Da LA STAMPA 14 agosto 2002
Polemiche sulla giustizia: il progetto Pittelli sull´informazione di garanzia
Diritti dell´indagato, il prezzo da pagare
di Mario Chiavario
Nella giustizia senza pace gli occhi sono adesso puntati
sull'ennesima modifica che si prospetta per l'"informazione di garanzia". Non è
rassicurante il contesto nel quale la proposta si inserisce, caratterizzato
com'è da tutta una serie di iniziative legislative (alcune già andate in porto)
il cui obiettivo più immediato sembra essere il salvataggio degli imputati di
certi processi. E nello stesso disegno di legge (Anedda-Pittelli), che contiene
quella proposta, sono parecchie le norme che destano legittima preoccupazione:
se non altro perché destinate a tradursi in forti appesantimenti per un apparato
giudiziario già lontanissimo dall'assicurare i "tempi ragionevoli" che ora,
finalmente, pure la Costituzione sancisce come bene primario. Ovviamente,
ciò non basta per negare che l'attuale disciplina dell'informazione di garanzia
meriti una seria riflessione. L'istituto ha una storia abbastanza recente ma
quantomai travagliata. Nasce nel 1969, sotto il Codice Rocco, con il nome di
"avviso di procedimento", e dovrebbe servire ad evitare che per un tempo
indefinito una persona rimanga soggetta ad indagini senza saperne nulla e dunque
senza avere la possibilità di raccogliere prove a propria difesa: è di
quell'anno la legge con cui si impone al magistrato inquirente di avvisare
l'interessato, fin dalle battute iniziali dell'attività investigativa, che
qualcosa si sta movendo a suo carico; analoga comunicazione deve darsi a tutte
le ipotetiche vittime del reato.
Ottimi i propositi, ma subito si palesano due
inconvenienti: da un lato i pubblici ministeri si sentono inceppati nella
costruzione dei primi tasselli del loro lavoro, che ha naturalmente bisogno di
una notevole elasticità e di una rigorosa segretezza per non veder vanificata in
partenza ogni speranza di successo (non c'è bisogno di essere lettori di libri
gialli per capire che, quando attorno a un delitto affiorano i primi sospetti su
una persona, il farglielo sapere subito può essere il mezzo più sicuro per veder
sparire irrimediabilmente tutta una serie di indizi); d'altro lato, la
pubblicità che si è venuta ad accompagnare all'avviso finisce col trasformarlo,
paradossalmente, in una sorta di condanna anticipata sui media, complici, in
ciò, disinvolture giornalistiche e soprattutto le carenze di un costume
collettivo poco civile.
Difficile trovare un equilibrio, che finora si era cercato
attraverso successivi spostamenti in avanti del momento in cui dare l'avviso
(nel frattempo diventato, prima "comunicazione giudiziaria" e poi "informazione
di garanzia"): oggi, la comunicazione postale che lo contiene - comprensiva
dell'indicazione delle norme di legge che si assumono violate, della data e del
luogo del fatto, nonché dell'invito a farsi assistere da un difensore di fiducia
- deve essere spedita dal pubblico ministero "solo quando deve compiere un atto
al quale il difensore ha diritto di assistere", come, ad esempio, un
interrogatorio dell'indagato o un confronto tra costui e un terzo.
In questo modo, però, se è vero che si è opportunamente
allentata la morsa sulle indagini dei magistrati inquirenti (le quali del resto,
a differenza di quanto accadeva con il codice precedente, non hanno più di per
sé valore di prova in giudizio), si è ben poco ridotto l'effetto perverso
dell´"informazione", che resta legato alla sua divulgazione: stampa e pubblico,
infatti, continuano a poterne venire in possesso ben prima che l'accusa si sia
solidificata in vera e propria imputazione con una richiesta di rinvio a
giudizio; donde, il perpetuarsi della degenerazione dell'istituto in condanna
anticipata. Per contro, è divenuta più labile la tutela del diritto alla
conoscenza personale del procedimento da parte del diretto interessato, che
viene ad essere legata a facoltà, altrettanto importanti ma distinte,
dell'esercizio della difesa, ossia all'attività dell'avvocato. Non è dunque
fuori luogo il chiedersi se tutto ciò sia conforme a quanto stabilisce ora
l'art. 111 della Costituzione, dove si legge che "nel processo penale la legge
assicura che la persona accusata di un reato sia, nel più breve tempo possibile,
informata riservatamente della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo
carico". Già da tempo, del resto, si erano occupati del problema solenni
documenti internazionali, tra i quali la Convenzione europea dei Diritti
dell'uomo, il cui art. 6 riconosce a sua volta, chiunque sia accusato
penalmente, il diritto "a essere informato, nel più breve tempo possibile, in
una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi
dell´accusa formulata a suo carico".
Il progetto Pittelli mira ora a ripristinare, nella
sostanza, il regime del 1969, stabilendo immediatamente dopo l'iscrizione del
nome dell'indagato nel relativo registro, pur ammettendo che la comunicazione
possa ritardarsi fino a sei mesi (prorogabili di altrettanti) quando si tratti
di reati particolarmente gravi, tra cui quelli di terrorismo e di criminalità
organizzata e in ogni altro caso di "specifiche ed inderogabili esigenze
oggettivamente individuate, riguardanti la necessità di segretezza delle
indagini". Quest'ultima precisazione parrebbe voler sedare in anticipo le
critiche più allarmate, sul blocco che altrimenti si avrebbe per indagini per
delitti di mafia o di corruzione. Ma resta egualmente da domandarsi se il
ritorno alla generalizzazione dell'avviso immediato (e sia pur con le eccezioni
appena ricordate) non costituisca comunque un prezzo troppo alto, rispetto al
risultato da conseguire, che - lo si ripete - è quello di non lasciare
all'oscuro l'indagato per un tempo indefinito. La stessa Corte europea di
Strasburgo, nell'interpretare la citata norma della Convenzione sui diritti
umani, non pretende tanto: sembra bastarle che l'accusato prenda cognizione di
ciò che gli si addebita quando vengono compiuti atti aventi "ripercussioni
importanti" sulla sua posizione processuale o sulle sue libertà. E' questo un
criterio difficile da codificare; ma in pratica il risultato potrebbe
raggiungersi integrando la norma attualmente vigente con la fissazione, in via
generale, di un termine breve - ad esempio, due o tre mesi - per possibili
"indagini al buio", salvo il termine più lungo per i casi più complessi.
Soprattutto, però, non si dimentichi che negli anni scorsi, se si riduceva
l'ambito dell'informazione di garanzia, si infittiva per contro tutta una rete
di altre comunicazioni all'indagato e ad altre persone, il cui carico incombe
pesantemente sugli uffici giudiziari: da quella che si deve dare, su richiesta,
circa l'eventuale iscrizione di un nome nel registro degli indagati, a quella
sui diritti spettanti agli indagati stessi, che va a sua volta inviata durante
lo svolgimento delle indagini, sino a quella di formale chiusura delle indagini
suddette. Come sempre, allora, il problema cruciale è quello del metodo, prima
ancora che del merito, delle riforme. Continueranno ad essere operate in modo
unilaterale, senza valutare, in particolare, che il "peso" di una garanzia è
diverso a seconda del suo inserirsi in un contesto piuttosto che in un
altro?
|