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Da LA STAMPA 5 dicembre 2001 Libertà di licenziare significa meno protezione per i lavoratori, più diritti agli imprenditori La paura fa 18 di Chiara Saraceno La riforma dell'art. 18 dello Statuto dei lavoratori viene
proposta da governo e Confindustria come una sorta di magico passepartout che
riuscirebbe insieme a dinamizzare un mercato del lavoro asfittico, a fare
emergere il lavoro nero, a garantire maggiore protezione ai cosiddetti
lavoratori atipici. Tutto ciò ampliando la possibilità di licenziare senza
giusta causa proprio i lavoratori individuati come destinatari degli effetti
benefici della riforma. C'è qualche cosa di paradossale e inquietante in questa
ossessione per la possibilità di licenziare senza regole come strumento principe
dello sviluppo. Suggerisce una indifferenza per l'investimento nel capitale
umano, una idea del mercato del lavoro da terzo mondo e del ruolo
imprenditoriale come capitalismo di ventura. So bene che molti imprenditori, con
buone ragioni, si lamentano della difficoltà a licenziare lavoratori incapaci o
nullafacenti. E penso che i sindacati dovrebbero lavorare di più sulle
condizioni che danno luogo a una "giusta causa" e sulla opportunità di
istituzionalizzare il ricorso all'arbitrato piuttosto che al giudice. Dovrebbero
anche insistere sul fatto che un maggiore dinamismo del mercato del lavoro, in
entrata, ma anche in uscita, non può essere disgiunto dallo sviluppo di forme di
protezione adeguate ad un mercato del lavoro, o dei lavori, diversificato.
Questo è, in effetti, a mio parere uno dei buchi più vistosi della bozza di
legge delega sulla occupazione, che nulla dice circa la riforma degli
ammortizzatori sociali, che sembra conoscere con questo governo altrettanta
disattenzione che con quello precedente. Ma non credo che la richiesta di una
maggiore libertà di licenziare derivi dalle buone ragioni di chi non riesce a
liberarsi di lavoratori incapaci. E non credo neppure che il motivo per cui
molte imprese preferiscono il lavoro sommerso stia principalmente nella rigidità
del rapporto di lavoro. Piuttosto questa ossessione imprenditoriale, appoggiata
dal governo senza alcuna mediazione, per la libertà di licenziare esprime
l'esigenza di ridefinire gli equilibri dei poteri e la divisione dei rischi
dell'impresa: meno protezione per i nuovi lavoratori (e in prospettiva per
tutti), più diritti agli imprenditori. L'aumento dei posti di lavoro si
realizzerà così, se si realizzerà, attraverso una crescente frammentazione delle
storie lavorative, non con l'aumento di coloro che avranno una occupazione con
livelli decenti di stabilità - oltretutto senza ammortizzatori sociali adeguati
a simili livelli di rischio. Quasi che il modello ideale di lavoratore e di
mercato del lavoro fosse il lavoro interinale (o "a progetto") per tutti: con
contributi regolari finché si è occupati, ma con contratti di lavoro scioglibili
in ogni momento senza molte difficoltà, anche se a "tempo indeterminato". Tanto
per fare un esempio, le donne non potranno (per ora almeno, in futuro chissà)
essere licenziate durante il periodo di maternità protetto. Ma subito dopo sì,
in cambio di qualche indennizzo. Non ci sarà neppure più bisogno di far firmare
loro lettere di dimissioni in bianco, come molto spesso avviene oggi.
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