Da LA REPUBBLICA 6 gennaio 2002
Dietro le dimissioni di Ruggiero la deriva del berlusconismo antieuropeo
La deriva del Cavaliere
di Ezio Mauro
Dopo appena sette mesi, il governo Berlusconi è andato a
cozzare dove l'ha trascinato la sua tragica deriva, contro il muro dell'Europa,
della politica estera, del rapporto tra l'Italia e l'establishment
internazionale, che dopo l'euro sta costruendo le istituzioni continentali.
Rispetto a tutto ciò il berlusconismo è anomalo, estraneo, diffidente e ostile.
L'unico punto di raccordo possibile — oltre al presidente Ciampi, che però non
governa — era il ministro degli Esteri Ruggiero, che fino all'ultimo ha fatto
l'impossibile per tenere insieme il corpo europeo di cui l'Italia fa
irrevocabilmente parte, con l'anima berlusconiana, ribelle ed eretica. Ieri
anche quest'ultimo velo di decenza europea si è rotto, Ruggiero si è dimesso
dopo una settimana di passione e l'Italia di Berlusconi torna a galleggiare nel
Mediterraneo, senza bussola e senza l'unica stella polare oggi possibile, quella
dell'Europa. Un'Italietta autarchica, che lascia stupefatte le cancellerie
occidentali, per quella combinazione di arroganza e di impotenza, prive entrambe
di ogni valore e di ogni cultura, che formano ancora una volta il nocciolo duro
di questa drammatica destra italiana, anomala in patria e fuori. Con l'uscita
di scena di Ruggiero, clamorosa e devastante come una vera e propria crisi di
governo, questa destra è oggi nuda e sola con se stessa. Se n'è andato l'unico
elemento spurio con il berlusconismo trasformato in Stato, in comando e tra
breve, probabilmente, in regime: un uomo di grande esperienza internazionale
(sia come ambasciatore che come direttore del Wto, l'organismo del commercio
internazionale), di forti relazioni con l'establishment italiano ed europeo.
Tutte qualità, doti e talenti che mancano alla destra berlusconiana, che è
destra allo stato puro, energia futurista, senza esperienza politica e senza
cultura di governo. Attraverso un patto di scambio con i poteri forti, tipico
da Prima Repubblica, Berlusconi aveva "comperato" sul mercato manageriale ciò
che la sua costituente politica non era in grado di fornirgli: l'esperienza
sperimentata di Renato Ruggiero. L'Avvocato Agnelli e Ciampi avevano spinto
l'ambasciatore ad accettare, ritenendo che la politica estera fosse la prova più
critica tra tutte quelle che attendevano il governo.
Ruggiero aveva posto come condizione soltanto di poter
continuare ad essere se stesso, cioè un europeista convinto (interprete in
questo della storia migliore del nostro Paese), intenzionato a portare avanti
una politica bipartisan non per ammiccare alle sinistre, ma perché le grandi
scelte internazionali di un Paese consapevole del suo ruolo e delle sue
responsabilità devono essere condivise da maggioranza e opposizione. Tutto
ciò è stato facilmente accettato da Berlusconi nel momento trionfale in cui
contava i voti ricevuti dagli italiani e assemblava il governo, e il Cavaliere
ha esibito Ruggiero come un fiore all'occhiello nelle sue prime uscite
internazionali. Ma subito dopo sono cominciati i guai. Il professionismo di
Ruggiero assisteva allibito alle gaffe del presidente del Consiglio, in ogni
pubblica occasione: dal giudizio sui "comunisti" nel primo vertice
internazionale all'attacco ai giudici "di rito ambrosiano" nell'ultimo, fino
all'incidente sulla civiltà "inferiore" dell'Islam. Ogni volta il ministro
doveva ricucire con partner infastiditi, stupefatti, increduli. Ma intanto,
dietro le gaffe spuntavano una dietro l'altra le divergenze di politica estera:
prima le rogatorie, poi il mandato di cattura europeo, quindi l'Airbus, infine
il pasticcio sul nome di Amato (indicato in patria e ritirato all'estero) per la
presidenza della convenzione europea. In realtà, Ruggiero doveva prendere
atto dell'inconciliabilità di due politiche estere che nascevano da due culture
divaricate, opposte. Per il berlusconismo, che considera la grande e legittima
vittoria elettorale come un mandato ad avere le mani libere da ogni regola,
l'Europa non è né un ideale né un'opportunità: semplicemente un vincolo
improprio. Non soltanto in termini economici, di bilancio, per i parametri
imposti a tutti i Paesi dal patto di stabilità. Sono un vincolo le rogatorie
internazionali sottoscritte dalla Svizzera, è un vincolo il mandato di cattura
europeo e il tentativo di creare uno spazio giuridico comune, è un vincolo
insopportabile addirittura la scelta europea di Amato come vicepresidente della
Convenzione, perché il Cavaliere non è andato fino a Laeken — come ha confidato
— per far eleggere un socialista. E' un vincolo anche l'euro, perché il
