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Da LA REPUBBLICA 4 giugno 2003

La politica economica del governo è naufragata nel mare delle promesse, il premier non ne ha un´altra e quindi ricorre alle doti di intrattenitore da crociera

Il Cavalier smentita

di Curzio Maltese

NELL´ITALIA di Berlusconi una cosa arriva puntuale e sono le smentite del premier. Puoi aspettare un "Pendolino" per ore, inseguire un volo per una giornata e una raccomandata per settimane, ma la rettifica di Berlusconi a sé stesso spacca il minuto. L´infaticabile ufficio smentite di Palazzo Chigi è intervenuto ieri, nelle classiche 24 ore, per smentire che il premier voglia sul serio riformare le pensioni, come annuncia ogni tanto. Pareva in effetti strano che il sorridente e ciarliero presidente del Consiglio volesse adottare un provvedimento tanto utile quanto impopolare. Dopo essersi vantato l´altro giorno di non essere uno di quei leader cialtroni "al seguito delle masse", Berlusconi ha pertanto precisato di non aver mai detto quanto ha detto: il suo pensiero è stato travisato (il senso era altro, parlava dell´Europa e non dell´Italia, eccetera). Nel dettaglio poi, e in risposta al ministro Maroni, che faceva notare l´assenza del termine "disincentivi" nella delega governativa, il Cavaliere ha pure precisato: "incentivi o disincentivi sono per me la stessa cosa". Per uno che ha un patrimonio personale stimato in dieci miliardi di euro, la differenza fra incentivi o disincentivi può apparire risibile. Non è così tuttavia per alcuni milioni di lavoratori cui tocca scegliere il modo migliore di arrivare a fine mese, né per i sindacati che li rappresentano, gli imprenditori e le casse dello Stato. Per tutti costoro, la differenza fra un sistema e l´altro è decisiva. Colpiscono sempre, in un imprenditore eletto per "rilanciare l´azienda Italia", la faciloneria e la scarsa attenzione dedicata soprattutto alla materia economica. Soprattutto nel confronto con la mania dei distinguo riservata per esempio a ogni eccezione della Cirami o al singolo comma del Lodo Maccanico, laddove intorno a un cavillo si blocca per mesi il Parlamento. L´economia è, non a caso, il settore nel quale Berlusconi ricorre più spesso alla tecnica della smentita. L´altro è l´insulto agli avversari. L´arte della smentita aveva toccato vertici sommi già nella Prima Repubblica ma ha dovuto aspettare Berlusconi per diventare moderno marketing. Il premier è uno "smentitore" abituale, un recordman della rettifica. Per lui l´incomprensione, il travisamento non sono incidenti della comunicazione, improbabili peraltro in chi da anni calcola in compagnia di una miriade di esperti ogni uscita pubblica. Piuttosto costituiscono uno stile di vita e di governo, l´alibi permanente per una politica dove le parole (in libertà) sono separate dai fatti. In due anni di governo Berlusconi si è confermato non "uomo del fare" ma "uomo del dire" (e del disdire). La smentita serve a volte come utile provocazione. Gli esempi sono noti, dalla guerra contro la "civiltà inferiore" dell´Islam fino all´ultimo attacco al diritto di sciopero. Il meccanismo è banale. Con la sparata iniziale il capo vellica sentimenti e risentimenti di parte dell´elettorato, sondati dalle ricerche, e intanto lo distrae dai problemi veri, si presenta da vero populista come uno che sdogana il pensiero da bar sport o da vagone ferroviario nei vertici internazionali, incurante dell´odiata complessità politica. È un rovesciamento meccanico del "politicamente corretto" in "politicamente scorretto". Di fronte allo sdegno suscitato, la retromarcia serve ad abbassare di colpo il tono, lasciando all´avversario il ridicolo della reazione eccessiva (vedi Amadori, "Mi Consenta" ). È come dare a freddo una bastonata al vicino e poi fare la vittima se quello dà una sberla, richiamando l´attenzione dei testimoni (i media) che oltretutto nel suo caso sono quasi sempre dipendenti. Il modo migliore per reagire è di non scandalizzarsi. È per esempio inutile tentare di spiegare al padrone di Arcore il diritto di sciopero. Semmai serve smascherare la miseria della sua analisi economica. La crisi non è dovuta alla scarsa produzione e all´azione sindacale, semmai al contrario. Si produce troppo e si consuma troppo poco, soprattutto perché i salari sono bassi, come ammette perfino Bankitalia. Il vero regno della smentita berlusconiana è però la politica economica. Per motivi ovvii. La politica economica del governo è naufragata nel mare delle promesse, il premier non ne ha un´altra e quindi ricorre alle doti di intrattenitore da crociera. Una pacca sulla spalla della Confindustria qui, un buffetto ai giovani imprenditori là, il solito ritornello sul boom alle porte. Che poi non arriva, una volta per l´eredità della sinistra, una volta per l´11 settembre, poi per il "dopo 11 settembre", quindi la vigilia della guerra, oggi per colpa degli scioperi e domani chissà, per un´imprevista congiunzione di pianeti frutto di un complotto comunista extra mondo. Ma a volte non basta e allora bisogna atteggiarsi a Lady di Ferro, salvo controllare i sondaggi e smentire di corsa. Qualcuno ci crede ancora, i mercati non più. L´Italia è l´unica nazione dove appena il premier o il ministro dell´Economia annunciano la ripresa, la Borsa crolla. È questo un altro tipo di smentita, che il governo però non riesce a controllare: la smentita dei fatti.




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