sacco urbanistico
nelle città e sulle coste, e hanno subito aumentato gli stipendi ai loro amici,
rimborsato quelli a cui è stata abbattuta la casa abusiva e ora si preparano
alla spartizione della valanga di miliardi che stanno per arrivare dall'Europa.
La normalità... I procuratori fastidiosi come Caselli sono stati spediti a
Bruxelles a mangiare crauti e a bere birra, i grandi boss in carcere come il
Pippo Calò, non rinnegano la mafia ma si riposizionano in quella senza sangue e
stragi che non c'è mai stata, al matrimonio della figlia di Riina sono arrivati
in centinaia, in abiti da cerimonia, il carcere duro si ammorbidisce, i politici
del "concorso esterno" vengono assolti, siedono in Parlamento e a buon punto
arriva anche il messaggio simbolico della riduzione delle scorte. Servivano a
poco: tutte le volte che la Mafia ha deciso di uccidere un magistrato lo ha
ucciso, le scorte di Falcone e di Borsellino sono volate in pezzi come i loro
protetti. Ma il segno è chiaro: abbiamo firmato un tacito (e vergognoso) patto
per la convivenza di cui parla il ministro delle Pubbliche strutture, con i
mafiosi d'ordine abbiamo ricominciato a fare affari e a spartirci gli appalti.
Al danno si aggiunge anche la beffa perché mentre si riducono le scorte degli
onesti rimangono quelle che devono sorvegliare i mafiosi al confino o agli
arresti domiciliari grazie ai falsi certificati di malattia di cui quasi tutti
sono forniti: migliaia di carabinieri, di poliziotti per i piantonamenti e le
traduzioni da un tribunale all'altro. Nella sola provincia di Caserta in un anno
sono stati impegnati 16 mila carabinieri e 5 mila poliziotti. Dice il
presidente della Commissione del Csm per la criminalità organizzata: "Il
messaggio è chiarissimo. Lo Stato non vuole più proteggere i suoi servitori più
esposti. È un giorno nero per la Repubblica italiana". Ma i giorni neri passano
uno dopo l'altro come i grani di un rosario senza fine. Nascosti dietro la
guerra dell'Afghanistan e la minaccia terroristica.
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