Da LA STAMPA 9 dicembre 2001
L'incomprensibile posizione di Berlusconi sul mandato di cattura europeo ci rende ridicoli in Europa
Sotto sorveglianza
di Barbara Spinelli
La maggior parte dei ministri europei giudica incomprensibile
la posizione di Berlusconi sul mandato di cattura europeo. Il segnale che viene
in questi giorni da Roma è talmente incompatibile con l'idea che in politica ci
si fa della decenza, che altra via non c'è se non quella di esprimersi con un
aggettivo che denota stupefazione, sgomento: com'è possibile che le inquietudini
private del Premier cancellino d'un sol colpo una tradizione di europeismo che
in Italia ha radici antiche, e che la maggioranza favorevole al governo accetti
il mandato di cattura per i reati di terrorismo, di traffico d'armi e
stupefacenti, di abuso sessuale contro i minori - ma escluda reati come la
corruzione, la frode, il riciclaggio del denaro sporco, il ricatto a fini di
estorsione, la falsificazione di documenti per il commercio, il traffico
finanziario illecito (per non parlare del razzismo, del commercio illegale di
sostanze nucleari, del rapimento, della privazione di libertà, della presa di
ostaggi, dei dirottamenti aerei, del sabotaggio)? Non sono crimini da poco, ma
elementi essenziali di una civiltà che rispetti le leggi.
Il legame fra
terrorismo e reati finanziari è diventato più che mai palese dopo l'11
settembre, lo stesso Presidente Bush insiste perché l'Unione adotti
tempestivamente provvedimenti su ambedue i fronti, e questo spiega lo
sbigottimento europeo di fronte al no italiano. È la straordinaria leggerezza
che colpisce e stupisce, è il provincialismo di un governo che non sembra
essersi accorto della svolta impressa dagli attentati di Manhattan. Ed è la
sicurezza impudente con cui il Presidente del Consiglio sembra difendere suoi
interessi privati nel mezzo di una tormenta internazionale di vaste
proporzioni.
L'aggettivo incomprensibile è solo in apparenza blando. In
realtà gli europei guardano alla politica italiana, e non credono ai propri
occhi. Forse è vero, si dicono, che Berlusconi blocca il mandato di cattura - e
intralcia la cooperazione giudiziaria europea con rogatorie rese più complicate
- perché personalmente assediato dai fantasmi del giudice spagnolo Garzón e di
altri giudici europei severi sulla corruzione. Forse il nostro Premier non è un
uomo libero, forse è prigioniero di qualcosa o qualcuno. Altrimenti non avrebbe
confessato così candidamente agli ambasciatori europei, a Roma: "La persecuzione
di Garzón nei miei confronti è la riprova di quanto sia difficile un consenso
italiano al mandato di arresto europeo". Nei giorni scorsi un giudice francese,
Jean de Maillard, ha invocato in un articolo intitolato Berlusconi, vergogna
d'Europa, una sanzione e un maggiore controllo europei. Ma di fatto l'Italia è
già sotto sorveglianza.
Non è una sorveglianza formale come fu quella per
l'Austria. Ma a ben vedere è qualcosa di più: è la minaccia di esclusione da un
nuovo, vitale sviluppo dell'Europa. Se i sospetti comunitari non sono fondati,
Berlusconi avrebbe potuto chiarirlo. Se Garzón non costituisse per lui un
temibile spettro, avrebbe corretto gli ambasciatori. Non ha fatto né l'una né
l'altra cosa, e precisamente questa sua indifferenza al parere altrui getta i
suoi colleghi nello sgomento. È un'indifferenza giudicata insolente, leggermente
impudica, e pericolosa. Quasi troppo impudica e palese per essere vera, e per
questo ci si limita a dire in Europa: "La cosa risulta
incomprensibile".
Il ministro Bossi, mentore del ministro della Giustizia
Castelli, è giunto sino a ironizzare sulla nazione belga che assicura la
presidenza di turno dell'Unione: "Pare che la pedofilia sia un prodotto tipico
del Belgio - ha detto - ma noi siamo padani e ci piacciono i prodotti tipici
della Padania". Commenti analoghi a proposito dei governanti di Bruxelles
vennero fatti da Haider, durante le sanzioni: una similitudine che stona. È come
se in questi giorni un velo fosse stato strappato, sui dirigenti del paese: c'è
qualcosa di marcio, nel regno dell'Italia berlusconiana.
Qualcosa di
troppo enorme, per poter essere veramente compreso. Qui c'è un uomo che si
comporta come qualcuno la cui sopravvivenza sia in gioco: quasi fosse posseduto
da un demone che non sa dominare. L'aggettivo incomprensibile è indulgente solo
in apparenza, come si è constatato: in realtà è condanna crudele. Quel che fanno
i nostri responsabili non ha nulla a che vedere con il senso comune, né con le
difese strenue degli interessi nazionali che costellano la storia della
Comunità. C'è qualcosa di più, e questo qualcosa è inquietante perché
misterioso, e patologicamente personale.
Il rifiuto italiano non è
paragonabile ai veti passati di Parigi o Londra, e il ministro della Giustizia
Castelli non sa probabilmente quello che dice quando si sforza di minimizzare:
"Nessun dramma, l'Italia resterà fuori come l'Inghilterra è restata fuori
dall'Euro". L'Occidente e l'Unione sono in stato di guerra, da settembre. Sono
decisi a agire contro la corruzione e le mafie, su spinta della Commissione
Prodi, perché hanno infine capito il legame tra terrorismo, corruzione, paradisi
fiscali. Blair stesso, che è stato all'avanguardia nella battaglia contro il
terrore, ha riscoperto l'importanza dell'Europa, e ha parlato - all'università
di Birmingham il 23 novembre - di "tragedia britannica delle occasioni perdute".
