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Da LA STAMPA 14 marzo 2004 Questo strano, poco composto attaccamento dei governanti al potere, in momenti in cui è così ingrato esercitarlo Il potere senza verità di Barbara Spinelli Un giorno, forse, uno storico o un giornalista scriverà il resoconto preciso, trasparente, su quel che è accaduto giovedì 11 marzo a Madrid. Si soffermerà sull'orrore di un terrorismo che d'improvviso ha alzato il tiro in Europa, scegliendo i luoghi e i tempi più adatti al massacro del maggior numero di civili - le stazioni di Madrid; l'ora in cui gli abitanti di periferia prendono il treno; la vigilia elettorale - e poi racconterà quel che nel frattempo succedeva nelle menti di chi governava. Se avrà lo sguardo lucido vedrà cose singolari, e conturbanti. Vedrà un governo che spasmodicamente s'aggrappa alla tesi della colpevolezza Eta, nonostante gli indizi d'una pista Al Qaeda si moltiplichino nel corso della stessa giornata di giovedì, e che cercherà di imbrogliare le carte fino al momento in cui - incalzato dall'opinione pubblica - il ministro dell'Interno dovrà dire la verità: la tesi dell'Eta è crollata ieri sera, quando Angel Acebes ha annunciato l'arresto di tre marocchini e due indiani. Per oltre due giorni il governo aveva impiegato tempo prezioso per raccontare un'altra storia, denunciando chiunque avanzasse ipotesi diverse, connesse all'impegno militare spagnolo in Iraq: un impegno osteggiato dal 91% degli spagnoli. Più volte il ministro Acebes s'era scagliato contro i «miserabili» che ricorrevano all'«intossicazione», e Aznar stesso si era detto «assolutamente convinto» che si trattasse dei baschi. Il colmo fu raggiunto il pomeriggio di giovedì, quando già era stato trovato il furgoncino con le cassette contenenti versi islamici e i servizi già sembravano persuasi che l'attentato fosse di Al Qaeda: alle 17 e 30, il ministro degli Esteri Ana Palacio trasmette agli ambasciatori spagnoli un telegramma che doveva restare segreto. La tesi dell'Eta «deve esser difesa a ogni costo» - queste le istruzioni - e «ogni dubbio, propagandato da voci interessate, va fugato». Anche i governi amici erano avvertiti. Questo significa che il panico ha sommerso i dirigenti spagnoli, subito dopo l'eccidio: ma non il panico che ci si aspetterebbe da un governo che rimane dritto, che resiste. Non la paura che ha dato le ali a 11 milioni di spagnoli, e che li ha spinti a uscire di casa, a sfidare il proprio stesso terrore, a ritrovarsi insieme all'aperto, come avveniva nell'antica Grecia quando il popolo deliberava in piazza, nell'agorà. L'11 settembre europeo vede una società animata da coraggio pubblico e un governo atterrito che nel privato dei Palazzi fa calcoli elettorali. La sua paura non somiglia a quella dei manifestanti. È paura di perdere il potere, i posti. Stasera, all'uscita delle urne, si vedrà se il calcolo di Aznar e di Rajoy è stato astuto o furbesco, ponderato o talmente meschino da penalizzare chi l'ha concepito. La paura di perdere le elezioni a causa di Al Qaeda è comprensibile. Al Qaeda che si fa viva alla vigilia d'un voto diventa una forza determinante. Diventa, in tutta Europa, il partito del terrore che partecipa alle elezioni, allo stesso potere. Domani potrebbe determinare il voto in Italia. Ma la paura di dare al terrorismo islamico simile statuto può anche aprirgli spazi inattesi. Una sconfitta di Aznar sarebbe una vittoria per Al Qaeda: ma una vittoria enormemente facilitata e amplificata dalla condotta opaca del Premier, che ha fatto di tutto per occultare la verità ai cittadini. È questo che colpisce, in Spagna. Può darsi che verrà alla luce un coordinamento tra Al Qaeda e terrorismi locali, come pretende il governo. Ma questa guerra occidentale contro Bin Laden sta diventando troppo irta di inganni, di sotterfugi, di minuscoli calcoli, per apparire credibile. C'è stata la bugia sulle armi irachene (la famosa «nube a forma di fungo» paventata da Bush, nel discorso a Cincinnati del 2002). E in questi giorni c'è stato il desiderio di Aznar di privilegiare la pista Eta, pur d'evitare una spaccatura nazionale sull'Iraq. L'Eta può farlo vincere, e rassicura inoltre i vecchi stati nazione. Se è l'Eta, vuol dire che non siamo di fronte a un terrorismo globale, che impone anche all'Europa di unificarsi e globalizzarsi. Per salvare i vecchi stati e i loro dirigenti basta occultare i fatti, manipolare i disastri, far finta che a colpire sia il vecchio terrorismo locale: questo deve essersi detto Aznar, prima d'esser smentito dalla realtà. Un giorno lo storico o il giornalista si soffermerà anche su questo strano, poco composto attaccamento dei governanti al potere, in momenti in cui è così ingrato esercitarlo. Dirigere una nazione straziata dal terrorismo è compito tremendo, doloroso. I nostri governanti non hanno questo senso, grave, della necessità. Il potere sembra stuzzicare solo i loro appetiti, e per questo appaiono oggi così piccoli e tragicamente impreparati. |