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Da LA REPUBBLICA 5 dicembre 2001

Il bisogno di schiacciare l'indipendenza della magistratura per proteggere Berlusconi e soci

In nome del premier

di Giuseppe D'Avanzo

Come volevasi dimostrare, il "caso Taormina" non riguardava il sottosegretario agli Interni, la sua ira o le sue intemperanze, ma l'idea di giustizia e di diritto che hanno quest'esecutivo e questa maggioranza. Per sgombrare il campo da qualsiasi ambiguità, il governo ha chiesto ieri di intervenire nel dibattito al Senato con il ministro di Giustizia, Roberto Castelli.

Negli stessi minuti la Casa della Libertà ha distribuito il testo della "risoluzione" che individua dodici punti della riforma della giustizia, e l'intero affare è diventato limpido e inequivoco. Nell'intervento del Guardasigilli e nel documento della maggioranza c'è una considerazione comune, decisiva, sotto ogni aspetto inquietante. "La magistratura vuole la lotta politica, usando impropriamente i poteri giudiziari. Ci sono magistrati che vogliono ribaltare per via giudiziaria il verdetto politico", ha detto Castelli. E la maggioranza, con il suo documento, ha aggiunto: "Una piccola parte della magistratura, operando in tutte le sedi, tenta ancora oggi di usare l'alto mandato ai fini di lotta politica fino ad interferire nella vita politica del Paese utilizzando i più svariati capi di accusa di sapore chiaramente illiberale".

L'impolitico Carlo Taormina, chiedendo l'arresto dei giudici di Milano, ha detto allora quel che governo e maggioranza pensano, dicono e scrivono: c'è un gruppo di magistrati (pubblici ministeri e giudici) che, protetti dalle prerogative costituzionali, vogliono sottrarre al popolo la sua sovranità eliminando dal governo chi è stato, dal popolo, legittimamente eletto. Se le parole hanno un senso e una responsabilità chi le pronuncia, quest'accusa ha un nome: attentato contro gli organi costituzionali. E un riscontro nel codice penale: l'articolo 289 prevede non meno di dieci anni di galera per "chiunque commette un fatto diretto ad impedire in tutto o in parte, anche temporaneamente, al Governo, alle Assemblee elettive o alla Corte costituzionale l'esercizio delle loro funzioni". Di fronte ad accuse che minacciano di creare un disastroso conflitto istituzionale il governo ritiene che un pugno di toghe voglia deviare il corso della nostra democrazia parlamentare è necessario conservare la testa fredda ed estrarre qualche verità e qualche fatto dal gergo della politica e dal gorgo di elementi artificialmente manipolati del discorso pubblico.
Al centro della discussione non c'è la crisi del sistema giudiziario. Castelli ha goffamente farfugliato qualcosa a proposito, balbettando di giustizia civile e penale al collasso. Non si può vivere, a dieci anni dal primo arresto di Tangentopoli, in uno stato di crisi perenne e se il Guardasigilli avesse anche alla lontana accennato a un tentativo di ricostruzione della normalità si sarebbe potuto osservare che i magistrati sembrano patire come un'offesa un controllo dell'abnorme centralità del diritto penale quale unico strumento di prevenzione e repressione. Ma non è della crisi del sistema giudiziario che si parla né delle soluzioni approntate da governo e maggioranza. Le uniche tre leggi che il governo e la maggioranza hanno proposto al Parlamento non erano nel programma di Berlusconi. Sono state approvate in fretta e con furia. La prima (falso in bilancio) allevia la posizione processuale di Silvio Berlusconi.

