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Da LA STAMPA 6 ottobre 2002

Col voto contrario all'invio degli alpini in Afghanistan i DS si sono dimostrati incoerenti mentendo agli italiani

La scuola delle bugie

di Barbara Spinelli

Rimanere fedeli alla parola data, non usare l’arma della menzogna per far valere le proprie tesi, non mettere il partito al di sopra di tutto, quando sono in gioco l’interesse della res publica e della propria alleanza. Dopo i totalitarismi del ventesimo secolo, dopo un’esperienza comunista che fu per intero caratterizzata dall’arte di mentire, sembrava essere questo il nuovo codice etico-politico dei figli di Togliatti, oggi riuniti nei Ds.

E se c’è un tabù che essi non potevano infrangere era proprio questo: in ogni modo non potevano ricorrere alla strategia della falsità, perché precisamente qui s’annidava il peccato più grande del loro passato. Non potevano disconoscere la realtà e gli obblighi che essa comporta, in nome di quel superiore bene che s’incarna nella linea del partito.

Da tutti i totalitarismi si esce con tabù di tale natura: anche i tedeschi non possono fare battute sugli ebrei, per via del peccato specifico che grava sulla storia nazista. Anch’essi hanno dovuto educare se stessi, apprendendo la democrazia e i suoi interdetti.

Fin da principio l’Ulivo doveva servire anche a questo: all’auto-educazione dell’ex Pci, che si sarebbe incamminato sulla via riformista accettando un’alleanza di tipo sovrapartitico - in Europa si direbbe sovrannazionale dove non ci sarebbe più stato spazio per antiche, esoteriche ideologie di partito.

Nel voto di giovedì sull’invio degli Alpini in Afghanistan sono questi tabù che sono caduti in pezzi, prima ancora dell’Ulivo che tanti danno già per liquidato. Il disfacimento di quest’ultimo non costituisce la verità di queste giornate, e non è l’Ulivo ma sono i Ds a esser giunti al punto zero. Sono i Ds che hanno cambiato linea, secondo abitudini leniniste che parevano sepolte. Lo hanno fatto per paura di perdere i legami con Bertinotti, con Cossutta, forse con Cofferati, e con la volontà che attribuiscono alla piazza e ai movimenti.

In poco tempo si può distruggere quello che con fatica si era ricostruito, e non è la prima volta che i Ds sfasciano l’alleanza nell’illusione di rendersi più visibili. Nel ‘98 uccisero il potere che avevano (Prodi). Oggi non esitano a uccidere la speranza del potere (Rutelli). Mercoledì, a Montecitorio, Rutelli è stato lasciato solo a difendere quel che in democrazia è appunto intoccabile mentre nei totalitarismi è sacrificabile: la parola data, la promessa, e quel minimo di decenza che consiste nel non falsificare la realtà su cui si fondano e la parola, e la promessa.

La parola data è quella che l’Ulivo garantì subito dopo l’attentato alle Torri, quando le Camere italiane approvarono l’operazione Enduring Freedom e decisero di prender parte alla grande coalizione anti-terrorista creatasi dopo l’11 settembre sotto l’egida dell’Onu, della Nato, dell’Unione europea.

Oggi il partito di Fassino dice che la situazione non è più quella, che si tratta di contrastare le eventuali offensive Usa in Iraq, che l’originario patto è rotto. Ed è qui che si inserisce la strategia della menzogna, e la rottura del tabù post-totalitario.

Sono giorni che i massimi dirigenti Ds mentono agli italiani e ai propri militanti, sulla questione degli Alpini. Dicono che il loro no all’invio di soldati non è un no agli interventi Onu in Afghanistan. Lasciano intendere che Enduring Freedom è un’operazione anglo-americana che non è in rapporto con le forze multilaterali che l’Onu ha dispiegato in Afghanistan, sotto il nome di Isaf.

Ripetono che il loro assenso lo diedero a suo tempo all’Onu e all’Isaf, e non agli americani. Precisamente questo è falso. Fu l’Onu a avallare l’iniziativa Enduring Freedom, con una risoluzione adottata il giorno dopo l’attentato alle Torri, il 12 settembre 2001, ed è all’insegna di questa risoluzione (nr. 1368) che una forza multinazionale guidata da Washington cominciò la guerra il 7 ottobre 2001.

L’approvazione delle Camere italiane venne data il 7 novembre dell’anno scorso, e concerneva quest’operazione Enduring Freedom avallata dall’Onu. La creazione dell’Isaf intervenne dopo il voto di Camera e Senato, il 21 dicembre 2001 (risoluzione nr. 1386). Fin dal voto di novembre infine, era chiaro che l’operazione non si limitava a garantire pace, scorte armate, assistenza umanitaria. Che comportava azioni di combattimento e di caccia a cellule terroriste.

Non è dunque la situazione internazionale a esser cambiata. E’ il racconto che la sinistra fa di questa situazione, distorcendola e riscrivendola a fini partitici interni. Con questo non si vuol dire che nulla sia cambiato, dall’11 settembre. Esiste una forte tentazione americana di rompere l’ampia alleanza del dopo 11 settembre, e di agire per proprio conto in Iraq.

Esiste una forte resistenza europea a questo unilateralismo statunitense, rappresentata in modi diversi da Fischer e Schroeder in Germania, e da Chirac in Francia: una resistenza cui alcuni paesi dell’Unione si oppongono, e tra questi l'Italia di Berlusconi. Ma le obiezioni franco-tedesche, e anche quelle di Al Gore in America, sono fatte in nome di una guerra anti-terroristica che urge continuare, e che è lungi dall’essere vinta.

