Da LA REPUBBLICA 20 aprile 2002
L'ultima e allarmante gaffe del Cavaliere che parla da padrone della televisione pubblica
Il demone del premier
di Michele Serra
La stolta brutalità della sortita di Berlusconi sulla Rai ha un
unico merito (involontario): costringere anche gli ultimi distratti a sbattere
la fronte sul conflitto di interessi. Il premier del paese, nonché proprietario
di Mediaset, ha parlato da padrone della televisione pubblica, chiudendo il
cerchio del più surreale accumulo di potere politico e mediatico mai visto in
democrazia.
Che lo abbia fatto nella convinzione assoluta di essere nel
giusto, e anzi di riparare a un torto "criminoso" (avere la Rai dato voce, fin
qui, anche ai suoi oppositori), è l'ennesima dimostrazione di una visione del
mondo faziosa e quasi paranoide.
Sia o non sia un regime quello che
l'uomo di Arcore presiede, è comunque un potere ingordo e al tempo stesso
insicuro: perché solo l'insicurezza e la paura possono spingere un capo di
governo, per giunta forte di un solido consenso elettorale e parlamentare, a
sbocchi di prepotenza così maldestri e trafelati.
Profittare di un
microfono bulgaro per purgare i palinsesti non è una delle tante gaffes o
volgarità alle quali questo viaggiatore ciarliero ci ha abituati (quando va
all'estero perde le inibizioni, come gli impiegati in viaggio-premio). E' uno
sfregio che lo stesso Berlusconi infligge a se stesso e al proprio ruolo
istituzionale, un'autoumiliazione così stupida e grave da far trasalire anche i
suoi osteggiatori più acerrimi, che non hanno nemmeno la tentazione di
divertirsi per l'inciampo, tanto pesante e allarmante, questa volta, è
l'impressione di debolezza e arroganza (l'una conseguenza
dell'altra).
Berlusconi vuole essere amato da tutti, senza eccezione
alcuna. Questo demone mina alle radici il suo aplomb psicologico e semplicemente
cancella la grande finzione che è l'anima della sua avventura politica, e cioè
quella di essere un "moderato". Di moderato il nostro premier non ha nulla, a
partire dalla smodatezza delle sue proprietà e del suo potere e dalla incapacità
congenita di tollerare le critiche altrui e, con esse, i limiti del proprio
ruolo. Il senso del limite è l'essenza stessa del moderatismo. E un presidente
del Consiglio che usa il proprio mandato per regolare i suoi conticini privati
con due giornalisti e un comico, oltre a dimostrarsi un poveruomo, dimostra di
non avere idea neppure vaga del concetto di limite.
Ha poi provveduto la
reggenza Rai, il giorno dopo, a speziare ulteriormente la frittata sconsigliando
vivamente allo staff di Fiorello di invitare Fabio Fazio, ospite indesiderato.
Neppure la scaletta dei varietà può sfuggire al regolamento di conti in corso.
Il particolare sarebbe solo grottesco se non mettesse a nudo l'accanimento
mediatico sul quale il berlusconismo ha fondato il suo verbo.
Se non si
è mai visto al mondo un premier che comunica urbi et orbi chi può esibirsi in
prima serata e chi no, è perché non si è mai visto al mondo un premier partorito
direttamente dal televisore. Viene il sospetto che la politica e il potere, per
Berlusconi, siano solo un incidente per coronare il suo sogno televisivo: fare
l'autore di sei palinsesti completi, cantare finalmente a reti unificate le
canzoni di Trenet (povero Trenet), essere circondato e consolato da quegli
applausi a comando che solo certi varietà garantiscono. Potersi esibire a
rischio zero, al riparo dai fischi, per un pubblico di soli amici e sodali, è
cosa che, tra l'altro, non accende la fantasia degli artisti, ma dei guitti in
cerca di rassicurazione.
Al di là di ogni considerazione politica, nel
fondo di questa patologia della personalità non si riesce a vedere nulla ma
proprio nulla di buono e di rassicurante. Un capo che perde le staffe al primo
sberleffo di palcoscenico, al primo editoriale ostile, è comunque un pessimo
capo, qualunque sia il suo programma politico. E' un capo debole, vulnerabile,
facile preda dei suoi malumori e della sua ansia di vendetta.
Resterebbe
da sperare che il suo staff sia sufficientemente munito da metterlo in guardia,
supplicandolo di non occuparsi più, almeno in pubblico, delle scalette
televisive. Ma c'è da temere che il suo staff sia stato allestito con gli stessi
criteri che ispirano il Berlusconi padrone della Rai: fuori dalle scatole
chiunque non mi onori e non mi ami.
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