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Da EUROPA del 20 febbraio 2004

La proposta sulle pensioni che il governo ha presentato ieri alle parti sociali contiene elementi innovativi ma non sufficienti

Perché sulle pensioni non ci siamo

di Tiziano Treu

La proposta sulle pensioni che il governo ha presentato ieri alle parti sociali contiene elementi innovativi rispetto alle proposte precedenti. Sono stati eliminati alcuni contenuti molto negativi su cui il governo aveva insistito sinora, come la decontribuzione sui nuovi assunti e la obbligatorietà del trattamento di fine rapporto. Questa è stata sostituita dal meccanismo del cosiddetto silenzio-assenso. Queste modifiche dell'atteggiamento governativo rispondono alle critiche avanzate dalle opposizioni. Ne prendiamo atto con soddisfazione. Ma esistono altre questioni importanti sulle quali noi abbiamo più volte sollecitato il governo, senza ricevere alcuna risposta, se non negativa. Quindi la risposta complessiva rimane per noi insufficiente. Anzitutto, il governo non vuole inserire le proposte sulle pensioni nel contesto più ampio di una riforma di un potenziamento del welfare. Così non dà risposta ad alcune delle istanze per noi fondamentali che rispondono a bisogni urgenti dei lavoratori; in particolare l'esigenza dei lavoratori precari e discontinui di essere sostenuti nel loro percorso pensionistico con contributi figurativi per i periodi di inattività, in modo tale da arrivare effettivamente a una pensione adeguata; l'urgenza di tutelare il potere d'acquisto delle pensioni, soprattutto quelle minime dalla erosione del potere d'acquisto; la necessità di assistere gli anziani non autosufficienti. La novità più discussa è quella che riguarda le condizioni di accesso alla pensione. Lo "scalone" abnorme previsto nella proposta originaria è ridotto. Non è più di cinque anni: cioè non si richiede che nel 2008 si abbiano 40 anni di contributi, si richiede la possibilità di andare in pensione con 35 anni di contributi ma con 60 anni di età (nel 2008) e 62- 63 negli anni successivi. Ma l'innalzamento dei requisiti di accesso resta eccessivo, obbligatorio e ingiustificato. La nostra proposta è ispirata a una logica ben diversa. Si riallaccia alla legge Dini e alla verifica stabilita per il 2005, prevedendo che si adatti il sistema dei coefficienti di trasformazione per il calcolo della pensione alla diversa aspettativa di vita, che è l'elemento decisivo per mantenere il sistema in equilibrio. Per questo abbiamo sostenuto che essendo l'aspettativa di vita cresciuta di due anni dal 1995, il lavoratore abbia la possibilità di conservare l'accesso alla pensione a 57 anni ma con una copertura pensionistica ridotta (perché spalmata su due anni in più di lavoro) ovvero di prolungare l'attività fino a 59 anni (più i 35 di contributi si arriva a quota 94) per mantenere l'attuale copertura pensionistica. Il prolungamento è volontario, ma è opportuno, per non ridurre l'importo di pensioni non adeguate. Alzare la quota fino a 95-96-97 - come propone il governo - conferma che la sua intenzione non è di adattare il sistema ma di ridurre le pensioni. Per fare cassa. Il peggioramento è ancora più grave, perché si vogliono abolire finestre di uscita pensionistica (che significa alzare ancora di più le condizioni di accesso). D'altra parte il governo non dà nessuna risposta ai giovani precari, ai pensionati meno fortunati, agli anziani autosufficienti. Di fronte a queste nuove proposte del governo discuteremo con le altre forze dell'Ulivo e con i sindacati sul da farsi. Ma riscontriamo fin d'ora che esse, di sicuro, non rispondono alle esigenze di un welfare più giusto e moderno.




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