Da LA STAMPA 15 febbraio 2004
La lista unica dei riformisti per le europee è il primo passo verso un'alternanza di Governo
La sorpresa della talpa
di Barbara Spinelli
All'inizio sembrò a molti un’utopia, una speranza senza sponde.
La lanciò il 12 gennaio del 2000 Arturo Parisi, allora vicepresidente dei
Democratici prodiani, il giorno prima che iniziasse il congresso dei Ds
presieduto da Veltroni, al Lingotto di Torino. "Caro Walter, io e te non
possiamo lasciarci sopraffare dalla conta delle tessere di partito. Io e te
sappiamo bene che l’Ulivo fu entusiasmante in quanto annullò differenze
superate, e questi partiti noi dobbiamo oltrepassarli perché esprimono identità
vecchie, inadeguate a rappresentare le sfide cui oggi è chiamata l’Italia.
Perciò ti chiedo, domani, a Torino, di pronunciarti in favore dello scioglimento
dei Ds così come io auspico lo scioglimento dei Democratici dentro un percorso
di unità, per costruire insieme a tanti altri una casa riformista nuova e più
grande". L’appello fu considerato a quel tempo una provocazione, il congresso
degli ex Pci non accennò che di sfuggita e non senza corruccio all’intervista
che Parisi aveva rilasciato a Gad Lerner, su la Repubblica. Vinse l’orgoglio del
vecchio partito, prevalse l’identità degli apparati sull’Italia dei movimenti,
che già allora stava prendendo forma. Come insegna Machiavelli, il nuovo ordine
si presenta sempre come una chimera: giacché il cambiamento ha per nemici quanti
hanno prosperato nel vecchio ordine, e per tiepidi difensori tutti quelli che
non vedono ancora come prosperare nel nuovo. Invece non era una chimera, e la
speranza è diventata realtà nella Convenzione che in questi giorni a Roma ha
sciolto ben quattro partiti della sinistra nel nuovo Ulivo. Romano Prodi che
ultimamente l’ha rilanciato ne è la guida per ora indiscussa, come si è visto
dagli applausi che gli sono stati tributati ieri al palazzo dell’Eur. "Tutti
dobbiamo sentirci provvisori", aveva suggerito Parisi nel 2000. E ancor più
provocatoriamente, rispondendo a una domanda sul logoramento del professionismo
partitico e sull’avvento di un’epoca dominata dai dilettanti: "Forse nei
comitati dell’Ulivo c’era segno del dilettantismo, ma il diletto non è forse un
altro modo di chiamare la passione civile?". Proprio questo si percepiva alla
Convenzione della lista Prodi. Erano scomparsi i consueti simboli - a cominciare
da quello più duro a morire che era la Quercia, con la pesante eredità comunista
che essa implicava - e tutti sembravano d’un tratto fieri non tanto di se stessi
ma piuttosto di quello che avevano creato in comune con gli altri: del nuovo
simbolo unico, superiore ai simboli particolaristici di ieri, rappresentato dal
ramo d’ulivo. La presenza di Gad Lerner e Michele Santoro dava poi alla
convenzione un’impronta di diletto, di allegra passione civile. Ed era
significativo che a tenere assieme questa federazione di partiti e a darle
impeto con il suo discorso di ieri fosse proprio Prodi, nella sua duplice veste
di presidente della Commissione europea e di guida della lista unitaria
italiana. È molto simile, infatti, il tragitto che la lista intende percorrere
in Europa e Italia. In ambedue i casi l’obiettivo è di sciogliere le ormai
obsolete e rimpicciolite identità nazionali o partitiche in un insieme più vasto
e di conseguenza più efficace: un insieme sovrannazionale in Europa, un insieme
sovrapartitico in Italia. È il motivo per cui ci paiono leggermente
antiquate le polemiche di chi critica il ritorno alla politica del presidente
della Commissione. Nell’Europa che molti sperano - un’Europa che recuperi
nell’unione la sovranità politica che i singoli Stati hanno perduto - è normale
che ci si divida in schieramenti opposti, e che i capi delle istituzioni
sovrannazionali siano espressione di uno dei due schieramenti, specialmente
quando si avvicinano le elezioni del Parlamento europeo. Uno sviluppo simile è
ineludibile, quando le responsabilità dei cosiddetti eurocrati non sono più né
burocratiche né monolitiche, ma sono ormai di natura doppia: suddividendosi in
responsabilità verso i parlamentari europei e responsabilità verso le famiglie
nazionali d’appartenenza politica. Comunque Prodi è stato chiaro: "Non mi
candido", ha detto, invitando i capi di governo a fare lo stesso, "ma dal primo
novembre questa sarà casa mia". I partiti dell’attuale maggioranza sono
rimasti come stupiti, perché non s’aspettavano che la cosa tanto difficile alla
fine riuscisse. Che la vecchia talpa apparsa nel 2000 nelle vesti di Parisi e
Prodi scavasse così accanitamente e nella direzione giusta, senza neppure
appartenere al comunismo che pure del mestiere della talpa è lo storico
inventore. Un po’ smarrita, la maggioranza cerca rifugio in frasi che
