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Da LA REPUBBLICA 11 giugno 2003 Il verdetto delle elezioni amministrative è che il centrodestra arretra e il centrosinistra avanza. Mancano leader e una piattaforma programmatica, capaci di aggregare Rifondazione comunista per governare il Paese Gli elettori di Massimo Giannini ADESSO si può dire. Il Polo ha perso le elezioni amministrative. È stato un voto locale: quello che nella letteratura politica si definisce di "secondo ordine". Un voto che non fa cadere governi, che non produce ribaltoni. Ma tra il primo turno del 25 maggio e i ballottaggi sono andati alle urne 11 milioni di italiani. Più della metà di quelli che votano alle politiche. E il verdetto è chiaro. Il centrodestra arretra, il centrosinistra avanza. Ha poco senso affermare che la maggioranza parlamentare è diventata minoranza nel Paese: non è questo il significato politico di questa tornata elettorale. Ma ha molto senso ipotizzare che dalla "pancia" del Paese sia partito un segnale forte alla maggioranza: la luna di miele del 13 maggio 2001 è finita, nei primi due anni di legislatura le delusioni reali hanno spazzato via le promesse virtuali, e d´ora in poi Berlusconi dovrà cambiare passo per recuperare i consensi. Il Polo ha perso nei numeri. A parte i 482 comuni minori, si votava in 2 regioni, in 12 province e in 10 comuni capoluogo. Su 24 amministrazioni, fino a due settimane fa la Casa delle libertà ne guidava 13, l´Ulivo 11. Da oggi i rapporti di forza sono più che capovolti: l´Ulivo ne guida 15, la Casa delle libertà 9. Le cifre sono queste. Sono eloquenti e non si prestano ai giochi di prestigio di Scajola, Vito o Schifani. Il Polo ha perso nei territori. Due settimane fa aveva ceduto un "pezzo pregiato" del Centro, con la pesante sconfitta alla provincia di Roma. Ieri è caduto nelle sue roccheforti del Nord, con la clamorosa disfatta alle regionali del Friuli e la cocente débâcle alle comunali di Brescia. E ha mollato anche al Sud, con il doloroso "scippo" di Pescara e la tripla scivolata in Sicilia. Risultato finale: il centrosinistra vince 2 a 0 alle regionali, 7 a 5 alle provinciali e 6 a 4 alle comunali.Non hanno pagato la strategia della tensione adottata dal premier, l´assurda crociata contro "i comunisti" e l´assedio alle "toghe rosse" Il Cavaliere e i suoi fedelissimi pongono l´accento sulle "difficoltà locali" ma fanno male a sottovalutare le "nefandezze generali" che hanno commesso. Il Cavaliere, e con lui i suoi fedelissimi, danno al Paese e a se stessi spiegazioni rassicuranti, ponendo l´accento sulle "difficoltà locali" incontrate dall´alleanza in questo voto. Fanno male a sottovalutare le "nefandezze generali" che hanno commesso, e che hanno finito per condizionarne il risultato. Un risultato che non sovverte la contingenza, ma che può anticipare una tendenza. Come spiega Gianfranco Baldini in uno studio appena pubblicato dal Mulino, da almeno dieci anni in Italia le elezioni locali presentano comunque una "centralità sistemica". Forniscono indicazioni preziose sullo stato di salute dei partiti e delle coalizioni. Nel ballottaggio alle comunali di Roma del ´93 il sostegno aperto allo "sdoganato" Fini preannunciò la discesa in campo dell´uomo di Arcore. Il tracollo del Polo alle amministrative del ´97 preparò il terreno alla ristrutturazione del "centro del centrodestra", con la successiva nascita dell´Udr. La sconfitta del centrosinistra alle comunali di Bologna del ´99 fu il prodromo della scomposizione dell´Ulivo prodiano e dell´avvento del centro-sinistra "col trattino" di D´Alema. Oggi, questa tornata di amministrative 2003 indica che c´è un elettorato in movimento. Di nuovo, il premier e i suoi fedelissimi si consolano, giustificando la perdita in Friuli con il ricorso al "voto disgiunto" di una quota di elettori polisti. Può darsi. Ma questo non spiega l´enorme divario tra il vincitore dell´Ulivo Riccardo Illy e la sconfitta della Lega Alessandra Guerra. Secondo le indagini Itanes, in questi anni si è confermata una radicata "fedeltà di coalizione" tra gli elettori dei due Poli: quasi il 90% di coloro che votano per uno schieramento a livello locale, votano anche il candidato dello stesso schieramento al maggioritario della Camera. E viceversa. Quindi quello che è accaduto questa volta (e che per la Cdl è ovviamente più duro da ammettere) è che c´è stato un transito di voti, dal centrodestra al centrosinistra. Nei prossimi giorni l´analisi dei flussi elettorali ne misurerà la portata. Ma dai risultati sommari si calcola che circa un 2% di consensi sia passato dal Polo all´Ulivo. Più o meno 500/600 mila voti. Non pochi, visto che anche in Italia la sfida per il governo si vince ormai con un margine sempre più ristretto. Perché il Polo ha perso? La prima risposta che si può azzardare è che la "politicizzazione" impressa da Berlusconi al voto locale non ha funzionato. Il Cavaliere, a parole, ha tentato di ridimensionare il valore di queste elezioni. Nei fatti, ha speso gli ultimi tre giorni della scorsa settimana a fare campagna a Trieste, a Pescara e a Brescia. Ha perso in tutte e tre le città. Il tocco