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LA STAMPA Giovedì 13 Settembre 2001

Il Risveglio Islamico
di IGOR MAN

IL Day After è gonfio di dolore e di orrore. Di pietà e di odio. Frulla paura e vendetta da consumarsi, e presto. "Il fanatismo religioso ha sventrato la cattedrale del business, l’islam radicale minaccia la nostra stessa esistenza democratica", così un esperto di pronto intervento a una delle tante radio in perenne "diretta". Il discorso di Bush sembra esser scivolato via dalla mente del Babbitt, come acqua sul marmo. Forse soltanto un Kennedy avrebbe potuto ridar fiducia all’uomo della strada, ma è anche vero, per citare un acuto di crisi, che quella dei missili - Mosca, Cuba, nel lontano 1962 -, aveva termini precisi e contorni netti. C’era un avversario che si palesava nemico e bisognava contrastarne l’invadenza: non era ammissibile che il "confine di interessi" tracciato a Yalta venisse violato impunemente. Ma Kennedy non combatteva contro un nemico invisibile mentre Bush può solo supporre, "a fil di logica", che lo stupro subìto dalla sovranità nella libertà sia stato compiuto dal Principe del Terrore, il ricco (in milioni di dollari) Sceicco saudita padre spirituale dei Talebani, guida indiscussa di quella "rete" o "base", in arabo Al Qaida, il movimento islamico da lui fondato approssimativamente nei primi Anni 90. Ma su Bin Laden non diremo di più perché ieri, a pagina 9, Mimmo Candito ne ha tracciato un ritratto vivo e drammatico. Piuttosto il Day After suggerisce la sfida di capire perché uomini come lo Sceicco siano mossi contro l’Occidente da un odio implacabile. Odio che molti, se non tutti, identificano come il figlio perfetto del fanatismo religioso, tetro propellente del cosiddetto islamismo radicale. Fanatismo? Chi scrive preferisce "essenzialismo", giusta la dizione di Popper. Non fosse altro perché tutto e tutti i militanti islamici, a ben vedere sono "prodotti" del Risveglio islamico. Che ha una precisa data di nascita: il giugno del 1967 quando la sconfitta di Nasser nella guerra dei sei giorni travolse l’ideologia del riscatto arabo, terzomondista in generale. Da quell’estate lontana e fatale (che vivemmo da cronisti) comincia la ricerca, confusa, violenta, d’un "sistema" che faccia ritrovare ai popoli islamici, in particolare del vicino Levante, il ruolo che svolsero in un tempo antico assai, "il tempo perduto" come lo definivano Hassan al-Banna, il maestro elementare egiziano fondatore dei Fratelli Musulmani e il suo esegeta, quel Sayd Qutb condannato all’ergastolo da Nasser e infine impiccato dopo dodici anni di galera. Il mondo islamico, quello arabo in particolare, è in fatto alla ricerca del tempo perduto. E oggi, come già nella metà del secolo XIX, quando nell’area mediterranea l’imperialismo europeo era al suo zenith, in seno al mondo musulmano si scontrano due correnti di pensiero: una prospetta l’urgenza di "modernizzarsi", l’altra proclama la necessità di approfondire, per recuperarli, i valori dell’islam. La prima pensa che utilizzando gli strumenti del progresso europeo od occidentale - il nazionalismo filosofico, lo spirito scientifico, la tecnologia, l’idea sovrannazionale -, sia possibile uscire dal guado del sottosviluppo culturale, economico, politico. "Liberarsi attraverso il progresso, senza stravolgere i principi dell’islam, modernizzarsi tenendo in una mano il computer e nell’altra il Corano", mi disse Hassan Re del Marocco. Per la seconda, l’islam ha in se stesso tutti gli elementi che consentono di rispondere alla sfida dei tempi nucleari. La sola e unica riforma da attuare è quella del ritorno alla fede, meglio: alla sorgente della fede: il Corano. "Risveglio islamico", epperò, osserva l’islamista Patrick Arfi, l’islam "in quanto religione non è mai stato in sonno, al contrario si caratterizza per la sua continuità e per la sua impermeabilità alle altre religioni". L’islam non è soltanto una (grande) religione-cultura ma altresì quella che Maxime Rodinson definisce "la vocazione a strutturare il politico e il sociale". Vale a dire "una ideologia religiosa di organizzazione della società o l’insieme dei legami che mantengono i rapporti tra i credenti definiti una nazione-cittadella". Il versetto 110 della III Sura del Corano dice infatti: "Voi siete la migliore nazione che possa unire degli uomini. Voi invero praticate il bene, impedite il male, voi credete in Dio". E qui va ricordato che in Oriente "il vettore religioso" è spiccatamente politico. Quasi sempre. Le esplosioni di integralismo essenzialista alle quali assistiamo da cinquant’anni, denunciano soprattutto la presenza sempre più prepotente del cosiddetto "islam militante", vale a dire un insieme di individui che scelgono l’impegno politico in nome di un islam inteso alla stregua di una sorta di internazionale musulmana, di "controsocietà" per realizzare uno "Stato musulmano" sul modulo del governo di Maometto alla Medina negli anni 621 e 631. Tutti i paesi musulmani avvertono da almeno mezzo secolo profondi scossoni in conseguenza dell’attività dei vari "partigiani di Dio". Scossoni: dalla rivoluzione di Khomeini all’assassinio di Sadat alle stragi dei religiosi islamici in Siria, all’Afghanistan, alla strage algerina, il ritorno