Per Berlusconi l'Italia sta bene, mentre per Ciampi le preoccupazioni non mancano. Ma dove va l'Italia?
>). Berlusconi ha impiegato due ore e mezzo per dimostrare che
l’Italia "sta bene"; Ciampi diciassette minuti per dire che l’Italia "potrebbe"
stare bene, ma che purtroppo "le preoccupazioni certo non mancano".
1. Berlusconi: l’Italia "sta bene"
– Per quanto riguarda l’economia — spiega Berlusconi —, se
qualcosa in Italia non va, come l’inflazione, la colpa è dell’introduzione
dell’euro, voluta dal precedente Governo. Se i prezzi sono aumentati, la colpa è
dei commercianti che li hanno ritoccati al rialzo, approfittando del cambio
della moneta. Se la produttività ristagna, la colpa è dell’apprezzamento
dell’euro sul dollaro che penalizza i prodotti italiani.
Reagisce il
Presidente della Commissione europea: "Dare la colpa all’euro del disagio
economico che l’Italia sta vivendo è un’assoluta falsità. Occorre ricordare che
la moneta unica esiste da quattro anni. E che da due anni l’euro è in
circolazione. In dieci dei dodici Paesi che hanno adottato la moneta europea non
c’è stato né l’aumento dei prezzi, né l’impoverimento della classe media e dei
lavoratori a reddito fisso che si è verificato in Italia, dove invece osservo
che già si annunciano aumenti a raffica di tariffe e di prezzi per l’anno che è
appena cominciato. E allora? È sempre colpa dell’euro? L’ho detto e lo ripeto.
In Italia è mancato il più elementare controllo sulla dinamica dei prezzi"
("Intervista a Prodi", in la Repubblica, 2 gennaio 2004).
L’Italia sta
bene — insiste Berlusconi —: "abbiamo creato 700 mila posti di lavoro, i dati
sulla sicurezza sono ottimi, il calo del carico fiscale per le famiglie è stato
del 7,5%"; e poi, nonostante l’aumento del fabbisogno di cassa del settore
statale, il deficit tra conti pubblici e PIL è rimasto al 2,5%, sotto la
soglia del 3% fissata a Maastricht.
Il Cavaliere, però, non dice ai cittadini
che (con un PIL praticamente stagnante, cresciuto di un modesto 0,5%, e in
presenza di un aumento del fabbisogno di cassa e di una riduzione del carico
fiscale) il deficit dei conti pubblici si può stabilizzare solo tagliando
le spese sociali, imponendo nuovi ticket e aumentando le tariffe.
– Per
quanto riguarda il "semestre europeo" — commenta Berlusconi —, la presidenza
italiana "ha prodotto risultati assolutamente positivi". Il fallimento della
Conferenza intergovernativa per l’approvazione della Costituzione europea era
inevitabile: "Lo sapevamo già dall’inizio".
Su questo punto, nella citata
intervista, l’intervistatore chiede un chiarimento a Prodi: "Dall’Iraq al patto
di stabilità allo scacco sulla Costituzione: dietro i fallimenti europei c’è
sempre anche una firma italiana". Risponde il Presidente della Commissione
europea: "Purtroppo, sì, anche se non è la sola. Comunque è chiaro che
all’Europa è mancata l’Italia, come all’Italia è mancata l’Europa". È
insufficiente quindi citare, a riprova del successo italiano, il fatto che
l’Agenzia alimentare, inizialmente assegnata alla Finlandia, sia stata portata a
Parma. Non è questa una conquista, per quanto vantaggiosa, che possa
controbilanciare le falle che si sono aperte nella gestione del bene comune
europeo.
– Anche in politica estera — secondo il Cavaliere —, le cose non
potevano andare meglio di come sono andate: sposando le tesi di Bush sulla
guerra in Iraq, l’Italia non si è piegata di fronte all’asse Francia-Germania e,
così facendo, ha impedito che si consumasse un pericoloso "divorzio tra l’Europa
e gli Stati Uniti". Anzi l’Italia, "esportando la democrazia con informazione,
propaganda, aiuti economici e anche con interventi militari", oggi è in prima
fila con altre grandi nazioni nello sforzo di creare un nuovo ordine mondiale e
di estirpare il terrorismo (si tratta — specifica Berlusconi — di battere quei
"40-45 Stati totalitari che ancora vi sono" e che vanno "eliminati via via").
Purtroppo la strage di Nassiriya, insieme con la tragedia del dopo-Saddam in
Iraq, mostra drammaticamente che la democrazia non si esporta con gli interventi
militari.