Londra sta mutando, da quando le democrazie sono ferite dall'evento-Manhattan: e
il premier laburista non è certo ancora un federalista ma è significativo che
abbia citato ripetutamente Jean Monnet, fautore di un'Europa sovrannazionale e
inviso in Inghilterra. Qualcosa si muove in tutta l'Europa, dopo l'11 settembre.
Solo l'Italia fa eccezione - l'Italia che ha sempre favorito un'estensione del
voto a maggioranza, istituzioni più sovrannazionali - e questa novità mina già
oggi la nostra forza, quale che sia l'esito dei negoziati con l'Unione. È la
prima volta che Roma dice no perché rimasta indietro. E questo nonostante
l'esistenza di un'occasione preziosa: quella di accelerare la nascita di un
codice penale europeo - dunque di armonizzare i codici giuridici, come chiesto
da molti - ma partendo dalla piena e preliminare adesione al mandato di
cattura.
Quel che accade fuori casa deve essere davvero indifferente a
Berlusconi, se i suoi ministri puntano i piedi con tanta foga. È quello che si
comincia a dire a Bruxelles come a Parigi, Bonn, Londra, Madrid. Berlusconi ha
qualcosa da nascondere: questo il sospetto che circola, e non è una cospirazione
della sinistra. Le voci su una possibile dimissione di Ruggiero accrescono il
malessere. Non sarebbe un semplice rimpasto, ma un ulteriore sipario strappato:
se il ministro degli Esteri rinuncia alla carica, allora vorrà dire che l'Italia
non ha quella credibilità che la sua cooptazione intendeva
certificare.
"Nessun dramma: l'Italia resterà fuori". Si è visto come
questa sia l'opinione di Castelli, e d'altronde l'intera Lega la pensa così.
Nonostante la presenza di Ruggiero nel governo, Bossi non nasconde la propria
ostilità a un'Europa che con la moneta e la Carta dei diritti avrebbe già
sciaguratamente "distrutto le sovranità nazionali". Che intensificherà tale
distruzione quando si doterà di un testo costituzionale e di un esercito comune.
Quando verrà l'ora paventata di una procura europea non vi sarà secondo lui
un'Europa più civile, bensì il "trionfo di una burocrazia statale apolide, in
preda alle sinistre e alla massoneria".
Nel pronunciare l'autocritica di
Birmingham, Blair ha ricordato come la vera sovranità non possa ridursi a
questo: al "diritto di dire no a tutto quel che si fa". E ha preannunciato una
correzione di rotta, benvoluta dalla Germania sempre più federalista di Schröder
e Fischer. Vero e proprio ispiratore di idee e di azioni dopo l'11 settembre, il
Premier si batte oggi per uno spazio giudiziario europeo. Ovunque occorrerà
riformare prima la giustizia - e particolarmente in Italia - ma verso quello
spazio si vuole andare. Blair non è l'unico a pensare che l'Europa si trovi di
fronte una sfida somigliante a quella dell'89, quando cadde il Muro: allora fu
varato l'euro, e anche adesso occorre che le democrazie divenute vulnerabili
traggano le conseguenze e si uniscano. In Europa questo vuol dire: esercito,
decisioni collettive più spedite, e creazione di uno spazio giuridico
sovrannazionale che sia al riparo da interferenze politiche o diplomatiche,
prendendo come modello l'indipendenza conquistata della Banca centrale europea
grazie alla soprannazionalità della moneta.
È una strada obbligata, per
far fronte all'asimmetria che esiste tra forze distruttrici e edificatrici della
civiltà in cui viviamo: le prime infatti sono oggi globalizzate, mentre le
seconde sono tuttora suddivise in compartimenti stagni nazionali. E questo senso
di urgenza Berlusconi trascura spettacolarmente, al punto che gli europei sono
disposti ad aggirare l'ostacolo e a rompere la regola dell'unanimità: se
necessario, si voterà a maggioranza sul mandato di cattura e l'Italia sarà messa
in minoranza. Anche paesi affezionati all'unanimità sono favorevoli a tal gesto,
come Francia Inghilterra e Spagna, e da molti punti di vista è auspicabile che
questo ribaltamento del metodo di decisioni accada sul serio, al vertice di
Laeken il 14 dicembre.
Ne guadagnerebbero tutti - l'Unione e gli Stati
che resistono al terrorismo. L'unica a patirne sarebbe l'Italia, e sarebbe
un'amara ironia della sorte: è ormai mezzo secolo che essa si batte per una
Europa sovrannazionale, capace di decidere a maggioranza. Un'antica tradizione
di europeismo - un patrimonio lasciato in eredità a democristiani e liberali,
che potrebbero esprimersi all'interno della maggioranza e collegarsi a un
partito popolare europeo che redarguisce Berlusconi - sarebbe compromessa,
ridicolizzata. Sicché non è facilmente aggirabile, la verità di questi giorni:
non è un servizio alla nazione, e non è un servizio alle tradizioni del
centro-destra storico, la politica perseguita da Berlusconi in nome di
imperativi troppo spesso oscuri, troppo spesso inquinati, e per forza di cose
indecifrabili per i più.
|