magico dell´unto del Signore non frutta, non basta più. Non ha pagato la strategia della tensione adottata dal premier, mal consigliato dai falchi alla Giuliano Ferrara che hanno ridotto a un imbarazzato silenzio i moderati di buon senso alla Gianni Letta. Non ha pagato l´assurda crociata ideologica "contro i comunisti". Non ha pagato l´esasperato assedio istituzionale "contro le toghe golpiste". Un Paese si governa con la politica e con le riforme. Non con i colpi di teatro, la propaganda mediatica e le scariche di adrenalina. Ma lo sconfitto non è solo Berlusconi. Il Polo ha perso anche perché, a metà della legislatura, è stato sopraffatto dalle tensioni sommerse della coalizione, che l´hanno paralizzata in due anni di sostanziale immobilismo. Lo sconfitto è anche Bossi, che ha voluto la Guerra in Friuli e ha affondato l´intera alleanza. "Con una coalizione spaccata si perde", si lamenta adesso il Senatur. Ma il primo responsabile delle spaccature è stato lui. Ha fatto correre la Lega da sola nelle aree nevralgiche del Nord. Ha sabotato la corsa di An alle provinciali della Capitale, continuando a gridare indisturbato "Roma ladrona". Ha continuato a insultare "i vecchi democristiani" del suo schieramento, sulla devolution e l´immigrazione. Ora che ha incassato la batosta friulana, Bossi è un animale ferito: può dimostrarsi capace di tutto. Lo sconfitto è anche Fini, che oltre a Roma perde anche a Brescia. Paga l´appannamento al quale ha costretto An, ormai ridotta a una sbiadita corrente di Forza Italia. Paga il silenzioso baratto che ha imposto al suo partito: una cambiale in bianco firmata al Cavaliere (libero di stangare le toghe e di siglare qualunque patto scellerato con il Senatur) in cambio della patente di "legittimità a governare" altrimenti preclusa a una forza politica post-fascista. Ora che ha bruciato i suoi candidati Moffa e Beccalossi, il vicepremier è un leader prostrato: deve dimostrarsi capace di qualcosa. È in questo scenario di delusione e di rabbia che si svolge la famosa "verifica" nella Casa delle Libertà. Nell´ipotesi più traumatica per l´alleanza, può portare a un vero rimpasto. Può cadere la testa di Giulio Tremonti. Il ministro del Tesoro è il fiduciario di Bossi, e ha convinto Berlusconi a subirne le pretese e le offese. È il depositario delle ultime, ridicole trovate pre-elettorali come la proroga della detassazione degli utili reinvestiti già bocciata dalla Ue. È il tenutario del denaro pubblico, sempre copioso per i produttori padani ma sempre indisponibile per il Mezzogiorno e i contratti pubblici. An e Udc chiedono conto al premier, dell´operato di Tremonti e degli effetti del suo famigerato "asse" con Bossi. Ma per il Polo ci sarebbe anche un´ipotesi più feconda: la verifica potrebbe portare a un cambio di registro, politico e programmatico. Moderazione nei toni e ritrovato senso dello Stato, fine della guerra con i giudici, e avvio di una stagione di riforme vere, a partire da quella delle pensioni. È quello che chiedono i centristi di Casini e Follini. I soli dentro al Polo che, non a caso, possono dire di aver vinto con un aumento effettivo dei voti di lista (e non solo in Sicilia). Non è affatto scontato che la vittoria nell´urna porti l´Udc a vincere anche al tavolo della verifica. Ma il premier dovrebbe riflettere: ci sarà un motivo se, dopo i primi 700 giorni della sua politica urlata fino all´esasperazione, gli unici che guadagnano sono i moderati. Il centrosinistra, probabilmente, ha vinto anche per questo. Per i difetti dell´avversario, forse più che per i suoi pregi. Per l´arrogante e pervasiva "potenza di fuoco" berlusconiana, forse più che per il suo intrinseco potere di persuasione politica. Si spiega anche così il risultato della Margherita, che perde nel voto di lista, ma che vede premiato comunque il suo profilo moderato piazzando i suoi amministratori proprio nelle quattro aree che prima erano in mano al Polo (provincia di Roma, Regione Friuli, Pescara e Ragusa). Con la larghissima vittoria di Illy, il centrosinistra ha dimostrato anche una sua virtù, che sul piano locale gli deriva dalla capacità di scegliere un personale politico migliore, più percepito e radicato nella società civile e in grado di rappresentarla anche al di là del perimetro dei partiti in competizione. È una lezione utile anche per la scelta della leadership nazionale. Ma il vero nodo dell´Ulivo, insieme al candidato premier, resta il progetto politico. Il centrosinistra, unito, vince le amministrative e forse vincerebbe anche le elezioni generali, come accadde nel '96. Il problema verrebbe subito dopo. Esistono un leader e una piattaforma programmatica, capaci di aggregare Rifondazione comunista non per amministrare un comune, ma per governare il Paese? La risposta è no. Se avesse governato in questi mesi, il centrosinistra sarebbe già andato in crisi sulla guerra in Iraq e sulla riforma del Welfare, e starebbe per naufragare sul referendum per l´articolo 18 di domenica prossima. Ma l´opposizione è in campo. E per lo meno comincia a porsi il problema. È già una buona base per ripartire, e per ritentare la sfida nel 2006. |