Logo Margherita
Pagina iniziale
Rassegna stampa locale
Rassegna stampa nazionale
Approfondimenti

Da LA STAMPA 18 novembre 2001

L'integralismo è la versione moderna e falsamente religiosa del totalitarismo già sperimentato nel Novecento

Il narcisismo ferito dell'Islam

di Barbara Spinelli

Alla fine sono stati gli afghani a liberarsi del regime taleban, con l’aiuto dell’aviazione americana e britannica. Altrimenti l’islamismo integralista non si sarebbe così repentinamente dissolto, trasformando una disfatta bellica in fuga precipitosa dalla capitale politica. E’ bastato che i liberatori dell’Alleanza del Nord entrassero a Kabul, il 13 novembre, e subito si è visto come un popolo di uomini ridotti in servitù fosse ansioso di vivere la condizione di cittadini del mondo: cittadini che ascoltano musica per strada o nei caffè come a New York o a Roma, cittadini che vendono e comprano televisori, cittadini che popolano il proprio orizzonte di immagini, come ciascuno di noi è abituato a fare e come viene condannato dalle scuole coraniche.

E’ quello che avevano segretamente anelato, in tutti questi anni: che avevano dovuto reprimere e fingere di dimenticare. Il mondo si è accampato di nuovo davanti ai loro occhi e assieme ad esso ha fatto ingresso anche la famigerata mondializzazione. E’ entrata con tutti i suoi difetti e inconvenienti ma è entrata pur sempre come oggetto di desiderio: non prendeva la forma di un’occupazione di tipo sovietico né quella di una tirannide narco-religiosa di tipo taleban. I cronisti raccontano che i televisori proibiti giacevano come ibernati nelle retrobotteghe, in attesa del giorno di liberazione cui tanti anelavano. Sarà complicato adesso costruire la pace ma un primo passo è stato compiuto, e con stupefacente rapidità.

E’ la stessa stupefazione assorta, colma di interrogativi ma anche di speranza, che si legge sul volto di quella giovane donna che tra le prime ha osato alzare il burqa e mostrare il viso alle telecamere, martedì, senza più tema dell’acido nitrico che i taleban promettevano ai volti femminili che si fossero mostrati nella loro nudità. Alla fine è accaduto quello che i pacifisti non avevano intuito, in Occidente: questa guerra contro un regime terrorista non solo era necessaria. Si è rivelata anche utile, e comunque agognata come travaglio liberatorio dalle popolazioni locali.

Anche Thomas Mann, nella Seconda guerra mondiale, sospirava la sconfitta bellica della patria tedesca, molto amata e tuttavia deturpata dai demoni nazisti. I taleban del mullah Omar e di Bin Laden si sono dileguati in poche ore nella capitale afghana, dopo 37 giorni di battaglia, per la semplice ragione che non avevano appoggi nella società che avevano piegato, umiliato, impoverito. Da questo punto di vista la guerra è servita come lezione per noi occidentali, che abbiamo così spesso tremato e dubitato. Che siamo stati così spesso impazienti.

Ancora una volta - Enzo Bettiza lo ha spiegato bene su queste colonne - si è visto come pacifisti e anti-global avessero sbagliato non pochi calcoli. In ultima analisi sono stati i nostri pacifisti a mostrarsi compiacenti verso i taleban, assai più a lungo e tenacemente degli abitanti stessi dell'Afghanistan. D’altronde è quel che accade spesso, quando cadono i totalitarismi atei o religiosi: a Praga come a Berlino Est, a Belgrado come a Mosca o a Kabul, i Muri non sarebbero mai caduti se i politici avessero ascoltato le suppliche del pacifismo politico e l’invito a patteggiare con i despoti. La battaglia non ancora conclusa ma già vittoriosa nella capitale afghana potrà rivelarsi salutare, soprattutto nei paesi (Italia e Germania) dove il doppio rifiuto della mondializzazione e delle guerre antitotalitarie è forte.

Chi ha denunciato la guerra e l’ha interpretata come arroganza imperiale americana sarà forse spinto a meditare sulle proprie ambiguità, sulle proprie paure, ma anche sulla propria indifferenza al vero patire dei popoli. Sarà spinto a meditare sulla propria condiscendenza verso i totalitari: condiscendenza che rischia di divenire un sentimento ciclico dei pacifisti. A meditare sulla globalizzazione, che necessita di essenziali correzioni e di una più consapevole instaurazione della legalità internazionale, ma che resta pur sempre un obiettivo desiderabile, per molti popoli condannati al silenzio radio e addirittura all’abolizione della musica; ai burqa o ai veli imposti come fossero stelle di David cucite sull’abito; all’autarchia economica, mentale e religiosa.

