Da LA STAMPA 16 febbraio 2003
Questa Europa, ammestrata dai suoi errori e dalle sue millenarie cicatrici, può contrapporre alle certezze del governo americano il seme fecondo del dubbio
I dubbi dell'Europa nascono da vecchie cicatrici
di Lorenzo Mondo
SARÀ vero che Chirac, nella sua opera di dissuasione dalla
guerra contro l’Iraq, tiene d’occhio le concessioni petrolifere ottenute da
Saddam. Sarà vero che Schroeder è fortemente condizionato, nelle sue analoghe
scelte, anche da ragioni elettoralistiche. Nessuno è innocente e sa rinunciare
agli interessi concreti. Ma i loro interessi si appoggiano a motivazioni che la
maggior parte della gente, al di qua dell’Atlantico, si trova a condividere.
Fino a persuadersi che siano la Francia e la Germania a difendere, in una
situazione tempestosa, l’onore dell’Europa. Quella che, secondo le sprezzanti
parole del falco Rumsfeld, sarebbe, più che vecchia, decrepita.
Eppure
questa Europa, ammestrata dai suoi errori e dalle sue millenarie cicatrici, può
contrapporre alle certezze del governo americano il seme fecondo del dubbio. Sta
prendendo piede in America, fomentato da una virulenta campagna sciovinistica,
un antieuropeismo che risparmia soltanto gli Stati condiscendenti o vassalli. Si
fonda, oltre che sul larvato ricatto economico, sul ricatto morale, sulla
denuncia di ingratitudine nei confronti di chi ha avuto bisogno, per liberarsi
di nazismo e comunismo, delle risorse e del sangue americano. Ma è proprio nella
memoria e nel rispetto di un idealismo impresso nei suoi geni, che gli amici
dell’America le chiedono di non smarrire la propria anima. Farebbero davvero
torto all’America identificandola con l’Amministrazione Bush.
Si può
capire il trauma subìto con l’attacco omicida alle Due Torri e la stessa
rappresaglia sull’Afghanistan, nido di terroristi, non il diversivo psicologico
e strategico trasferito sull’Iraq. Si può e si deve essere solidali, attivando
tutte le possibili alleanze, contro la metastasi terroristica che minaccia il
mondo. Non con una guerra preventiva contraria al diritto internazionale e
programmata in spregio delle Nazioni Unite, sulla base di prove irrisorie e di
manipolazioni documentali (comprese le assurde infiltrazioni di Al Qaeda nel
Kurdistan iracheno, sottoposto, come ognun sa, alla tutela americana). Mentre
nasce il sospetto di megalomania davanti alla pretesa di imporre la democrazia
con la forza delle armi, di fondare un nuovo ordine mondiale, senza tenere conto
delle specifiche aspirazioni e culture. La vecchia Europa, che ci è passata,
prova sgomento davanti alla retorica bellicista, alle muscolose espressioni dei
"falchi" di Washington.
A ben vedere, la tragedia dell’11 settembre, la
ferita che la rende "uguale", dovrebbe scongiurare un avventuroso
unilateralismo, spingere l’America alla continua ritessitura di un dialogo
paritario con chi si sente partecipe di una scelta di civiltà. In questo duro
frangente, è chiamata a ridefinire la sua identità, senza indulgere alle derive
nazionalistiche e imperiali. Anche di qui passa il no a una guerra che ha per
obiettivo, insieme agli ipotetici terroristi, il concretissimo petrolio
iracheno.
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