Da LA STAMPA 8 dicembre 2002
Appello di Ciampi a governare in maniera preveggente perchè la Terra "l'abbiamo in prestito dai nostri figli"
La memoria del futuro
di Barbara Spinelli
Ispirato dagli affreschi di Ambrogio Lorenzetti sugli effetti
del buon governo e del governo cattivo, Carlo Azeglio Ciampi ha detto nel
Palazzo Pubblico di Siena quel che forse più gli sta a cuore, nell’Italia che
momentaneamente è guidata dal centro-destra di Silvio Berlusconi. Ha descritto
la grandezza della politica, quando essa non è dettata dal piacere personale o
partitico di una temporanea maggioranza bensì dal dovere che si ha di compiere
una determinata azione per le generazioni che verranno, indipendentemente dalle
forze politiche che in avvenire governeranno. Ha messo in luce i buoni effetti
dell’azione e delle riforme, quando esse sono adottate non in vista del
contingente tornaconto dei partiti che sono al potere, ma pensando a chi verrà
dopo e all’obbligo civile di non ostacolare il futuro agire di parlamenti e
governi.
E’ come se il Presidente della Repubblica avesse ricordato,
sulla scia di quel che dice Hans Jonas sul Principio di Responsabilità, che il
servitore dello Stato non ha da coltivare speranze utopiche, e tantomeno
speranze rivoluzionarie. Suo compito è pensare agli effetti nel lungo periodo
delle proprie azioni, a come verranno tradotte in pratica, a come potranno
essere utilizzate dai governi e dalle generazioni che succederanno ai governi e
alle generazioni presenti. La sua responsabilità è per l’oggi, ma anche per il
domani. E per questo futuro dovrà trepidare e temere nelle proporzioni giuste,
perché le persone che lo subiranno non sono gli odierni coetanei o compagni di
partito, ma ancora devono venire e ancora non ci parlano in maniera distinta.
Anzi, meno ci parlano in maniera distinta, più forte ha da essere la paura di
sbagliare e più grande la responsabilità. La paura in tal caso può divenire
feconda, e dar vita a quello che Jonas chiama il coraggio della responsabilità:
"L’individuo consapevole dovrà ogni volta porsi nell’ottica di poter desiderare
in seguito (col senno di poi) di non aver agito o di aver agito diversamente"
(Hans Jonas, Il Principio di Responsabilità, Einaudi 1990). Non sono molto
diverse le parole di Ciampi a Siena: "Ho sempre pensato che chi ha
responsabilità di pubblici uffici deve saper guardare lontano, deve saper
lavorare anche per chi verrà dopo, nelle stesse cariche che oggi gli sono
affidate. E non importa se il successore potrà essere di un’altra parte
politica. La democrazia è l’arte di governare per il bene comune, in una giusta
dialettica, protratta nel tempo, tra diverse parti e scuole di pensiero".
Negli affreschi di Lorenzetti gli effetti del cattivo governo sono ben
visibili: muri sbrecciati, tetti cadenti, balconi e finestre corrosi
dall’incuria. E intorno le figure del vizio, quando non è addomesticato. Chi ha
avuto il comando della città non si è curato degli effetti delle proprie azioni,
lascia intendere Lorenzetti. Ha agito perché così gli piaceva, non perché così
doveva. Il bene privato o partitico ha conquistato tutto lo spazio,
sostituendosi al bene pubblico. Il sentimento ha vinto sulla ragione. E’ quel
che accade in Italia con questo governo, e che in parte è accaduto anche nelle
legislature precedenti. Anche la sinistra ha introdotto a colpi di maggioranza
una riforma federalista che distorce la Costituzione, che abolisce la benefica
gerarchia fra Stato e regioni, e che rende più che mai incerti per il futuro i
rapporti fra i vari livelli di governo (nel nuovo articolo 114, la Costituzione
mette tutti sul medesimo piano: Stato, regioni, province, comuni, città
metropolitane). Come scrive Mario Pirani su la Repubblica, la sinistra ha svolto
le funzioni di apripista: l’attuale governo non ha fatto che accentuare
precedenti distorsioni, pur di far piacere alla Lega.