– Infine, in politica interna, il Cavaliere tiene a ribadire che
"il conflitto di interessi non c’è. Chi guarda la televisione commerciale sa
bene che si tratta di una favola metropolitana. C’è chi crede al gatto con gli
stivali e chi crede al fatto che ci sia una stampa o dei media o una
televisione favorevole a questo Governo". Se manca una legge che regoli la
materia, "la colpa è dell’ostruzionismo parlamentare della sinistra". Sulla
riforma della TV era prevedibile — aggiunge Berlusconi — che il Capo dello Stato
avrebbe rinviato la legge Gasparri alle Camere; infatti, "c’erano pressioni così
diffuse, anche dalla parte della corporazione degli editori, che ho immaginato
le difficoltà di Ciampi a non intervenire".
In conclusione: per Berlusconi,
l’Italia sta bene e pure il Governo ha agito bene. Se non è riuscito a fare di
più, la colpa è della pesante eredità del precedente Governo, dell’euro,
dell’ostruzionismo dell’opposizione, delle lobby che condizionano perfino
il Presidente della Repubblica. Impressiona la frequenza con cui il Cavaliere si
atteggia a vittima. Probabilmente ciò fa parte di quella strategia
dell’immagine, tipicamente berlusconiana, che da un lato consente al
Premier di addebitare gli insuccessi a nemici esterni, fittiziamente
ingigantiti e ideologicamente ostili (ostruzionismo dell’opposizione,
"comunisti", congiura della stampa italiana ed estera, euro e lacci
comunitari…), dall’altro lo esonera dal fare una seria analisi politica per
individuare le vere cause e le vere responsabilità.
2. Ciampi: "le preoccupazioni certo non
mancano"
Ovviamente il messaggio augurale del Presidente della
Repubblica appartiene a un genere letterario diverso dalla conferenza stampa del
Capo del Governo. Ciononostante Ciampi non omette di esprimere un giudizio sullo
stato di salute del Paese. A differenza però dell’ottimismo di facciata di
Berlusconi, il Capo dello Stato non esita ad ammettere che "le preoccupazioni
certo non mancano", che la situazione economica è pesante e, con il disagio
sociale, cresce la sfiducia dei cittadini verso le istituzioni. Si tratta di
preoccupazioni gravi, che attengono "al modello di società basato sulla libertà,
sulla democrazia, sulla solidarietà, sulla diffusione del benessere, sullo
spirito dell’intrapresa, che abbiamo costruito partendo dagli anni difficili del
dopoguerra". Questo richiamo esplicito di Ciampi al modello di società che gli
italiani hanno scelto con la rinata democrazia deve far riflettere e marca la
differenza dell’analisi del Presidente della Repubblica da quella del Presidente
del Consiglio.
– Per quanto riguarda l’economia, Ciampi è lapidario: "So bene
che quest’anno molte famiglie hanno avuto difficoltà con il loro bilancio, hanno
fatto fatica. Il troppo lungo ristagno dell’economia, in Italia e in Europa, ha
colpito soprattutto i più deboli". Stando ai dati Eurostat di fine 2002,
in Italia il PIL pro capite espresso in PPS (un indicatore che
omogeneizza il potere d’acquisto dei cittadini) è sceso a quota 98, cioè due
punti sotto la media dei quindici Paesi dell’Unione, mentre nel 1995 l’Italia
era a quota 104, vicina al gruppo di testa.
Ha ragione Ciampi di
sottolineare che le conseguenze del ristagno dell’economia gravano soprattutto
sui più deboli, le cui retribuzioni o pensioni non tengono il passo con
l’inflazione. Viene anche da qui il malessere sociale sempre più diffuso, che
crea situazioni di esasperazione, come quelle sfociate, negli ultimi tempi, in
alcuni scioperi selvaggi. Né a ridare fiducia può bastare il modesto aumento
dell’occupazione, segnalato da Berlusconi, dovuto in gran parte a forme di
lavoro precario.
Nonostante tutto, Ciampi non è pessimista: l’Italia potrebbe
stare bene, perché non mancano i primi segni di ripresa economica. Occorre però
"saperli sostenere con l’azione di tutti: imprenditori, lavoratori, istituzioni
di governo centrali e locali". Occorre, cioè, "fare sistema". Ma non ne siamo
ancora capaci.