titanismo autarchico della destra italiana sogna di bypassare le cancellerie
europee e Bruxelles, dove "c'è del marcio", per ritagliarci un ridicolo ruolo di
partner privilegiato di Bush e degli Usa: senza capire che il rapporto con
l'America oggi passa necessariamente attraverso l'Unione, la sua moneta, le sue
istituzioni in fieri. A tutto questo, si è unito il tentativo di
ideologizzare l'antieuropeismo viscerale, naturale della nuova classe dirigente
di destra. Critiche alla Carta dei diritti europei firmata a Nizza, critiche che
saldano insieme Bossi e l'Osservatore Romano, e allontanano l'Italia da
Bruxelles; attacchi all'"eurocrazia" che dominerebbe il continente, contrapposta
all'unzione politica che tutto permette ai nuovi governanti italiani; polemiche
con l'"euroutopia" di Prodi e della sinistra italiana, messe a confronto con il
nuovo spirito ribelle della destra berlusconiana che sa far valere interessi
nazionali, brandisce il prosciutto di Parma nei vertici, rompe con una
concezione che ha costretto l'Italia a stare nel gregge europeo "con il ruolo di
suddito" e non di padrone. E' una linea che ha rapidamente sconvolto la scala
di valori europei che il nostro Paese aveva costruito per decenni, prima per
merito dei dirigenti democristiani e di laici come Ugo La Malfa, poi con il
miracoloso aggancio all'euro realizzato negli anni dell'Ulivo da Prodi e da
Ciampi. L'Italia in Europa da punto di forza è diventata in pochi mesi una
variabile indipendente. Non si sa che cosa farà, cosa chiederà, cosa potrà
proporre, perché non si conosce la sua cultura politica di riferimento. Si sa
soltanto che non ci sta, che cerca ogni volta una prova di forza, e intanto
mugugna. Siamo davanti a un'altra operazione alchemica di Berlusconi, la
trasformazione di una sua privata ossessione in senso comune degli italiani,
come spesso avviene. In questo caso, si sta facendo crescere tra i cittadini
l'idea di un'Europa ostile e matrigna, terra di democrazia impropria e di poteri
oscuri come le "lobby" che secondo il Cavaliere operano nel marcio di Bruxelles.
Un'Europa che ci vuole deboli e sudditi, come la sinistra ha accettato di farci
diventare: finché è arrivato il liberatore, che sorretto dalla spada di Tremonti
e dalle legioni di Bossi restituirà all'Italia il suo destino, a partire dal
prosciutto. Il risultato di questo tragico disegno è l'erosione
dell'europeismo spontaneo, persino irrazionale degli italiani. Anzi: una messa
in guardia nei confronti dell'Europa, proprio nei giorni in cui i nostri
risparmi in banca si cominciano a contare in euro. Che senso aveva per un
uomo come Ruggiero fingere di reggere la politica estera formale dell'Italia,
quando la cultura europea sottostante slittava nella direzione opposta,
trascinando il tutto? E' rapidamente cresciuto l'isolamento del ministro (difeso
soltanto da An) e insieme con l'isolamento politico è cresciuta fino a
ingigantirsi anche la sua alterità antropologica, la sua diversità umana e
culturale dalla logica del partitoazienda trasformato in governo del
Paese. Allora, come avviene in ogni branco, sono cominciati gli assalti al
ministro isolato: massone, cavallo di Troia della sinistra, uomo dei poteri
forti, plutocrate, tecnico che si è montato la testa. I suoi pari grado (per
ruolo, non per competenza) lo insultavano nelle interviste concordate a raffica,
ricordandogli che un tecnico è poco più di uno sherpa, non conta nulla,
soprattutto in un governo dove c'è un uomo solo al comando. Il capo del governo,
che avrebbe dovuto difenderlo, lo ha zittito. L'anomalia doveva finire,
l'Italia berlusconiana non può avere un ministro filoeuropeo alla Farnesina,
soprattutto non può concepire un tecnico autonomo nelle sue convinzioni, nelle
sue esperienze, nella sua cultura. Non c'è nessuna autonomia possibile dal
berlusconismo imperante: questa è la vera lezione che si vuole impartire a
futura memoria, con il caso Ruggiero. E non c'è nessun vincolo che può
fermare la forza nascente del nuovo regime: né Ciampi, né l'Europa, né
l'establishment internazionale con le sue critiche. Il profilo del Paese che
si ricava da questa impresa, è tragico, spaventato e spaventoso insieme.
Un'Italia chiusa in sé, a testa bassa contro l'Europa senza frontiere, incapace
di preservare le sue opportunità migliori di dialogo e di relazione con la
classe dirigente europea. Un'Italia che si condanna alla marginalità, gonfia di
retorica di destra, incattivita, illusa dalla forza che non ha, mentre scivola
in basso nella carta geografica del continente, proprio là dove il Cavaliere
colloca le "civiltà inferiori" che sta cercando di raggiungere.
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