alla moschea in Turchia, rivolte dalla Nigeria all’Indonesia passando per il Bangladesh. Persino la teocratica Arabia Saudita non è sfuggita al contagio dei "puri" con la presa degli ostaggi nella grande moschea della Mecca, il 18 di novembre del 1979. La rivoluzione khomeinista assesta il colpo finale catalizzando il purismo musulmano. La tensione islamica, che in tutti i paesi arabi unisce le forze di opposizione, ha finalmente trovato un punto di riferimento. Da qui l’incendio integralista o il "Risveglio islamico". A questo punto dovrebbe apparir chiaro come il "caso Rushdie", l’incitamento iraniano a vendicare i palestinesi siano soltanto un falso scopo: l’obiettivo è più ambizioso: destabilizzare l’Occidente. Passo dopo passo. "La sovranità non appartiene che a Dio. Egli è il solo giudice e legislatore e colui che dice o pensa il contrario è un infedele - Bisogna governare per mezzo della Legge divina, essa sola ed essa tutta intera; nessuna delle sue disposizioni può essere emendata, sospesa o considerata relativa ovvero obsoleta. - La società contemporanea è pagana: bisogna farne tabula rasa - Non ci sono che due partiti: il partito di Dio (hizb Allah), cioè i leader dell’islam politico e i loro seguaci, e il partito di Satana; il primo deve condurre il jihad (la guerra santa) senza tregua né quartiere fino all’instaurazione del governo di Dio". Questi punti-guida indicati in un saggio di Mohammed Said al-Asmawy, pensatore egiziano (cfr. Dossier 2 Mondo Islamico, a cura di A. Pacini della Fondazione Agnelli), sembrano aderire come un guanto di seta alle affusolate mani terribili dello sceicco Bin Osama. Sono in fatto la motivazione dell’odio puro e duro dell’islam militante, essenzialista, teso, appunto, alla realizzazione del suo obiettivo massimo: la destabilizzazione dell’Occidente. In questa prospettiva la Pearl Harbor del terzo millennio potremmo definirla un "grande successo" dell’integralismo islamico. Epperò potrebbe e dovrebbe rimanere un episodio senza seguito gemellare, sempreché la risposta dell’Occidente, in questo caso dell’America di Bush, non si limiti a una cieca rappresaglia ma si concretizzi in una "nuova politica" che tenga conto della forza scatenante d’ogni violenza passata e futura. Questa forza ha un nome: Palestina. Certo non sarà facile riguadagnare il tempo perduto, riportare le lancette della Storia agli accordi di Oslo, alla stretta di mano di Arafat, di Rabin, sotto lo sguardo contento di Clinton. Il 9 di ottobre del 1980, a Teheran, ebbi un’intervista, animata, con l’ayatollah Behesti, leader di quegli integralisti islamici. Nemico acerrimo dell’allora presidente Bani Sadr, Behesti morirà nell’attentato al tritolo del 28 di giugno del 1981. Per cercar di capire un po’ meglio cos’è l’integralismo islamico sarà utile citare il passo essenziale di quella intervista (cfr. La Stampa, 10-10-1981): - Assistiamo a una lotta fra laici e religiosi, tra Bani Sadr e lei, dottor Behesti. Esiste una drammatica divergenza. Qual è? "Eccola: il signor Bani Sadr è convinto che persone sia pure non osservanti purché competenti possano partecipare alla gestione del potere. Noi siamo di parere opposto e siamo noi che contiamo. Ecco la divergenza". Ed ecco il punto di partenza e di arrivo dell’integralismo islamico: soltanto i puri, gli ortodossi, possiedono la Verità, cioè la Fede: el-imân e, di conseguenza, la Legge, el-islâm, la Via, letteralmente la Virtù. Da qui è forse meno difficile "comprendere" l’essenzialismo terrorista, il suo saper cogliere ogni "pretesto" per avviare al delitto politico, magari suicida, giovani credenti forse un po’ "pazzi di Dio" e comunque arsi da un qualcosa che sfugge al nostro pensar cristiano nutrito dalla ragione della democrazia. Da qui risulta meno incomprensibile, forse, il loro odio verso i "corrotti sulla Terra". Un "corrotto sulla Terra" per eccellenza fu Sadat. Un po’ tutti pensano ch’egli sia stato ucciso per aver concluso la pace con Israele, cioè con gli ebrei. Nella Sunna è detto: "Voi combatterete gli ebrei al punto che se uno di loro si nasconde dietro una pietra, la pietra dirà: servitore di Dio, c’è un ebreo dietro di me, uccidilo". La pace con Israele è soltanto una delle colpe di Sadat, al quale venivano innanzitutto rimproverati i suoi legami con l’Occidente blasfemo. La guerra santa contro il nuovo paganesimo non è condotta da uomini formatisi in scuole religiose ma soprattutto in università fondate sul "pensiero pagano" di cui intendono servirsi per castigarlo. In Palestina i terroristi suicidi vengono soltanto in minima parte dall’università coranica, per lo più sono studenti dell’università americana di Beirut, o hanno addirittura frequentato la Sorbona. Vittime di una grande ingiustizia storica, ne fanno ostinatamente ricadere la responsabilità sulle spalle dell’Occidente, in particolare del Grande Satana: gli Usa. E qui ci domandiamo, senza sperar troppo in una risposta convincente, noi Occidente-Europa-Stati Uniti cosa potremmo o dovremmo fare per smorzare la carica assassina insita nel "Risveglio islamico", questa mistura di odio e di frustrazione che vede nel mondo occidentale il mostruoso complice del "sionismo usurpatore".




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