Da LA REPUBBLICA 7 maggio 2003
L'Italia non ha più un governo ma una corte spaventata e indecorosa che segue i suoi sfoghi di onnipotenza e di faccia tosta
Il Cavaliere sfasciatutto
di Giorgio Bocca
GIUNTO a questo punto della sua avventura Silvio Berlusconi
mette paura con la sua megalomania travolgente e rancorosa: in processo a
Milano, per umiliare anche i suoi avvocati di fiducia che ha stritolato in
questi anni come persone e a cui ora insegna anche il mestiere, parlando per
quaranta minuti a braccio con una memoria implacabile da ragioniere. Il prezzo
di essergli amico o collaboratore è di annullarsi sia pure con abbondante
retribuzione. Attorno a sé lo sfasciacarrozze Berlusconi fa il deserto.
Ridicolizza i suoi giornalisti, ne fa delle macchiette di cui tutti ridono,
riduce i suoi ministri a cloni esangui, obbedienti, "identificatelo" ordina ai
carabinieri, se qualcuno lo apostrofa.
L'Italia non ha più un governo ma
una corte spaventata e indecorosa che segue i suoi sfoghi di onnipotenza e di
faccia tosta. Accusato di aver corrotto un giudice, accusa per quaranta minuti
uomini politici, imprenditori, malcapitati. il ruolo delle personalità nella
storia, il ruolo dei vizi e delle anomalie individuali che fanno storia. Capita
un Berlusconi nell'edilizia, nella televisione e nella politica, capita questo
tornado di ambizioni, voglia ossessiva di primeggiare, innamoramento implacabile
di se stesso e non resta che contare le vittime e i guasti. Uomini così sono
pericolosi perché dotati, incontenibili perché di mostruosa vitalità,
irresistibili perché seduttori, capaci di fare di una partita di affari una
favola, un melodramma: il Craxi che racconta in processo diventa un onest'uomo
un po' ingenuo, che si preoccupa della buona amministrazione pubblica, un amico
affettuoso, perché anche l'affetto ci vuole, l'associazione nel potere non basta
ci vuole la nota umana, la omologazione all'Italia sentimentale "anima e
core".
Lo sfasciacarrozze sfascia la giustizia, la politica,
l'informazione ma ha bisogno di esser amato, ha bisogno di gratitudine per tutto
ciò che fa per la cara patria, instancabile, onnipresente. Anche gli odiati
giudici di Milano devono saperlo, devono riconoscerlo, lui in un giorno incontra
cinquanta capi di Stato, presiede dieci convegni, vola come un "Superman" da un
incontro con Blair a una colazione con Bush a Camp David, impegna tutti i media
di cui dispone (governativi e privati) per magnificare questo turbine di
pubbliche relazioni e chiede solo un po' di riconoscenza, il Paese dovrebbe
essergli grato di ciò che ha fatto. E ci crede, è davvero convinto di essere
provvidenziale, ammirevole, degno di imperitura gratitudine. Giunto a questo
punto della sua avventura il Cavaliere fa davvero paura. Chi lo fermerà? Dove si
fermerà? Il suo presenzialismo è incontenibile anche nelle contraddizioni:
aspira alla presidenza del semestre europeo e manda i nostri soldati nell'Iraq
senza accordarsi con l'Europa, cerca di ingraziarsi l'America imperiale me ne
ottiene l'umiliazione di vedere preferiti i polacchi, si dichiara pacifista per
timore del Papa e partecipa alla occupazione dell'Iraq.
Fa paura il
Cavaliere perché ciò che dice di sé e della sua avventura politica è in parte
vero. L'avventura di un paese imprevedibile nel bene ma prevedibilissimo nei
vecchi vizi. Ho creato dal nulla il più grande partito italiano, dice, ho la
maggioranza in Parlamento, possiedo o comando tutta la televisione, posso
insolentire i giudici, il loro Consiglio superiore, la Corte costituzionale,
posso infischiarmene del presidente della Repubblica, ho il monopolio della
pubblicità, ho promosso a protagonisti della politica personaggi inguardabili,
tengo in piedi un anticomunismo a comunismo morto e sepolto, ho ottanta avvocati
e qualche centinaio di deputati lacchè, posso ordinare "identificatelo" di
chiunque mi è ostile. Il superuomo è temibilissimo, un grande attore come tutti
i fenomeni come lui. Lo guardavo lo ascoltavo in televisione, al processo di
Milano e sentivo paura. In piedi, senza consultare una carta, con una memoria
formidabile delle percentuali, dei nomi, dei tempi e dei luoghi, delle
telefonate, a che ora gli arrivarono, dove gli arrivarono, ai mezzi di
trasporto, aerei o auto, alle amicizie, come e dove nacquero, alle pratiche
notarili per i contratti, ai gesti di simpatia dovutigli, alle ostilità altrui
incomprensibili e imperdonabili.
E scoprire che dietro la storia di
Italia, dietro ciò che avvenne nel tramonto della partitocrazia c'era lui,
coperto ma protagonista, consigliere dei potenti e loro avversario, homme fatal
in doppio petto blu. Ora sulla plancia del comando a indicare ai giudici di
Milano, che tratta come delinquenti chi debbano convocare come testimoni, quali
piste devono seguire e quale calendario debbano compilare per avere ancora
l'onore di sentirlo. Il Cavalier sfasciacarrozze è solo alla metà dell'opera e
purtroppo ci farà ancora stupire, a danno del Paese.
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