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Da FAMIGLIA CRISTIANA del 11 gennaio 2004

Gruppi industriali in crisi: i sommersi e i salvati. Non tutte le aziende italiane in difficoltà hanno potuto beneficiare degli interventi del Governo. Alcune non ci sono riuscite nemmeno dopo un intervento della Consulta.

Quelli che il decreto...

di Guglielmo Nardocci

Il decreto legge è quel provvedimento che i Governi adottano per intervenire in casi urgenti e gravi. "Per dirla in breve", spiega Carla Cantone, responsabile nazionale della Cgil per le politiche industriali, "decreto legge è quel foglio di carta che ti garantisce uno straccio di stipendio anche quando chi ha combinato i guai è in fuga e l’azienda cade a pezzi. L’unica differenza è che il Governo può intervenire subito, oppure otto mesi dopo, o per niente". E, insomma, il "decreto" è quella cosa che distribuisce gli uomini nei gironi diversi della vita, anticipa purgatori e inferni, posticipa speranze, stipendi e casse integrazione.

E allora, parafrasando Jannacci, ci sono quelli che il decreto l’hanno avuto subito, senza peraltro mai aver dubitato che accadesse qualcosa di diverso. Per esempio, Emilio Fede, direttore del Telegiornale di Rete4, la terza rete del gruppo Mediaset di proprietà del capo del Governo, non ha mai dubitato di aver il suo bel decreto, senza il quale, in forza di una sentenza della Corte costituzionale, sarebbe in orbita con il satellite già da qualche giorno. Il decreto che ha evitato a Rete4 improvvide ascensioni passa alla storia delle crociate come "decreto salva-Fede".

Poi ci sono quelli che il decreto l’hanno avuto, ma chiedono quasi scusa, perché non fa piacere sentirsi sempre speciali: "I lavoratori non possono essere usati come ostaggio o strumento di ricatto politico. L’azienda è più che florida, perché dovrebbero tagliare se si va sul satellite? Ci stanno usando come arma di pressione…, ma noi non ci stiamo. Non faranno questo gioco sulla nostra pelle": così ha detto Vera Baldini, delegata aziendale di Rete4, alludendo al fatto che all’improvviso Rete4 era diventata l’unica bandiera lacrimosa dei problemi occupazionali.

Europa7 a bocca asciutta

E anche quelli che hanno avuto persino di più di un decreto, addirittura una sentenza della Corte costituzionale. E però non gli è servita a nulla.

Parliamo di Francesco Di Stefano, proprietario di Europa7, che nel 1999 vinse la gara per avere la sua rete nazionale ai danni di Rete4, che a norma di legge avrebbe dovuto cedere all’azienda risultata vincitrice le frequenze per trasmettere. "Ci hanno costretto a ricorrere alla Corte costituzionale, e la sentenza, ineludibile", chiarisce Di Stefano, "stabilisce che il 31 dicembre 2003 Rete4 avrebbe dovuto spegnere e noi accendere". Se le trasmissioni avessero preso il via, a Europa7 lavorerebbero oggi 700 persone negli studi già pronti da anni, ma inoperosi.

Di Stefano ha dovuto licenziare, ovviamente. Ed erano quelli che il decreto non l’hanno avuto e hanno perso il lavoro. Non erano mille e nemmeno trecento, solo un centinaio, ora ridotti a una quarantina o poco più. "Il Governo dovrebbe fare un decreto per tutti i disoccupati", dice ancora il proprietario di Europa7, "o vuol dire che i dipendenti di Mediaset sono particolari?".

Appartengono a un’altra categoria quelli che i decreti per la cassa integrazione guadagni li hanno spesso in ritardo, e fa la differenza. "Non c’è dubbio", spiega Carla Cantone, "che spesso il Governo in alcuni casi è veloce, altri addirittura superveloce, in altri mischia le carte, in altri ancora adopera gli strumenti come una clava per problemi che riguardano più gli scontri politici che i lavoratori. Ad esempio, il ministro Tremonti ha adoperato la vicenda Parmalat per colpire il Governatore della Banca d’Italia Fazio. Mentre invece sulla gestione della crisi il Governo ha giocato in ritardo e male".

La Cantoni e gli altri dirigenti della Cisl e della Uil ci tengono a precisare che erano di quelli che già un anno fa avevano avvertito il Governo che c’era qualcosa che non andava nella Parmalat: "E ora", sottolinea la Cantoni, "avvertiamo il Governo che c’è qualcosa che non va anche nel gruppo Marzotto. Hanno chiesto la chiusura dello stabilimento di Manerbio (Brescia) e poi di quello di Praia a Mare (Cosenza). E, ancora, se non va in porto l’accordo fra la Fiat e la General Motors ci saranno altri disoccupati: tanti".

Trenini e cassintegrati

Intanto ci sono quelli che in sofferenza ci sono già e aspettano la litania dei decreti per la cassa integrazione: i 1.200 della Tecnosistemi del gruppo Alcatel, i 1.800 della Marzotto, i 3.000 delle telecomunicazioni; senza parlare dei lavoratori occupati nell’indotto delle grandi aziende. E siccome è tempo di Befana, ci sono anche i 90 dipendenti dell’azienda che produce i trenini Lima, i modellini che hanno fatto sognare generazioni di bambini. Negli anni d’oro nella fabbrica di Isola (Vicenza) lavoravano 500 persone. I 90 rimasti a montare quelle meraviglie destinate a chi non si è piegato alle playstation hanno paura di perdere il posto perché avanzano i cinesi. Sarebbe bello che questi professionisti dalle mani d’oro, questi 90 rimasti a tenere vivi i ricordi migliori, non fossero fra quelli che vengono dimenticati. Dimenticati dai decreti, naturalmente, e dai nostri sogni d’infanzia.




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