Da LA STAMPA 7 settembre 2003
Confusione creata ad arte per delegittimare la politica, quello spazio pubblico di discussione
che gli antichi chiamavano res publica o agorà
Il sequestro dell'agorà
di Barbara Spinelli
Dicono che la libera conversazione tra cittadini sia
impossibile, nell’Italia di oggi, perché sinistra e destra non hanno ancora
appreso a legittimarsi a vicenda. Perché le sinistre sono troppo legate al
passato comunista, e perché la destra è inibita dal conflitto d’interessi di
Berlusconi, oltre che dai processi che intralciano lui e qualche suo amico.
Questo sembra essere il filo conduttore della discussione attorno allo
zoppicante bipolarismo italiano, che il Corriere della Sera sta proponendo in
seguito a un articolo dello storico Gaetano Quagliarello (28 agosto 2003). Non
si può celebrare allo stesso modo la Liberazione europea del 1945 e del 1989,
ricorda Quagliarello, perché i due totalitarismi - nazifascista e comunista -
non sono stigmatizzati con la medesima severità: la caduta del muro di Berlino
non ha le virtù mitiche dello sbarco in Normandia, la Liberazione è una parola
scritta in maiuscolo solo quando evoca Hitler e Mussolini. Non si può neppure
parlare allo stesso modo del terrorismo di sinistra e di destra, quasi che le
Brigate Rosse avessero ideali generosi: ideali falliti ma pur sempre ideali, che
il terrorismo nero non possedeva. A volte, tuttavia, si parla di
delegittimazione a sproposito, come se tutto fosse imputabile a questo reciproco
non riconoscersi, questo reciproco pregiudizio sfavorevole. Da molte parti si
invita ad abbassare i toni, come se non si trattasse invece di mutar
radicalmente la materia stessa del discutere, e soprattutto di distinguere quel
che andrebbe rigorosamente distinto. Il processo di Milano per corruzione di
magistrati viene messo sul medesimo piano delle indagini giudiziarie e
parlamentari su Telekom Serbia, la testimone Ariosto viene equiparata a Marini,
i sospetti di corruzione vengono confusi con quello che nel ‘97 fu un cattivo
contratto (l’acquisto a un prezzo eccessivo di una quota della telefonia serba)
e il giudizio negativo su questo contratto viene a sua volta confuso con la
politica del centro-sinistra verso il dittatore Milosevic. Tutta questa
confusione viene creata ad arte non già per delegittimare la sinistra ma per
delegittimare la politica stessa, l'istituzione stessa di quello spazio pubblico
di discussione che gli antichi chiamavano res publica o agorà. "Tutti i politici
sono corrotti e l’altro ancora di più": questo il risultato strategico cui
vogliono giungere tutti coloro che gettano nello stesso calderone Telekom e
Milosevic, la corruzione, gli affari di un’azienda alle soglie della
privatizzazione, e la diplomazia occidentale. Non sono i giudici di Torino e
neppure i giornalisti o i parlamentari ad alimentare questa sistematica
mescolanza. Essa viene continuamente riproposta dagli uomini di Palazzo Chigi,
al punto che ogni distinguo pare votato al naufragio. Luigi Spaventa spiega sul
Corriere della Sera che nell’affare Telekom lo Stato non ha perso le somme
denunciate dal centro-destra, ma non è sul merito che gli si risponde: la
disputa, d’un tratto, si sposta sulle complicità tra postcomunisti serbi e
centro-sinistra. Piero Fassino spiega che negli accordi di Dayton furono tutti
gli occidentali a rivalutare Milosevic, e gli si obietta che l’Italia spezzò il
fronte anti-Belgrado: cosa vera e falsa al tempo stesso, perché il governo fece
sì l'errore di dar credito a Milosevic quando Dayton era ormai agli sgoccioli
(come il governo greco, come alcuni politici inglesi tra cui Douglas Hurd) ma
non esitò poi a partecipare alla guerra che sconfisse il dittatore. La
confusione fra diverse categorie (corruzione, contratti aziendali, politica
estera, dibattito bipolare tra intellettuali) è il vero nemico della democrazia
italiana di oggi, e la linea divisoria non è tra calmi ed esagitati, tra stile
corretto e stile trasgressivo-spiritoso. La linea divisoria è tra chi rispetta
le istituzioni e la separazione dei poteri, e chi questo spazio pubblico vuole
abolirlo colpendo le istituzioni che lo garantiscono. Berlusconi sembra
appartenere alla seconda tipologia. La politica lui non la fa in ufficio, ma la
privatizza e la trasloca nell’intimità tirannica delle proprie ville. Qui riceve
Capi di Stato, qui accoglie giornalisti e parla dei magistrati come di una razza
dedita al diritto, dunque antropologicamente diversa (anthropologically diverse
from the rest of humanity). Qui esalta la sfiducia di parte dei cittadini verso
magistrati e politici, costruendo sugli istinti bassi che sono in ciascun
italiano. Qui tesse la sua tela per ingabbiare l'avversario, lasciando che i
propri luogotenenti inventino durevoli complicità tra sinistra e
Milosevic. L’affare Telekom Serbia è probabilmente una pecca, nella storia
del centro-sinistra. Un inviato di Clinton nei Balcani di allora, Robert
Gelbard, sostiene che non vi furono sollecitazioni Usa perché si investisse in
Serbia. Ma resta che l’Occidente intero corteggiò Milosevic per anni. Resta il
fatto che la politica balcanica fu fatta male in Italia e fuori Italia, a destra
e sinistra, dal ministro degli Esteri Dini e dal ministro De Michelis, oggi
consigliere diplomatico di Berlusconi. Lo stesso De Michelis che a suo tempo
disse: "Questa guerra è inventata dai media". E’ quello che andrebbe ricordato
agli italiani, se l’agorà esistesse: la frase di De Michelis non è che il
segmento di una strategia, così come il filo-serbismo di Dini non fu che un
segmento della politica condotta da centro-sinistra e Occidente. La politica non
si esaurisce in un segmento, e neppure la memoria. Ma perché ci sia agorà
bisogna che esista uno spazio pubblico, una piazza dove i contendenti possano
liberamente discutere di politica e non solo di segmenti. E’ quello che manca,
quando si privatizza la politica e si screditano le istituzioni. Non si fa
l’agorà in villa, all’ombra di quattromila cactus e alla presenza di un premier
che non conosce altro, oggi, che la paura: paura dei politici come delle
manifestazioni, di grandi giornalisti come Indro Montanelli come dei magistrati.
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