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DIBATTITO SULLA GUERRA IN AFGHANISTAN |
Da LA STAMPA 14 novembre 2001 Per la terza volta in dieci anni i maestri del dubbio hanno sbagliato calcolo e diagnosi Addio al burqa di Enzo Bettiza La caduta quasi senza colpo ferire di Kabul è un durissimo
colpo per i maestri del dubbio. Per la terza volta in dieci anni hanno sbagliato
calcolo e diagnosi, ripetendo quello che avevano già detto ai tempi della guerra
del Golfo e dell'intervento nel Kosovo: che l'uso delle armi nelle vertenze
internazionali è non solo un crimine intollerabile, una violenza indiscriminata
inflitta agli innocenti, ma un approccio tecnicamente errato che peggiorerebbe
le crisi e rafforzerebbe i masnadieri cattivi anziché abbatterli. Così,
ostentando una saggia neutralità umanitaria, fingendo di tutelare in nome della
"soluzione politica" gli aggrediti, in realtà hanno cercato sempre di
procrastinare il momento della caduta e della punizione degli aggressori. Un
tempo difendevano Saddam Hussein senza spendere mezza parola a favore del
Kuwait. Poi, senza elevare alcuna protesta visibile contro Karadzic e Mladic,
lasciavano in sospeso il giudizio sull'assedio serbo di Sarajevo e sui
massacratori di Srebrenica: non era di moda la pietà per i poveri musulmani
bosniaci. Non lo sarà neppure qualche anno dopo per i musulmani del Kosovo, le
cui facce disperate si affacciavano a decine di migliaia sui nostri teleschermi
serali: allora era di moda protestare contro la Nato e andare a stringere la
mano al genocida belgradese al quale pacifisti, postcomunisti e leghisti
auguravano vita lunga e potere duraturo. Fino ad oggi era invece "trendy" tener
bordone da sinistra ai talebani di Omar e di Bin Laden, sostenendo che il
terrorismo lo si può vincere meglio col calumet della pace che con la canna del
fucile. Si sosteneva anche che quella vana guerra fra le grotte e le rocce non
sarebbe finita mai, sarebbe arrivato il terribile inverno dalle vette
dell'Himalaya, lo sceicco miliardario si sarebbe rafforzato scatenando le masse
islamiche contro il mondo. Mai pronostico doveva rivelarsi più fallace. Prima
Mazar-i-Sharif, poi Kabul hanno ceduto di colpo, senza opporre resistenza degna
di nota all'entrata degli alleati nordisti, accolti dagli indigeni non come
oppressori ma liberatori. Le cassandre del dubbio, piuttosto indifferenti ai
diritti umani e civili, non avevano messo nel conto dei pronostici tre fatti
essenziali. Primo: gli Stati Uniti e i loro alleati islamici hanno mosso una
guerra di liberazione contro un regime minoritario, terroristico e medievale, al
contrario dell'Unione Sovietica che nel 1979 avviò una guerra d'occupazione
contro l'Afghanistan in quanto tale. Secondo: gli Stati Uniti, al contrario
dell'Urss, non desiderano annettere l'Afghanistan ma riconsegnarlo a un governo
legittimo, non oppressivo, anche se di difficile composizione fra le varie
fazioni e tribù locali. Terzo: l'impiego d'arsenali di grande potenza e
precisione tecnologica, con l'impegno sul terreno di reparti speciali
angloamericani, hanno spianato la strada dopo 37 giorni di guerra all'avanzata
delle milizie di Dostum, già prossime a Kandahar, ultima roccaforte dei talebani
in rotta. Vendette, saccheggi, esecuzioni sommarie ci sono e ci saranno. Siamo
nel cuore di tenebra dell'Asia di Kipling. Ma al tempo stesso, in Kabul
liberata, si riaprono già le scuole, gli uomini si tolgono la barba, le donne
gettano la grata dal viso alle ortiche, ritornano il gioco orientale degli
scacchi, le televisioni, le radio portatili, i giornali, i suoni della musica.
Ritorna l'Islam normale. Non andrà tutto liscio: ma non potrà darsi umanamente
qualcosa di peggio del peggio di ieri. La più vasta alleanza del mondo ha
superato per ora la prova del nove a Kabul. Adesso, mentre Putin s'intrattiene
con Bush, si apre il secondo tempo politico della guerra. Il tempo delle
mediazioni per un governo interetnico in Afghanistan, del consolidamento del
vulnerabile Pakistan, delle garanzie agli inquieti Stati limitrofi, del
temporaneo protettorato Onu a cui l'America sembra decisa a confidare
l'organizzazione della pace. Non era questo che dicevano di volere i maestri
pacifisti tormentati dal dubbio? |