La seconda (rogatorie) solleva Berlusconi e il suo avvocato (Cesare Previti) da decisive fonti di prova. La terza (rientro dei capitali) può rasserenare l'azienda del presidente del Consiglio (Fininvest) sospettata di aver costituito "fondi neri" all'estero. Ecco, allora il primo fatto. Non parliamo di crisi della giustizia, ma dell'ansia del presidente del Consiglio di proteggere se stesso e i suoi soci e sodali dai processi del passato. E dalle inquietudini del futuro. Castelli non ha esitato a strappare ogni legame con l'Europa annunciando che domani, alla riunione dei ministri della Giustizia dell'Ue, l'Italia si opporrà a un mandato di arresto europeo allargato a illeciti finanziari come la truffa, la corruzione, il riciclaggio. Per farlo Castelli ha evocato goffamente l'articolo 68 della Costituzione che non definisce le regole di arresto di un cittadino comune, ma dei parlamentari ("Senza autorizzazione della Camera, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione o arresto..."). Ancora una volta, si parla dunque di Berlusconi. Indagato in Spagna, il presidente del Consiglio non può correre il rischio di vedersi notificare un mandato di arresto da un Fiscal qualsiasi.

Definito l'oggetto della discussione (Berlusconi non la giustizia), conviene ora chiedersi se davvero Berlusconi sia minacciato dalla consorteria togata. Se si tengono a mente le sentenze, si direbbe di no. A palese dimostrazione dell'indipendenza dei giudici (anche dei pubblici ministeri), il presidente del Consiglio è stato assolto, in alcuni casi, per non aver commesso il fatto; in altri, lo sarà grazie alle leggi approvate dal "suo" Parlamento; in altri ancora, liberato da ogni accusa perché con il tempo il reato è stato prescritto. Potrebbe tirare un sospiro di sollievo e impegnarsi con serenità a governare il Paese. È invece soffocato dalla sua angoscia giudiziaria. Che, in assenza di fatti, lascia ingrassare con gli annunci e le parole che evocano un assedio che non c'è. Umberto Bossi, il 15 novembre, avverte: "I giudici congiurano contro me e Silvio". Chi? Come? Nessuna risposta.

Il giorno dopo, sono gli avvocati del premier a lanciare il sasso: "Silvio sta in guardia, c'è nei Palazzi di Giustizia un complotto contro di te, come nel 1994". Non poteva mancare Francesco Cossiga. Lascia scorrere dieci giorni e anche lui è della partita. Dice: "Si sussurra della possibilità che quelle che sembrano stravaganze processuali siano in realtà avvisaglie di soluzioni giudiziarie". Qui almeno c'è una traccia da seguire, la "stravaganza processuale". Sarebbe la presunta disapplicazione della decisione della Corte costituzionale che ha annullato l'ordinanza con cui un giudice di Milano aveva negato a Previti i rinvii chiesti per l'impegno parlamentare. Una "nullità innocua", hanno sostenuto i giudici di Milano, perché l'assenza di Previti si era verificata in una sola udienza, nella quale non si è tenuta alcuna attività istruttoria.

Riepiloghiamo. Berlusconi è uscito o sta per liberarsi di ogni pendenza giudiziaria. Lo aiutano leggi proposte dal suo governo e approvate dalla sua maggioranza mentre nessuna mossa dell'esecutivo per ridare efficienza al sistema giudiziario può essere raccontata. Se questi sono i fatti, dove sono le ragioni che giustificano il violento attacco del ministro di Giustizia alla magistratura? Dove sono le ragioni che sostengono addirittura l'accusa di attentato contro gli organi costituzionali? Questi fatti semplicemente non ci sono. C'è una sola verità: per proteggere se stesso, i suoi soci e la sua azienda, per ieri, oggi e domani, Silvio Berlusconi ha bisogno di schiacciare l'indipendenza e l'autonomia della magistratura e per farlo deve manipolare il discorso pubblico, chiamarsi fuori dall'Europa, tenere altissima la temperatura del confronto con le toghe anche a costo di spezzare l'equilibrio costituzionale. Questa è oggi la posta in gioco. Questi sono oggi i rischi della nostra democrazia così come l'hanno disegnata i Padri fondatori. C'è da chiedersi chi difenderà, se non la magistratura, la Costituzione, il buon senso, la dignità del Paese.




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