– Per quanto riguarda l’Europa, Ciampi, pur insistendo sulla
necessità di "portare a compimento il processo che darà una Costituzione a
questa grande Unione Europea", non nasconde — anche qui — le difficoltà del
cammino: la divisione tra i Paesi dell’Unione sulla guerra all’Iraq, la crisi
del "patto di stabilità", il fallimento della Conferenza intergovernativa sulla
nuova Costituzione. Ciononostante, guardando ai "progressi compiuti sulla via
dell’unificazione", esorta: "Non lasciamoci ingannare dal mancato successo di
una Conferenza: è già accaduto in passato. Abbiamo superato molti ostacoli, e
anche questa volta li supereremo". L’importante è continuare a impegnarsi con
rinnovata fiducia.
– Per quanto riguarda la politica internazionale,
l’impegno prioritario è quello per la pace e contro il terrorismo; occorre
perciò rafforzare "le istituzioni che abbiamo creato in applicazione coerente
dei nostri valori: la nostra Repubblica, l’Unione Europea, le Nazioni Unite".
Ciampi ribadisce, a sua volta, quanto il Papa sostiene nel messaggio per la
Giornata Mondiale della Pace 2004: "Il rispetto del diritto internazionale è
presidio della pace nel mondo. Questa è la via da seguire, tendendo la mano a
tutte le civiltà, a tutti i popoli, per sradicare il terrorismo, per prevenire
tragici scontri etnici o insensati conflitti religiosi". Solo una coesione
stretta e fattiva all’interno delle istituzioni, nazionali e internazionali, può
dare "serenità e sicurezza ai cittadini, e nuovo vigore alle istituzioni
stesse". Non vanno certo in questa direzione — conclude amaro il Presidente —
"taluni aspri contrasti" che sminuiscono sia la coesione interna, sia la
credibilità internazionale dell’Italia.
– Infine, per quanto riguarda la
politica interna, Ciampi ovviamente non parla del conflitto di interessi, della
legge Gasparri sul riassetto del sistema radiotelevisivo, della devolution,
della riforma dell’ordinamento giudiziario, del super-premierato a cui mira
Berlusconi. Si limita piuttosto a ribadire — eloquentemente — che le riforme
vanno fatte, senza perdere di vista che la Costituzione "è patrimonio di tutti.
Così è sentita dai cittadini"; e che "per mutamenti strutturali, che modifichino
istituzioni fondamentali della Repubblica, quale il Parlamento, serve uno
spirito costituente, un largo incontro di volontà politiche". "Le istituzioni
fondamentali — insiste — non possono certo essere cambiate a ogni mutare di
maggioranza".
In conclusione, confrontando i giudizi sulla salute del Paese,
contenuti nei due discorsi di fine anno, appare la differenza tra l’ottimismo di
maniera, che porta Berlusconi a ingigantire i risultati e a sminuire le
responsabilità del Governo, e l’ottimismo realistico di Ciampi, secondo cui
l’Italia "potrebbe" stare bene, anche se non sono assenti le preoccupazioni.
Infatti — egli sottolinea —, non mancano neppure "le ragioni per nutrire
fiducia", e "la fiducia è tutto, è la forza che ci muove, che ci permette di
costruire il futuro".
3.Dove va l’Italia?
Il discorso su come sta l’Italia, però, non si può ridurre alla
lista delle cose che vanno o che non vanno, delle scelte fatte o ancora da fare.
Occorre capire soprattutto "dove va" il Paese, cioè a quale modello di società
ci stiamo avviando. Il "rebus Italia" sta appunto nell’incertezza del suo
futuro, nella risposta da dare alla "preoccupazione" espressa da Ciampi sul
modello di società. Quale Italia vogliamo? Di quale "ammodernamento" parla
Berlusconi, quando ripete che vuole rinnovare l’"architettura costituzionale"
del Paese?
Ebbene, dall’attenta considerazione delle scelte fatte nella prima
metà della legislatura, emergono con chiarezza i tratti essenziali del modello
neoliberista di società (diverso dal modello sociale disegnato dalla nostra
Costituzione), verso cui il centrodestra sta conducendo il Paese.
– Il primo
tratto fondamentale del modello neoliberista di società, al quale punta
Berlusconi, è la concezione dell’economia basata sulla mera logica di mercato,
con la pretesa di gestire con categorie aziendali anche la politica. È una via
senza sbocco. Infatti, la logica di mercato tende di natura sua a favorire i
ceti più forti e fa ricadere il peso delle scelte soprattutto sui ceti più
deboli; porta allo smantellamento dello Stato sociale, generando tensioni sia
sul piano costituzionale, sia su quello sociale. Sul piano costituzionale,
perché la logica neoliberista è in contrasto con la ispirazione solidale della
nostra Carta repubblicana, che stabilisce: "È compito della Repubblica rimuovere
gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e
l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e
l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica,
economica e sociale del Paese" (art. 3). Sul piano sociale, perché — spiega
Giovanni Paolo II — "ci sono bisogni collettivi e qualitativi che non possono
esser soddisfatti mediante i suoi meccanismi [del mercato]; ci sono esigenze
umane importanti che sfuggono alla sua logica" (Centesimus annus, n.