Bin Laden ancora non è stato sconfitto e altri capimafia integralisti come lui faranno irruzione - i pretesti non mancano, e la stessa mondializzazione è troppo spesso presentata come rimedio miracoloso a ogni male - ma il muro che abbiamo più volte visto alle spalle del leader di Al Qaeda, il muro cavernoso che è simbolo e fulcro della sua proposta, comincia a infrangersi. Ma non si infrange solo in Occidente. La più pregnante utilità di questa guerra la si vede nel mondo musulmano, che naturalmente produrrà nuovi Bin Laden a seguito della campagna afghana ma che in cambio cessa d’un tratto di essere monolitico. Che comincia a interrogare se stesso, e che è stato probabilmente colpito dalla determinazione politico-militare dell’Occidente.

Siamo ancora lontani da un ravvedimento, dalla scoperta della democrazia e soprattutto della laicità. Ma non è casuale che nelle ultime settimane alcune voci profondamente sdegnate siano udibili in quel mondo: decise a respingere l’idea di un liberatorio conflitto planetario tra culture, e a pensare una comune nozione di civiltà e di diritti umani. Decise a denunciare l’uso che il fanatismo criminale fa di termini nobili come emancipazione, lotta alla povertà, manifestazione di rivolta, resistenza ai soprusi coloniali, fedeltà religiosa. C’è chi comincia a parlare di una benefica ferita inferta al narcisismo, provocata dalla guerra. Narcisismo che sarebbe la molla segreta dell’integralista convertito alla droga del terrore, del politico islamico che indossa gli abiti del credente musulmano.

E’ la tesi sostenuta con lucidità da Afif Lakhdar, in un articolo apparso sul giornale arabo Al Hayat di Londra e pubblicata oggi su La Stampa. Secondo lo scrittore tunisino, l’integralismo è la versione moderna e falsamente religiosa del totalitarismo già sperimentato nel Novecento. Il non riconoscimento dell’altro, lo spirito del collettivo che soggioga l’individuo e i diritti della persona, il culto della morte e del "padre sociale" che s’incarna nei capipopolo e negli imam: questi i suoi punti di forza, che occorrerebbe ripensare e mettere finalmente in causa.

Cominciare ad apprezzare la democrazia non è un’impresa facile, così come non è facile - in Afghanistan - costruire un equilibrio duraturo dopo anni di occupazione sovietica, di guerre intestine successive al ritiro russo, di dittatura taleban e di carestie. Lakhdar ne illustra i motivi, quando sostiene che la democrazia ha come fondamento il suo non essere fondamento immobile: il vuoto di potere e l’assenza di capi assoluti sono i suoi principali ingredienti, svantaggiosi in determinate circostanze e tuttavia vitali. Ne deriva infatti un accresciuto senso di responsabilità incombente sul singolo individuo, che per questa via diventa allo stesso tempo più libero e più solo, privato di tutele collettiviste, di maestri scolastici esenti dal dubbio, e di "padri sociali".

L’uso politico delle religioni e il fanatismo promettono di liberare l’individuo da tali fardelli, e non a caso l’integralista condivide la stessa massima dell’anarchico nichilista Kropotkin: così grande diventa l’amore-compassione per l’Umanità, che "nel suo cuore non resta spazio alcuno per l’amore dell’essere umano" nella sua singolarità. Sono i casi in cui il capo nichilista è pronto, in nome dell’Umanità, a commettere i peggiori crimini contro l’umanità: "Tutto è bene per noi - diceva Kropotkin nel momento in cui proponeva la rivolta permanente attraverso la parola, lo scritto, il fucile, la dinamite - purché non sia la legalità".

Sarebbe grave se i democratici d’Occidente si scoprissero complici, ancora una volta in nome di un’umanità orba di persone e popoli in carne ed ossa, di questo ricorrente totalitarismo del pensiero.




Scriveteci a: margherita.alba@libero.it
Realizzazione del sito a cura di Luciano Rosso