minimizzano l’evento, o che accusano Prodi di scarso rispetto della carica
europea: ma sono frasi e accuse che a malapena coprono il senso più profondo di
sorpresa, d’impreparazione. Riproponendo una lista unitaria nel luglio 2003 e
ottenendo quel che voleva nel giro di sette mesi, Prodi ha dato prova di vera
leadership: una leadership che Berlusconi non pare più possedere. Pier
Ferdinando Casini, presidente della Camera, ha espresso addirittura ammirazione
per i risultati raggiunti dai quattro partiti di centrosinistra, e alla
posizione di Prodi a Bruxelles non ha neanche accennato. Berlusconi e il suo
governare e le divisioni sempre più numerose del centro-destra hanno fatto non
poco, perché la speranza espressa quattro anni fa e rilanciata con vigore nel
luglio scorso prendesse infine corpo, alla vigilia delle elezioni europee e in
vista delle politiche del 2006, quando Prodi avrà lasciato Bruxelles e verrà
l’ora di sostituire l’odierna maggioranza o di confermarla. Ma qui è anche il
più grande ostacolo, per la lista appena nata e per l’intera sinistra che
comprende i comunisti di Cossutta e Bertinotti, l’Italia dei Valori di Di Pietro
e il partito dei Verdi e di Mastella. Non basta in effetti l’ostilità nutrita
verso Berlusconi, a fare dell’opposizione una forza capace non solo di opporre
veti o indignazione ma anche di esercitare il potere, di governare e migliorare
l’Italia. Occorre un progetto che permetta di amministrare l’Italia e di contare
in Europa per un’intera legislatura, senza ripetere gli sbagli, le divisioni e
la competitività partitocratica del passato. Occorre riconoscere apertamente e
anche ridiscuterli, gli errori che sono stati fatti negli anni precedenti la
seconda vittoria di Berlusconi: errori che possono sempre far ritorno, se
venissero sottaciuti o rimossi. Ma occorre soprattutto un programma, che
trasformi gli ideali, le emozioni e le antipatie in progetti, in riforme
dettagliate, in proposte impopolari se necessario. È quello che intendeva Amato
quando ha detto al palazzo delle Olimpiadi all’Eur: "I riformisti non sono la
destra della sinistra". Per questo è così importante avere una memoria
vigile e severa, sui fallimenti di ieri. Questa volta il centrosinistra non può
permettersi il lusso di auto-affondarsi come un bastimento ubriaco, a causa dei
veti opposti alle riforme da Bertinotti o Di Pietro, dai sindacati o da
Cofferati. Anche questi ultimi, se non vorranno ripetere i peccati dello scorso
decennio, saranno spinti a delegare un po’ della loro specifica
sovranità-identità, per consentire non solo l’alternanza a Palazzo Chigi, ma la
riuscita nel lungo periodo dell’Ulivo allargato. Il declino e il clima di
disagio su cui tanto insiste la lista Prodi non li si combatte infatti con la
retorica, e neppure col catastrofismo. Li si combatte con le riforme delle
pensioni e della scuola, con leggi e statuti che tengano conto della rivoluzione
del lavoro, con una politica che apra di nuovo la strada al desiderio italiano
ed europeo di rischiare e provare, di far figli e investire sul loro futuro. Non
a caso Prodi ha rievocato ieri gli sforzi che gli italiani fecero sotto la sua
guida, per entrare nell’euro: quegli sforzi converrà ricominciarli con il
centrosinistra al governo, approfondirli. Declino e disagio sono energie
negative che si combattono con la nascita di una televisione indipendente non
solo da Berlusconi, ma anche dal centro-sinistra. Si combattono con un impegno
per l’unità politica dell’Europa e con pensieri arditi e non solo pacifisti o
anti-americani sulla difesa del nostro continente: pensieri che affrontino la
questione della pace e della guerra, della lotta al terrorismo e agli squilibri
dell’economia mondiale. Si combattono infine con uno sguardo più acuto su quello
che in Italia ha portato alla vittoria di Berlusconi e che potrebbe condurre
alla sua riaffermazione, qualora l’unico cemento dell’opposizione restasse il
potere che ci si aspetta di riconquistare nel 2006. Non nasce infatti dal
nulla l’ascesa del presidente del Consiglio, e non è solo una plastificata
invenzione televisiva. Berlusconi si è avvalso e si avvale dell’arte
manipolatrice dell’immagine, ma la sua forza viene da un’Italia profonda che non
è più dominata dalle chiese comunista e democristiana. È un’Italia più
individualista e impaziente, che grazie a Berlusconi crede di poter fare
l’economia della responsabilità, oltre che della solidarietà e perfino
dell’Unione Europea. Si tratta di tener conto di questo individualismo, e di
combinarlo con la responsabilità, l’obbedienza alle leggi, la speranza
nell’Europa. La vecchia talpa ha compiuto impressionanti progressi, ma ha ancora
tanto da scavare: i lavori, in corso, sono appena cominciati.
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