Ancor più degli
accenni al necessario equilibrio fra unità nazionale e regionalismo solidale, è
dunque questo appello di Ciampi alla responsabilità del futuro che vale la pena
ascoltare. E non a caso è il passaggio su cui si è insistito di meno, perché il
futuro incrina le sicurezze dell’oggi ed è la più formidabile sfida lanciata al
piacere o al tornaconto del momento. Le utopie del Novecento hanno lungamente
sequestrato il futuro, immaginando di poterlo antivedere, predeterminare,
addirittura realizzare. Lo hanno manomesso allo stesso modo in cui hanno
manomesso il passato, disgregando la tela del tempo e di fatto uccidendo il
tempo. Ma non per questo l’avvenire viene meno, come oggetto della politica e
del pensare politico. Come appello rivolto a chi governa e alle classi dirigenti
in senso lato: classi composte dai partiti ma anche dagli industriali e dai
sindacalisti, dai giornalisti e dagli intellettuali. La politica della memoria è
anche questo: si ha presente il passato, ma ci si ricorda anche dei tempi che
devono venire. Si lascerà in eredità un bene che non ci appartiene, e che
appunto per questo è detto cosa pubblica, res publica. Un antico proverbio
africano, ripreso da Saint-Exupéry, riassume alla perfezione questa
responsabilità che ciascuno di noi ha per i tempi che sono in gestazione: "Noi
non ereditiamo la terra dai nostri antenati, ma la prendiamo in prestito dai
nostri figli". Se non ne siamo capaci, se trattiamo l’eredità come fosse nostra,
vuol dire che siamo ancora figli delle rivoluzioni e delle tabule rase, e che
ancor oggi mimiamo - con la scusa di voler esser assolutamente moderni - la loro
abolizione del tempo.
Governare in maniera tale che i governi successivi
possano continuare a edificare senza distruggere, ancora una volta, il presente.
Vedere se stessi come forza politica che governa e riforma in maniera
preveggente, non che comanda soltanto. Che sa di essere ineluttabilmente
peritura, perché in democrazia i governanti sono licenziati quando non adempiono
il loro dovere o quando non dicono la verità sugli effetti delle proprie
riforme, sulla loro plausibilità. E’ quello che le classi politiche faticano ad
imparare, e che l’attuale governo sembra aver dimenticato. Nel suo viaggio a
Siena, il Presidente ha parlato all’università oltre che al municipio. Gli
studenti lo hanno interrogato e ascoltato, ma quando ha parlato il ministro
Letizia Moratti si sono alzati in piedi, ascoltandola compostamente ma con le
spalle voltate. E’ un segno che dovrebbe inquietare qualsiasi governante: il
bene che esso gestisce, infatti, non è di sua appartenenza. Appartiene proprio a
quegli studenti, che a loro volta non potranno appropriarsene perché il bene
passa senza fine di mano in mano, e i politici entrano nella storia solo quando
si fanno servitori del buon governo.
La responsabilità per il futuro ha
cominciato a farsi strada sui temi dell’ecologia, negli Anni Settanta, per
includere ai giorni d’oggi l’arte stessa del governare. E’ una filosofia
politica che si riappropria del tempo, sottraendolo alle ideologie, e che ha
dato vita a quel che viene chiamato il principio di precauzione. Sotto la guida
del principio di precauzione si fanno le riforme, ma pensando agli effetti che
esse avranno sul lungo periodo: le riforme fini a se stesse, introdotte per mero
amore del movimento e dell’attivismo, non sono molto diverse dalle rivoluzioni.
Si cambiano gli ordinamenti, ma a condizione di non creare lacerazioni che
diverranno visibili in un secondo momento. Infine si dice la verità agli
elettori, quando si promettono mutamenti economici o istituzionali: si dice
quanto denaro c’è in cassa, quanto si deve risparmiare, come sarà salvaguardato
il bene pubblico che è rappresentato dalla scuola o dalle forze dell’ordine.
Per restaurare l’unità nazionale che ha appena slabbrato e per
ristabilire le opportune gerarchie, Silvio Berlusconi annuncia adesso di voler
diventare Presidente della Repubblica, eletto direttamente e con poteri nuovi e
assai ampi. Ma il coraggio della responsabilità per il futuro, che oggi tanto
gli manca, è difficile gli venga domani, in una carica ancora più elevata. Il
senso del tempo e la duplice memoria di Ciampi - memoria del passato, memoria
del futuro - non sembrano essere il suo forte. Il suo forte è la tabula rasa, e
da questo punto di vista l’anticomunismo che professa resta un mistero. Da molto
tempo ormai Berlusconi non è più la forza moderata e centrista della coalizione
di centro-destra. Si è radicalizzato su molti temi: sulla giustizia, sul
federalismo, sulla concezione stessa della responsabilità. Sono altri ormai,
nella Casa delle Libertà, a occupare lo spazio del moderatismo: sono i
democristiani di Casini e Follini, pronti a divenire il centro-destra
governativo di domani. Potrebbe essere Gianfranco Fini, se avesse il coraggio di
andare fino in fondo nel cammino intrapreso. Possono essere personalità libere
dentro Forza Italia, perché la responsabilità per il futuro è un’etica che
chiama le singole coscienze, prima ancora dei raggruppamenti partitici.
E’ da queste posizioni radicali che Berlusconi ha deciso di sfidare
Ciampi, annunciando di volergli succedere. E’ abolendo il tempo, e il coraggio
della responsabilità che guarda molto lontano. Conviene tuttavia che stia
attento: i figli dei politici odierni, la nuova generazione da cui Berlusconi ha
solo preso in prestito il bene pubblico che oggi amministra, già cominciano -
ominosamente - a voltargli le spalle.
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