40).
Ora, che il Cavaliere miri a introdurre in Italia il modello
neoliberista è apparso chiaro fin dall’inizio: la legge sulla eliminazione
dell’imposta di successione e sulle donazioni non può che privilegiare i grandi
patrimoni, così come il progetto di riforma fiscale, di chiara impostazione
antisolidaristica, non fa che premiare i redditi medio-alti. E così via, fino
alle scelte più recenti, il cui peso ricade soprattutto sui più deboli: si pensi
— per esempio — all’abbandono del metodo della "concertazione" nel definire i
rapporti di lavoro, alla drastica riduzione dei finanziamenti a favore di
progetti sociali, alle norme sulla immigrazione, che considerano gli
extracomunitari come "merce" (secondo la definizione di un ministro del
Governo), da usare finché servono e da respingere ai Paesi di origine appena non
servono più.
– Il secondo tratto del modello di società neoliberista, verso
il quale il centrodestra ha avviato l’Italia, è la concezione della democrazia,
intesa come mera osservanza formale delle regole, quali che esse siano,
prescindendo da considerazioni etiche. Si parte, cioè, dall’affermazione
dell’uguaglianza formale di tutti i cittadini, indipendentemente da ogni
considerazione sostanziale di reddito, censo, ecc., e vi si aggiunge l’idea
della sovranità arbitraria della maggioranza, che può fissare le regole a suo
piacimento. Ora, la legalità non si può ridurre alla mera osservanza formale
delle regole, prescindendo dalla loro ricaduta sociale e dalle loro implicazioni
etiche. Altrimenti una democrazia senz’anima ineluttabilmente degenera nella
difesa di interessi di parte (o addirittura personali) e in dittatura della
maggioranza.
Come negare che spingano in questa direzione la legge sulla
depenalizzazione del falso in bilancio, quella sul rientro dei grandi capitali
esportati illecitamente, nonché la serie continua di condoni e di sanatorie?
Come spiegare, se non con l’intenzione di tutelare interessi personali o di
parte, le difficoltà frapposte alla ratifica del trattato italo-svizzero sulle
rogatorie internazionali o all’accordo sul "mandato di cattura" europeo? Che
dire della legge Cirami (definita, non a caso, "salva-Previti"), che autorizza a
sospendere o a trasferire il processo per "legittimo sospetto" sulla parzialità
del giudice? O del Lodo Schifani che, "congelando" i processi a carico delle
cinque più alte cariche dello Stato, ha fermato il processo per corruzione a
carico di Berlusconi, alla vigilia del semestre di presidenza italiana della UE?
E l’elenco potrebbe continuare, fino a giungere alla legge Gasparri sul
riassetto del sistema radiotelevisivo e al decreto "salva-Rete 4", firmato dallo
stesso Berlusconi, dopo il rinvio alle Camere da parte di Ciampi della legge
Gasparri.
La preoccupazione di Ciampi, quindi, è quella di tutti i
democratici onesti e responsabili: verso quale modello di società stiamo
andando? Quale cultura delle istituzioni si promuove nel Paese, se il Presidente
del Consiglio arriva a dire che non gli interessa neppure leggere le motivazioni
con le quali il Presidente della Repubblica ha rinviato alle Camere la legge
Gasparri?
– Infine, non possiamo non accennare alla progressiva perdita di
credibilità dell’Italia in Europa e nel mondo. L’aspetto più grave è che essa è
dovuta non tanto alla poca considerazione di cui gode all’estero il nostro Capo
del Governo (le cui gaffe ormai sono divenute proverbiali), quanto —
ancora una volta — a una concezione di democrazia, che alimenta l’evidente
"euroscetticismo" del Governo, e lo porta ad allinearsi istintivamente alla
politica internazionale di Bush. Il comportamento tenuto in occasione della
guerra in Iraq ha funzionato da cartina di tornasole.
In conclusione, più che
l’attuale stato di salute dell’Italia, è incerto il futuro democratico del
Paese. È questa la vera preoccupazione che tutti dovremmo avere e della quale
abbiamo il dovere morale di parlare. Non è certo un caso che la legge Gasparri e
il Lodo Schifani siano stati dichiarati
incostituzionali.