Proprio perché essa non è ancora conclusa, proprio perché bisogna rafforzarla, si moltiplicano le obiezioni a qualsiasi intervento in Iraq che non salvaguardi la coalizione creatasi dopo l’attentato alle Torri. Le sinistre italiane che hanno votato no all’invio degli Alpini non hanno nulla a vedere con questa resistenza di Parigi, o dei socialdemocratici e verdi tedeschi.

Si muovono fuori dalla sinistra europea e americana, e Pecoraro Scanio si rende ridicolo quando afferma, dopo la vittoria di Fischer: "Abbiamo vinto noi". Fischer ha vinto riscoprendo l’Occidente e la necessità di difenderlo, non rincorrendo i pacifisti. Ha vinto con una posizione autonoma verso gli Usa, ma anche rischiando i pomodori in faccia e le più acute ostilità della propria base, durante la guerra in Kosovo.

Le sinistre italiane, con l’esclusione della maggioranza della Margherita, hanno dimostrato invece di aver capito ben poco l’11 settembre: che fu un attacco contro l'America, sì, ma anche contro le democrazie e il nostro stato di diritto.

E hanno dimenticato un’altra cosa: non solo l’Onu avallò Enduring Freedom, anche la Nato decise, il 2 ottobre 2001, di applicare per la prima volta l’articolo 5 del Trattato ("Le parti convengono che un attacco armato contro una o più di esse in Europa o nell’America settentrionale sarà considerato come un attacco diretto contro tutte le parti, e di conseguenza convengono che se un tale attacco si producesse, ciascuna di esse, nell'esercizio del diritto di legittima difesa, individuale o collettiva, riconosciuto dall'art. 51 dello Statuto delle Nazioni Unite, assisterà la parte o le parti così attaccate intraprendendo immediatamente, individualmente e di concerto con le altre parti, l'azione che giudicherà necessaria, ivi compreso l'uso della forza armata, per ristabilire e mantenere la sicurezza").

L’Italia aderisce ancora al Patto Atlantico, Berlinguer lo difese nel 1976, e ora anche questo è messo in questione. D’Alema è tra i primi responsabili di questa regressione, che lo voglia o no. Come presidente del partito, come edificatore assieme a Giuliano Amato di una nuova sinistra, ha mancato il proprio dovere proprio perché più consapevole dei rischi massimalisti. Ora dice di sentirsi a disagio, dopo aver votato no agli Alpini. Di voler tacere, tanto vasto è il suo disprezzo. Confidenzialmente si dice perfino d’accordo con Amato: opporsi a una partecipazione accresciuta a Enduring Freedom è stata "una follia".

Ma non è con disagi confidenziali che si fa politica: il suo appuntamento era con il Parlamento, e lo ha mancato. Era con la verità, e a essa ha preferito il partito e i favori della sinistra Ds, come spiega in un'intervista a La Repubblica: "Diciamo che abbiamo trovato questo punto di convergenza (con le sinistre comuniste, ndr).

Del resto, io credo che la politica estera non sia tema per una scelta di coscienza, ma è materia di scelta politica. Con questa scelta abbiamo compattato le posizioni nel nostro partito. Speravamo di poterlo fare anche nell’Ulivo, ma non ci siamo riusciti". Questa è l’idea che D’Alema si fa dell’Ulivo, e della coscienza, e dell’unione. Quest’ultima si può fare, ma a condizione che tutti i partiti siano egualmente superpotenti e soprattutto il proprio.

Poco importa che la propria linea risulti al momento decisivo maggioritaria o minoritaria: è quella giusta, e questo basta. Quando Rutelli ha chiesto di contarsi in un’assemblea dell’Ulivo, mettendo democraticamente in gioco se stesso e la Margherita, i Ds hanno risposto con un diniego: "Si faccia la riunione - così hanno replicato - ma se si pensa di uscire da quella sede con una linea, allora deve essere la nostra" (la dichiarazione, non smentita, è riportata da Maria Teresa Meli su questo giornale, il 3 ottobre).

Il bolscevismo fu questo, quando Lenin teorizzò la presa del potere da parte delle minoranze, ed esso sembra ancora abitare le menti dei Ds. E’ inutile a questo punto che D’Alema firmi con Amato appelli programmatici, perché il partito socialista europeo apra ai democristiani di sinistra e crei famiglie politiche sovrannazionali. Se non riesce a fare questo in Italia, inutile predicarlo fuori Italia.

E’ il motivo per cui è davvero troppo presto per dichiarare morto l’Ulivo. Rutelli lo ha rappresentato al meglio, onorando un patto sottoscritto dall’Ulivo. Ed è un peccato che ad affiancarlo non ci fosse anche Amato, che pure dice in confidenza di condividere la sua scelta. Se era "una follia" votare contro, l’ex premier avrebbe potuto e dovuto rimanere a Roma a votare: tutti nella Convenzione avrebbero capito che la sua momentanea assenza da Bruxelles era un servizio reso all’Europa, oltre che all’Italia.

A prescindere dalla sua lontananza fisica, una parola più solenne e impegnativa ne avrebbe fatto un punto di riferimento: non serve esser stato un socialista ostile al comunismo, se poi se ne contraggono i virus. Poiché una cosa sembra chiara: non l’idea dell’Ulivo è morta, e di certo non è questo che desiderano i girotondi e chi vuol preparare un’alternativa seria a Berlusconi.

Se riprenderà le forze, l’Ulivo non potrà che rinascere attorno alla fedeltà che Rutelli ha ribadito in Parlamento, al senso della decenza che ha dimostrato di avere, e al suo rifiuto delle menzogne e degli auto-inganni.




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